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CORTE DI APPELLO DI ROMA
RICORSO IN RIASSUNZIONE
EX ART. 392 C.P.C.
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
RICORSO EX ART. 702 BIS C.P.C.
(ART. 29 D.LGS. 1.9.2011 N. 150)
OMISSIS
tutti comproprietari del terreno distinto in catasto al foglio 1OMISSIS mappale provvisorio OMISSIS della superficie di 614 mq. (s.e.o.) e
tutti difesi e rappresentati nel presente giudizio dall’Avv. OMISSIS giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio e domiciliati nel suo domicilio digitale di posta elettronica certificata, spiegano
C O N T R O
OMISSIS
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
ai sensi dell’art. 54 d.p.r. n. 327/2001 e dell’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 ed in particolare formulano la
DOMANDA DI DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
delle indennita’ espropriative spettanti a seguito della espropriazione delle aree e del fabbricato gia’ di proprieta’ degli opponenti disposta per la realizzazione della nuova linea OMISSIS Tracciato fondamentale da OMISSIS ):
F A T T O
A.1) IL PRIMO PROCEDIMENTO DI ESPROPRIO
[terreno distinto in catasto al foglio OMISSIS mappale Pomissis . (s.e.o.) (di comproprieta’ di OMISSIS
Con nota prot. n. OMISSIS del 1.10.2008 (doc. n. 1), la societa’ OMISSIS
notificava ai comproprietari OMISSIS del 6.8.2008 (doc. n. 2) con il quale la societa’ OMISSIS srl, in vista della realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi, aveva disposto l’occupazione d’urgenza preordinata alla espropriazione dei terreni di loro proprieta’ identificati in precedenza (s.e.o.);
In data 14.10.2008 veniva redatto il verbale di immissione in possesso e di redazione dello stato di consistenza (doc. n. 4) con rinvio delle operazioni al giorno 5.11.2008 e successivamente al giorno 20.1.2009.
Con decreto n. 27/Linea C del 23.9.2011 (doc. n. 5), la societa’ OMISSIS srl:
Con verbale del 18.1.2012 e del 16.2.2012 (doc. n. 6), si procedeva alla esecuzione del citato decreto di esproprio.
A.2) IL SECONDO PROCEDIMENTO DI ESPROPRIO:
[fabbricato industriale e della circostante area distinto in catasto al foglio OMISSIS mappale provvisorio 729 mappale definitivo 729 con superficie di 1.156 mq. (di proprieta’ esclusiva di OMISSIS Paolo)]
Con nota prot. n. 7913 del 1.0.2008 (doc. n. 7), la societa’ Metro C s.c.p.a.:
Con verbale del 3.2.2009 (doc. n. 9) si procedeva alla occupazione d’urgenza ed alla relativa immissione in possesso.
Con il decreto n. 28/Linea C del 23.9.2011 (doc. n. 10), la societa’ OMISSIS srl:
Infine, con verbali del 14.1.2012 e del 16.2.2012 (doc. n. 11), si procedeva alla esecuzione del decreto di esproprio n. 28 del 23.9.2011.
I ricorrenti rifiutavano nel mentre le indicate indennita’ provvisorie di esproprio e di occupazione perche’ largamente insufficienti e sottostimate rispetto all’effettivo valore di mercato dei beni espropriati.
M O T I V I
Con l’iniziale giudizio di opposizione alla stima iscritto al r.g.n. 113/2012, i proprietari, stante la mancanza della stima definitiva delle indennita’ espropriative, chiedevano alla Corte di Appello di Roma di voler determinare e disporre in via giudiziale (tra l’altro):
Si riporta di seguito testualmente il contenuto del ricorso del 22.12.2011 introduttivo del citato giudizio di opposizione alla stima:
“CORTE DI APPELLO DI ROMA
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
RICORSO EX ART. 702 BIS C.P.C.
(ART. 29 D.LGS. 1.9.2011 N. 150)
COMUNICAZIONI DI CANCELLERIA
Ai fini delle comunicazioni di cancelleria di cui all’art. 133 ed art. 134 c.p.c. come modificati dall’art. 2 d.l. 14.3.2005 n. 35 convertito dalla legge 14.5.2005 n. 80, si chiede che tutte le comunicazioni di cancelleria siano effettuate a mezzo fax mediante invio dei relativi avvisi al numero 0776 822128 (email avv.roccobaldassini@pec.it e roccobaldassini@gmail.com)
I ricorrenti
tutti comproprietari del terreno distinto in catasto al foglio OMISSIS mappale provvisorio OMISSIS mappale definitivo 9266 della superficie di 614 mq. (s.e.o.)
nonche’ la ditta ricorrente
OMISSIS SERBATOI DI OMISSIS C.E. M. SNC con sede legale in Roma in Via Motta Camasta n. 129 00132 Roma c.f. 08852351009;
nonche’ il ricorrente
tutti difesi e rappresentati nel presente giudizio dall’Avv. Rocco Baldassini C.F. BLD RCC 58P05 I838Y giusta procura in calce e domiciliati in Roma presso l’Avv. Lidia Mandra’ con studio in Via degli Scipioni n. 268/A, spiegano
C O N T R O
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
ai sensi dell’art. 54 d.p.r. n. 327/2001 ed in particolare formulano la
DOMANDA DI DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
delle indennita’ espropriative spettanti a seguito della espropriazione delle aree e del fabbricato gia’ di proprieta’ degli opponenti disposta per la realizzazione della nuova linea C della metropolitana di Roma Tracciato fondamentale da T2 a T7 (Clodio/Mazzini – Montecompatri/Pantano):
F A T T O
Con nota prot. n. 7914 del 1.0.2008 (doc. n. 3), la societa’ Metro C s.c.p.a.:
In data 14.10.2008 veniva redatto il verbale di immissione in possesso e di redazione dello stato di consistenza (doc. n. 6) con rinvio delle operazioni al giorno 5.11.2008 e successivamente al giorno 20.1.2009.
Con il citato decreto n. 27/Linea C del 23.9.2011, la societa’ OMISSIS srl:
Con nota prot. n. 7913 del 1.0.2008 (doc. n. 7), la societa’ Metro C s.c.p.a.:
In data 3.2.2009 (alla quale le operazioni erano rinviate) veniva redatto il verbale di immissione in possesso e di redazione dello stato di consistenza (doc. n. 9).
Con il decreto n. 28/Linea C del 23.9.2011, la societa’ OMISSIS srl:
I ricorrenti rifiutavano nel mentre le indicate indennita’ provvisorie di esproprio e di occupazione perche’ largamente insufficienti e sottostimate rispetto all’effettivo valore di mercato dei beni espropriati.
Con il presente giudizio i proprietari intendono chiedere a codesta Corte di Appello di voler determinare e disporre in via giudiziale:
– QUANTO AL COSIDDETTO DANNO AZIENDALE
Oltre ai proprietari direttamente colpiti, la espropriazione e’ destinata a produrre danni anche in capo alla ditta OMISSIS Serbatoi di OMISSIS C. & M. snc. la quale, in quanto conduttrice ed utilizzatrice degli immobili espropriati, si vede sottratti gli spazi e le strutture all’interno dei quali esercitava l’attivita’ commerciale.
