L’ordinanza n. 29244/2024 della Prima Sezione della Corte di Cassazione affronta un tema di grande rilievo nella prassi espropriativa: la prova della dichiarazione di pubblica utilità e i suoi riflessi sulla giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di occupazione acquisitiva. È centrale la questione se sia sufficiente una prova presuntiva della dichiarazione di pubblica utilità (in assenza del provvedimento scritto) per radicare la giurisdizione amministrativa, oppure se tale atto debba essere prodotto in giudizio in forma scritta, a pena di nullità di tutta la procedura.
Il Comune di Cancello e Arnone aveva avviato nel 1998 una procedura espropriativa per la realizzazione di un’area mercato, offrendo all’Istituto Diocesano per il sostentamento del clero di Capua un’indennità per il terreno da espropriare. L’Istituto accettava l’indennità, ma – a fronte dell’inerzia della P.A. nella realizzazione dell’opera – agiva in giudizio chiedendo, in via principale, la restituzione del bene, e in subordine il risarcimento del danno.
Il Tribunale riconosceva il diritto al risarcimento; la Corte d’Appello, però, riformava la decisione dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ritenendo che la controversia spettasse al giudice amministrativo in quanto fondata su un procedimento espropriativo avviato (sebbene il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità non fosse mai stato prodotto in giudizio, ma solo richiamato per relationem in altri atti).
La Corte d’Appello aveva ritenuto sufficiente, per affermare l’esistenza della dichiarazione di pubblica utilità, il riferimento contenuto nella determinazione comunale che fissava l’indennità, nonché l’accettazione di tale indennità da parte dell’Istituto Diocesano, e la mancata contestazione specifica dell’esistenza e del contenuto della dichiarazione da parte dello stesso Istituto.
Il ricorrente ha impugnato la sentenza lamentando:
La Cassazione, con l’ordinanza in commento, rigetta il ricorso e conferma la linea della Corte d’Appello:
La sentenza richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite che ha tracciato le regole per il riparto di giurisdizione in materia di espropriazione:
La Corte valorizza il dato storico e la ricostruzione presuntiva della sequenza procedimentale, evitando che la mancata produzione di un atto (magari disperso negli archivi della P.A.) paralizzi ogni possibilità di tutela e consenta al proprietario di attrarre la controversia nell’alveo della giurisdizione ordinaria.
La decisione tutela l’effettività dell’azione amministrativa, ma impone anche ai proprietari una diligenza particolare nell’eccepire, con argomentazioni specifiche, la mancata adozione o inesistenza degli atti presupposti.
La scelta della Cassazione di ammettere la prova presuntiva della dichiarazione di pubblica utilità – ove accompagnata da elementi concreti e univoci – risponde all’esigenza di evitare eccessivi formalismi, specie in contesti amministrativi in cui la documentazione può essere lacunosa o non tempestivamente reperibile.
Tuttavia, resta il rischio che la prova presuntiva venga utilizzata in modo eccessivamente estensivo, soprattutto in danno dei proprietari che, in assenza di un reale contraddittorio sull’atto presupposto, possano trovarsi privati della possibilità di contestare efficacemente la legittimità della procedura.
L’ordinanza n. 29244/2024 consolida l’orientamento secondo cui la dichiarazione di pubblica utilità – pur dovendo essere redatta in forma scritta – può essere provata in giudizio anche per presunzioni, a condizione che gli elementi indiziari siano dotati dei requisiti richiesti dall’ordinamento.
Tale soluzione, pur offrendo una tutela effettiva all’azione amministrativa, richiama le parti private a una maggiore attenzione e tempestività nell’eccepire concretamente l’inesistenza degli atti presupposti.