Calcolo della giusta indennità di esproprio per i terreni espropriati con applicazione delle norme CEDU
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[…]
In nome e per conto dei nominativi in oggetto che sottoscrive la presente in segno di adesione, gli scriventi – quali Avvocati fiduciari aderenti all’Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati – intendono far riferimento all’opera pubblica ed al decreto in oggetto per significare quanto segue.
PREMESSA
Con avviso del […], codesta autorità espropriante in vista della realizzazione della […] informava le scriventi che in data 21.1.2009 si immetterà in via d’urgenza nel possesso anticipato della proprietà della istante.
Il procedimento comporterà l’esproprio dei due fondi indicati estesi 5.220 mq. (mappale 113) e 2.880 mq. (mappale 131) (s.e.o.).
Si chiede dunque che per il futuro le successive comunicazioni e notificazioni siano inviate all’indirizzo delle scriventi indicato in premessa.
Si premette sin d’ora che i fondi di cui trattasi devono essere stimati quali edificabili atteso che essi, alla luce della destinazione del p.r.g. adottato, risultano munito della edificabilità legale.
Tanto premesso, si precisa che le questioni trattate con il presente atto riguardano:
• l’applicazione e l’efficacia nell’ordinamento nazionale della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e della giurisprudenza della Corte Europea;
• l’individuazione della edificabilità legale dei fondi;
• le responsabilità patrimoniali degli enti e dei soggetti esproprianti.
1) INDIVIDUAZIONE DELLA NORMATIVA DA APPLICARE:
• ART. 117 COSTITUZIONE
• ART. 1 PROT. 1 ADDIZIONALE DELLA C.E.D.U.
• CORTE COSTITUZIONALE 24.10.2007 N. 348
• il quadro normativo
Ai fini di un esatto inquadramento della fattispecie, si rende necessario preliminarmente prendere le mosse dall’esame del quadro normativo.
• LA NORMATIVA C.E.D.U.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla c.e.d.u. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità o nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
• la prima regola, contenuta nella prima frase del primo comma, e’ di natura generale ed enuncia il principio di pacifico godimento della proprietà;
• la seconda regola garantisce dalla privazione del possesso e la rende soggetta a certe a certe condizioni;
• la terza regola, contenuta nel secondo comma, riconosce che gli stati contraenti hanno il compito, tra le altre cose, di controllare l’uso della proprietà per la soddisfazione dell’interesse generale.
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessità di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facoltà di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
• LA NORMATIVA ITALIANA
• espropriazione di fabbricati
E’ appena il caso di richiamare l’art. 38 d.p.r. n. 327/2001 il quale prevede testualmente che “nel caso di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata, l’indennità e’ determinata nella misura pari al valore venale”.
La norma e’ chiara ed in equivoca e non richiede alcun commento.
• CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 24.10.2007 N. 348
In conformità ai principi stabiliti dall’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, quale interpretato dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, l’indennità di esproprio di aree edificabili espropriate deve consistere in somme congruamente proporzionate al valore di mercato dei fondi e che siano comunque rappresentative di un “serio ristoro”.
Con la sentenza 24 ottobre 2007 n. 348, la Corte Costituzionale ha dichiarato:
• l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333 (misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359;
• nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità);
nella parte in cui, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione dei suoli edificabili, le citate norme prevedevano il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore di mercato dei fondi e il reddito dominicale rivalutato.
Già con la precedente sentenza n. 5/1980, la Corte Costituzionale aveva introdotto il principio del «serio ristoro» della indennità di esproprio, per effetto del quale «l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42/3 Costituzione, se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non puo’ essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro. Perche’ cio’ possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene.
Il principio del serio ristoro e’ violato, secondo tale pronuncia, quando, «per la determinazione dell’indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso».
Sia la giurisprudenza della Corte Costituzionale sia quella della Corte Europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene espropriato.
Un’indennità «congrua, seria ed adeguata» (come precisato già dalla sentenza costituzionale n. 283/1993) non puo’ adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa.
La conclusione raggiunta dalla Corte Costituzionale e’ stata che i criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori.
• RILEVANZA APPLICAZIONE ED EFFICACIA DELLE NORME CEDU
Le norme della CEDU e la relativa giurisprudenza della Corte Europea possono trovare applicazione ed efficacia nell’ordinamento italiano in virtu’ della previsione dell’art. 117/1 Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) (“La potestà legislativa e’ esercitata dallo Stato…nel rispetto della costituzione, nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”).
La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, cui e’ affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. Difatti l’art. 32, paragrafo 1, stabilisce: «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47».
