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ll tema dell’usucapione di beni di pertinenza di enti morali e fondazioni

Introduzione

La sentenza della Corte di Cassazione n. 33937/2024 offre l’occasione per un’ampia riflessione sul tema dell’usucapione di beni di pertinenza di enti morali e fondazioni, con particolare attenzione agli oneri probatori, alla distinzione tra possesso e detenzione, e all’ammissibilità del vizio di travisamento della prova nel giudizio di legittimità. Il caso affrontato, oltre a confermare principi consolidati, consente di analizzare criticamente la giurisprudenza in materia di possesso ad usucapionem e le strategie difensive in sede processuale.

1. La vicenda: accesso e possesso su terreno di ente morale

La controversia nasce dalla domanda di rilascio proposta da una fondazione (Opera Pia) nei confronti di privati cittadini che detenevano un terreno di pertinenza di un edificio, già oggetto di atti successori e successivamente trasformato in fondazione. La fondazione agiva in giudizio per ottenere la restituzione del terreno, ritenuto detenuto sine titulo, mentre i convenuti contestavano la domanda affermando di averlo posseduto ad usucapionem.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accoglieva la domanda della fondazione, escludendo la sussistenza di un diritto di proprietà per usucapione in capo ai convenuti. La Corte d’appello confermava tale valutazione, valorizzando sia la prova testimoniale sia la consulenza tecnica d’ufficio, che aveva ricostruito la storia del bene e la natura della relazione materiale con il fondo.

2. L’onere della prova e la distinzione tra possesso e detenzione

Uno dei punti nodali della sentenza riguarda la distinzione tra possesso e detenzione e la conseguente ripartizione dell’onere della prova:

  • Il possesso, ai sensi dell’art. 1140 c.c., consiste nel potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
  • La detenzione, invece, è la relazione materiale con la cosa esercitata in nome e per conto altrui (es. custodi, comodatari), senza l’animus rem sibi habendi.

Nel caso concreto, i giudici hanno escluso che i convenuti avessero svolto attività inequivocabilmente riconducibili al possesso uti dominus: la coltivazione del terreno, la raccolta dei frutti, la realizzazione di opere non autorizzate (pozzo artesiano, cordolo di cemento) non sono state ritenute sufficienti, anche in assenza di un titolo esclusivo di accesso. La prova testimoniale e la CTU hanno confermato che l’accesso avveniva attraverso un edificio pubblico (“Palazzo delle Arti”), e che la disponibilità delle chiavi non era esclusiva.

3. Presunzione di possesso e limiti dell’onere probatorio

I ricorrenti invocavano la presunzione di possesso ex art. 1141 c.c., secondo la quale si presume possessore chi esercita il potere di fatto sulla cosa, salvo prova contraria. La Cassazione, confermando la ricostruzione dei giudici di merito, ha precisato che la semplice detenzione tollerata (es. facoltà di raccolta frutta concessa dal parroco) non integra possesso utile all’usucapione.

La Corte ribadisce che “la coltivazione del fondo, in mancanza di univoci indizi che tale attività sia svolta uti dominus, non è sufficiente a provare il possesso”, richiamando precedenti consolidati (Cass. 22720/2014; Cass. 4370/1996).

4. Il travisamento della prova e la “doppia conforme”

Uno degli aspetti più interessanti della decisione è il rigetto del motivo di ricorso fondato sul presunto travisamento della prova. La Corte ricorda che il travisamento del contenuto oggettivo della prova può essere fatto valere tramite revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., mentre nel giudizio di legittimità trova ingresso solo nei ristretti limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e solo in assenza di “doppia conforme”.

Nel caso concreto, sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano fornito una valutazione conforme dei fatti (“doppia conforme”), precludendo la possibilità di una nuova valutazione in sede di legittimità. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile e la Cassazione ha ribadito che la valutazione delle prove, la scelta delle fonti e la credibilità dei testi sono riservate al giudice di merito.

5. La coltivazione e la realizzazione di opere: attività equivoche

I ricorrenti avevano allegato, a sostegno dell’usucapione, la coltivazione del terreno e la realizzazione di alcune opere (pozzo artesiano, cordolo in cemento, recinzioni). Tuttavia, la sentenza chiarisce che tali attività, in assenza di autorizzazione e senza la dimostrazione di un animus possidendi, sono insufficienti a dimostrare il possesso utile ad usucapionem, specialmente se tollerate o consentite dall’ente proprietario.

6. Esiti processuali e condanna alle spese

La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna alle spese per i ricorrenti e l’applicazione delle sanzioni ex art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata, nonché l’obbligo di versamento dell’ulteriore contributo unificato.

7. Spunti critici e riflessioni dottrinali

Questa pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale che tende a interpretare restrittivamente la possibilità di usucapione dei beni di enti morali e fondazioni, anche laddove il possesso sia stato esercitato per un lungo periodo e con attività materiali rilevanti. La tutela della certezza dei rapporti giuridici e la salvaguardia del patrimonio degli enti collettivi prevalgono, in assenza di atti inequivoci di interversione.

Resta aperto il dibattito dottrinale sulla sufficienza della coltivazione e delle migliorie apportate come prova dell’animus possidendi, specie in contesti rurali o in presenza di rapporti storici tra famiglie e istituzioni.

