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La non usucapibilità dei beni ceduti alla pubblica amministrazione

Il tema della possibilità di usucapione su beni appartenenti alla pubblica amministrazione rappresenta da decenni uno dei nodi più sensibili e dibattuti nella dottrina e nella giurisprudenza italiane. L’ordinanza della Cassazione n. 33934/2024 si inserisce in un filone interpretativo consolidato, ma offre spunti di riflessione molto attuali, soprattutto in relazione alle vicende di cessione volontaria del bene e alla successiva permanenza del privato nell’immobile.

 

1. La vicenda processuale: sintesi dei fatti e delle decisioni

La controversia trae origine dalla domanda proposta da due privati cittadini per l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione di alcuni immobili siti in Roma, oggetto di precedente cessione volontaria in favore del Comune nell’ambito di una convenzione urbanistica.

I ricorrenti sostenevano di avere posseduto gli immobili uti domini, in modo continuo, pubblico e pacifico per oltre vent’anni, curandone la manutenzione e fissandovi la residenza. Il Comune resisteva affermando che la permanenza degli attori nell’immobile era giustificata dalla loro nomina a custodi e che la cessione volontaria aveva trasferito la proprietà, facendo venir meno l’“animus possidendi”.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda di usucapione, accogliendo la domanda riconvenzionale di rilascio avanzata dal Comune. Gli attori ricorrevano per cassazione, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali.

2. L’istituto dell’usucapione: fondamenti e presupposti

L’usucapione rappresenta uno dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri diritti reali di godimento, fondato sul possesso continuato, pubblico, pacifico e non interrotto per un periodo determinato dalla legge (artt. 1158 ss. c.c.).

La ratio dell’istituto è duplice: da un lato, premiare la certezza dei rapporti giuridici e la funzione economica del possesso; dall’altro, sanzionare l’inerzia del proprietario che non si attiva per rivendicare il bene.

I presupposti imprescindibili sono:

  • il possesso continuato (elementi oggettivo e soggettivo)
  • la durata ventennale (salve le ipotesi di usucapione abbreviata)
  • la non interruzione e contestazione del possesso

Nel caso di specie, la questione centrale riguarda il mutamento della natura del possesso a seguito della cessione volontaria del bene e della nomina a custode.

3. La cessione volontaria e i suoi effetti giuridici

L’ordinanza chiarisce che la cessione volontaria dell’immobile, a seguito di convenzione urbanistica, determina il trasferimento della proprietà in favore della pubblica amministrazione. Da quel momento, il rapporto materiale del precedente proprietario con il bene si configura come mera detenzione nomine alieno e non più come possesso ad usucapionem.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, a seguito della cessione, la permanenza del privato nell’immobile può avvenire solo a titolo di detenzione, salvo che non intervenga un atto di interversione del possesso idoneo a far riacquistare l’animus rem sibi habendi (Cass. Sez. U, n. 651/2023; Cass. 23850/2018).

4. La funzione del verbale di immissione in possesso e della nomina a custode

Il verbale di immissione in possesso, redatto dagli organi comunali, e la contestuale nomina dei ricorrenti a custodi degli immobili costituiscono elementi decisivi per la qualificazione giuridica del rapporto.

Secondo la Corte, “la nomina a custode deve farsi retroagire alla data della cessione dell’area” e, in mancanza di atti di interversione successivi, la relazione materiale del privato con il bene non può essere qualificata come possesso utile ad usucapionem.

5. La presunzione di possesso ex art. 1141 c.c. e i limiti di applicazione

I ricorrenti invocavano la presunzione di possesso utile ad usucapionem, prevista dall’art. 1141 c.c., sostenendo che la detenzione si fosse trasformata in possesso a seguito di lavori di recinzione e ristrutturazione. Tuttavia, la Corte ribadisce che tale presunzione opera solo in favore di chi acquista il bene a titolo di proprietà e non in favore degli alienanti, i quali, dopo la cessione, possono vantare soltanto una detenzione precaria.

La perdita dell’animus possidendi è effetto naturale della cessione volontaria o dell’espropriazione, e il successivo mantenimento della relazione materiale con il bene da parte dell’ex proprietario deve essere giustificato da un titolo diverso, ovvero da un atto di interversione chiaro e inequivoco (Cass. 6742/2014).

6. L’atto di interversione del possesso: natura e prova

L’atto di interversione del possesso consiste in un comportamento che manifesta in modo inequivoco la volontà di esercitare sul bene un potere corrispondente a quello del proprietario, in contrasto con il diritto di costui. La semplice permanenza nell’immobile, il pagamento delle utenze, la manutenzione ordinaria o la custodia non sono sufficienti: occorre un atto esteriore, noto al proprietario, che segnali la volontà di detenere il bene come proprio.

