Nel panorama del diritto tributario locale, la qualificazione urbanistica e fiscale delle aree oggetto di attività estrattiva rappresenta da tempo una delle questioni più complesse e dibattute, soprattutto in relazione all’applicazione dell’Imposta Municipale Unica (IMU). La sentenza della Corte di Cassazione n. 35911/2023 offre una dettagliata ricostruzione dei principi applicabili, affrontando, tra l’altro, i delicati profili della potestà impositiva comunale, della legittimazione della concessionaria della riscossione, della determinazione del valore imponibile e del regime sanzionatorio.
L’obiettivo del presente contributo è quello di fornire una disamina approfondita della decisione, ponendo in rilievo i principali snodi interpretativi e le ricadute pratiche per gli enti locali e i contribuenti.
L’IMU, imposta patrimoniale introdotta dal D.Lgs. 504/1992 e più volte riformata, colpisce il possesso di immobili, intendendosi per tali sia i fabbricati sia le aree edificabili, oltre ai terreni agricoli. La nozione di area fabbricabile è definita dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 504/1992, secondo cui per area fabbricabile si intende “l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione”.
La giurisprudenza della Cassazione, sin dalle prime applicazioni della disciplina, ha chiarito che la qualificazione fiscale non coincide necessariamente con la destinazione urbanistica: ciò che rileva è la potenzialità edificatoria, anche se l’attività prevalente sul fondo sia diversa, come l’uso agricolo o, come nel caso di specie, l’attività estrattiva.
La controversia decisa dalla Cassazione riguarda una società esercente attività estrattiva che si è vista notificare avvisi di accertamento IMU per diverse annualità, relativamente a terreni ubicati in parte in zona agricola e in parte in zona industriale, inseriti nel piano delle attività estrattive comunale. Il contribuente ha contestato la natura edificatoria dei terreni, la determinazione del valore imponibile e la legittimazione della società concessionaria incaricata dal Comune per la riscossione.
I Comuni possono affidare a soggetti esterni la gestione delle entrate tributarie, secondo quanto previsto dal D.Lgs. 446/1997 e dal D.Lgs. 112/1999. Il rapporto tra ente impositore e concessionario è regolato da convenzioni e atti amministrativi che attribuiscono a quest’ultimo la legittimazione ad agire in nome e per conto dell’ente per le fasi dell’accertamento e della riscossione.
La Cassazione, uniformandosi a un orientamento consolidato, ha affermato che la società concessionaria è legittimata a notificare avvisi di accertamento e a stare in giudizio, anche qualora il contribuente contesti l’assenza di specifica delega allegata all’atto, purché l’atto stesso rechi il riferimento agli estremi del contratto di concessione e vi sia prova della delibera comunale di affidamento dell’incarico. Non è necessaria, secondo la Suprema Corte, l’allegazione integrale della delibera o della convenzione, essendo sufficiente la menzione degli estremi e la possibilità per il contribuente di verificarne l’esistenza.
Questo principio, se da un lato garantisce l’efficienza dell’azione amministrativa, dall’altro impone agli enti e ai loro concessionari un onere di trasparenza e correttezza nella redazione degli atti impositivi, che devono sempre consentire al destinatario di comprendere la fonte dei poteri esercitati.
Il nodo centrale della controversia riguarda la qualificazione dei terreni come “aree fabbricabili” ai fini IMU. La società contribuente ha sostenuto che i terreni, ubicati in zona agricola o destinati a cava, non potevano essere considerati aree edificabili, difettando della reale destinazione urbanistica a fini edificatori.
La Cassazione ha ribadito che la potenzialità edificatoria non coincide con la concreta attuazione di interventi edilizi, né con l’uso effettivo del terreno: è sufficiente la previsione urbanistica che consenta la trasformazione del suolo, anche attraverso attività estrattiva, per integrare la fattispecie di area fabbricabile. L’attività di cava, infatti, comportando una trasformazione permanente del territorio, evidenzia una destinazione che si pone nel solco della disciplina urbanistica dell’edificabilità.
La sentenza valorizza il ruolo del piano delle attività estrattive comunale quale strumento urbanistico che attribuisce ai terreni interessati una potenzialità edificatoria, almeno ai fini fiscali. Il mero inserimento nel piano, indipendentemente dalla destinazione agricola o industriale della zona, è sufficiente a qualificare l’area come fabbricabile, atteso che la possibilità di escavazione e successivo riempimento o urbanizzazione costituisce una forma di utilizzazione edificatoria.
Questa impostazione, seppur criticata in dottrina per il rischio di un’interpretazione eccessivamente estensiva della nozione di edificabilità, trova solido fondamento nella giurisprudenza di legittimità, che tende a privilegiare la tutela dell’interesse fiscale e la capacità contributiva effettiva.
L’art. 5, comma 5, D.Lgs. 504/1992 stabilisce che la base imponibile dell’IMU per le aree fabbricabili è costituita dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo a:
Questi parametri sono tassativi e devono essere oggetto di specifica valutazione da parte degli uffici tributari e, in caso di contestazione, della giurisdizione tributaria.