Poiche’ le norme giuridiche vivono nell’interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall’art. 32, paragrafo 1, della Convenzione e’ che tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi e’ quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione.
Secondo la Corte Europea, i giudici italiani sono tenuti ad applicare direttamente nell’ordinamento, con prevalenza sulle norme nazionali, le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
A titolo indicativo, si segnala che particolare importanza – per l’impatto e la risonanza notevoli degli effetti prodotti – e’ stata unanimemente attribuita (tra le numerose altre disponibili) alla sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo emessa nel caso Scordino contro Italia (ricorso n. 36813/1997), pubblicata il 29.7.2004, pur espressamente citata dalla richiamata sentenza costituzionale n. 348/2007.
Con la citata sentenza, la Corte Europea (in disaccordo con la Corte Costituzionale) ha stabilito:
• che la norme della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo sono applicabili direttamente all’interno dell’ordinamento di ogni stato contraente (e dunque anche l’Italia);
• che tutti i giudici degli stati contraenti sono tenuti ed obbligati all’applicazione diretta delle norme della convenzione ogni qual volta ne ravvisino la violazione;
• che la giurisprudenza e le sentenze della Corte Europea, in quanto ritenute dalla stessa Corte parte integrante della convenzione, sono parimenti vincolanti per i giudici degli stati contraenti;
• che (con particolare riferimento alla tutela del diritto di proprietà) la normativa prevista dall’art. 5 bis del d.l. n. 333/1992 e successive modificazioni ed integrazioni ai fini della determinazione della indennità di espropriazione (e dunque anche quella prevista dal d.p.r. n. 327/2001 che ne confermato integralmente il contenuto) costituisce una violazione dei principi contenuti nell’art. 1 Protocollo n. 1;
• che infatti il meccanismo di calcolo della indennità previsto dalla citata normativa (pari alla semisomma tra il valore venale ed il coacervo del reddito dominicale rivalutato ai fini delle imposte dirette) non rispetta il criterio del giusto equilibrio tra esigenze di interesse generale ed il diritto di proprietà;
• che infatti l’indennità cosi’ determinata dalla normativa italiana risulta essere notevolmente inferiore al valore di mercato dei fondi.
Tale argomento appare idoneo a superare anche la diversa conclusione (formulata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348/2007) secondo la quale le norme delle convenzioni internazionali (quali sono appunto quelle della C.E.D.U.) hanno natura di norme di rango sub – costituzionale e si atteggiano quali “fonti interposte” rispetto alla fonte primaria rappresentata dalla Costituzione. Ne conseguirebbe in tale prospettiva che, in caso di conflitto o di incompatibilità tra la norma del trattato internazione (C.E.D.U.) e quella costituzionale, si renderebbe necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dell’art. 117/1 Costituzione.
Sotto la spinta costante ed ormai pluriennale esercitata dalle numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale e’ stata costretta a riconoscere – ma non ancora in misura sufficiente (per quanto chiarito in precedenza) – importanza, rilevanza ed efficacia giuridica sia alle norme della c.e.d.u. sia alla giurisprudenza della Corte Europea.
Non si puo’ sottacere infatti che la Corte Europea accorda tuttora ai cittadini degli stati aderenti alla convenzione, una tutela decisamente piu’ ampia rispetto a quella timidamente offerta dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 348/2007.
Anche dopo la sentenza costituzionale n. 348/2007, il cittadino espropriato che non ottenesse la giusta tutela dai giudici italiani, conserva sempre integro il diritto di rivolgersi comunque alla Corte Europea che continuerà, da un lato, a garantire la piu’ ampia tutela prevista dalla c.e.d.u. e, dall’altro, a condannare gli stati aderenti che si siano resi responsabili di violazioni alle norme della c.e.d.u..
La Corte Costituzionale non potrà evitare in alcun modo che la Corte Europea condanni lo stato italiano.
• LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Del resto, già con le sentenze emesse a SS.UU. n. 1338/2004, n. 1339/2004, n. 1340/2004 e n. 1341/2004 tutte del 26.1.2004 e con quelle piu’ recenti n. 11483/2006, n. 15737/2006, n. 15738/2006, n. 15739/2006, n. 15740/2006, n. 15741/2006, n. 15742/2006, n. 8879/2006, n. 18846/2006 e n. 9420/2006, la Corte di Cassazione (sia pure emesse in materia di ragionevole durata del processo previsto dall’art. 6 c.e.d.u.) hanno espressamente sancito la vincolatività per il giudice italiano non solo della giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo ma anche delle norme della stessa convenzione, applicabili dunque direttamente dai giudici di tutti gli stati firmatari (anche se tale orientamento e’ stato di recente oggetto di una rivisitazione).
