L’espropriazione per pubblica utilità costituisce il paradigma per eccellenza dell’ablazione autoritativa della proprietà privata in nome di un superiore interesse collettivo. Oltre ai profili sostanziali e procedimentali, il fenomeno espropriativo implica rilevanti questioni di natura fiscale, in particolare quanto alla tassazione degli atti traslativi e costitutivi di diritti reali sugli immobili. La recente sentenza della Cassazione n. 23512/2024 affronta il nodo, spesso dibattuto, della corretta applicazione dell’imposta di registro agli atti costitutivi di servitù prediali e ai trasferimenti coattivi, offrendo una chiave di lettura trasversale tra diritto sostanziale e tributario.
L’art. 42, comma 3, Cost. sancisce che la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo. L’espropriazione si attua mediante un procedimento amministrativo che culmina nel trasferimento coattivo della proprietà o di diritti reali a favore della Pubblica Amministrazione o di altri soggetti legittimati.
L’espropriazione per pubblica utilità si realizza tipicamente attraverso un decreto che trasferisce la proprietà o costituisce diritti reali su un bene, spesso a titolo oneroso e in deroga al principio consensuale del trasferimento immobiliare. Questo meccanismo si colloca tra gli “atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili” e i “trasferimenti coattivi” di cui parla la normativa fiscale.
L’art. 1 della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico Registro), ratione temporis applicabile nella vicenda, distingue:
La Cassazione, con la sentenza n. 16495/2003 e successive (tra cui Cass. n. 2201/2019, n. 2200/2019, n. 22198/2019, n. 22199/2019), ha chiarito che:
Secondo la Cassazione, la normativa fiscale distingue tra:
Il termine “trasferimento”, adoperato dal legislatore, si riferisce agli atti che prevedono il passaggio da un soggetto all’altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento. Non include, invece, gli atti che costituiscono ex novo tali diritti, come la servitù, che comprime una facoltà del proprietario del fondo servente a vantaggio del fondo dominante senza trasferimento di diritti.
L’atto costitutivo di servitù, secondo la Suprema Corte, non ricade tra i “trasferimenti coattivi” di cui all’art. 1 della Tariffa, ma tra gli atti costitutivi di diritti reali di godimento. Ne consegue che l’aliquota dell’8% si applica anche agli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli, non potendosi estendere la più gravosa aliquota del 15% riservata ai trasferimenti di proprietà di terreni agricoli a soggetti diversi dagli imprenditori agricoli.
In sede di espropriazione può aversi sia il trasferimento coattivo della proprietà sia la costituzione coattiva di servitù. La distinzione è fondamentale per la determinazione dell’imposta di registro e per la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti.
La Cassazione, consolidando l’orientamento già espresso, ha ribadito che:
La Corte, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha affermato il seguente principio:
“Il termine trasferimento contenuto nell’art. 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma una mera compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)” (Cass. n. 23512/2024).
L’interpretazione fornita dalla Cassazione valorizza la sistematicità della normativa fiscale e la coerenza con i principi civilistici sulle servitù prediali, evitando indebite estensioni delle aliquote più gravose e tutelando la certezza del diritto. Il principio della “incedibilità” e “ambulatorietà” delle servitù, nonché la distinzione tra atti costitutivi e traslativi, rappresentano punti fermi nella ricostruzione del regime giuridico e fiscale degli atti ablativi.
La pronuncia della Cassazione n. 23512/2024 rafforza il quadro interpretativo secondo cui gli atti costitutivi di servitù, anche in sede espropriativa, devono essere trattati fiscalmente in modo distinto rispetto ai trasferimenti di proprietà, assicurando un’applicazione corretta e non penalizzante dell’imposta di registro. La chiarezza della distinzione tra costituzione e trasferimento tutela sia gli interessi pubblici che quelli privati, contribuendo alla certezza dei rapporti giuridici e alla razionalità del sistema fiscale applicabile all’espropriazione per pubblica utilità.