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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
R I C O R S O
per la signora OMISSISV rappresentata e difesa nel presente giudizio giusta procura speciale per Notaio……………… dall’Avv. OMISSIS i ed elettivamente domiciliata in OMISSIS presso l’Avv. OMISSIS
C O N T R O
il Comune di OMISSIS in persona del legale rappresente p.t.
PER LA CASSAZIONE
della n. OMISSIS/09 pubblicata in data 12.6.2009 emessa dal Consiglio di Stato a definizione del giudizio ric. n. 2892/2008.
COMUNICAZIONI DI CANCELLERIA
Ai fini delle comunicazioni di cancelleria di cui all’art. 366 u.c. c.p.c. come modificati dall’art. 2 d.l. 14.3.2005 n. 35 convertito dalla legge 14.5.2005 n. 80, si chiede che tutte le comunicazioni di cancelleria siano effettuate a mezzo fax mediante invio dei relativi avvisi al numero OMISSIS8.
F A T T O
La ricorrente era proprietaria di un compendio immobiliare sito nel Comune di OMISSIS oggetto del decreto di esproprio n. 3 del 1.4.1983 emesso in vista della realizzazione del piano p.e.e.p.
In particolare trattasi dei fondi distinti in catasto al foglio OMISSIS particelle OMISSIS (all’interno della quale e’ ricompressa la particella OMISSIS del catasto urbano indicativa di un’antica costruzione contadina) e parte delle particelle OMISSIS sono stati oggetto del decreto di esproprio n. OMISSIS del 1.4.1983 e mai materialmente occupati o in qualche modo utilizzati dall’espropriante (attualmente trattasi delle particelle OMISSIS).
Con sentenze n. OMISSIS emesse dal Tar Puglia Bari confermate dalla sentenza n. OMISSIS del C.d.S., veniva annullato il piano p.e.e.p. del Comune di OMISSIS per sovradimensionamento rispetto all’effetti fabbisogno abitativo. Tali sentenze venivano emesse su ricorso proposto non dalla ricorrente signora OMISSIS Chiara ma da altro proprietario destinatario della espropriazione.
Con ricorso notificato il 23.1.2004 iscritto al n. OMISSI S, la signora OMISSIS Chiara – invocando le indicate sentenze di annullamento emesse (ripetesi) a definizione di giudizi dei quali la stessa non era parte ed affermando di essere sempre rimasta nella disponibilita’ e nella detenzione dei terreni espropriati – chiedeva al Tar Pugli Bari che il Comune di OMISSIS fosse condannato al risarcimenti dei danni ed in particolare anche nella forma del risarcimento in forma specifica, con la restituzione delle aree espropriate.
Con sentenza n. OMISSISil Tar Puglia Bari rigettava la domanda restitutoria e quella risarcitoria spiegata dalla ricorrente.
Avverso tale sentenza, la signora OMISSIS spiegava appello al C..d.S. con, con sentenza OMISSIS/2009 impugnata in questa sede, rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado.
M O T I V I
Con la citata sentenza n. OMISSIS il Tar Puglia Bari ha respinto le domande introdotte dalla ricorrente con la motivazione (per quanto interessa in questa sede) che “la declaratoria di pubblica utilita’ nei confronti della ricorrente, in quanto mai gravata, resta pienamente valida ed efficace nei suoi confronti e cosi’ il decreto di esproprio, l’una e l’altro del tutto insensibili al giudicato amministrativo invocato formatosi solo tra le parti del relativo giudizio” (pag. 20 da rigo 14 a rigo 18).
Con la sentenza n. OMISSIS/2009 impugnata in questa sede, il C.d.S. ha respinto il gravame spiegato dalla ricorrente con la motivazione:
Si ritiene che la sentenza impugnata in questa sede si ponga sulla scia del noto orientamento della giurisprudenza amministrativa che fa capo alla cosiddetta “pregiudizialita’ amministrativa”, nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi.
Nel sistema normativo conseguente alla legge n. 205/2000, l’autonoma domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per attività provvedimentale asseritamente illegittima – e che, dunque, investe, in linea di principio, una posizione di interesse legittimo – va rivolta al giudice amministrativo, il quale non può rifiutarsi di esercitare su di essa la propria giurisdizione a motivo della mancata pregiudiziale impugnazione del provvedimento del quale si predica l’illegittimità (Cass. SS.UU. n. 23741/2007).
