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L’espropriazione parziale e la tutela dell’indennità

1. Introduzione

L’ordinanza della Cassazione civile in commento si presta ad una riflessione ampia e articolata su numerosi istituti del diritto delle espropriazioni e sulla tutela della proprietà privata, anche in relazione ai limiti posti dall’esecuzione di opere pubbliche. L’occasione offerta dal caso di specie consente di approfondire il significato e la portata dell’art. 46 della legge 2359/1865, la tematica dell’espropriazione parziale e della cessione volontaria, il rapporto tra indennizzo e risarcimento, nonché le modalità di liquidazione dei danni non patrimoniali.

L’analisi che segue si propone di offrire una trattazione dettagliata e sistematica, ricostruendo i fatti, illustrando la disciplina applicabile e le principali questioni interpretative, e valorizzando il confronto dottrinale e giurisprudenziale.

2. Il contesto fattuale e processuale

2.1. Le parti e l’oggetto della controversia

Nel caso oggetto dell’ordinanza, un gruppo di ricorrenti, nella doppia veste di eredi e di titolari di un fabbricato e di un fondo, agiva nei confronti di una società ferroviaria pubblica per ottenere il riconoscimento dell’indennità prevista dall’art. 46 della legge 2359/1865 (oggi trasfuso nell’art. 44 del d.P.R. 327/2001), nonché il risarcimento dei danni asseritamente derivanti dal deprezzamento del fabbricato e dalle immissioni acustiche e magnetiche prodotte dal raddoppio di una linea ferroviaria.

I ricorrenti lamentavano altresì l’illegittimità della servitù costituita sull’area a seguito della collocazione di linee elettriche, nonché il mancato ristoro per il danno biologico subito a causa delle immissioni. L’articolazione delle domande comprendeva, pertanto, sia profili indennitari (connessi alla perdita o diminuzione di valore della proprietà non espropriata), sia profili risarcitori (attinenti al danno alla salute e al deprezzamento dell’immobile).

2.2. Le vicende negoziali e processuali

Il fondo in questione era stato oggetto di atti di cessione volontaria parziale, preceduti da transazioni tra le parti, che avevano comportato il pagamento di un prezzo per la cessione di una porzione di terreno e per l’occupazione temporanea della parte restituita. Il fabbricato, invece, era rimasto estraneo all’esproprio, pur risultando contiguo al fondo oggetto di cessione.

Il procedimento si è dipanato attraverso tre gradi di giudizio: il tribunale di primo grado, dopo ampia istruttoria tecnica, rigettava le domande indennitarie e risarcitorie, fatta eccezione per il danno biologico; la corte d’appello confermava la decisione, rigettando le doglianze degli attori; la Cassazione, infine, respingeva il ricorso, affrontando in modo approfondito la distinzione tra espropriazione parziale e “espropriazione larvata”, nonché i presupposti per l’indennizzo ex art. 46.

3. La disciplina dell’espropriazione parziale

3.1. Definizione ed elementi costitutivi

L’espropriazione parziale si verifica quando il procedimento espropriativo investe soltanto una parte di un complesso immobiliare appartenente a uno stesso soggetto, caratterizzato da un’unitaria destinazione economica e funzionale. Ai sensi dell’art. 40 della legge 2359/1865 (oggi art. 33 d.P.R. 327/2001), l’indennità deve essere commisurata alla differenza tra il giusto prezzo dell’intero immobile prima dell’occupazione e il giusto prezzo della residua parte dopo l’occupazione.

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, due sono i presupposti necessari: (a) un collegamento strumentale ed obiettivo tra la parte espropriata e quella residua, tale da conferire unità economica e funzionale all’intero immobile; (b) una diminuzione di valore oggettiva e immediata della parte residua per effetto della parziale ablazione.

3.2. Applicazione nel caso concreto

Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che, sebbene il fabbricato fosse catastalmente distinto dal fondo espropriato, sussisteva un rapporto di accessorietà e funzionalità tra le due porzioni, essendo il fondo antistante al fabbricato. Di qui la qualificazione della fattispecie come espropriazione parziale, con la conseguente inclusione nell’indennità di esproprio anche dei pregiudizi relativi alla porzione rimasta in proprietà dell’espropriato.

