L’espropriazione per pubblica utilità rappresenta uno degli snodi centrali del diritto amministrativo italiano, riflettendo la tensione costante tra l’interesse pubblico e la tutela della proprietà privata, diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione. La disciplina dell’indennità di esproprio si è evoluta in ragione di molteplici interventi legislativi, regionali e nazionali, e sotto la pressione delle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’ordinanza n. 29850 del 2024 della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, offre l’occasione per riflettere su diverse coordinate giuridiche: la determinazione del valore delle aree espropriate, il rapporto tra normativa regionale e nazionale, la qualificazione urbanistica dei suoli, le modalità di opposizione alla stima e la posizione dei comproprietari.
La vicenda oggetto di giudizio trae origine da un’opposizione ex art. 702 bis c.p.c. proposta dall’Autorità Sistema Portuale (nel testo anonimizzato [ENTE1]) avverso la stima peritale che aveva fissato il valore di alcune particelle catastali espropriate in € 98,94/mq. L’ente espropriante riteneva corretto il valore di € 14,50/mq, in quanto trattavasi di suoli agricoli non edificabili. Il privato ([PERSONA4]), proprietario di una quota delle aree, contestava la legittimazione del difensore dell’ente e chiedeva, in via riconvenzionale, il riconoscimento di un valore ben più elevato (€ 210/mq), previa esatta definizione della superficie espropriata e applicazione dell’aumento ex art. 37, co. 2, DPR 327/2001.
La Corte d’Appello di [CITTÀ1], con ordinanza n. 4763/2023, determinava l’indennità in € 7.238.672 oltre maggiorazione del 10%, disponendo il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti e compensando le spese di lite tra le parti, mentre quelle di consulenza tecnica erano divise a metà. L’Autorità sistema portuale ricorreva in Cassazione con quattro motivi, tutti rigettati dalla Suprema Corte.
Il diritto all’indennità di esproprio trova fondamento nell’art. 42, terzo comma, Cost., che sancisce il principio dell’equo indennizzo in caso di espropriazione per pubblica utilità. La Corte Costituzionale, con numerose pronunce (es. sentenza n. 348/2007), ha ribadito che la determinazione dell’indennità non può consistere in una mera formalità, ma deve essere “congrua e ragionevole”, riflettendo il valore di mercato del bene.
La disciplina nazionale è contenuta principalmente nel DPR 327/2001 (Testo Unico delle espropriazioni), che all’art. 37 stabilisce i criteri per la determinazione dell’indennità, collegandola al valore venale del bene.
Le Regioni a statuto speciale, tra cui la Sicilia, godono di competenza legislativa primaria in materia di espropriazione per pubblica utilità. La L.R. Sicilia n. 1/1984, art. 25, prevede l’applicazione dei criteri nazionali, ma consente di “tener conto” di specifiche caratteristiche locali. In Sicilia, il valore dei suoli può essere determinato anche sulla base di decreti assessoriali che fissano valori medi per zone industriali.
Tale sistema, tuttavia, è stato oggetto di rilievi da parte della Corte Costituzionale, che ha chiarito come la discrezionalità regionale non può spingersi fino a svincolare la determinazione dell’indennità dal valore reale di mercato, pena la violazione dei principi costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La sentenza in commento affronta quattro principali profili:
L’Autorità Sistema Portuale contestava l’operato del giudice di merito per non aver dato prevalenza al Decreto n. 55/GAB del 30.04.2009 dell’Assessorato per l’Industria della Regione Sicilia, che fissava il valore medio dei suoli industriali in € 30/mq (o € 12/mq con coefficienti correttivi). Sosteneva che la Corte d’Appello, disattendendo tale parametro, avesse violato l’art. 25 L.R. Sicilia n. 1/1984 e i principi in tema di indennità.
