Deve essere riconosciuto un maggior valore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo
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Alla luce della sentenza n. 181/2011 della Corte Costituzionale, l’indennita’ di esproprio per le aree non edificabili deve essere determinata nella misura del valore di mercato delle stesse, ben potendo la parte interessata dimostrare, nell’ambito delle utilizzazioni consentite sulle aree dagli strumenti urbanistici, un maggior valore rispetto al v.a.m. sulla base di uno sfruttamento diverso da quello strettamente agricolo.
Gia’ in precedenza la Cote di cassazione aveva stabilito che il valore agricolo per le aree non edificabili costituisce la soglia minima per calcolare l’indennità di esproprio, ben potendo la parte interessata dimostrare, nell’ambito delle utilizzazioni consentite sulle aree dagli strumenti urbanistici, un maggior valore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo
– Corte Costituzionale n. 181 del 10.6.2011
Come e’ noto, con la recente sentenza n. 181/2011 la Corte Costituzionale ha stabilito:
• che l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma, Costituzione se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro. Per raggiungere tale finalità, occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene;
• che in relazione all’art. 117, primo comma, Costituzione, all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo ed all’art. 42, terzo comma, Costituzione va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, che, per la determinazione dell’indennità di espropriazione relativa alle aree agricole ed a quelle non suscettibili di classificazione edificatoria, rinvia alle norme di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, successive modificazioni e integrazioni, stabilendo che l’indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati, è commisurata al valore agricolo medio annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare (comma quinto); ed aggiunge che, nelle aree comprese nei centri edificati, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa (comma sesto);
• che ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 40, commi 2 e 3, del d.p.r. n. 327/2001 recante la nuova normativa in materia di espropriazione.
Inutile precisare che sono stati aperti nuovo scenari agli effetti della indenita’ di esproprio sono stati aperti fin dalle leprimissime pronunce della Corte di Cassazione emesse in applicazione dei principi estimativi liberatisi per effetto della citata sentenza della corte costituzionale.
– Corte di Cassazione 29.9.2011 n. 19938
La sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011 pubblicata sulla G.U. n. 26 del 15 giugno 2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis, comma 4, D.L. n. 333 del 1992, convertito nella L. n. 359 del 1992, deve ritenersi immediatamente applicabile ai giudizi di opposizione alla stima pendenti alla data di sua pubblicazione; a seguito di tale sentenza, per la determinazione dell’indennità di espropriazione, va applicato il criterio del valore venale pieno di cui all’art. 39 della L. n. 2359 del 1865, trattandosi dell’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento avente efficacia generale ed immediata, salvo che una norma non abbia a provvedere diversamente, e che nella specie appare idoneo a colmare il vuoto di normativa derivante dalla rimozione per incostituzionalità delle norme prima indicate.
– Corte di Cassazione 29.9.2011 n. 11936
Gli effetti della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011 che – in materia di indennità di espropriazione per p.u. relativa alle aree agricole esterne ed interne ai centri edificati – ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, per contrasto con gli art. 42, 3° comma e 117 Cost., non si applicano ai soli rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità.
Una volta venuti meno i criteri riduttivi di determinazione dell’indennità di espropriazione per p.u. per le aree agricole, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011, si deve ribadire quanto già affermato dopo la sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale relativa ai suoli edificatori: che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dall’art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente. E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale.
L’applicazione del criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dall’art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo dovuto dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; i quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni.
Tanto premesso, il proprietario istante intende avvalersi degli indicati principi per rivendicare sin d’ora un maggior valore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo (Cass. 30.3.2009 n. 7623 e Cass. 8.4.2009 n. 8518).
Nella fattispecie, e’ oggettivamente verificabile che le aree espropriande di cui trattasi sono suscettibili di essere utilizzate quanto meno in termini produttivi e commerciali (per via del pregiato materiale ghiaioso sottostante) e dunque l’indennita’ di esproprio deve essere determinata tenendo conto anche di tale qualita’
Non puo’ sottacersi pero’ che anche prima della nota sentenza n. 181/2011 della Corte Costituzionale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva stabilito che il valore agricolo per le aree non edificabili costituisce la soglia minima per calcolare l’indennita’ di esproprio, ben potendo la parte interessata dimostrare, nell’ambito delle utilizzazioni consentite sulle aree dagli strumenti urbanistici, un maggior valore sulla base di uno sfruttamento diverso rispetto a quello strettamente agricolo (Cass. 30.3.2009 n. 7623 e Cass. 8.4.2009 n. 8518).
A tale conclusione si perviene anche attraverso un diverso percorso argomentativo.
Sotto l’indicato profilo, l’indennita’ specifica di cui trattasi (riferita al materiale ghiaioso sottostante) appare inquadrabile anche nell’ambito del diritto proveniente da perdita di “chances”.
L’applicazione dell’art. 1 Protocollo 1 addizionale alla c.e.d.u. comporta gia’ di per se’ la naturale implicazione che i terreni siano stimati e valutati sulla base del loro effettivo valore economico, derivante da qualsiasi forma di impiego. Nella fattispecie, le aree espropriande hanno certamente una evidente e naturale inclinazione ad essere destinate in termini turistico – commerciali.
Posto dunque che la nozione del diritto di proprieta’ elaborata dalla giurisprudenza della c.e.d.u. si estende fino a ricomprendere anche il diritto di credito espresso sotto ogni forma e fino a ricomprendervi l’aspettativa anche di una “chance”, emerge con sufficiente evidenza che nella fattispecie l’indennita’ di esproprio deve ritenersi oggettivamente insufficiente laddove essa non abbia previsto il ristoro anche del diritto (di proprieta’ e/o di credito) spettante al cittadino del fondo espropriato per le mancata utilita’ che potevano essere colte da un utile destinazione turistica delle aree.
L’ulteriore e distinto diritto rivendicato sotto il profilo in esame scaturisce tra l’altro anche dall’applicazione alla fattispecie dell’innovativo principio da ultimo stabilito dalla recente sentenza pubblicata in data 6.3.2007 [nella causa Scordino / Italia (3)], con la quale la Corte Europea ha stabilito che al cittadino la cui proprieta’ sia stata soppressa spetta il diritto al risarcimento dei danni i quali devono comprendere non solo il valore del mercato del terreno ma anche il valore rappresentativo della perdita di ogni “chances” insita nella utilizzazione del terreno.
Per i documenti aggiornati, vedi anche:
A.1 Le “trappole” in cui cadono gli espropriati
A.3 Vuoi accettare l’indennità? Le avvertenze
A.4 La tua indennità – con le norme italiane
A.5 La tua indennità – con le norme europee
A.6 Le illegittimità della procedura
A.7 Il T.U. Espropri sempre aggiornato
ISTRUZIONI PER TUTELARSI
A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza
Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).
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Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 -
Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.
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Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.