4. Il significato e l’ambito di applicazione dell’art. 46 L. 2359/1865

4.1. La ratio della norma

L’art. 46 della legge 2359/1865 disciplina l’ipotesi della c.d. “espropriazione larvata” o “indiretta”, cioè il caso in cui la realizzazione di un’opera pubblica, pur senza comportare la formale espropriazione di un bene, determina una diminuzione permanente del suo valore o l’imposizione di una servitù. La norma prevede che “è dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto”.

Tale previsione trova oggi corrispondenza nell’art. 44 del d.P.R. 327/2001, che estende la tutela al proprietario che subisca, dall’esecuzione dell’opera pubblica, una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà.

4.2. I presupposti del diritto all’indennità

La Cassazione, nella decisione in commento, ha ribadito che la pretesa indennitaria ex art. 46 si fonda su tre presupposti: (1) un’attività lecita della pubblica amministrazione; (2) l’imposizione di una servitù o la produzione di un danno permanente consistente nella perdita o diminuzione di un diritto; (3) il nesso di causalità tra l’esecuzione dell’opera pubblica e il danno subito dal proprietario.

La giurisprudenza precisa che la norma non opera quando la realizzazione dell’opera pubblica costituisca un fatto illecito nei confronti del danneggiato (ad es., per violazione di specifiche norme di cautela).

4.3. L’ambito soggettivo: titolari del diritto

Un tema centrale riguarda la titolarità del diritto all’indennità: secondo l’orientamento consolidato, l’art. 46 tutela i proprietari di fondi estranei al procedimento ablatorio, ossia coloro che non sono stati espropriati, ma che subiscono pregiudizi per effetto dell’opera pubblica realizzata su fondi contigui. Nei confronti del soggetto espropriato, invece, ogni indennizzo conseguente all’evento espropriativo viene ricompreso nell’indennità di esproprio.

5. Espropriazione parziale e cessione volontaria: effetti sull’indennizzo

5.1. Il principio dell’onnicomprensività dell’indennità

La Corte ha valorizzato il principio secondo cui, nel caso di espropriazione parziale, l’indennità (o il corrispettivo della cessione volontaria, assimilata al decreto di esproprio) deve tener conto di tutti i danni che incidono sulla parte residua del fondo rimasta in proprietà del titolare, sia che traggano origine dall’espropriazione, sia che derivino dall’esecuzione dell’opera pubblica. Da ciò deriva che il proprietario, avendo ricevuto il pagamento convenuto, non può pretendere indennità ulteriori per danni alla parte residua, invocando l’art. 46, a meno che la realizzazione dell’opera pubblica non abbia integrato gli estremi della responsabilità aquiliana.

5.2. La cessione volontaria e le dichiarazioni liberatorie

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano stipulato atti di cessione volontaria nei quali avevano dichiarato di essere completamente tacitati e soddisfatti di ogni diritto, rilasciando ampia e finale quietanza di saldo, e dichiarando di non avere altro a pretendere dall’ente pubblico per la convenuta cessione. La Corte ha ritenuto che tali dichiarazioni impedissero di avanzare ulteriori pretese indennitarie, essendo l’indennità di esproprio onnicomprensiva di ogni pregiudizio alla parte residua.

5.3. La distinzione tra espropriazione parziale e larvata

La Corte ha svolto un’articolata distinzione tra espropriazione parziale (art. 40 L. 2359/1865) e espropriazione larvata (art. 46 L. 2359/1865). L’art. 46 si applica ai terzi estranei alla vicenda ablatoria, non al soggetto espropriato, per il quale ogni pregiudizio deve essere ricompreso nell’indennità. Ne consegue che il proprietario di un fondo oggetto di espropriazione parziale non può, dopo aver ricevuto l’indennità (o il corrispettivo della cessione), agire per ulteriori indennizzi ex art. 46.

6. Le azioni risarcitorie e la responsabilità aquiliana

6.1. L’alternatività tra indennizzo e risarcimento

La Cassazione ha ribadito che il nostro ordinamento ammette il concorso, ma solo in senso alternativo, tra l’azione di responsabilità per atti legittimi (indennizzo ex art. 46) e l’azione di responsabilità per colpa (risarcimento ex art. 2043 c.c.). Le due azioni differiscono per petitum e causa petendi: la prima mira al ristoro del solo detrimento arrecato dalla esecuzione dell’opera pubblica al patrimonio immobiliare, la seconda comprende tutto il pregiudizio derivato dall’altrui sfera giuridico-patrimoniale.