In particolare, i beni espropriati (area e fabbricato) sono stati da sempre condotti ed utilizzati nell’attivita’ di impresa dalla ditta OMISSIS Serbatoi di OMISSIS C. & M. snc. In particolare, il terreno espropriato e’ stato da sempre utilizzato quale area pertinenziale (di accesso e di transito di automezzi ed autoarticolati, di carico e scarico di merci, di parcheggio, di deposito di materiali, ecc.) dei latistanti fabbricati industriali distinti in catasto al foglio OMISSIS mappale OMISSIS (fabbricato non oggetto di esproprio) e mappale 729 (fabbricato oggetto di esproprio). Va da se’ che la espropriazione degli immobili di cui trattasi comporta anche per la ditta (quantunque soggetto non direttamente destinatario della espropriazione) la produzione del danno cosiddetto aziendale.
Infine, si segnala che e’ rimasta senza alcun riscontro la richiesta di rilascio della stima redatta per la determinazione della indennita’ provvisoria offerta.
M O T I V I
Con il presente giudizio, gli opponenti intendono avvalersi del diritto accordato dalle note sentenza n. 67/1990 (doc. n. 10) e n. 470 /1990 (doc. n. 11) con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che il proprietario – a cui sia stato notificato il decreto di esproprio – puo’ comunque chiedere la determinazione giudiziale rispettivamente della indennita’ di esproprio e della indennita’ di occupazione legittima, pur in mancanza della determinazione in sede amministrativa delle indennita’ definitive, la quale dunque non si pone piu’ quale condizione di azionabilita’ del relativo diritto.
Peraltro, l’entrata in vigore recentemente dell’art. 29 del d.lgs. 1.9.2011 n. 150 conferma l’ammissibilita’ della presente azione nei termini spiegati (oltre ad prevedere la gestione del giudizio nel rispetto del rito sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c.).
Non e’ in discussione l’edificabilita’ legale dell’area di cui trattasi, posto che la stessa societa’ espropriante ne ha espressamente riconosciuto la sussistenza, avendo indicato il valore unitario di mercato nella somma di euro 50,00 mq..
Tuttavia, per mero scrupolo difensivo, puo’ essere utile aggiungere che l’area espropriata e’ certamente dotata della edificabilita’ legale in quanto e’ stata utilizzata per la costruzione del sovrastante fabbricato industriale (non oggetto di esproprio).
Ad ogni buon conto, anche limitando l’indagine al solo criterio previsto dall’art. 32 e dall’art. 37 d.p.r. n. 327/2001, si perviene alla stessa conclusione.
In particolare il citato art. 37 prevede:
Dagli atti del procedimento di esproprio disponibili (ed in mancanza della relazione di stima il cui rilascio e’ stato denegato), e’ stato possibile evincere soltanto che l’indennita’ provvisoria di esproprio e di occupazione temporanea sono state determinate sulla base ed in funzione del valore unitario di mercato del terreno che la societa’ espropriante ha ritenuto di dover determinare nella misura di euro 50,00 mq..
Trattasi evidentemente di un valore manifestamente sottostimato per un’area edificabile sita nel Comune di Roma a ridosso della prevista fermata Bolognetta della costruenda linea C metropolitana.
Al fine di fornire elementi utili ed idonei a dimostrare il piu’ probabile valore di mercato del terreno espropriato, si ritiene di poter far riferimento cl criterio cosiddetto sintetico diretto.
In particolare, si tratta del criterio previsto dall’art. 36/7 d.l. n. 333/2006 il quale prevede che “ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali e’ assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza, il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, e’ quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso. Per fabbricati industriali si intendono quelli destinati alla produzione o trasformazione di beni”.
Orbene, nella fattispecie sono dunque conosciuti e disponibili tutti gli elementi per poter desumere il valore dell’area espropriata, atteso:
Pertanto, applicando la formula prevista dalla citata norma, si ottiene il valore unitario di mercato dell’area pari ad euro 338,23 mq. [euro 777.947,10 (indennita’ del fabbricato) : mq. 690 (superficie del fabbricato indicata nel verbale di consistenza del 3.2.2009) = 1.127,45 euro/mq. (valore unitario del fabbricato industriale) X 30 % (incidenza prevista dalla legge del valore dell’area sul valore del fabbricato) = euro 338,23 mq. (valore unitario dell’area espropriata)].
Come gia’ rappresentato in punto di fatto, l’area espropriata era a servizio del latistante il fabbricato industriale (mappale OMISSIS) non colpito dal procedimento di esproprio. In particolare, essa era destinata quale area di accesso e di transito di automezzi ed autoarticolati, di carico e scarico di merci, di parcheggio, di deposito di materiali, ecc.. Come emerge direttamente dall’esame della piantina planimetrica allegata al decreto di espriopri, a seguito della espropriazione dell’area di cui trattasi, il (residuo) fabbricato industriale ha subito un notevole decremento del valore di mercato sia perche’ e’ stato privato della citata area pertinenziale di oggettiva importanza funzionale sia perche’ il fabbricato stesso e’ rimasto pressocche’ intercluso non disponendo piu’ nemmeno di uno spazio di accesso per i mezzi pesanti.
L’art. 33/1 d.p.r. n. 327/2001 prevede infatti che “nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata e’ determinata tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.
La citata norma reitera in parte il principio gia’ previsto dall’art. 40 della previgente legge n. 2359/1865, con la ulteriore previsione che il criterio cosiddetto differenziale non rappresenta piu’ l’unico utilizzabile dal giudice.
Nella fattispecie, l’espropriazione parziale ha comportato lo scorporo di tutta l’area pertinenziale (espropriata) dal residuo fabbricato industriale (non espropriato) che dunque e’ rimasto eretto pressocche’ solo nella sua struttura e consistenza. Ovviamente, in cio’ deve ravvisarsi la la causa dell’abbattimento del valore di mercato della proprieta’ residua (fabbricato industriale in catasto al mappale OMISSIS).
E’ infatti e’ appena il caso di precisare che appartiene al fatto notorio di comune esperienza (art. 115/2 c.p.c.) – che in quanto tale non necessita di alcuna particolare dimostrazione – l’affermazione secondo la quale un qualunque fabbricato destinato ad uso produttivo e’ destinato a subire una perdita del valore commerciale per effetto della sottrazione dell’area pertinenziale posta a suo servizio.
In materia di espropriazione parziale si registra una copiosa e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione che, anche gia’ sotto il previgente quadro normativo, aveva stabilito i principi ispiratori dell’istituto tuttora seguiti anche sotto la vigenza dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
In materia di esproprio parziale, trova applicazione “…il criterio di stima differenziale di cui alla legge n. 2359/1865 art. 40 (poi recepito dall’art. 33 del T.U.), rivolto a garantire proprio che l’indennita’ di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, e quindi anche il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato in dipendenza dell’espropriazione; ed ha applicato il principio giurisprudenziale ripetutamente enunciato da questa Corte che tale risultato può essere conseguito attraverso diverse vie: anzitutto detraendo dal valore venale che l’intero cespite aveva prima dell’esproprio il valore successivamente attribuibile alla parte residua (non espropriata) (Cass. 22110/2004; 13887/1999). Oppure accertando e calcolando detta diminuzione di valore, anziche’ attraverso tale comparazione diretta, mediante il computo delle singole perdite, ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri, che incidendo sulla parte residua, ne riducono il valore (Cass. 15359/2000; 18050/2004; 21092/2005)” (Cass. 18.11.2011 n. 24304).
“Una volta sussunta la fattispecie concreta nella previsione dell’esproprio parziale, viene meno la necessita’ di una determinazione specifica del valore di singole componenti dell’immobile, essendo sufficiente il raffronto tra i due valori complessivi pari al giusto prezzo di mercato ante e post ablazione” (Cass. 20.6.2011 n. 13455).