E’ peraltro ben nota l’ordinanza n. OMISSIS con la quale codesta Corte di Cassazione SS.UU. ha stabilito:
Ai fini della ammissibilita’ della denunciata violazione e falsa applicazione delle norme di legge in epigrafe (sotto un unico ed articolato profilo) si ritiene che risultino soddisfatte le condizioni richieste dalla giurisprudenza di legittimita’ che vuole che siano indicate:
Alla luce di quanto premesso, appare gia’ con sufficiente chiarezza che la sentenza impugnata si rileva illegittima laddove ha negato alla ricorrente la tutela risarcitoria richiesta (in forma specifica mediante la restituzione delle aree espropriate) con la motivazione che la stessa non avrebbe preventivamente ottenuto l’annullamento degli atti amministrativi ritenuti lesivi. Peraltro, nella fattispecie l’illegittimita’ della sentenza appare ancor piu’ aggravata dalla circostanza che gli atti amministrativi produttivi di danno per la ricorrente erano gia’ stati dichiarati illegittimi con le sentenze passate in giudicato indicate in precedenza (sia pure emesse su ricorso di altri proprietari).
Ritiene questa difesa che si tratta dunque di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui la Costituzione u.c. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato e che l’art. 374/1 c.p.c. in relazione all’art. 362/1 c.p.c. attribuisce alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, attraverso il mezzo del ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione.
Prima di approfondire l’indagine, appare opportuno delimitare lo stesso ambito della questione.
La legge 6 dicembre 1971, n. 1034 art. 7, comma 3 – dopo le modifiche che vi sono state apportate con il d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 art. 35 e con la legge 21 luglio 2000 n. 205 art. 7 – dispone che il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione e perciò pure nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno.
La Corte costituzionale, prima con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204 poi con la sentenza 11 maggio 2006 n. 291, ha segnalato il fondamento di legittimità di questa attribuzione e lo ha indicato nell’art. 24 Cost., perciò nel principio di effettività della tutela giurisdizionale, il quale richiede che il giudice cui è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione sia munito di adeguati poteri.
Sia il Consiglio di Stato e sia codesta Corte a Sezioni Unite hanno in seguito affermato, in modo costante e coerente, che spetta al giudice amministrativo, in presenza di atti della p.a., espressione di potere, ma connotati da illegittimità e di fatto lesivi, dare tutela al privato anche in forma risarcitoria.
Ragione di permanente incertezza deriva invece dal dissenso tra le Corti su un diverso punto.
Codesta Suprema Corte, a sezioni unite, con le ordinanze n. 13659 e n. 13660 del 2006 ha affermato che, di fronte ad un atto della p.a. che ne sacrifica l’interesse o manca di realizzarlo, la parte, che ha l’onere di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere tutela, può scegliere di chiedere il solo risarcimento del danno.
Per contro, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ribadito l’orientamento per cui la tutela risarcitoria degli interessi legittimi presuppone che la illegittimità sia accertata e perciò, quando l’atto non sia stato già annullato, in sede amministrativa o dal giudice, la domanda risarcitoria non può essere da lui esaminata, se non in presenza di una tempestiva domanda di annullamento.
Codesta Suprema Corte, a sezioni unite, nelle ordinanze del 2006, tratta la conclusione che la legge 21 luglio 2000 n. 2005 all’art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, ha osservato testualmente che “Tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l’illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento nè il diritto al risarcimento può essere per sè disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione”.
Tale impostazione è stata successivamente ribadita anche dalle Sezioni Unite con reiterate pronunce.
Tuttavia l’impostazione merita ulteriori approfondimenti.
Contro le decisioni della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione – così il terzo comma dell’art. 111 Cost., divenuto l’ottavo dopo la L. Cost. 23 novembre 1999 n. 2 “Inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 Costituzione”.
La norma delimita ed al tempo stesso descrive, attraverso l’espressione “per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”, l’ambito ed i limiti del sindacato per violazione di legge che la Corte a Sezioni Unite può compiere anche sulle sentenze dei giudici speciali, quando ad essere impugnata sia una decisione del giudice amministrativo.
Va da se’ che primo e necessario interprete della norma è codesta stessa Suprema Corte, chiamata a conformare l’esercizio del suo potere giurisdizionale in questo campo sul significato che all’espressione deve essere riconosciuto.
Anche a proposito di questa norma, l’interpretazione deve tenere conto della evoluzione che nel tempo l’ordinamento ha conosciuto.