Nel caso in esame, la Corte ritiene che i lavori di recinzione e ristrutturazione, peraltro successivi alla nomina a custode, non siano idonei a fondare l’usucapione, sia per la loro natura, sia per la loro collocazione temporale rispetto agli atti interruttivi.

7. La posizione della giurisprudenza: orientamenti consolidati

La Cassazione conferma, richiamando precedenti pronunce, che il trasferimento della proprietà in favore della pubblica amministrazione, sia per esproprio sia per cessione volontaria, esclude qualsiasi situazione di fatto o di diritto incompatibile con il diritto dominicale della PA. Il potere di fatto esercitato dall’ex proprietario si configura, da quel momento, come mera detenzione, non suscettibile di evolvere in possesso utile all’usucapione se non mediante interversione (Cass. Sez. U, n. 651/2023).

8. Le conseguenze pratiche della decisione

La decisione della Suprema Corte ha rilevanti ricadute operative:

  • rafforza la tutela dei beni pubblici contro tentativi di usucapione da parte di privati che abbiano mantenuto la disponibilità materiale degli immobili dopo la cessione;
  • chiarisce l’onere probatorio a carico di chi invoca l’usucapione: occorre dimostrare un atto di interversione specifico e inequivocabile, non potendo confidare su mere attività materiali di manutenzione o custodia;
  • valorizza la funzione pubblicistica delle convenzioni urbanistiche e degli atti di trasferimento a favore della PA.

9. Criticità e riflessioni dottrinali

Non mancano, nella dottrina, opinioni critiche sulla rigidità della disciplina e sulla difficoltà, per il privato, di dimostrare l’interversione del possesso. In alcuni casi, la permanenza per decenni del privato nell’immobile può essere indice di una situazione sostanziale consolidata che meriterebbe tutela, soprattutto in assenza di iniziative da parte dell’amministrazione.

Tuttavia, la prevalente esigenza di tutela del patrimonio pubblico e il rischio di fenomeni di appropriazione indebita impongono di mantenere elevati gli standard probatori e di interpretare restrittivamente le ipotesi di usucapione su beni già trasferiti alla PA.

10. Prospettive evolutive e spunti di riforma

Il tema resta aperto a possibili evoluzioni, sia sul piano legislativo sia su quello giurisprudenziale. Alcuni autori suggeriscono di distinguere tra beni destinati a uso pubblico effettivo e beni rimasti inutilizzati, prevedendo, solo in questi ultimi casi, una maggiore apertura all’usucapione. Altri propongono di rafforzare la funzione delle convenzioni urbanistiche, prevedendo clausole più chiare in ordine al regime della detenzione post-cessione.

11. Suggerimenti operativi per la prassi

Gli operatori sono chiamati a:

  • curare la redazione dettagliata dei verbali di immissione in possesso e delle convenzioni urbanistiche;
  • comunicare tempestivamente ai soggetti interessati la natura della loro relazione materiale con i beni;
  • adottare provvedimenti di sgombero e rilascio in tempi congrui per evitare l’insorgere di situazioni di fatto ambigue;
  • conservare documentazione utile a dimostrare la continuità del titolo pubblico.

12. Quindi

L’ordinanza della Cassazione n. 33934/2024 si pone nel solco di un orientamento ormai consolidato volto a salvaguardare la funzionalità e la disponibilità dei beni pubblici. La cessione volontaria o l’esproprio determinano la perdita dell’animus possidendi da parte dell’ex proprietario, il quale, anche se permane nell’immobile, assume la veste di detentore e non di possessore.

Solo una interversione chiara e inequivocabile può fondare una pretesa usucapiva, ma la prova di tale circostanza è a carico dell’interessato e non può essere desunta da comportamenti neutri o ambigui. La disciplina, pur non esente da profili critici, appare oggi coerente con la finalità di tutela del patrimonio pubblico e con i principi generali dell’ordinamento.

13. Ulteriori riflessioni dottrinali: usucapione e bene pubblico

L’ordinanza in commento si inserisce in un dibattito ormai storico sulla possibilità di usucapione dei beni destinati a finalità pubbliche. La dottrina distingue tra beni demaniali, beni patrimoniali indisponibili e beni patrimoniali disponibili dell’ente pubblico. È noto che i beni demaniali non sono mai usucapibili (art. 828, comma 2, c.c.), mentre per i beni patrimoniali disponibili la questione si pone in termini più sfumati, specie in presenza di atti di disposizione o di lunghi periodi di inerzia dell’ente.