“Quanto al riferimento all’ipotesi dell’espropriazione parziale, deve richiamarsi il costante insegnamento di questa Corte secondo cui tale fenomeno sì verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass. 24 settembre 2007 n. 19750; Cass. 5 settembre 2008 n. 22409). In applicazione di tale principio si e’ sostenuto che l’espropriazione di un terreno adiacente a un fabbricato, abbia o meno questo i connotati della pertinenza di cui all’art. 817 c.c., non e’ riconducibile nell’ambito dell’espropriazione parziale e delle regole ad essa attinenti, se l’unico proprietario dell’insieme non riceva un impoverimento maggiore rispetto a quello correlato al valore del terreno medesimo in se’ considerato (Cass. 27 agosto 2004 n. 17112)” (Cass. 27.4.2011 n. 9254).
Particolarmente interessante (perche’ altamente calzante alla fattispecie) si rileva il principio stabilito dalla sentenza del 31.1.2008 n. 2424 con la quale la Corte di Cassazione ha determinato in lire 200.000.000 la indennita’ per la espropriazione di una superficie molto contenuta ma destinata ad area di parcheggio a servizio di un’attivita’ alberghiera [“Pare assolutamente logica la metodologia di calcolo impiegata dalla Corte d’Appello, che ha proporzionato la perdita di valore subita dall’esercizio alberghiero di proprieta’ della stessa Mara s.n.c. (lire 200.000.000) all’esproprio di parte (mq. 15) della particella n. (omissis), corrispondente a due posti macchina. Si tratta della corretta applicazione del criterio differenziale di stima (valore ante, meno valore post esproprio)…”].
“E proprio siffatto principio ha trovato recente conferma sia nell’art. 33 del nuovo T.U. che non menziona piu’ la stima differenziale, ma impone soltanto al giudice di merito di tener conto della diminuzione di valore della parte residua, percio’ autorizzandolo ad avvalersi del criterio ritenuto piu’ idoneo nel caso concreto a raggiungere siffatto risultato” (Cass. 4.5.2009 n. 10217 e Cass. 21.5.2007 n. 11782).
“E che, d’altra parte, non e’ interpretabile nei termini prospettati dal comune, disponendo la norma (idest art. 33 d.p.r. n. 327/2001) che in tal caso l’indennizzo deve coprire tutti i danni conseguenti all’esproprio, tra cui l’eventuale deprezzamento subito, dalle parti residue del suolo; e rimettendone il relativo accertamento al giudice del merito” (Cass. 5.2.2008 n. 2746).
Si aggiunga per completezza di indagine che la Corte di Cassazione ha altresi’ precisato:
In sostanza, l’espropriazione parziale si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristoratile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa” (Cass. n. 19570/2007; conformi ex Cass. n. 24435/2006 sul solco di fermo indirizzo espresso per tutte da Cass. n. 10634/2004; Cass. n. 10934/2001, Cass. n. 10570/2003 e Cass. n. 6388/2000).
Come gia’ prospettao in punto di fatto, oltre ai proprietari direttamente colpiti, la espropriazione e’ destinata a produrre danni anche in capo alla ditta OMISSIS Serbatoi di OMISSIS C. & M. snc. la quale, in quanto conduttrice ed utilizzatrice degli immobili espropriati, si vede sottratti gli spazi e le strutture all’interno dei quali ha finora esercitato l’attivita’ commerciale.
In particolare, i beni espropriati (area e fabbricato) sono stati da sempre condotti ed utilizzati nell’attivita’ di impresa dalla ditta OMISSIS Serbatoi di OMISSIS C. & M. snc.. Il terreno espropriato e’ stato da sempre utilizzato quale area pertinenziale (di accesso e di transito di automezzi ed autoarticolati, di carico e scarico di merci, di parcheggio, di deposito di materiali, ecc.) dei latistanti fabbricati industriali distinti in catasto al foglio OMISSIS mappale OMISSIS (fabbricato non oggetto di esproprio) e mappale 729 (fabbricato oggetto di esproprio). Va da se’ che la espropriazione degli immobili di cui trattasi comporta anche per la ditta (quantunque soggetto non direttamente destinatario della espropriazione) la produzione del danno cosiddetto aziendale.
E’ appena il caso di precisare che questa difesa ben conosce sul punto l’orientamento della Corte di Cassazione la quale ha testualmente stabilito che “L’indennita’ di espropriazione e’ unica, ed essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, non puo’ superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione, ed il termine di riferimento per la sua determinazione e’ rappresentato dal valore di mercato del bene espropriato quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, e soprattutto dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle, e non anche dal reale pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risentono come effetto dal non potere ulteriormente svolgere mediante l’uso dello stesso immobile la precedente attivita’…” (Cass. 21.5.2007 n. 11782 ed in tal senso piu’ recentemente Cass. 13.2.2009 n. 3651).
“Nell’ipotesi di espropriazione parziale, qualora risulti impedito l’ulteriore svolgimento di un’impresa che utilizzava l’immobile espropriato per l’esercizio della propria attività, la determinazione dell’indennità deve essere effettuata secondo il criterio dettato dalla legge 25.6.1865 n. 2359 art. 40 (“… differenza tra il giusto prezzo che avrebbe avuto l’immobile avanti l’occupazione e il giusto prezzo che potrà avere la residua parte di essa dopo l’occupazione”), senza che abbia rilievo il reale pregiudizio rappresentato dall’impossibilità di proseguire la precedente attività imprenditoriale. L’espropriazione di un’area agricola non si estende, infatti, al diritto dell’imprenditore sui beni utilizzati per l’esercizio dell’impresa, nè all’azienda organizzata; e la relativa indennità non può quindi superare, in nessun caso, il valore determinabile con l’applicazione del criterio legale (Cass., sez. 1, 6 aprile 2009 n. 8229; Cass., sez. 1, 31 gennaio 2008, n. 2424)”.
I termini della questione in materia di danno cosiddetto aziendale sono stati riassunti dalla sentenza n. 8229 del 6.4.2009 della Corte di Cassazione:
“Come hanno infatti chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8.6.1998 n. 5609) e come ha confermato la giurisprudenza successiva, l’indennita’ di espropriazione non puo’ superare in nessun caso il valore determinabile con l’applicazione del criterio legale, senza che abbia rilievo il reale pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risentono come effetto dal non potere ulteriormente svolgere, mediante l’uso dello stesso immobile, la precedente attivita’. Ne consegue che, estinto il diritto di proprieta’, ove risulti impedito sul luogo l’ulteriore svolgimento dell’impresa che utilizzava gli immobili per fornire i propri servizi, l’espropriazione non si estende al diritto dell’imprenditore su di essi, si’ che il valore del bene espropriato debba comprendere quello dell’azienda in se considerata, quale complesso funzionale organizzato, risultante da una pluralita’ di elementi. Pertanto, nel caso di espropriazione di terreno destinato a parcheggio a servizio di struttura alberghiera, le perdite aziendali lamentate dall’espropriato non sono suscettibili di indennizzo, e l’applicazione del criterio legale previsto nel caso di espropriazione parziale e’ sufficiente a compensare la perdita subita (…), assumendo le perdite aziendali rilevanza autonoma rispetto alla perdita dominicale solo nella diversa ipotesi di espropriazione di azienda agricola legge 22.10.1971 n. 865 ex art. 16 (Cass. 31.1.2008 n. 2424; conf. Cass. 21.5.2007 n. 11782).
