L’espropriazione per pubblica utilità, regolata dal d.p.r. 327/2001, rappresenta una delle più incisive manifestazioni del potere amministrativo, in cui il bilanciamento tra interesse collettivo e diritto di proprietà privata viene affidato a regole stringenti e a un rigoroso controllo giurisdizionale. Il procedimento espropriativo si sviluppa attraverso diverse fasi, culminando nella determinazione e corresponsione dell’indennità, la quale deve assicurare un “serio ristoro” all’espropriato, in conformità con l’art. 42 Cost. e i principi della CEDU.
Uno dei nodi più delicati riguarda la determinazione dell’indennità nei casi in cui l’espropriazione abbia ad oggetto solo una parte di un compendio immobiliare e si ponga la questione dell’unità economico-funzionale tra il fondo espropriato e quello residuo. Altra questione centrale attiene alla liquidazione dell’indennità di occupazione d’urgenza, spesso fonte di contenzioso per la corretta individuazione del periodo di spettanza e del “dies ad quem”.
La sentenza Cass. 18672/2024 si inserisce in questo quadro, offrendo spunti preziosi su entrambi i fronti.
La vicenda trae origine dalla procedura espropriativa attivata da [SOCIETA’ AUTOSTRADE PER L’ITALIA] nei confronti di [PRIVATO], per l’ampliamento della terza corsia dell’Autostrada A14. La Corte d’Appello di Ancona, nel giudizio ex art. 702 bis c.p.c. promosso dalla società autostradale per opporsi alla stima dell’indennità di espropriazione effettuata dal collegio tecnico, aveva determinato:
La società ricorreva per Cassazione, lamentando: l’omesso accertamento del presupposto dell’unità economico-funzionale (art. 33 T.U.); l’errata liquidazione dell’indennità di occupazione d’urgenza (art. 22 bis, 5° comma T.U.); e l’omesso esame circa il versamento dell’indennità di esproprio.
L’art. 33 d.p.r. 327/2001 prevede che, in caso di esproprio parziale, sia necessario accertare l’esistenza di un’unità economico-funzionale tra la parte espropriata e quella residua, al fine di riconoscere un’ulteriore indennità parametrata al deprezzamento eventualmente subito dal residuo.
La società ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse liquidato l’indennità ex art. 33 T.U. senza verificare la sussistenza dell’unità economico-funzionale, limitandosi a un richiamo apodittico della CTU. La Cassazione respinge la censura, evidenziando che l’accertamento era stato effettuato dal CTU e richiamato in sentenza, seppur in modo sintetico. La doglianza verteva in realtà sulla motivazione, ma la relativa contestazione era stata introdotta solo nella memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c., e quindi tardivamente, in quanto tale memoria ha solo funzione illustrativa e non può ampliare il contenuto del ricorso.
Questa parte della decisione sottolinea l’importanza, per le parti, di formulare tempestivamente e precisamente i motivi di ricorso, distinguendo tra vizi di violazione di legge e vizi motivazionali. La Corte ribadisce inoltre che l’accertamento dell’unità economico-funzionale può essere compiuto anche con motivazione sintetica, purché risulti dagli atti.
La società sosteneva che l’indennità di occupazione d’urgenza dovesse essere liquidata solo fino alla notifica del decreto di esproprio, e non oltre, anche in caso di successivo deposito dell’indennità.
La Cassazione precisa che, nel caso di specie, il deposito dell’indennità era avvenuto (25.10.2011) prima rispetto al decreto di esproprio (9.9.2015). La Corte d’Appello aveva, correttamente, calcolato l’indennità di occupazione d’urgenza per 29 mesi, ossia dall’immissione in possesso (8.6.2009) al deposito dell’indennità di espropriazione, e non oltre. La critica della ricorrente, che invocava invece la notifica del decreto di esproprio come termine finale, viene ritenuta infondata, poiché in realtà la liquidazione era avvenuta proprio sulla base del periodo corretto.
La norma stabilisce che l’indennità di occupazione d’urgenza spetta fino al deposito dell’indennità di espropriazione e non oltre. La sentenza valorizza, così, la necessità di individuare con precisione i presupposti temporali, in coerenza con le esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
La Corte dedica attenzione anche alle modalità di redazione dei motivi di ricorso. Sottolinea che nuove censure non possono essere introdotte con la memoria illustrativa, che ha solo funzione esplicativa e non può integrare nuovi motivi rispetto a quelli originariamente dedotti. Questa precisazione ha notevole importanza pratica, specie nei contenziosi in materia espropriativa, spesso caratterizzati da molteplici questioni tecniche e giuridiche.
Il sistema espropriativo italiano, anche alla luce dei principi CEDU, impone che l’indennità sia parametrata al valore venale del bene e tenga conto della situazione reale del fondo. Nei casi di espropriazione parziale, il deprezzamento del residuo è elemento essenziale per il serio ristoro dell’espropriato.
Questa forma di indennizzo è dovuta per il periodo in cui l’amministrazione utilizza il bene senza aver ancora perfezionato l’espropriazione, ed è calcolata sulla base di una percentuale del valore del bene. Il termine finale coincide con il deposito dell’indennità, non con la notifica del decreto ablativo, a meno che il deposito sia successivo.
La sentenza in esame, attraverso il rigore nell’applicazione dei criteri normativi, contribuisce a rafforzare la certezza dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione e tutela il diritto di proprietà attraverso una misurata applicazione del potere ablatorio. La posizione della Cassazione, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU, garantisce il bilanciamento tra l’interesse pubblico alla realizzazione di infrastrutture strategiche e la necessità di proteggere il privato da compressioni eccessive del suo diritto.
La Cassazione, con la sentenza n. 18672/2024, fornisce un importante chiarimento sulla corretta applicazione degli artt. 33 e 22 bis del T.U. espropriazioni:
Questo assetto garantisce, in un’ottica di sistema, la tutela tanto dell’interesse collettivo quanto dei diritti fondamentali del cittadino, favorendo la certezza del diritto e il rispetto del principio di legalità anche nei procedimenti più complessi e articolati dell’espropriazione per pubblica utilità.