L’espropriazione per pubblica utilità costituisce uno degli istituti più rilevanti e controversi del diritto amministrativo e urbanistico, in quanto realizza il difficile bilanciamento tra il diritto di proprietà, tutelato costituzionalmente, e le esigenze collettive sottese alla realizzazione di opere pubbliche. La disciplina pone numerosi interrogativi, soprattutto nella fase attuativa, riguardo all’individuazione del soggetto legittimato passivo, alla determinazione dell’indennità e alle conseguenze delle deleghe procedurali. L’ordinanza Cass. Sez. I, n. 25211/2024, rappresenta un importante contributo in materia, offrendo spunti di riflessione sulla titolarità dell’obbligazione indennitaria, il ruolo delle deleghe e la metodologia di stima dei terreni espropriati, con significative ricadute pratiche.
L’art. 42 Cost. stabilisce che la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, previa corresponsione di una giusta indennità. Il Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) disciplina le modalità, le fasi procedimentali e la tutela giurisdizionale, con particolare attenzione sia ai diritti del proprietario sia alle esigenze collettive. Tra i pilastri del sistema si annoverano:
Nel caso affrontato dalla Cassazione, alcuni privati proprietari di fondi siti in un comune italiano, destinati da decenni ad attività produttive, proponevano opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’espropriazione di tali immobili, disposta con due decreti del 2011 in favore del Demanio dello Stato – Ramo Strade. La procedura coinvolgeva più soggetti:
Dopo la sospensione del giudizio in attesa della definizione di ricorsi amministrativi e la loro riassunzione, la Corte d’appello accoglieva in parte le domande degli espropriati, determinando l’indennità e riconoscendo altresì un deprezzamento per le aree residue in parte intercluse e non più collegate funzionalmente.
La Corte d’appello, sulla base della relazione tecnica d’ufficio, aveva escluso una destinazione agricola dei fondi, valorizzando il loro utilizzo pluridecennale a fini produttivi (trattamento inerti e confezionamento calcestruzzi). Poiché mancavano beni comparabili, il c.t.u. aveva adottato un valore intermedio tra quello delle aree agricole e quello delle aree suburbane destinate a verde, ricorrendo anche ai prezzi unitari del Prezzario regionale delle opere stradali.
Ulteriore attenzione era stata posta sull’impatto dell’espropriazione sul fondo residuo: l’attività aveva subito una perdita di funzionalità a causa dell’interclusione e della divisione delle aree. Solo per la società principale veniva riconosciuto un significativo deprezzamento.
Uno degli aspetti centrali affrontati dall’ordinanza riguarda l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento dell’indennità (legittimazione passiva), a fronte della molteplicità dei soggetti coinvolti (ente beneficiario, enti delegati, contraenti generali). La Cassazione ribadisce il principio secondo cui, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il soggetto obbligato al pagamento deve essere generalmente individuato nell’ente beneficiario, risultante dal decreto ablativo, salvo che da tale decreto non emerga che il compito di procedere all’acquisizione delle aree e curare le procedure espropriative sia stato affidato ad altri enti, con accollo dei relativi oneri, sulla base di una norma di legge o di un provvedimento amministrativo a rilevanza esterna.
“…il soggetto legittimato al pagamento dell’indennità di occupazione e di esproprio dev’essere generalmente individuato nell’ente beneficiario dell’espropriazione, risultante dal decreto ablativo, salvo che dallo stesso decreto non emerga che il compito di procedere all’acquisizione delle aree e di curare le procedure espropriative, agendo in nome proprio, sia stato affidato ad altri enti, con accollo dei relativi oneri, senza che a tal fine risulti sufficiente un mero accordo interno, ma occorrendo una norma di legge o un provvedimento amministrativo a rilevanza esterna…” (Cass. 25211/2024)
Nel caso di specie, la società beneficiaria aveva delegato ogni potere, anche processuale, alla società di scopo, la quale a sua volta aveva delegato ogni potere alla controparte incaricata della realizzazione dell’opera, quale contraente generale. L’ordinanza ribadisce che la sola delega interna o la stipula di convenzioni prive di rilevanza esterna non sono sufficienti a modificare la legittimazione passiva, la quale resta in capo all’ente beneficiario, salvo chiari trasferimenti di poteri sanciti da provvedimenti amministrativi.
Le società ricorrenti avevano contestato:
La Cassazione ha dichiarato inammissibili tali motivi, ribadendo che in sede di legittimità è necessario:
I proprietari opponevano la legittimazione passiva dell’ANAS, sostenendo che la delega non aveva effetto esterno e che l’ente era rimasto beneficiario dell’espropriazione. Anche questi motivi sono stati dichiarati inammissibili, per difetto di specificità e per mancata allegazione e trascrizione degli atti decisivi (decreti di esproprio, convenzioni).
La Suprema Corte ribadisce:
L’adesione acritica alla CTU è censurabile solo se il ricorrente riporta dettagliatamente le critiche e gli elementi contestati. Le mere critiche generiche o la mancata trascrizione degli atti non consentono un adeguato controllo logico sull’iter motivazionale della decisione impugnata.
“La parte che in sede di legittimità lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può infatti limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione… ha l’onere d’indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione…” (Cass. 25211/2024)
L’ordinanza sottolinea l’importanza della chiarezza e della trasparenza nella redazione dei provvedimenti amministrativi e dei decreti di esproprio, per evitare contenziosi sulla legittimazione e sul pagamento dell’indennità. La sentenza richiama altresì la necessità di una precisa articolazione delle deleghe e delle convenzioni tra enti pubblici e privati, soprattutto in caso di opere complesse e di partenariati pubblico-privati.
L’inammissibilità dei motivi per difetto di specificità o autosufficienza conferma la necessità di grande attenzione nella redazione dei ricorsi e nell’allegazione degli atti rilevanti, a tutela di un processo equo ed efficiente.
L’ordinanza Cass. Sez. I, n. 25211/2024, contribuisce a chiarire alcuni aspetti centrali dell’espropriazione per pubblica utilità:
Resta essenziale, per la certezza dei rapporti e la tutela del proprietario espropriato, una rigorosa articolazione procedimentale e documentale, nonché una puntuale informazione e partecipazione nella fase amministrativa e giudiziale.