La Cassazione ha rigettato tale doglianza, sottolineando che:
Il giudice di merito, nella specie, aveva motivato adeguatamente circa l’inapplicabilità dei valori “politici” indicati dal decreto assessoriale, preferendo una valutazione fondata su criteri estimativi aderenti al reale valore di mercato, come determinato dal consulente tecnico d’ufficio.
Un secondo motivo di ricorso riguardava la qualificazione urbanistica dell’area. L’ente sosteneva che le particelle ricadevano in zona S (Saline-paludi stagnanti) del PRASI e in un’Oasi di protezione della fauna selvatica, dunque non edificabili. La Corte d’Appello, invece, aveva riconosciuto loro la qualità di edificabili per la loro inclusione nel piano per insediamenti industriali (P.I.P.).
La Cassazione conferma la decisione di merito, osservando che:
La Corte precisa inoltre che, anche laddove non vi sia una piena edificabilità, in presenza di possibilità di utilizzazione ulteriore (ad es. parcheggi, depositi, ecc.), il valore di mercato deve tenerne conto.
Altro profilo rilevante oggetto di impugnazione era la determinazione della superficie espropriata. L’ente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel computo delle particelle e nella quantificazione della superficie.
La Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo per difetto di autosufficienza, sottolineando che:
La determinazione della superficie espropriata costituisce elemento centrale nella liquidazione dell’indennità, in quanto da essa dipende la quantificazione economica. L’esattezza della superficie è frutto di un’attività istruttoria che coinvolge documentazione catastale, perizie e, in caso di contestazione, accertamenti tecnici.
L’ultimo motivo di ricorso riguardava la posizione processuale dei comproprietari. Secondo l’ente, l’opposizione alla stima sarebbe stata inammissibile in quanto il resistente era titolare di una quota indivisa.
La Cassazione, richiamando la propria giurisprudenza (Cass. n. 11052/2020), ha ribadito che:
Il principio è coerente con la natura del diritto all’indennità, che, pur spettando ai comproprietari pro quota, trova tutela anche in via individuale tramite il rimedio dell’opposizione.
La motivazione della Corte di Cassazione si distingue per chiarezza e rigore argomentativo. In particolare:
L’ordinanza in esame offre diversi spunti di riflessione per la prassi amministrativa e giudiziaria:
La Corte Costituzionale, con sentenze n. 348/2007, n. 120/2022 e n. 123/2021, ha fissato il principio che “la determinazione dell’indennità di espropriazione deve avvenire in misura congrua, ragionevole e basata sul valore venale del bene, senza che possano essere introdotti criteri arbitrari o forfettari”.
La Cassazione, con sentenza n. 20391/2017, ha chiarito che “l’inserimento in un piano per insediamenti produttivi conferisce alle aree interessate la qualità di edificabili ai fini della stima dell’indennità”.
La dottrina ha più volte sottolineato la necessità di un bilanciamento tra esigenze pubbliche e tutela del diritto di proprietà, evidenziando il rischio che l’indennità possa essere svuotata di contenuto se ancorata a criteri astratti o amministrativi (A. Barone, “Espropriazione per pubblica utilità e diritto all’indennità”), e la centralità del valore venale effettivo come parametro equitativo (R. Ursi, “La determinazione dell’indennità di esproprio tra disciplina nazionale e autonomie regionali”).
L’Ordinanza n. 29850/2024 della Cassazione rappresenta un importante punto di riferimento per la disciplina dell’indennità di esproprio, riaffermando la centralità del valore di mercato come parametro costituzionale e sovranazionale, e richiamando gli enti esproprianti e i giudici di merito a una rigorosa motivazione e a una valutazione concreta delle peculiarità dei beni espropriati.
La pronuncia fornisce chiarimenti utili anche in ordine alla posizione processuale dei comproprietari e alla rilevanza delle varianti urbanistiche nell’attribuzione della qualità edificatoria dei suoli. Si tratta di un’ordinanza che contribuisce a rafforzare la tutela del proprietario espropriato, ponendo un ulteriore tassello nel complesso mosaico del diritto delle espropriazioni in Italia.