Se dunque tale principio vale in materia di ragionevole durata del processo, esso deve parimenti valere anche in materia di tutela del diritto di proprietà, proprio perche’ entrambi i diritti sono previsti e tutelati direttamente dalla CEDU.
• LA PIU’ AVANZATA GIURISPRUDENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Anche per il Consiglio di Stato i principi e le norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo hanno una diretta rilevanza e trovano diretta applicazione nell’ordinamento italiano.
Il Consiglio di Stato (sezione IV n. 3752 del 27.6.2007 e sez. IV n. 2582 del 21.5.2007) ha testualmente stabilito che “”i principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiche’:
• per l’art. 117/1 della Costituzione, le leggi devono rispettare i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”;
• per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, … in quanto principi generali del diritto comunitario»;
• per la pacifica giurisprudenza della CEDU (che ha piu’ volte riaffermato i principi enunciati dalla Sez. II 30 maggio 2000, ric. 31524/96, già segnalata in data 29 marzo 2001 dall’Adunanza Generale di questo Consiglio, con la relazione illustrativa del testo unico poi approvato con il d.P.R. n. 327 del 2001), si e’ posta in diretto contrasto con l’art. 1 prot. 1 della Convenzione la prassi interna sulla <espropriazione indiretta>, secondo cui l’amministrazione diventerebbe proprietaria del bene, in assenza di un atto ablatorio (cfr. CEDU Sez. IV 17 maggio 2005; Sez. IV 15 novembre 2005, ric. 56578/00; Sez. IV 20 aprile 2006).”
• TRATTATO LISBONA (RATIFICATO CON LEGGE 2.8.2008 N. 130)
• CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA N. 23934 DEL 22.9.2008
Fermo restando quanto fin qui esposto e prospettato, all’applicazione diretta ed immediata nell’ordinamento giuridico delle norme della c.e.d.u. e’ stata concessa una piu’ ampia apertura con la ordinanza n. 23934 del 22.9.2008 con la quale la Corte di Cassazione, dopo aver richiamato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con le note sentenza n. 348 e n. 349 del 24.10.2007 in materia di efficacia ed applicabilità delle norme previste dalla C.E.D.U., ha stabilito che tali principi appaiono ora superati per effetto del quadro normativo delineatosi a seguito del Trattato di Lisbona ed in particolare ha chiarito:
• che “Il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo dei ventisette membri dell’Unione Europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione e quello istitutivo della Comunità Europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (…l’art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000…), e prevede l’adesione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto 11 dell’Unione”;
• che “con la ratifica del trattato di Lisbona, di cui alla legge 2.8.2008 n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada all’APPLICAZIONE DIRETTA DELLE NORME DEL TRATTATO STESSO E DI QUELLE ALLE QUALI IL TRATTATO FA RINVIO e comunque al controllo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario non può essere escluso:
a) quando la legge interna è diretta ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza dei trattati della comunità in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi;
b) quando venga in rilievo il limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona;
c) quando si ravvisa un contrasto fra norma interna e direttiva comunitaria non. dotata di efficacia diretta (Corte Cost. 13.7.2007 n. 284)”.
* * * * *
Con il presente atto, si intende dunque sin d’ora chiarire che un legittimo recepimento delle prescrizioni appena illustrate non puo’ non comportare l’integrale serio ristoro a fronte della espropriazione dei beni privati. Diversamente risulterebbe palese ed incontrovertibile la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 aggiunto alla Convenzione ed a tal fine si precisa che la violazione stessa andrebbe individuata nelle seguenti circostanze:
• nell’incompatibilità con il principio stabilito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della interferenza subita dal cittadino espropriato con il diritto al pacifico godimento della proprietà;
• nella manifesta ingiustizia ed insufficienza della indennità di esproprio qualora questa fosse determinata (come risulta dagli atti) in misura inferiore al valore venale dei beni espropriati e dunque dei danni effettivamente subiti dal proprietario;
• la mancanza del giusto equilibrio tra i requisiti e gli obiettivi dell’interesse generale della collettività e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
Si ritiene dunque che l’eventuale ingerenza posta in essere nella fattispecie da codesta amministrazione debba considerarsi una privazione ed una violazione del diritto di proprietà come indicato dalla seconda frase dell’art. 1 (P1-1) del Protocollo 1 della Convenzione Europea di cui si chiede appunto in questa sede la diretta ed immediata applicazione ad opera di codesta amministrazione espropriante.
