L’espropriazione per pubblica utilità e la liquidazione dell’indennità rappresentano uno dei temi più delicati e ricorrenti nel diritto amministrativo e civile italiano. Il bilanciamento tra l’interesse pubblico, che giustifica l’ablazione coattiva, e la tutela del diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, è affidato principalmente ai criteri di determinazione dell’indennità, ai mezzi di opposizione e agli strumenti processuali posti a garanzia dell’espropriato. L’ordinanza n. 29163/2024 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione offre uno spunto prezioso per approfondire tali aspetti, affrontando questioni di rito, di merito e di interpretazione delle norme anche regionali.
Il caso nasce dall’opposizione proposta dal sig. Benito Manca contro il Comune di Lecce, a seguito dell’espropriazione di un suolo di 500 mq, parte di una maggiore estensione di 3.198 mq, sito in via San Nicola, destinato a viabilità pubblica. L’indennità offerta era pari a € 7.312,74. L’espropriato contestava la stima, chiedendo una rivalutazione.
La Corte d’Appello di Lecce, dopo consulenza tecnica, respingeva l’opposizione, confermando la natura di area destinata a viabilità e l’impossibilità di edificazione, nonché la correttezza del calcolo dell’indennità. Manca ricorreva in Cassazione con quattro motivi: violazione delle regole processuali, incompatibilità del CTU, errata determinazione dell’indennità e applicazione delle norme regionali sulle opere di pubblica utilità.
Uno dei motivi di ricorso riguardava il presunto mutamento di rito da ordinario a sommario in secondo grado, senza provvedimento formale, con conseguente lesione del diritto di difesa. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato il motivo per carenza di interesse, osservando che l’art. 54 DPR 327/2001 richiama l’art. 29 d.lgs. 150/2011, che prevede il rito sommario (oggi rito semplificato) per le opposizioni alla stima. Anche se il processo era stato introdotto con citazione e non con ricorso, la trattazione era avvenuta secondo le forme del rito sommario, con piena possibilità di difesa scritta tramite note difensive, equiparabili alle conclusionali del rito ordinario. Nessuna contestazione era stata sollevata in sede di merito.
Il ricorrente lamentava che il CTU avesse già svolto una consulenza in una causa analoga tra le stesse parti, paventando un pregiudizio di imparzialità. La Corte respinge il motivo osservando che:
Questa impostazione conferma la centralità del contraddittorio e degli strumenti processuali sul tema dell’imparzialità del consulente, valorizzando il potere-dovere delle parti di attivarsi tempestivamente in sede di merito.
Uno dei nodi centrali della vicenda riguarda la determinazione dell’indennità in relazione alla destinazione urbanistica del bene ablato.
Il CTU aveva attribuito all’area le stesse caratteristiche del suolo “a monte” (F23 con indici F15), come riconosciuto in precedenti ricorsi al TAR, ma aveva escluso che l’espropriazione avesse prodotto uno spostamento della fascia di rispetto interno alla proprietà dell’espropriato. Di conseguenza, l’indennità era stata calcolata secondo i parametri delle aree destinate a viabilità, con esclusione di ogni possibilità edificatoria.
La Corte di Cassazione conferma che la destinazione a viabilità pubblica, risultante dagli strumenti urbanistici, esclude qualsiasi possibilità edificatoria e impone l’applicazione dei criteri di liquidazione previsti dal DPR 327/2001 per i suoli non edificabili.
Il ricorrente contestava il metodo di calcolo del CTU, accusato di:
La Corte dichiara il motivo inammissibile e infondato: la censura non indica dove le critiche siano state svolte in sede di merito, e molte delle doglianze attengono al merito e non sono sindacabili in Cassazione. Quanto ai costi di urbanizzazione, la Corte ribadisce che solo il metodo sintetico-comparativo esclude la detrazione di tali costi, mentre nel metodo analitico-ricostruttivo tali oneri devono essere considerati.
Il ricorrente invocava l’applicazione dell’art. 36 DPR 327/2001 e delle norme regionali pugliesi in materia di espropriazione per pubblica utilità, sostenendo che, trattandosi di opere private di pubblica utilità, l’indennità dovesse essere calcolata sul valore di mercato senza le riduzioni degli artt. 37 e seguenti.
La Corte rigetta la doglianza:
Il quadro normativo e giurisprudenziale sottolinea il delicato bilanciamento tra funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) e tutela del privato. L’espropriazione per pubblica utilità trova legittimazione solo in presenza di un interesse generale e deve essere accompagnata dal riconoscimento di una giusta indennità.
La Corte Costituzionale (sentt. n. 348/2007, n. 349/2007) ha più volte ribadito che l’indennità deve riflettere il valore venale di mercato, salvo le limitazioni imposte dalla destinazione urbanistica del bene.
Dalla sentenza emergono indicazioni operative di rilievo per enti e difensori:
Dottrina:
L’ordinanza n. 29163/2024 rappresenta una tappa importante nel percorso di chiarificazione dei criteri di liquidazione dell’indennità di esproprio per aree destinate a viabilità. Conferma il primato della destinazione urbanistica nella determinazione del valore, il rigore nell’applicazione delle regole processuali e la centralità della tempestività delle eccezioni. Allo stesso tempo, offre spunti utili per la prassi amministrativa e per la tutela degli espropriati, ricordando la necessità di un’applicazione coerente e motivata delle norme, nel rispetto del giusto equilibrio tra interesse pubblico e diritti individuali.
Nel corso degli ultimi decenni, la giurisprudenza della Suprema Corte ha costantemente ribadito e affinato i principi cardine in materia di indennità di esproprio, in particolare per le aree destinate a viabilità:
Nel dibattito dottrinale, la questione della determinazione dell’indennità per aree destinate a viabilità è stata oggetto di numerosi contributi:
Il calcolo dell’indennità può avvenire tramite due principali metodi estimativi:
Nel caso delle aree destinate a viabilità, la giurisprudenza ritiene inapplicabile il metodo sintetico-comparativo qualora non vi siano parametri di confronto utili (Cass. 19077/2015). In presenza di vincoli conformativi, si applica il metodo analitico-ricostruttivo, il quale deve tuttavia tenere conto dell’impossibilità di edificazione privata.
Un tema centrale nell’ambito delle espropriazioni parziali riguarda la sorte delle aree residue: l’eventuale deprezzamento subito dal fondo non espropriato a causa dell’ablazione deve essere oggetto di autonoma valutazione, con riconoscimento di un’ulteriore indennità (art. 33 DPR 327/2001). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha precisato che tale “indennità aggiuntiva” presuppone la dimostrazione rigorosa del deprezzamento e la sua diretta riconducibilità all’intervento espropriativo.
La differenza tra opere pubbliche e opere private di pubblica utilità si riflette direttamente sull’applicazione dei criteri indennitari. Mentre per le prime si applicano i parametri ordinari (DPR 327/2001), per le seconde – ossia per espropri funzionali a opere di interesse pubblico ma di titolarità privata – la legge regionale può prevedere deroghe, come l’applicazione del valore pieno di mercato senza le decurtazioni tipiche delle aree edificabili (art. 36 DPR 327/2001 e discipline regionali).
L’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale suggerisce alcune linee di tendenza: