L’espropriazione per pubblica utilità rappresenta uno degli istituti fondamentali in cui si confrontano prerogative pubbliche e tutela della proprietà privata. Una questione di particolare interesse si pone quando, dopo un regolare decreto di esproprio, la pubblica amministrazione non realizza le opere previste e i beni espropriati restano nella disponibilità dei soggetti espropriati. In tali casi, si discute se sia possibile, da parte di questi ultimi, acquisire nuovamente la proprietà del bene tramite usucapione oppure ottenere la retrocessione totale o parziale. La sentenza Cass. n. 19742/2024 offre un’occasione preziosa per sistematizzare il tema, chiarendo i presupposti e i limiti dell’usucapione su beni espropriati.
Un gruppo di soggetti conveniva in giudizio Roma Capitale chiedendo l’accertamento dell’acquisto per usucapione di alcuni beni già oggetto di esproprio, ma rimasti nella loro disponibilità, poiché le opere pubbliche previste non erano state ultimate. Il Tribunale respingeva la domanda. La Corte d’Appello confermava il rigetto, ritenendo non provata l’interversione del possesso e sottolineando che la semplice domanda di condono edilizio per abusi realizzati dopo l’esproprio non fosse sufficiente a dimostrare l’animus possidendi.
I soccombenti proponevano ricorso per cassazione, sostenendo che la richiesta di condono e le attività edificatorie costituirebbero elementi idonei a provare l’interversione del possesso in senso utile all’usucapione. Lamentavano inoltre la mancata considerazione della compatibilità tra la domanda di retrocessione e la pretesa usucapione.
Nel regime anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. 327/2001, il decreto di esproprio, una volta divenuto definitivo, trasferisce la piena proprietà del bene all’ente beneficiario, anche in assenza di materiale immissione in possesso. Il precedente proprietario perde l’animus possidendi e la sua eventuale permanenza nel bene si configura come mera detenzione.
“…il decreto di esproprio validamente emesso è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la piena proprietà del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, anche quando all’adozione del menzionato decreto non segua l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva di detto decreto comportano ugualmente la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto – nel caso in cui continui ad occupare il bene – si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso, fermo restando il diritto di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene…” (1974220240717snciv@s20@a2024@n19742@tS.clean.pdf)
Se le opere pubbliche non vengono realizzate, il precedente proprietario può chiedere la retrocessione del bene, totale o parziale, ai sensi della disciplina vigente. Non è però ammesso, in linea di principio, che il bene torni nella proprietà privata per usucapione, a meno che non vi sia una chiara interversione del possesso.
L’usucapione di un bene già espropriato è possibile solo se l’ex proprietario dimostra di aver esercitato sul bene un possesso in opposizione all’ente pubblico, con comportamenti che manifestino in modo inequivoco la “inversione” rispetto alla precedente mera detenzione.
L’interversione del possesso consiste nel mutamento della situazione soggettiva da detenzione a possesso ad usucapionem: deve essere esternata in modo chiaro e opponibile al proprietario, al punto da escludere la tolleranza dell’ente pubblico.
La Corte afferma che la richiesta di condono edilizio, di per sé, non è idonea a manifestare interversione del possesso, specialmente quando la domanda venga presentata nella qualità di conduttore e non di proprietario. La semplice realizzazione di opere edilizie sul fondo espropriato, senza che sia data prova dell’opposizione all’ente pubblico titolare, non integra interversione.
“…la sanatoria edilizia di cui all’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, opera nei rapporti fra l’autore della costruzione e la P.A., perseguendo soltanto l’effetto di conservare l’opera costruita abusivamente e di sottrarre l’autore della relativa violazione alle sanzioni a questa conseguenti (Sez. 2, n. 9268 del 16 aprile 2018).” (1974220240717snciv@s20@a2024@n19742@tS.clean.pdf)
Inoltre, il documento prodotto dai ricorrenti indicava la “locazione” come titolo, non la proprietà, rafforzando la tesi della mera detenzione.
Spetta a chi invoca l’usucapione fornire la prova rigorosa dell’interversione. La valutazione degli elementi indiziari e delle presunzioni è attività riservata al giudice di merito e non sindacabile in Cassazione, salvo violazione delle regole legali di valutazione delle prove.
“La valutazione in sé dell’atto di presunta interversione del possesso, anche ove fondato su presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione…” (1974220240717snciv@s20@a2024@n19742@tS.clean.pdf)
La Corte conferma che l’iniziativa giudiziale volta alla retrocessione dei beni espropriati non è incompatibile con il possesso ad usucapionem, ma ribadisce che, in assenza di interversione, la permanenza del soggetto nel fondo si configura come mera detenzione
La Corte precisa che:
La sentenza Cass. n. 19742/2024 ribadisce il principio secondo cui, a seguito di espropriazione per pubblica utilità, la proprietà del bene è integralmente trasferita all’ente beneficiario, mentre la permanenza del privato nei beni espropriati costituisce mera detenzione, salvo prova rigorosa di interversione del possesso. La domanda di condono edilizio e la realizzazione di opere non sono comportamenti sufficienti, se non accompagnati da condotte incompatibili e opponibili all’ente pubblico. Resta ferma la possibilità, in caso di mancata realizzazione dell’opera, di richiedere la retrocessione totale o parziale del bene.