L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 12155/2024 riveste particolare importanza nella disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità, poiché affronta in modo dettagliato i criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione e per il ristoro del deprezzamento della parte residua del fondo. Il caso esaminato offre lo spunto per riflettere sul valore da attribuire all’area ablata, sulla rilevanza delle potenzialità del terreno e sulle modalità corrette di valutazione del danno da espropriazione parziale.
Il sig.Omis, proprietario di un terreno sito a Calenzano, è stato oggetto di un procedimento espropriativo per la realizzazione della terza corsia autostradale Barberino-Firenze Nord. Contestando la quantificazione delle indennità (esproprio, occupazione temporanea, urgenza, danni ai manufatti e soprassuoli), ha proposto opposizione davanti alla Corte d’Appello di Firenze, sostenendo che il terreno faceva parte di un parco-giardino di una pregiata abitazione e che il valore venale era superiore a quanto riconosciuto. Inoltre, lamentava il deprezzamento del terreno residuo, la perdita di alberi d’alto fusto e ulteriori danni.
Durante il giudizio, la CTU aveva attribuito al terreno un valore di 14 €/mq, una diminuzione di valore della proprietà del 6% e spese per la ripiantumazione dell’area. Tuttavia, la Corte d’Appello, discostandosi dal CTU, ha ridotto il valore a 7 €/mq e limitato il risarcimento alla sola abitazione, riconoscendo solo in minima parte il deprezzamento e la perdita di alberi.
La Cassazione evidenzia che il valore del terreno ablato non può essere determinato con riferimento alle sole caratteristiche oggettive della porzione espropriata, ma occorre considerare anche le sue potenzialità e la posizione rispetto all’immobile principale. Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2011, la Suprema Corte afferma che il valore deve riflettere la concreta possibilità di sfruttamento economico del fondo, garantendo un ristoro serio e congruo che non sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore reale del bene.
“…occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene…”
(Corte Cost. n. 181/2011)
Un punto centrale trattato dall’ordinanza riguarda il ristoro del deprezzamento subito dal fondo residuo. La Cassazione ribadisce che in caso di espropriazione parziale non sono concepibili due distinti crediti (indennità di esproprio e risarcimento danni), poiché la diminuzione patrimoniale subita dal proprietario deve essere integralmente ricompresa nell’indennità di espropriazione, ai sensi dell’art. 33 DPR 327/2001.
“…In tema di espropriazione per pubblica utilità, rispetto al soggetto espropriato non sono concepibili due distinti crediti, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e l’altro quale risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che questa seconda voce è da considerare ricompresa nella prima che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo…”
(Cass. n. 4264/2021; Cass. n. 2755/2021)
L’ordinanza censura la decisione della Corte d’Appello che ha escluso dalla valutazione indennitaria i danni derivanti dall’abbattimento o caduta di alberi fuori dalle particelle espropriate, ritenendoli eventi non ricollegabili all’esproprio. Al contrario, la Cassazione precisa che tali danni, se direttamente connessi all’esecuzione dell’opera pubblica, devono essere indennizzati nell’ambito della perdita di valore del fondo residuo.
La Cassazione ribadisce anche che, pur non essendo vincolato alle conclusioni del CTU, il giudice è tenuto a motivare adeguatamente le ragioni per cui si discosta dalle stime tecniche, indicando i dati, le fonti e i criteri logico-giuridici adottati. Una liquidazione equitativa del danno è ammessa solo se sorretta da motivazioni congrue e ancorate alle risultanze processuali.
La Suprema Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso (sul valore del terreno e sul deprezzamento della parte residua), cassato l’ordinanza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello di Firenze per nuovo esame.
L’ordinanza n. 12155/2024 rafforza il principio di integralità dell’indennità di espropriazione, che deve coprire ogni diminuzione patrimoniale subita dal proprietario, compresi i danni al fondo residuo e ai soprassuoli, se connessi all’esecuzione dell’opera pubblica.
La pronuncia richiama la necessità di una valutazione attenta del valore reale e potenziale del bene, garantendo un serio ristoro all’espropriato e tutelando il principio costituzionale di giustizia nell’ablazione coattiva.
La sentenza rappresenta un punto di riferimento per la prassi giudiziaria e amministrativa, offrendo criteri chiari per la corretta liquidazione dell’indennità, nell’interesse sia dei privati che della collettività, e assicurando la conformità con i principi costituzionali.