In altri termini nella determinazione del valore venale della res oggetto di espropriazione, secondo il criterio dettato dalla legge n. 2359/1965 art. 40, occorre tener presente la differenza tra l’area espropriata, comprensiva degli edifici che vi insistono, e l’azienda. Il pregiudizio che il proprietario o il titolare di altro diritto sul bene subisce per non poter piu’ esercitare l’impresa in quel luogo non e’ oggetto di indennizzo, perche’ l’indennita’ di espropriazione e’ commisurata al valore venale del bene, non dell’azienda. Di conseguenza le costruzioni esistenti sull’area vanno considerate nel loro valore in se’, non per il diverso valore che esse possono avere in rapporto alla particolare destinazione connessa all’attivita’ d’impresa e dunque alla circostanza di essere adibite a sede dell’azienda, facendo parte, secondo la definizione dettata dall’art. 2555 c.c. del complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Si sottraggono al principio ora esposto soltanto le res che per loro natura hanno carattere di bene produttivo, quali le cave e le miniere. Per tali beni, infatti, si e’ affermato che il reddito correlato alla estrazione del materiale per tutto il tempo della sua prevista utilizzabilita’ costituisce il razionale riferimento ai fini indennitari per l’ablazione (Cass. 6.11.1999 n. 12354 in tema di cava) ovvero che occorre considerare i proventi che l’espropriato sarebbe stato in grado di ricavare, in una libera contrattazione, per effetto dell’esercizio dell’attivita’ estrattiva (Cass. 25.7.2006 n. 16983 in tema di miniera).
Al di fuori di queste ipotesi, occorre distinguere il valore in se’ dell’area o del fabbricato e delle attrezzature che su di essa insistono, in ragione delle loro specifiche caratteristiche, da quello connesso all’esercizio di attivita’ produttiva o commerciale, che non e’ insita nella res, si’ che non puo’ venire in considerazione l’incidenza dell’esercizio dell’impresa, sia esso attuale o potenziale, sul prezzo di mercato del bene, che va stabilito con riferimento alla res in quanto tale. Ne deriva che, come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte, quando sull’immobile espropriato siano stati costruiti edifici ed installate attrezzature al fine di imprimergli – in tutto o in parte – una destinazione industriale, l’espropriazione dell’immobile si estende a tutto quanto vi si presenti stabilmente impiantato, e, per la parte in cui gli immobili espropriati presentino destinazione industriale, essi devono essere in tal modo valutati, per stabilirne il valore venale, nell’ambito in cui cio’ rilevi ai fini del criterio indennitario applicabile (Cass. 5609/98). Tale valutazione pero’ non può essere effettuata avendo riguardo alla redditivita’ dell’impresa che su quell’area e con quegli edifici ed attrezzature e’ stata esercitata, ma al bene in se’, sia pur tenuto conto della sua destinazione oggettiva”.
Radicalmente diverso appare invece lo scenario qualora si volesse inquadrare la questione del danno cosiddetto aziendale nell’ambito della normativa prevista dalla c.e.d.u.. In tal caso infatti, all’imprenditore che – quale soggetto proprietario – fosse danneggiato dalla espropriazione, la giurisprudenza pacifica della Corte Europea e’ orientata ad accordare una tutela decisamente piu’ ampia di quella accordata (melius: denegata) dalla normativa e dalla giurisprudenza italiana.
La giurisprudenza della Corte Europea – in netta e dichiarata contrapposizione a quella della Corte di Cassazione italiana – tende a riconoscere in maniera ampia ed incondizionata tutti i diritti dei cittadini che siano sacrificati in maniera diretta o indiretta dalla espropriazione.
Nell’ipotesi cui (come appunta nella fattispecie) un’attivita’ produttiva fosse costretta a subire una limitazione forzosa a seguito dell’espropriazione, tutti i relativi danni possono essere indennizzati mediante apposito giudizio dinanzi alla Corte Europea. Tale conclusione trova conferma nella giurisprudenza della Corte Europea la quale – nell’affrontare le questioni giuridiche connesse alla cosiddetta occupazione appropriativi o accessione invertita a seguito di occupazione illegittima – ha tuttavia formulato una serie di principi di carattere generale suscettibili di circolare liberamente nell’ambito della tutela del diritto di proprieta’ prevista dall’art. 1 protocollo 1 addizionale alla c.e.d.u..
Tra le numerose sentenze disponibili, si indicano le seguenti:
La citata giurisprudenza ha stabilito in particolare che tutti i cittadini (proprietari dei beni direttamente colpiti dalla espropriazione) hanno diritto ai sensi della convenzione di vedersi riconosciuto (e garantire) l’INTEGRALE RISTORO E RISARCIMENTO di tutti i danni da determinarsi nella misura della loro effettiva consistenza, ivi espressamente compreso il “danno aziendale” (consistente nella cessazione e/o riduzione dell’attivita’) prodotto all’imprenditore quale conseguenza diretta dell’espropriazione.
Ad ulteriore conferma dei principi di cui sopra, si rende necessario soffermare l’attenzione sulla recente sentenza del 26.4.2011 emessa dalla CEDU (su patrocinio di questa difesa), particolarmente significativa per via della evidente identita’ della fattispecie. In particolare, la sentenza ha stabilito che spetta l’integrale risarcimento di tutti i danni causati all’imprenditore (quantunque soggetto terzo non destinatario della espropriazione) che, a causa della espropriazione degli immobili (fabbricato ed area) utilizzati a titolo di locazione nell’esercizio dell’attivita’ commerciale (beni di cui dunque non era proprietario perche’ appartenenti al soggetto destinatario della espropriazione).
La citata sentenza si rivela particolarmente significativa allorquando si consideri che il soggetto ricorrente danneggiato non era il proprietario del fondo espropriato su cui egli esercitava l’attivita’ commerciale danneggiata dall’esproprio, ma soltanto l’affittuario.
Nella citata fattispcecie, la CEDU ha stabilito:
Ne consegue allora che all’imprenditore (quantunque soggetto non destinatario della espropriazione e non proprietario dei beni espropriati utilizzati nell’esercizio dell’attivita’ commerciale) che abbia a subire un danno e/o un limitazione nella gestione aziendale per via della mancata disponibilita‘ degli immobili causata dalla espropriazione, spetta comunque il relativo risarcimento dei danni da individuarsi sia nel fermo e/o rallentamento dell’attivita’ commerciale, sia nei costi necessari a reperire sul mercato altro immobile idoneo a continuare l’esercizio dell’attivita’ commerciale, sia nei costi di trasferimento dell’azienda, ecc..
Quanto all’applicabilita’ immediata e diretta nell’ordinamento nazionale delle norme previste dalla Convenzione Europea e dei principi stabiliti dalla Corte Europea in sede di interpretazione ed applicazione delle norme europee, si rimanda per brevita’ a quanto si dira’ in seguito.
[fabbricato industriale e della circostante area distinto in catasto al foglio OMISSIS mappale provvisorio 729 mappale definitivo 729 con superficie di 1.156 mq. (di proprieta’ esclusiva di OMISSIS Paolo)]
Come gia’ anticipato, con il decreto n. 28/Linea C del 23.9.2011, la societa’ OMISSIS srl:
Ferme restando le considerazioni gia’ articolate in precedenza con riferimento alla insufficiente valutazione del valore di mercato dell’area edificabile che devono ritenersi in questa sede integralmente ribadite, ritiene questa difesa che anche il valore del fabbricato industriale sia stato nella fattispecie oggettivamente sottostimato.
E’ sufficiente a tale fine notare che il fabbricato industriale e’ stato stimato sulla base del valore unitario di mercato di euro 1.127,45 mq. [euro 777.947,10 : 690 mq. superficie coperta (cosi’ indicata nel verbale di consistenza del 3.2.2009)], che notoriamente rappresenta un valore del tutto insufficiente per la costruzione e/o l’acquisto nella zona di cui trattasi di un fabbricato industriale (anche tenuto conto delle condizioni di consistenza del fabbricato espropriato).