Tra le sentenze emesse dalla C.E.D.U. (ed ottenute da questa difesa quale Avvocato fiduciario dell’ANPTES) che hanno stabilito in via definitiva la prevalenza della normativa della convenzione su quella italiana che dunque deve cedere il passo ai fini della completa tutela del diritto di proprietà colpita da espropriazione si segnalano:
• c.e.d.u. 16.12.2006 Ippoliti contro Italia;
• c.e.d.u. 5.10.2006 Capoccia contro Italia ;
• c.e.d.u. 6.7.2006 Grossi contro Italia.
• ART. 16 BIS/5 LEGGE 4.2.2005 N. 11 (C.D. LEGGE COMUNITARIA) COME MODIFICATO DALL’ART. 6 LEGGE 25.2.2008 N. 34 (GIà ART. 1/1217 DELLA LEGGE 27.12.2006 N. 296
a) responsabilità civile di amministratori e funzionari
Anche le autorità esproprianti, già in sede di procedimento amministrativo di esproprio (e non solo i Giudici italiani in sede processuale), devono garantire e dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme della c.e.d.u..
L’art. 16/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (già art. 1/1217 della legge n. 296/2006) ha previsto l’obbligo per l’autorità espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u..
Si richiama l’attenzione su una norma vigente nell’ordinamento le cui implicazioni in termini di responsabilità, le amministrazione esproprianti non hanno pienamente colto. Essa peraltro fornisce la prova della immediata efficacia ed applicabilità nell’ordinamento nazionale delle norme della c.e.d.u..
In particolare, si intende far riferimento all’art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (già art. 1/1217 della legge n. 296/2006) il quale ha previsto l’obbligo per l’autorità espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u., prevedendo testualmente che “lo Stato ha altresi’ diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”
E’ dunque appena il caso di precisare che qualora il cittadino espropriato firmatario del presente – in caso di diniego opposto da codesta autorità espropriante dell’applicazione e della tutela prevista dalle norme della CEDU – fosse costretto e ricorrere all’autorità giudiziaria nazionale ed alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per ottenere la piena tutela del diritto di proprietà, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta allo stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno di codesta autorità, proprio per effetto della previsione contenuta dal citato art. 16 bis/5 della legge n. 11/2005.
Corre l’obbligo di segnalare che con la SENTENZA N. 898/2007 PUBBLICATA IL 6.7.2007 – emessa su patrocinio dello scrivente difensore quale fiduciario dell’ANPTES – la CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, facendo leva sia sull’art. 117 Costituzione, sia sull’art. 1/1217 della legge n. 296/2006, ha dichiarato direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale le norme della c.e.d.u. ed ha condannato l’amministrazione espropriante al pagamento della indennità determinata nella misura del valore di mercato dei fondi espropriati.
b) responsabilità per danno erariale di amministratori e funzionari (anche dopo la cessazione dalla carica e dall’ufficio)
In caso di condanna dell’amministrazione espropriante al pagamento di una indennità di esproprio in misura superiore a quella offerta in via amministrativa (ed ovviamente a maggior ragione in caso di condanna dello stato italiano ad opera della Corte Europea), sussiste la configurabilità di responsabilità contabile per danno erariale in capo ai soggetti che si siano resi responsabili della violazione, in sede di procedimento di esproprio, delle norme in materia di corretta determinazione della indennità di esproprio (e comunque delle norme previste dalla c.e.d.u.).
In merito alla responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici per danno erariale, la giurisprudenza e’ copiosa ed in equivoca. E’ stato infatti stabilito:
• che va affermata la colpevolezza di chi (sindaco ed assessori) ha approvato atti espropriativi senza la previsione dei fondi necessari a pagare gli aventi diritto alle indennità (Corte Conti Sezione Basilicata n. 90 del 1.4.2008);
• che nel caso di condanna in sede giudiziale al risarcimento dei danni a terzi (o comunque ad una indennità espropriativi maggiore di quella determinata ed offerta), il danno erariale e’ rappresentato dal maggior esborso sostenuto dall’ente a seguito della sentenza rispetto all’indennità di occupazione legittima ed all’indennità d’esproprio comunque dovuta (Corte Conti Sezione Calabria n. 263 del 17.4.2007);
• che il danno e’ rappresentato dai maggiori oneri a seguito del contenzioso instaurato dal privato proprietario del terreno espropriato, oneri che sarebbero stati evitati qualora l’espropriazione fosse stata espletata in base a corretti adempimenti procedurali e nel rispetto della normativa in materia di determinazione della indennità (Corte Conti Sezione Calabria n. 936 del 5.10.2005);
• che il danno erariale e’ rappresentato dalla differenza tra l’indennità di esproprio riconosciuta dal giudice al cittadino espropriato e quanto effettivamente pagato dall’amministrazione espropriante (Corte Conti Sezione II Giurisdizionale Centrale n. 96 del 15.3.2005 e Corte Conti Sezione Calabria n. 764 del 1.7.2005).