Evoluzione caratterizzata da una molteplicità di fattori. Tra questi, il rapporto tra diritto comunitario ed ordinamento interno ed il ruolo della giurisdizione nel rendere effettivo il principio del primato del diritto comunitario; la rimozione del limite alla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, la caduta del limite dei diritti consequenziali in rapporto alla tutela risarcitoria dei diritti nell’ambito della giurisdizione esclusiva e l’estensione ai diritti consequenziali d’ogni forma di tutela pertinente alla giurisdizione del giudice amministrativo; la coeva progressiva espansione della giurisdizione esclusiva [rispetto alle nove ipotesi regolate dal R.D. 22 giugno 1924 n. 1054 art. 29 (T.U.)]; il rilievo assunto dal canone della effettività della tutela e dal principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina; la riaffermazione del rilievo costituzionale del principio del giusto processo; il nuovo ruolo assunto nell’ordine delle fonti dal diritto pattizio internazionale; l’emersione, come corollario del principio di effettività, della regola di conservazione degli effetti prodotti sul piano processuale e sostanziale dalla domanda di giustizia.
Giurisdizione – come e’ ben noto – è termine che può essere inteso in diversi modi.
Nella Costituzione non è oggi possibile dubitare che per giurisdizione deve essere inteso non in sè il potere di conoscere di date controversie, attribuito per una specifica parte a ciascuno dei diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma quel potere che la legge assegna e che è conforme a Costituzione che sia assegnato ai giudici perchè risulti attuata nel giudizio la effettività dello stesso ordinamento.
Giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa ai fini del presente giudizio, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l’ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento.
Ciò evidentemente e’ possibile desumere dalla convergenza di più norme della Costituzione:
Se dunque appartiene alla sfera della giurisdizione l’interpretazione della norma che l’attribuisce, vi appartiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi appartiene anche in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall’ordinamento risulti realizzata, dall’altro i presupposti del loro esercizio.
Ai fini del presente giudizio dunque occorre dare giustificazione dell’assunto che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che conferisce contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca.
La giustificazione può essere svolta avendo riguardo alla tutela risarcitoria come aspetto della giurisdizione esclusiva.
La Legge TAR, art. 7, comma 3 – riproducendo nella sostanza la disposizione contenuta nel R.D. n. 1054 del 1924, art. 30, comma 2, sul Consiglio di Stato – aveva stabilito che nelle materie deferite alla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi restavano riservate all’autorità giudiziaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre.
Ma, intervenuto la legge 19 febbraio 1992, n. 142, art. 13, in adempimento degli obblighi comunitari ed affermatosi con la sentenza 22 luglio 1999 n. 500 delle sezioni unite il principio per cui, di fronte ad un esercizio illegittimo della funzione pubblica, diritto al risarcimento del danno ingiusto v’era in presenza del sacrificio di una qualsiasi situazione di interesse rilevante da cui fosse derivato danno, la tutela risarcitoria era divenuta ammissibile davanti al giudice ordinario come tutela autonoma, salvi i casi di giurisdizione esclusiva estesa ai diritti consequenziali.
La disposizione è poi ricaduta nell’ambito di applicazione della norma abrogante dettata dal d.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 5, sostituito dalla legge n. 205 del 2000, art. 7, lett. c), con cui si è stabilito che fosse abrogata ogni disposizione che prevedeva la devoluzione al giudice ordinario delle “controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi”.
Con la L. n. 205 del 2000, art. 7, lett. c), è stato anche sostituito il d.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 1, ed è stato stabilito che “Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”.
Orbene, a proposito della legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 1, si deve muovere dal considerare quanto ha osservato la Corte Costituzionale non solo nelle sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006, ma anche nella sentenza 77 del 2007.
La sentenza della Corte sul tema della translatio iudicii – che trae le conseguenze dal parallelo attuale significato della competenza e della giurisdizione – si presenta innervata da tre ordini di considerazioni.
La pluralità dei giudici costituisce una articolazione interna di un sistema di organi nel suo complesso deputato a dare una risposta di merito alla domanda di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi.
Se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva e tanto più riesce ad esserlo in quanto siano messe a frutto le distinte competenze dei vari ordini di giudici; una volta che la domanda di giustizia sia formulata; le norme processuali, che sono destinate ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale in funzione della migliore decisione, debbono prevedere i congegni che consentono di riparare l’errore compiuto della parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l’errore del giudice nel denegare la giurisdizione, perchè altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo migliore soddisfacimento.