Si aggiunga peraltro che, in conformita’ alla giurisprudenza della CEDU, al proprietario espropriato spetta altresi’ sia il maggior costo necessario a reperire sul mercato altro fabbricato avente analoghe consistenza e caratteristiche, sia il valore degli impianti e delle strutture non rimuovibili, sia i costi di smantellamento e di montaggio degli impianti e strutture trasferibili.
3.1) occupazione non preordinata alla espropriazione
Con il citato decreto n. 18/Linea C del 6.8.2008, la societa’ OMISSIS srl, in vista della realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi, aveva disposto l’occupazione d’urgenza non preordinata alla espropriazione dei terreni distinti in catasto al foglio OMISSIS particelle OMISSIS (per 25 mq.), 729 (per 69 mq.), 730 (per 31 mq.), 675 (per 132 mq.) e 106 (per 626 mq.) in regime di comproprieta’ tra OMISSIS Cristina, OMISSIS Massimo, OMISSIS Ombretta, OMISSIS Sandra e OMISSIS Paolo.
Di tale indennita’ di occupazione non v’e’ traccia alcuna negli atti del procedimento di esproprio e pertanto i ricorrenti chiedono che, in conformita’ alla previsione dell’art. 50 d.p.r. n. 327/2001, essa sia determinata – per ogni anno o frazione di anno – nella misura di 1/12 dell’effettivo valore di mercato delle aree occupate.
3.2) occupazione preordinata alla espropriazione
Con il citato decreto n. 27/Linea C del 23.9.2011, la societa’ OMISSIS srl, in relazione all’area in premessa, indicava la indennita’ di occupazione temporanea in euro 2.819,39 (per il periodo dal 20.1.2009 al 30.9.2011).
Con il decreto n. 28/Linea C del 23.9.2011, la societa’ OMISSIS srl, in relazione al fabbricato industriale di cui in premessa, indicava la indennita’ di occupazione temporanea in euro 1.493,32 (per il periodo dal 3.2.2009 al 30.9.2011) .
Si tratta come e’ evidente di indennita’ di occupazione legittima erroneamente determinata. Pertanto, poiche’ il d.p.r. n. 327/2001 non prevede espressamente il criterio di determinazione della indennita’ di occupazione legittima preordinata alla espropriazione ma bensi’ solo quello della indennita’ di occupazione non preordinata alla espropriazione (art. 50 d.p.r. n. 327/2001), e considerato che trattasi di due ipotesi analoghe ed assimilabili sotto il profilo della causa e della funzione (posto che infatti entrambe tendono a compensare il proprietario della mancata disponibilita’ del bene durante l’occupazione temporanea), i ricorrenti chiedono che, in analogia alla previsione dell’art. 50 d.p.r. n. 327/2001, anche la indennita’ di occupazione legittima preortdinata alla espropriazione sia determinata – per ogni anno o frazione di anno – nella misura di 1/12 dell’effettivo valore di mercato dei beni occupati.
Dai due decreti di esproprio si evince che e’ stata applicata nella fattispecie la riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio perche’ l’opera pubblica di cui trattasi e’ stata ritenuta inquadrabile nell’ambito del concetto di riforme economico – sociali di cui all’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007.
Ritiene questa difesa che si tratti di un evidente errore di diritto.
Si rende dunque necessario affrontare la questione in ordine alla applicabilita’ o meno nella fattispecie della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio per motivi di riforma economico – sociale di cui all’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007, introdotto a seguito delle note sentenze della Corte Costituzionale n. 348/2007 e n. 349/2007. Precisamente, i commi citati prevedono:
Ritiene invece questa difesa che la citata riduzione non possa trovare applicazione nel presente giudizio.
E’ noto infatti che la giurisprudenza della CEDU ha ammesso che l’indennita’ di esproprio possa anche non coincidere con il pieno di valore di mercato allorquando l’espropriato soddisfi due condizioni:
Emerge infatti con tutta evidenza che il legislatore nazionale, nel tentativo di arginare i maggiori costi scaturenti dall’obbligo di determinare l’indennita’ di esproprio nella misura di mercato dei terreni, ha ritenuto di poter introdurre un temperamento gia’ noto da tempo alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Tuttavia, non puo’ sfuggire che la stessa CEDU ha ritenuto di poter applicare la citata riduzione casi del tutto eccezionali ed infrequenti tra cui a titolo meramente esemplificativo si indicano:
Com’e’ evidente, si tratta di casi eccezionali ed episodici che non hanno ragionevole attinenza diretta con le espropriazioni “ordinarie”, qual e’ certamente quella oggetto del presente procedimento (intervento finalizzato alla realizzazione del piano per interventi produttivi).
Nelle fattispecie, appare con immediata evidenza che difettano entrambe le citate condizioni:
Si rende necessario aggiungere che l’analisi della recente prassi amministrativa ha evidenziato che sovente e quasi sistematicamente le pubbliche amministrazioni esproprianti si sforzino di giustificare l’applicazione, sempre e comunque, della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in maniera pressocche’ indiscriminata.
Tale prassi contribuisce tuttora a delineare una casistica estremamente ampia per cui, di fatto, si assiste al tentativo di ricomprendere tutte indistintamente le opere pubbliche (quali edilizia economica e popolare, piani di insediamenti produttivi, strade, marciapiedi, ospedali, scuole, opere di urbanizzazione, ecc.), in quanto di per se’ connotate dalla “pubblica utilità”, nell’ambito degli interventi di “riforma economico – sociale” suscettibili di beneficiare indiscriminatamente dell’abbattimento del 25 % dell’indennita’ di esproprio.
Ma una indagine seria deve essere in linea con la rigorosa impostazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, com’è noto, ha introdotto il concetto di “riforma economico – sociale” in un quadro di circostanze derogatorie assolutamente eccezionali al principio generale del valore venale del bene espropriato (passaggio dalla monarchia alla repubblica, riunificazione delle due Germanie, passaggio dal comunismo al regime di libero mercato e le altre ipotesi indicate in precedenza).
Orbene, la Corte Europea ha sempre distinto gli espropri appartenenti alle suddette riforme economico – sociali (oggettivamente connotati da una amplissima incisivita’ sull’ordinamento e/o sul gran numero indifferenziato e non predeterminabile dei destinatari) dagli espropri cosiddetti “isolati” (oggettivamente connotati dall’assenza di incisivita’ sull’ordinamento e/o dal ridotto numero di destinatari, spesso direttamente determinabili ed addirittura inidividuabili).
Per gli espropri cosiddetti isolati, la CEDU ha sistematicamente seguito la regola dell’applicazione del valore venale di mercato del bene espropriato.
Cio’ deve indurre l’interprete a tenere sempre presente la distinzione (da una parte) tra opere pubbliche “singole ed isolate” progettate e approvate per ordinarie esigenze di pubblica utilita’ e (dall’altra parte) opere pubbliche funzionali a riforme generali dell’ordinamento per scopi di sviluppo e giustizia sociale incidenti su una pluralità indistinta ed indeterminabile di cittadini in situazioni eccezionali (quale, ad esempio, e’ stata a suo tempo la riforma agraria di cui alla legge 841/1950, con i relativi espropri generalizzati dei latifondi).