La Corte ha censurato la sentenza della Commissione tributaria regionale per non aver adeguatamente motivato in ordine ai requisiti richiesti dalla legge per la determinazione del valore imponibile. In particolare, la decisione di merito si è limitata a recepire le stime dell’ente impositore senza verificare se fossero stati considerati tutti i parametri previsti dal legislatore. La Cassazione ha ribadito la necessità di una motivazione puntuale e analitica, che dia conto delle modalità di calcolo e delle fonti utilizzate per la determinazione del valore venale.
Un ulteriore profilo di interesse riguarda la pretesa impositiva su alcune particelle già assoggettate a IMU come fabbricati. La Corte ha ricordato che la stessa area non può essere tassata contemporaneamente come fabbricato e come area fabbricabile: ove l’edificio sia accatastato, la relativa area perde la qualificazione di “fabbricabile” ai fini IMU, con conseguente illegittimità della doppia imposizione.
La sentenza affronta con attenzione la tematica dell’applicazione delle sanzioni in caso di violazioni plurime, richiamando il principio del cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 5, D.Lgs. 472/1997. In presenza di più violazioni della stessa indole commesse in periodi d’imposta diversi, si applica la sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata fino al doppio.
Un aspetto di rilievo concerne la contestazione della doppia sanzione per omessa dichiarazione e omesso versamento. La Cassazione ha affermato che, in caso di omessa dichiarazione, la sanzione per omesso versamento non può essere applicata autonomamente, dovendo prevalere quella per la violazione più grave. Questo principio, volto a evitare una duplicazione repressiva, trova fondamento nella ratio del sistema sanzionatorio amministrativo tributario, orientato alla proporzionalità e alla ragionevolezza.
Nel giudizio tributario, l’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti impositivi grava sull’Amministrazione, la quale deve dimostrare la corretta qualificazione urbanistica e fiscale dei terreni, nonché la congruità dei valori accertati. Il contribuente, dal canto suo, può contrastare la pretesa con elementi documentali e peritali idonei a dimostrare la natura agricola delle aree o la non edificabilità di fatto.
La motivazione della sentenza tributaria deve essere articolata in modo da consentire alle parti di comprendere le ragioni della decisione e al giudice di legittimità di esercitare il controllo sull’iter logico-giuridico seguito.
La Cassazione ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, affinché provveda a un nuovo esame della controversia, alla luce dei principi espressi in motivazione. Il giudice di rinvio dovrà valutare puntualmente i criteri di determinazione del valore imponibile, la legittimità degli avvisi di accertamento, la corretta applicazione delle sanzioni e l’eventuale sussistenza di una duplicazione impositiva.
L’orientamento della Cassazione, nel considerare come “fabbricabili” anche i terreni aventi destinazione agricola ma inseriti in piani di attività estrattiva, solleva dubbi sotto il profilo della coerenza con la ratio dell’imposta, che dovrebbe colpire la capacità contributiva effettiva e non potenziale. In dottrina, si è osservato che la mera previsione urbanistica, priva di effettiva utilizzazione edificatoria, potrebbe comportare un aggravio ingiustificato per i proprietari di aree di fatto non suscettibili di edificazione.
Un’interpretazione più restrittiva, orientata a valorizzare l’effettiva trasformazione del suolo, consentirebbe di evitare fenomeni di tassazione sproporzionata rispetto al valore reale delle aree. Tuttavia, la giurisprudenza sembra privilegiare l’interesse erariale e la funzione di sostegno delle finanze locali.
La sentenza pone in evidenza l’esigenza di garantire la trasparenza e la chiarezza degli atti impositivi, nonché il diritto del contribuente a conoscere con precisione i presupposti della pretesa fiscale. In questo senso, il principio di motivazione degli atti amministrativi, sancito dall’art. 3 della legge 241/1990, assume una valenza fondamentale anche in ambito tributario.
L’onere di motivazione si estende agli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa, nonché ai criteri di determinazione del valore imponibile, che devono essere esplicitati in modo comprensibile e verificabile.
Il giudice tributario è chiamato a svolgere una funzione di garanzia e di controllo sull’operato della pubblica amministrazione, verificando non solo la legittimità formale degli atti, ma anche la loro fondatezza sostanziale. La motivazione della sentenza deve dare conto dell’analisi dei fatti, dell’interpretazione delle norme e della valutazione delle prove, in modo da assicurare il rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e tutela giurisdizionale.
La sentenza della Cassazione n. 35911/2023 rappresenta un importante tassello nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di IMU e di qualificazione fiscale delle aree oggetto di attività estrattiva. I principi affermati dalla Suprema Corte, se da un lato rafforzano la posizione dell’Amministrazione in sede di accertamento e riscossione, dall’altro richiamano l’attenzione sulla necessità di garantire una motivazione adeguata degli atti, il rispetto dei criteri legali di determinazione del valore imponibile e la proporzionalità del regime sanzionatorio.
Resta aperta la questione, ampiamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, circa i limiti dell’estensione della nozione di area fabbricabile e il rapporto tra previsione urbanistica e utilizzazione effettiva. In un’ottica di equilibrio tra esigenze fiscali e tutela dei diritti dei contribuenti, appare auspicabile un intervento normativo o interpretativo che chiarisca i criteri di qualificazione e di valorizzazione delle aree oggetto di attività estrattiva, tenendo conto delle peculiarità delle diverse tipologie di utilizzo del suolo.