Ecco il saggio di approfondimento giuridico sull’espropriazione per pubblica utilità, sviluppato sulla base dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13938/2024 (ENEL Produzione S.p.A. c. Comune di Anversa degli Abruzzi e Regione Abruzzo), con particolare attenzione al tema della espropriabilità di beni gravati da usi civici, ai profili di giurisdizione e all’evoluzione normativa e giurisprudenziale.
L’espropriazione per pubblica utilità rappresenta una delle più incisive deroghe al principio dell’inviolabilità della proprietà privata, prevista dall’art. 42 Cost. e disciplinata dal D.P.R. n. 327/2001. Un ambito particolarmente delicato riguarda la possibilità di espropriare beni gravati da usi civici, cioè da diritti di godimento collettivo spettanti a determinate comunità. La materia si colloca all’incrocio tra tutela della proprietà collettiva, esigenze di interesse pubblico e disciplina dei pubblici poteri.
L’ordinanza delle Sezioni Unite n. 13938/2024 offre un’occasione per riflettere su tali temi, chiarendo la ripartizione della giurisdizione e i presupposti per l’espropriabilità di beni gravati da usi civici.
Nel 1932, il Prefetto dell’Aquila espropriava alcuni terreni nel Comune di Anversa degli Abruzzi, gravati da usi civici, a favore delle Ferrovie dello Stato, poi trasferiti ad ENEL Produzione S.p.A. Successivamente, il Comune e la Regione Abruzzo avviavano una verifica demaniale sulle terre, chiedendo la reintegra dei beni civici.
Il Commissario per il Riordino degli Usi Civici dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo che il decreto di esproprio avesse legittimamente trasferito i fondi e trasformato i beni in allodiali, estinguendo ogni diritto di uso civico. La Corte d’Appello di Roma, tuttavia, accoglieva il reclamo del Comune e della Regione, affermando la permanenza della qualitas soli (natura demaniale civica) sui beni espropriati in assenza di un formale provvedimento di sdemanializzazione.
ENEL ricorreva in Cassazione, sollevando questioni di giurisdizione e di merito sull’espropriabilità dei beni gravati da uso civico.
Gli usi civici sono diritti spettanti a una collettività sui beni fondiari (boschi, terre, acque), disciplinati dalla legge n. 1766/1927 e dalla legge n. 168/2017. I diritti possono riguardare sia beni di proprietà privata (iura in re aliena) sia proprietà collettive di diritto pubblico (iura in re propria).
La tutela degli usi civici è affidata, per le controversie, alla giurisdizione del Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici (art. 29 legge n. 1766/1927), organo giurisdizionale speciale.
Tradizionalmente, i beni gravati da uso civico, in quanto assimilati ai beni demaniali, godono di un regime di inalienabilità e imprescrittibilità. Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 391/1989) ha riconosciuto per tali beni un regime di “alienabilità controllata”, ammettendo, in presenza di specifiche garanzie e autorizzazioni, la possibilità di espropriazione per pubblica utilità.
L’ordinanza n. 13938/2024, richiamando il principio delle Sezioni Unite (n. 12570/2023), afferma che la natura demaniale civica non può essere estinta implicitamente da un decreto di espropriazione per pubblica utilità, ma richiede un formale provvedimento di sdemanializzazione. In mancanza, il decreto di esproprio è invalido quanto agli effetti sugli usi civici e non può trasferire sull’indennità i relativi diritti.
La giurisdizione del Commissario per la liquidazione degli usi civici è limitata alle controversie sull’esistenza, natura ed estensione dei diritti di uso civico e sulla qualità demaniale dei beni (qualitas soli). Se la controversia verte sulla qualificazione del bene come gravato o meno da uso civico, la giurisdizione è commissariale.
La Cassazione ribadisce che la verifica della qualitas soli – ovvero se il terreno sia ancora assoggettato a uso civico e dunque espropriabile – rientra nella giurisdizione del Commissario.
La Corte richiama numerosi precedenti (Cass. SS.UU. n. 9280/2020; n. 28802/2022; n. 7894/2003; n. 605/2015; n. 33012/2018), secondo cui le domande che postulano l’accertamento della qualità demaniale civica spettano al Commissario, mentre le controversie tra privati in cui la demanialità è solo eccepita in via incidentale spettano al giudice ordinario.
Le Sezioni Unite chiariscono che:
La Corte, quindi, rigetta il ricorso di ENEL, dichiarando la giurisdizione del Commissario e compensando le spese per via della recente evoluzione nomofilattica.
L’espropriazione per pubblica utilità si confronta, nel caso dei beni gravati da usi civici, con una disciplina rafforzata di tutela della collettività e dell’ambiente. La necessità di un provvedimento di sdemanializzazione mira a evitare l’estinzione implicita di diritti storici e collettivi.
Il tema della qualificazione del bene – se ancora demaniale civico o divenuto allodiale – rappresenta il punto nodale per stabilire la giurisdizione e la legittimità dell’espropriazione. La verifica spetta al Commissario, rafforzando la tutela delle collettività locali.
In assenza di sdemanializzazione, ogni atto di espropriazione che incida sui diritti civici è radicalmente invalido quanto agli effetti di estinzione degli stessi. Gli enti titolari degli usi civici possono agire per la reintegra e per la dichiarazione della nullità degli atti lesivi.
L’ordinanza delle Sezioni Unite n. 13938/2024 riafferma un principio fondamentale: l’espropriazione per pubblica utilità di beni gravati da uso civico è possibile solo nel rispetto di una rigorosa procedura, che salvaguardi la qualità demaniale e i diritti delle collettività. Solo un provvedimento espresso di sdemanializzazione può legittimare la perdita della natura civica dei beni.
Il controllo giurisdizionale affidato al Commissario speciale garantisce la centralità della collettività e la tutela dei beni comuni, in un sistema che mira ad armonizzare la funzione pubblica dell’espropriazione con la salvaguardia delle risorse collettive.