Appare dunque oggettivamente difficile riscontrare oggi “riforme economico – sociali” nella accezione fatta propria dalla Corte Europea, caratterizzate cioe’ dai connotati della generalità, dell’eccezionalita’, della incisiva innovativita’ del contenuto normativo o della eversivita’ dell’assetto economico – sociale.
La previsione introdotta nell’articolo 37 d.p.r. n. 327/2001 dall’art. 2/89 della legge n. 244/2007 si appalesa, quindi, come una pedissequa ripetizione dei concetti espressi in via generale dalla Corte Europea, destinata a rimanere sul piano potenziale di astratta regolamentazione di eventuali future riforme di quel tipo.
La tesi propugnata dalle amministrazioni a favore dell’applicazione della riduzione del 25 % – peraltro ormai superata dalle numerosissime pronunce della Corte di Cassazione – non appare infatti condivisibile posto che ad esempio perfino gli espropri per la realizzazione di opere pubbliche in materia di edilizia economica e popolare e di piani produttivi (che verosimilmente piu’ di ogni altro si presterebbero astrattamente ad integrare gli estremi della riforma economico – sociale) sono stati espressamente esclusi da tale categoria (ex multis Cass. 22.8.2011 n. 17462; Cass. 20.6.2011 n. 13456; Cass. 28.1.2011 n. 2100; Cass. n. 13399 del 1.6.2010; Cass. n. 14939 del 21.6.2010; Cass. n. 14755 del 18.6.2010; Cass. n. 2712 del 4.2.2009; Cass. n. 24863 del 8.10.2008).
Nel merito, e’ quanto discutibile che la costruzione di una linea metropolitana possa essere considerato alla stregua di una eccezionale e generale riforma di carattere economico – sociale, dato il suo carattere isolato e circoscritto, consolidato, fisiologico e ordinario e attesa la trascurabile incidenza sul l’assetto istituzionale, non certo elevabile al rango di mutamento dell’assetto economico e sociale (vedi Favaretto, “funzione sociale, interventi di riforma economico-sociale e indennizzo nelle espropriazioni”).
Ma c’e’ un argomento destinato a sgombrare il campo dagli equivoci.
Ne’ puo’ sottacersi infatti che la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennita’ di esproprio, atteso che la realizzazione del piano p.e.e.p. non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
Corre infine l’obbligo di aggiungere che con la recente sentenza n. 25719 del 1.12.2011, la Corte di Cassazione, nell’escludere l’applicabilita’ della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in materia di espropriazione di un piano industriale, ha fornito una importante indicazione in ordine alle modalita’ di interpretazione del concetto di “riforma economico – sociale”. A tale fine, la Suprema Corte ha indicato al giudice nazionale la necessita’ di adottare in materia una interpretazione che sia rispettosa delle norme previste dalla Convenzione Europea e dei principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea che devono trovare applicazione nell’ordinamento nazionale in forza del meccanismo di rinvio previsto dall’art. 117 costituzione [“…anche per il principio più volte ricordato dalla Corte Costituzionale che sul giudice comune grava l’obbligo di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dal suo tenore. E tanto è sufficiente ad escludere il dubbio manifestato dal ricorrente circa la legittimità costituzionale della non applicazione della menzionata nuova disposizione premiale del 2007 ai giudizi in corso ed antecedenti alla disciplina del T.U.; che per quanto detto è conforme ai principi enunciati dalla CEDU, e perciò stesso al precetto dell’art. 117 costituzione. E d’altra parte non viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 costituzione invocabile in situazioni che si svolgono nell’ambito della medesima dimensione temporale; non già quando si abbia il succedersi nel tempo di situazioni diversamente regolate (Cass. 16062/2004; 8031/2002; 14223/2000)]”.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha gia’ chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali (pur astrattamente idonea a giustificare una indennità di esproprio in misura inferiore all’effetto valore di mercato), allora ed a maggior ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio di cui trattasi per la realizzazione della linea metropolitana di Roma (trattandosi manifestamente di esproprio isolato).
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione delle aree, deve tenersi conto sia della CEDU sia degli effetti prodotti nell’ordinamento dalla nota sentenza della Corte Costituzionale sentenza del 24.10.2007 n. 348 che, avendo abrogato l’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11.7.1992 n. 333 nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, in via consequenziale, l’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’), ha comportato la reviviscenza del principio generale che l’indennita’ di esproprio deve essere determinata nel valore di mercato delle aree espropriate (art. 39 della legge fondamentale n. 2359/1865 ed ora art. 37 d.p.r. n. 327/2001 come modificato ed integrato dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007).
Il principio del valore venale era del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
Anche le autorita’ esproprianti, gia’ in sede di procedimento amministrativo di esproprio devono garantire e dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.
L’art. 16/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di prestare rispetto e di conformarsi alle norme della c.e.d.u..
Si richiama l’attenzione su una norma vigente della cui introduzione e delle cui implicazioni in termini di responsabilita’, le amministrazione esproprianti non si sono ancora pienamente avvedute. Essa peraltro fornisce la prova della immediata efficacia e della diretta applicabilita’ nell’ordinamento nazionale delle norme della c.e.d.u..
In particolare, si intende far riferimento all’art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) il quale ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u., prevedendo testualmente che “lo Stato ha altresi’ diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”
E’ dunque appena il caso di precisare che qualora il cittadino espropriato fosse costretto a rivolgersi all’autorita’ giudiziaria nazionale ed alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per ottenere la piena tutela del diritto di proprieta’, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta contro lo stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno dell’amministrazione espropriante, proprio per effetto della previsione contenuta dal citato citato art. 16 bis/5 della legge n. 11/2005.
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orinetamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
E’ ben noto il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui in materia di credito di valuta (quale e’ certamente il credito per l’indennita’ di esproprio) spetta, oltre agli interessi legali, anche il maggior danno (Cass. SS.UU. 16.7.2008 n. 19499 e conformi Cass. Sez. III 28.6.2006 n. 14975; Cass. Sez. II 16.3.2006 n. 5860; Cass. Sez. III 27.10.2004 n. 20807; Cass. Sez. III 7.1.2004 n. 58 e Cass. Sez. I 22.2.2000 n. 1997). In conformita’ all’invocato indirizzo, il maggior danno puo’ essere liquidato anche in via presuntiva, tenendo conto delle caratteristiche soggettive del creditore, in funzione (tra gli altri parametri e per quanto interessa in questa sede) della qualita’ soggettiva del creditore. Nella fattispecie, il creditore e’ un imprenditore il quale, se avesse avuto la tempestiva disponibilita’ della somma spettante, l’avrebbe verosimilmente e presumibilmente investito nell’esercizio dell’attivita’ commerciale. La mancata disponibilita’ delle risorse finanziarie spettanti devono dunque essere reperite sul mercato bancario con oneri (interessi passivi quali il prime rate) a carico dello stesso creditore.
Del resto, si ritiene che – in conformita’ alle indicazioni fornite dalla stessa C.E.D.U. nel noto caso Scordino – la domanda possa trovare ragionevole accoglimento poiche’ essa e’ finalizzata a mantenere inalterato nel tempo il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso e’ stato espropriato. Va da se’ che tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione definitiva, al fine di mantenerlo costantemente adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla indennita’ di esproprio cosi’ rivalutata vanno poi calcolati altresi’ gli interessi legali, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalita’ diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione patrimoniale dell’espropriato quale era anteriormente al decreto di esproprio, ed avendo i secondi funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata.
$ $ $ $ $
Alla luce di quanto sopra, i ricorrenti di cui in premessa
R I C O R R O N O
a codesta Corte di Appello affinche’ voglia:
in via solidale tra di loro ed in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., al pagamento in favore degli istanti e/o al versamento presso il M.E.F. (e detratta l’indennita’ provvisoria gia’ versata) nella misura spettante ad ognuno dei ricorrenti:
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis comma 1 c.p.c.