Quando ricorrono i presupposti di applicabilità dell’art. 46, ogni questione di responsabilità per colpa è assorbita.

6.2. La responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione

La responsabilità aquiliana può residuare solo quando la realizzazione dell’opera pubblica abbia integrato gli estremi del fatto illecito, ossia quando la pubblica amministrazione abbia violato specifiche norme di prudenza e diligenza poste a tutela dell’integrità dell’altrui patrimonio (c.d. principio del neminem laedere). In tali casi, il proprietario può agire per il risarcimento del danno ulteriore.

7. Danno biologico, morale ed esistenziale

7.1. Il danno alla salute e le sue componenti

Nel caso di specie, il danno alla salute era stato accertato mediante consulenza tecnica d’ufficio (CTU), che aveva riscontrato un superamento dei limiti di rumorosità legislativamente consentiti, sia sotto il profilo della “normale accettabilità” sia sotto quello della “normale tollerabilità”. Il danno biologico era stato liquidato in via equitativa, sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano e delle risultanze tecniche.

7.2. La prova del danno morale ed esistenziale

La Corte ha ricordato che il danno morale deve essere provato in concreto e liquidato autonomamente solo ove sia dimostrato. Il danno esistenziale non può essere considerato “in re ipsa”, ma deve consistere in un radicale cambiamento di vita, alterazione della personalità o sconvolgimento dell’esistenza, e deve essere allegato e provato in modo circostanziato. Nel caso di specie, la Corte ha escluso la sussistenza di tali danni, in assenza di allegazioni specifiche.

8. La liquidazione del danno e il regime degli interessi

8.1. L’obbligazione risarcitoria come debito di valore

L’obbligazione risarcitoria costituisce un debito di valore e deve reintegrare per equivalente, alla data di determinazione del dovuto, le perdite e i mancati guadagni. La somma liquidata deve essere rivalutata anno per anno fino alla decisione, con il riconoscimento degli interessi compensativi per il ritardato pagamento.

8.2. Interessi compensativi e rivalutazione monetaria

Gli interessi compensativi costituiscono una modalità liquidatoria del danno da ritardato pagamento dell’equivalente monetario attuale della somma dovuta all’epoca dell’evento lesivo. Il giudice deve motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo quando sia stato espressamente sollecitato dall’allegazione della insufficienza della rivalutazione.

La Corte ha ribadito che, una volta determinato l’ammontare del risarcimento “all’attualità”, l’obbligazione si converte in debito di valuta, sulla quale decorrono gli ordinari interessi legali dalla data della decisione fino al saldo definitivo.

9. Le spese di lite e della consulenza tecnica

9.1. Il regime delle spese processuali

In conformità al principio di soccombenza, le spese del giudizio di legittimità sono state poste a carico dei ricorrenti, con liquidazione comprensiva di esborsi, rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA.

9.2. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio

Con riferimento alle spese della CTU, la Corte ha confermato l’addebito a carico della parte attrice delle spese della consulenza finalizzata all’accertamento del deprezzamento dell’immobile, ritenuta superflua dopo il rigetto della relativa domanda. La decisione appare conforme al principio secondo cui le spese delle attività istruttorie sollecitate dalla parte e risultate inutili o superflue devono gravare su chi le ha richieste.

10. Ne abbiamo conferito che

L’ordinanza in commento offre numerosi spunti di riflessione sulla disciplina delle espropriazioni, in particolare sul rapporto tra espropriazione parziale e indennità ex art. 46 L. 2359/1865. Il principio dell’onnicomprensività dell’indennità di esproprio, la distinzione tra indennizzo e risarcimento, nonché le modalità di liquidazione del danno non patrimoniale, costituiscono punti fermi della giurisprudenza che trovano qui ulteriore conferma.

La sentenza richiama l’interprete a una rigorosa distinzione tra le varie figure di ablazione, a una corretta individuazione dei soggetti legittimati all’indennizzo, e a una puntuale allegazione e prova dei danni non patrimoniali. In definitiva, il caso conferma che la tutela della proprietà privata nei confronti dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione si fonda su principi consolidati, ma richiede sempre un’attenta applicazione ai casi concreti, alla luce delle peculiarità delle vicende fattuali e delle scelte negoziali delle parti.

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