2) QUANTO ALLA NATURA EDIFICABILE DEI FONDI
I terreni espropriati compresi in zona destinata ad area normativa di riqualificazione devono ritenersi edificabili sia in base alla normativa italiana sia in base alle norme della c.e.d.u..
In conformità alle norme della c.e.d.u., i terreni devono essere valutati ed indennizzati sulla base del valore di libero degli stessi.
• normativa c.e.d.u.
L’applicazione dell’art. 1 Protocollo 1 addizionale alla c.e.d.u. comporta già di per se’ la naturale implicazione che i terreni siano stimati e valutati sulla base del loro pieno valore di mercato “sic et simpliciter”, a prescindere da ogni indagine in ordine alla natura edificabile o meno degli stessi (indagine che in ogni caso riveste un aspetto di secondo piano atteso che la natura dei fondi e’ comunque sottesa al loro comune ed intrinseco valore venale).
• normativa nazionale
Ad ogni buon conto, qualora codesto ente espropriante dovesse ritenere di far applicazione del criterio previsto dall’art. 32 e dall’art. 37 d.p.r. n. 327/2001, si ritiene che i terreni espropriati abbiano oggettiva ed indiscussa natura edificabile. In particolare il citato art. 37 prevede:
• che “ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione…” (comma terzo);
• che “salva la disposizione dell’articolo 32/1, non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area e’ sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (comma quarto);
• che “i criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di fatto dell’area sono definiti con regolamento da emanare con decreto del ministro delle infrastrutture e trasporti” (comma quinto);
• che infine “fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilità effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area” (comma sesto).
Posto dunque che i terreni di cui trattasi risultano inclusi dal p.r.g. adottato dal Comune di Gozzano in zona destinata ad area normativa di riqualificazione (art. 27 delle n.t.a. del p.r.g.) caratterizzata da aree inedificate ideputate a soddisfare i fabbisogni dell’insediamento e considerato che nella fattispecie sussistono tutti gli elementi di cui sopra sintomatici e rivelatori della edificabilità legale nei termini in cui gli stessi sono stati individuati dal citato art. 37 d.p.r. n. 327/2001, deve convenirsi sulla conclusione che i fondi espropriandi devono ritenersi edificabili e che agli stessi deve essere riconosciuta oggettiva edificabilità legale.
Tanto premesso, si chiede a codesta autorità espropriante:
a) di prestare ottemperanza ed applicazione dell’art. 1 Protocollo 1 addizionale alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950 resa esecutiva dalla legge 4.8.1955 n. 848 ed i relativi Protocolli addizionali;
b) di determinare e corrispondere la indennità di esproprio dei terren, da ritenersi edificabili, nella misura unitaria di euro 100,00/120,00 mq. e che in difetto di accordo tra le parti sarà stabilita dal giudice, con espressa indicazione che trattasi di stima prudenziale e formulata ai soli fini transattivi e che evidente riserva della maggior indennità in caso di opposizione;
c) di determinare e corrispondere la ulteriori indennità per i costi del trasloco.
Questa difesa, nel formulare le piu’ ampie riserve in ordine ad una piu’ puntuale quantificazione delle indennità spettanti, resta in attesa di tempestivo riscontro e di conoscere le eventuali determinazioni che saranno assunte da codesta autorità espropriante, anche in vista delle eventuale cessione bonaria.
[…]
Per i documenti aggiornati, vedi anche:
A.1 Le “trappole” in cui cadono gli espropriati
A.3 Vuoi accettare l’indennità? Le avvertenze
A.4 La tua indennità – con le norme italiane
A.5 La tua indennità – con le norme europee
A.6 Le illegittimità della procedura
A.7 Il T.U. Espropri sempre aggiornato
ISTRUZIONI PER TUTELARSI
A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza
Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).
SE L'ESPROPRIATO
ha già un Professionista di sua fiducia
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 -
Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.
SE L'ESPROPRIATO
vuol richiedere assistenza a un Professionista dell'Associazione
- La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
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- Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
- Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
- Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
- Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI
Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.