A V V E R T O N O
i convenuti che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.
Ai fini istruttori:
Ai fini del contributo unificato dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che il relativo contributo unificato ammonta ad euro 225,00.
Sora/Roma 22.12.2011
Avv. Rocco Baldassini”
Nel giudizio di opposizione alla stima gia’ incardinato dinanzi a codesta Corte di Appello di Roma con il rito sommario di cui all’art. 29 d.lgs. n. 150/2011, si costituivano la societa’ OMISSIS srl e la societa’ Metro C s.c.p.a.. Il terzo soggetto convenuto OMISSIS non si costituiva in giudizio.
Le due citate societa’ costituite eccepivano preliminarmente in rito l’asserita inammissibilita’, improcedibilita’ ed irricevibilita’ del ricorso e la conseguente decadenza per asserita tardivita’:
Concesso alle parti il termine per il deposito di note autorizzate, con la ordinanza rep. n. 6865 del 13.7.2012 pubblicata in data 1.10.2012, codesta Corte di Appello di Roma:
Con riferimento alla inammissibilita’ per asserita tardivita’ del ricorso dichiarata nei confronti delle due societa’ costituite OMISSIS srl e la societa’ Metro C s.c.p.a., codesta Corte di Appello formulava la seguente testuale motivazione (vedi in particolare pagg. 8/11):
“rilevato che, come per altro esplicitato dai ricorrenti nelle note autorizzate depositate il 20 giugno 2012 (pag. 10), i decreti di espropriazione erano stati notificati il 26 ottobre 2011;
ritenuto che rispetto a tale data, quando era già entrato in vigore, sin dal 6 ottobre 2011, il d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, risulta tardiva la proposizione del ricorso, con il deposito presso la Cancelleria di questa Corte il 12 gennaio 2012, in quanto oltre il termine di trenta giorni statuito dall’ art. 30 comma 3 detto d.lgs.;
rilevato che, nelle richiamate note autorizzate, i ricorrenti hanno dedotto che non era applicabile il richiamato termine, dal momento che non si verteva nell’ipotesi di un’ opposizione alla stima peritale, dal momento che non era stata ancora determinata indennità di espropriazione definitiva, ma della domanda di accertamento di tale indennità, in relazione alla quale non era previsto alcun termine, richiamando in proposito, in ordine all’ammissibilità di tale domanda, la sentenza C. Cost. 20 febbraio 1990 n. 67;
ritenuto al riguardo di dover svolgere le seguenti considerazioni: nel caso in esame trovano applicazione le disposizioni di cui al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, atteso che, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 57 di tale decreto, la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, realizzando sugli immobili oggetto dei decreti di esproprio, va individuata nella delibera del C.I.P.E. n. 46 del 28 giugno 2007, successivamente all’entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del richiamato D.P.R. 327/2001. Orbene l’art. 22 comma 4 di tale decreto prevede che l’espropriato, se non condivide la determinazione della misura dell’indennità provvisoria di espropriazione, determinata in via d’urgenza, può chiedere, entro il termine di cui al comma 1, la nomina dei tecnici, ai sensi dell’art. 21 e, se non condivide la relazione finale, può proporre l’opposizione alla stima. La disposizione richiamata appare pertanto disporre che, quanto all’indennità provvisoria, determinata in via d’urgenza, all’espropriato è preclusa qualsivoglia opposizione, potendo esclusivamente chiedere la nomina dei tecnici ai sensi dell’art. 21 D.P.R. 327/2001.
E’ pur vero che la sentenza C. Cost. 20 febbraio 1990 n. 67 aveva affermato che l’effettività della tutela giurisdizionale, garantita dall’art. 24 Cost., postulava che l’espropriato potesse agire in giudizio per ottenere l’indennizzo, quanto meno dal momento in cui perdeva la proprietà del bene, né poteva consentirsi che, per le omissioni dell’amministrazione, egli rimanesse per un lungo e non definito tempo senza ristoro e paralizzato nella difesa.
Conseguentemente era incostituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., l’art. 19 legge 22 ottobre 1971 n. 865, come modificato dall’art. 14 legge 28 gennaio 1977 n. 10, nella parte in cui, pur dopo l’avvenuta espropriazione, non consentiva agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell’ indennità, finchè mancasse la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della stessa legge.
Per altro nel caso in esame non si applica ovviamente l’art. 19 legge 865/1971, espressamente abrogato, al pari di tutto il titolo II della menzionata legge 865/1971, dall’art. 58 n. 99) D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327. Né appare percorribile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 21 D.P.R. 327/2001, per cui sarebbe immediatamente opponibile la determinazione dell’indennità provvisoria, al fine di determinare quella definitiva.
Infatti, mentre l’impianto della legge 22 ottobre 1971 n. 865 non consentiva alcuna iniziativa propulsiva all’espropriato, ora l’ art. 22 comma 4 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 gli consente di chiedere la nomina dei tecnici ai sensi del precedente art. 21, nomina che, nel caso in esame, non risulta per altro essere stata richiesta dai ricorrenti, che non possono neppur lamentare l’inerzia dell’espropriante in relazione a quanto previsto dall’ art. 21 comma 3 D.P.R. 327/2001. Solo in presenza di tale inerzia omissiva sarebbe, al più, invocabile un’ interpretazione costituzionalmente orientata del cit. art. 21;
ritenuto pertanto inammissibile, nei confronti della s.r.l. OMISSIS e della s.p.a. Metro C, il ricorso quanto alla determinazione dell’ indennità di esproprio;
ritenuto, quanto alla domanda relativa alla determinazione dell’ indennità di occupazione, che la stessa è del pari inammissibile, stante il disposto dell’ art. 50 comma 3 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, né in assenza di alcuna istanza ai sensi del comma 2, e quindi di un’inerzia omissiva dell’amministrazione, è del pari invocabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma;
ritenuto quindi, anche con riferimento a detta indennità, di dover dichiarare inammissibile il ricorso;
ritenuto che, quando pur procedibile il ricorso nei confronti di OMISSIS, sarebbe comunque inammissibile per le stesse motivazioni illustrate in relazione alle altre due parti resistenti”.
Con riferimento invece alla improcedibilita’ del ricorso dichiarata nei confronti di OMISSIS, codesta Corte di Appello formulava la seguente testuale motivazione:
“Il Supremo Collegio ha affermato che, nei procedimenti che si svolgono con il rito camerale, l’omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di fissazione udienza determina l’improcedibilità dell’appello, in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154 c.p.c., si determina la decadenza dell’attività processuale cui è finalizzato, in mancanza d’istanza di proroga prima della scadenza. Tale sanzione non è esclusa dalla mancata comunicazione a cura della cancelleria del decreto di fissazione udienza, poiché nei procedimenti camerali, il Giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporne la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione all’esito del proprio ricorso (Cass. Sez. I 15 dicembre 2011 n. 27086).
Tale principio è ovviamente applicabile anche con riferimento al procedimento sommario di cognizione, quale il presente, conformato al rito camerale.
[…]
Va tuttavia osservato che lo stesso quadro costituzionale di riferimento è mutato, rispetto al momento in cui furono emanate tali pronunce, per effetto della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, che ha novellato l’art. 111 Cost..