8. Prospettive operative e strategie difensive

Per i privati che intendano far valere l’usucapione su beni di enti morali o fondazioni, è imprescindibile:

  • documentare atti chiari di interversione del possesso (es. negazione di autorizzazioni, opposizione a richieste di rilascio, atti di disposizione a terzi);
  • evitare di confidare su attività materiali tollerate o consentite dall’ente;
  • fornire prova univoca dell’animus rem sibi habendi.

Per gli enti, risulta fondamentale:

  • formalizzare ogni rapporto di detenzione;
  • monitorare la situazione dei beni e intervenire tempestivamente in caso di occupazione sine titulo;
  • conservare la documentazione delle concessioni e delle autorizzazioni.

9. La sentenza dice

La sentenza n. 33937/2024 della Cassazione ribadisce la centralità dell’onere della prova in tema di usucapione, la netta distinzione tra possesso e detenzione e la limitata sindacabilità delle valutazioni di merito in sede di legittimità. La decisione rafforza la tutela degli enti morali e delle fondazioni, ponendo un significativo argine alle pretese usucapive fondate su attività materiali insufficienti.

10. Approfondimenti dottrinali: usucapione e “tolleranza”

Il tema della “tolleranza” assume una rilevanza determinante nella giurisprudenza relativa all’usucapione di beni appartenenti a enti morali e fondazioni. La “tolleranza” si configura come quella situazione in cui il proprietario consente ad altri di utilizzare il proprio bene senza che ciò implichi una perdita dell’animus possidendi da parte sua, né l’acquisto di tale animus da parte del terzo (art. 1144 c.c.).

La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’uso di un bene da parte di un terzo, se avviene in un contesto di rapporti personali, di vicinato, o soprattutto di rapporti comunitari o assistenziali, deve essere interpretato come tollerato e non come esercizio di un potere corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. In tali casi, la semplice fruizione del bene, anche prolungata, non è idonea a fondare il possesso utile all’usucapione, in assenza di un atto di interversione chiaro e opponibile all’ente (Cass. 22720/2014; Cass. 4370/1996).

11. Problematiche applicative: la coltivazione del fondo e il ruolo delle migliorie

Spesso, nelle controversie tra enti morali e privati, la coltivazione del fondo e la realizzazione di migliorie (impianti, recinzioni, pozzi) vengono invocate come indice di possesso ad usucapionem. Tuttavia, la Cassazione conferma che tali attività, se svolte sulla base di una concessione, di una tolleranza o in virtù di un rapporto fiduciario, non sono sufficienti senza univoci elementi di interversione.

La prassi testimonia come molti enti, per ragioni di utilità sociale o di gestione, consentano ai privati di curare e migliorare i propri fondi. Tuttavia, ciò non comporta un mutamento del titolo della relazione materiale, salvo che il privato compia atti manifestamente incompatibili con il titolo originario.

12. Profili processuali: strategie e oneri per le parti

L’efficacia di una domanda di usucapione nei confronti di un ente morale dipende dalla capacità del privato di fornire prova rigorosa di:

  • atti di opposizione a richieste dell’ente;
  • dichiarazioni o fatti che neghino la legittimità dell’autorità dell’ente;
  • comportamenti concludenti (es. azioni giudiziarie, atti traslativi a terzi, rifiuto di riconsegnare il bene).

D’altra parte, l’ente dovrà puntualmente documentare le concessioni, la tolleranza, l’assenza di opposizioni e la natura fiduciaria o comunitaria della relazione con il fondo.

13. Riferimenti comparatistici

Nei principali ordinamenti europei, la possibilità di usucapione su beni di enti morali o collettivi è generalmente esclusa o soggetta a limiti molto rigorosi. In Francia, ad esempio, i beni appartenenti a enti pubblici o di utilità sociale sono considerati imprescrittibili, salvo che non siano stati precedentemente dismessi e privatizzati. L’approccio italiano, seppur meno radicale, si muove nella stessa direzione, con una netta prevalenza dell’interesse collettivo sull’interesse individuale, soprattutto in presenza di beni destinati ad attività di interesse pubblico o religioso.

14. Questioni aperte e prospettive di riforma

La materia resta oggetto di vivace dibattito dottrinale, specie in relazione alla funzione sociale della proprietà e all’utilizzo effettivo dei beni. Alcuni studiosi ipotizzano una maggiore apertura all’usucapione in presenza di lunga inerzia dell’ente o di abbandono del bene, per evitare che patrimoni di interesse collettivo restino inutilizzati.

Si discute, inoltre, della possibilità di introdurre una disciplina ad hoc per i rapporti storici tra famiglie e istituzioni, soprattutto nei piccoli centri, ove la linea di confine tra tolleranza, detenzione e possesso è spesso molto labile.

15. Spunti operativi e conclusione generale

La sentenza n. 33937/2024 della Cassazione rappresenta un punto fermo nella tutela del patrimonio collettivo e nella rigorosa applicazione dell’onere della prova in tema di usucapione. Per i professionisti, è essenziale:

  • formalizzare sempre i rapporti di detenzione e concessione;
  • conservare documentazione e traccia degli accordi;
  • agire tempestivamente in caso di occupazioni non autorizzate.

Per i privati, è necessario valutare con realismo le possibilità di successo di una domanda di usucapione nei confronti di enti morali, orientando le proprie iniziative su strumenti negoziali o transattivi.

La giurisprudenza italiana conferma la funzione sociale e la specialità della proprietà degli enti morali, assicurando stabilità e certezza ai rapporti giuridici e valorizzando il ruolo collettivo di questi soggetti nelle comunità locali.

A.N.P.T.ES.
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