Tuttavia, la giurisprudenza prevalente, ribadita anche nella sentenza qui analizzata, considera che la sola destinazione pubblica del bene, risultante da una cessione volontaria o da un’espropriazione, sia sufficiente a rendere il bene non usucapibile, almeno fino a quando la pubblica amministrazione non abbia cessato di esercitare la propria funzione su di esso.

13.1. Il ruolo delle convenzioni urbanistiche

Le convenzioni urbanistiche, spesso strumento di cessione gratuita di aree da parte dei privati a favore degli enti locali per la realizzazione di opere pubbliche, rappresentano una delle principali fonti di contenzioso in materia di usucapione. La Cassazione ha più volte affermato che la funzione pubblicistica delle convenzioni prevale su ogni interesse privato, e che il possesso esercitato dall’ex proprietario, anche se prolungato, non può mai convertire la detenzione in possesso utile ad usucapionem senza un atto chiaro di interversione.

14. Profili processuali: onere della prova e strategie difensive

In sede processuale, il privato che intenda far valere un acquisto per usucapione su un bene già trasferito alla PA, deve offrire la prova rigorosa di aver compiuto atti inequivoci di interversione. La giurisprudenza richiede che tali atti siano manifesti, notori e portati a conoscenza del titolare pubblico: ad esempio, la recinzione dell’area con divieto esplicito di accesso all’ente, la trasformazione radicale del bene senza autorizzazione, la stipula di atti di disposizione a terzi.

Dal punto di vista della difesa pubblica, è fondamentale produrre in giudizio tutti gli atti amministrativi, i verbali di immissione in possesso, le delibere e le comunicazioni che comprovino la continuità e l’effettività del titolo pubblicistico sul bene.

15. Riferimenti giurisprudenziali e comparazione con altri sistemi

Nel panorama giurisprudenziale italiano, la sentenza delle Sezioni Unite n. 651/2023 rappresenta la pietra miliare che ha fissato i criteri per distinguere tra detenzione e possesso in relazione ai beni pubblici. In ambito comparatistico, si osserva che in molti ordinamenti europei (ad es. Francia, Germania, Spagna) la regola della non usucapibilità dei beni pubblici è altrettanto stringente, a testimonianza della funzione ancillare del diritto di proprietà privata rispetto alle esigenze collettive.

16. Ipotesi di riforma e prospettive future

Alcuni studiosi e operatori propongono di introdurre una disciplina più flessibile, che consenta l’acquisto per usucapione dei beni pubblici solo in caso di prolungata inattività dell’ente e di chiara destinazione ad uso privato. Tale soluzione, tuttavia, solleva interrogativi di compatibilità con il dettato costituzionale (art. 42 Cost.) e con i principi di tutela del patrimonio pubblico.

Resta il tema, assai sentito nella prassi, della sorte dei beni oggetto di convenzioni urbanistiche non eseguite o rimaste inattuate per decenni: in tali ipotesi, si pone l’opportunità di un intervento normativo che disciplini la possibilità di “restituzione” o di riconversione del possesso in proprietà a favore del privato, previo accertamento dell’inerzia dell’ente.

17. Spunti operativi per i giuristi e gli enti pubblici

Alla luce dell’orientamento consolidato, è consigliabile che gli enti pubblici:

  • mantengano una costante vigilanza sui beni acquisiti tramite cessione o espropriazione;
  • rinnovino periodicamente i titoli di custodia o concessione, formalizzando la natura della detenzione dei soggetti eventualmente rimasti in loco;
  • adottino, se necessario, provvedimenti di rilascio o sgombero nei confronti degli ex proprietari che permangono nell’immobile senza titolo.

Per i privati, invece, è utile acquisire consapevolezza della difficoltà di far valere pretese usucapive su beni pubblici e, in presenza di situazioni consolidate, tentare piuttosto di ottenere il riconoscimento di un diritto personale di godimento (es. comodato, locazione) o di avviare una negoziazione con l’ente per la regolarizzazione della posizione.

18. Infine

La disciplina della non usucapibilità dei beni già ceduti alla pubblica amministrazione si conferma oggi come un presidio essenziale per la salvaguardia dell’interesse pubblico. La giurisprudenza della Cassazione, con l’ordinanza n. 33934/2024, ribadisce che la tutela del patrimonio pubblico prevale sulle aspettative dei privati, salvo il compimento di atti di interversione chiari e inequivocabili.

Il tema rimane comunque aperto a sviluppi futuri, sia per l’evoluzione della prassi, sia per possibili interventi legislativi, nella prospettiva di un bilanciamento sempre più attento tra esigenze collettive e diritti individu

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