In particolare la disposizione relativa alla ragionevole durata del processo incide in termini acceleratori su qualsivoglia interpretazione costituzionalmente orientata. D’altro canto la ragionevole durata può essere assicurata anche attraverso la collaborazione della parte privata, onerata di verificare, per quanto interessa il presente giudizio, il deposito ed il contenuto, con specifico riferimento al termine per la notificazione, del decreto del presidente di fissazione dell’ udienza per la comparizione della parti. Detta collaborazione.
A sua volta, può trovare un fondamento costituzionale nella disposizione di cui all’art. 54 Costituzione, secondo l’interpretazione datane da pur minoritaria dottrina, secondo la quale l’ obbligo di osservare le leggi della Repubblica Italiana impone non un mero rispetto formale, ma il perseguimento del fine cui la norma è diretta;
ritenuto pertanto, all’esito di quanto esposto, che il ricorso va dichiarato improcedibile nei confronti di OMISSIS;
ritenuto, quanto alle altre due parti, che la loro costituzione, ha sanato ogni tardività della notificazione del ricorso ex art. 164 comma 3 c.p.c. e che la rimessione, disposto dal Consigliere Istruttore con l’ordinanza del 26 aprile 2012, della causa al Collegio per l’ udienza del 10 luglio 2012, con termine sino al 20 giugno 2012 per il deposito note, ha comunque consentito il rispetto del termine ex art. 702 bis comma 3 c. p.c.”
Con sentenza n. 5517/2017 depositata il 6.3.2017, la Corte di Cassazione ha annullato la citata ordinanza emessa da codesta Corte di Appello con la seguente testuale motivazione:
“Che del resto l’art. 54 citato, nella parte in commento, comprenda due azioni a tutela dell’espropriato è opinione ben salda nella giurisprudenza di questa Corte che anche di recente, in motivazione, ha ribadito che <l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio è, dunque, testualmente prevista dalla norma in esame, in aggiunta a quella di opposizione alla stima, come attestato dal contestuale utilizzo della congiunzione e dell’avverbio <e comunque> e costituisce la codificazione del principio, costantemente affermato da questa Corte (Cass. n. 17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001), secondo cui, una volta emanato il provvedimento ablativo sorge contestualmente, ed è per ciò stesso immediatamente azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui art. 42 Cost., che si sostituisce al diritto reale, va determinato in riferimento alle caratteristiche del bene alla data del provvedimento, e non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa>. (Cass., Sez. 1^, 9/11/2016, n. 22844).
[…]
Il motivo è fondato e la sua fondatezza assorbe il terzo motivo di ricorso, giusta il quale i ricorrenti denunciano la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 4, poichè il giudice territoriale anzichè dichiarare improcedibile il ricorso nei confronti di OMISSIS avrebbe dovuto verificarne preliminarmente “la legittimazione passiva “, con la conseguenza che in caso negativo ne avrebbe dovuto dichiarare il relativo difetto.
Quanto al motivo accolto va osservato che, sebbene trattasi di un procedimento speciale, il procedimento disciplinato dall’art. 702 bis c.p.c. e segg., costituisce un modello processuale alternativo al processo di cognizione ordinaria, al quale esso si affianca replicandone le finalità in quanto anche “per questa via si perviene all’accertamento del diritto come vi si giunge attraverso la via tracciata dall’art. 163 c.p.c. e ss.”, e dal quale tuttavia si differenzia sotto i tratti distintivi di una trattazione e di un istruttoria ispirata al principio di un’accentuata semplificazione. Di ciò è traccia, significativamente, nella regolazione della fase introduttiva del giudizio che adotta la forma del ricorso e contiene in termini volutamente brevi i tempi di instaurazione del contraddittorio, ma nella fedeltà alla comune radice che lo lega al modello della cognizione ordinaria si dà cura di prescrivere che il ricorso “deve contenere le indicazioni di cui ai nn. 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al n. 7), del terzo comma articolo 163”. Questo dà modo di credere, sebbene sul punto la disciplina di legge risulti alquanto laconica, che in caso di inosservanza dei requisiti afferenti tanto all’editio actionis che alla vocatio in ius si renda senz’altro applicabile, allorchè il convenuto non si costituisca e non sani con la propria costituzione il vizio rilevato, la regola della rinnovazione dell’atto introduttivo nullo ai sensi dell’art. 164 c.p.c. , con l’assegnazione da parte del giudice di un termine perentorio per provvedere ad una nuova notificazione.
In questi termini si è del resto già espressa questa Corte (Cass., Sez. 2^, 29/09/2015, n. 19345) non solo rilevando la piena applicabilità al procedimento di cognizione sommaria dell’art. 164 citato, nella specie enunciata in relazione al caso del mancato avvertimento di cui all’art. 163 c.p.c. , comma 3, n. 7, rispetto al quale la Corte, prendendo atto della costituzione del convenuto, ha ritenuto per l’appunto applicabile l’art. 164 c.p.c. , comma 3. Ma anche osservando con più diretto riferimento al caso che ne occupa – anche nella fattispecie affrontata nell’occasione era stata dedotta la perentorietà del termine previsto per la notificazione del ricorso – che la situazione processuale che in tal caso si delinea è del tutto sovrapponibile, in quanto in entrambi i casi si tratta di un procedimento in unico grado di merito introdotto con ricorso, a quella che è stato oggetto di un pertinente arresto delle Sezioni Unite, “le quali hanno affermato, con sentenza n. 5700/14, che in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge. Ne consegue che il giudice, nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica”.
E’ dunque di chiara evidenza l’errore processuale in cui si è imbattuto il giudice di merito allorchè, di fronte alla notificazione alla convenuta OMISSIS del decreto di fissazione fuori termine e alla mancata comparizione di costei all’udienza fissata, in luogo di assegnare ai ricorrenti un nuovo termine per procedere alla rinnovazione della notifica nell’osservanza dei tempi previsti dall’art. 702 bis c.p.c., comma 3, ha invece ritenuto puramente e semplicemente improcedibile il ricorso giudicando erroneamente perentorio il termine per la notificazione e violando quindi la regola della rinnovazione”.
Infine, va aggiunto che con la citata sentenza, la Corte di Cassazione ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della societa’ OMISSIS Serbatoi s.n.c., in quanto l’opposizione all’indennita’ di esproprio e’ preclusa a chi sia semplicemente titolare, come la detta societa’, di un diritto relativo di godimento sul bene che ne e’ oggetto.
La quantificazione delle spese del giudizio per il grado di legittimita’ e’ stata demandata a codesta Corte di Appello dalla Corte di Cassazione.
Con il presente ricorso, i ricorrenti (fatta eccezione per la citata societa’) intendono procedere, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., alla riassunzione della causa dinanzi a codesta Corte di Appello.
A tal fine, nel confermare integralmente il contenuto, i motivi e le domande dell’iniziale ricorso introduttivo (il cui testo e’ stato integralmente riportato in precedenza), i nominativi di cui in premessa (esclusa la citata societa’)
R I C O R R O N O
in riassunzione ex art. 392 c.p.c. a codesta Corte di Appello affinche’ voglia:
OMISSIS
in via solidale tra di loro ed in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., al pagamento in favore degli istanti e/o al versamento presso il M.E.F. (e detratta l’indennita’ provvisoria gia’ versata) nella misura spettante ad ognuno dei ricorrenti:
Vittoria di spese, anche per il giudizio di legittimita’ la cui liquidazione e’ stata demandata a codesta Corte di Appello dalla Corte di Cassazione.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis comma 1 c.p.c.
A V V E R T O N O
i convenuti che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.
Ai fini istruttori:
Ai fini del contributo unificato dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che il relativo contributo unificato ammonta ad euro 259,00.
OMISSIS