Come a questa esigenza è informato il sistema delle norme che presiedono alla distribuzione delle competenze nell’ambito dello stesso ordine di giudici, così gli artt. 24 e 111 Cost., impongono che ciò sia per il sistema delle norme che regolano il riparto della competenza giurisdizionale tra i diversi ordini di giudici.
I principi di unità funzionale della giurisdizione e di effettività della tutela giurisdizionale sono anche alla base delle precedenti decisioni in tema di giurisdizione esclusiva.
Nella sentenza 191/2006 la Corte Costituzionale ha messo in rilievo l’importanza dell’osservazione già fatta nella sentenza 204/2004: non costituire altra materia di giurisdizione esclusiva l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di risarcire il danno subito dalla parte a causa delle illegittime modalità di esercizio della funzione amministrativa.
E da un lato ne ha descritto il valore, di “attribuzione alla giurisdizione amministrativa della tutela risarcitoria – non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario”; da altro lato ne ha rinvenuto il fondamento di legittimità costituzionale “nella esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica”, (all’uopo richiamando la sentenza 22 luglio 1999 n. 500/SU di questa Corte).
Il senso di quest’impostazione – secondo la spiegazione che ne ha dato la Corte Costituzionale – sta in ciò che, siccome giudice naturale della legittimità della funzione pubblica è il giudice amministrativo, gli artt. 24 e 111 Cost., che postulano l’effettività della tutela giurisdizionale, vengono a porsi come una sufficiente base di legittimazione sul piano costituzionale per una scelta, che trascende la qualificazione sostanziale della pretesa risarcitoria, per concentrare davanti ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio di quella funzione.
La giustificazione che sul piano costituzionale quella Corte ha dato a proposito delle disposizione dettata dall’art. 35, comma 1, e che l’ha condotta a negare che la domanda del cittadino vada rivolta al giudice ordinario per ciò solo che abbia come oggetto esclusivo il risarcimento del danno è stata dunque, che essa è valsa a realizzare una giurisdizione piena del giudice della funzione pubblica in nome della effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione.
Orbene, quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento.
E perciò, presupposto, in ipotesi, che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela.
Ed infatti, tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un’interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma.
Ma ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all’esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l’attribuzione al giudice amministrativo.
Rientra d’altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un’interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma.
E’ pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla gIurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito.
Ai fini della denunciata illegittimita’ della sentenza impugnata, altro punto di riferimento è rappresentato dall’art. 113 Cost., commi 1 e 2, e dal precetto in essi contenuto, che è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa e che tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.
Il precetto è venuto ad assumere ulteriore concretezza a cavallo della fine del ‘900, quando, con il d.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, la riflessione compiuta dalle sezioni unite con la sentenza 500 del 1999 sulla vicenda della risarcibilità degli interessi legittimi e la disciplina al riguardo introdotta infine con la legge 21 luglio 2000, n. 205, ha finito con l’essere acquisito che, se l’ordinamento protegge una situazione di interesse sostanziale, in presenza di condotte che ne impediscono o mancano di consentirne la realizzazione, non può essere negato al suo titolare almeno il risarcimento del danno, posto che ciò costituisce la misura minima e perciò necessaria di tutela di un interesse, indipendentemente dal fatto che la protezione assicurata dall’ordinamento in vista della sua soddisfazione, sia quella propria del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo.
Lo sbocco cui conduce il confluire di questa acquisizione nell’alveo dei principi desunti dagli artt. 24 e 113 Cost., è che, per i diritti soggettivi come per gli interessi, spetta al loro titolare tutela sul piano risarcitorio e, se a questa si aggiunge altra forma di tutela, spetta al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale far ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall’essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso la condotta altrui.
L’ordinamento, come assoggetta con norme di diritto sostanziale l’esercizio dei diritti a termini di prescrizione o di decadenza, così dispone con norme di diritto processuale circa i tempi di accesso alla tutela giurisdizionale; esclude in casi specifici determinate situazione soggettive dall’attribuzione di una tra le forme di tutela invece in via generale riconosciute a situazioni dello stesso tipo e, quando riconosce più forme di tutela in concorso tra loro, può prevedere regole di coordinamento nell’atto di farle valere.
E’ in questo quadro che si inserisce il tema del rapporto tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rispetto alle situazioni di interesse legittimo.
La elaborazione giurisprudenziale di questo sistema sembra non escludere la possibilità che in sede di azione di danni si abbia un accertamento incidentale circa l’illegittimità dell’atto non impugnato.
Il diritto civile presenta in campo societario una specifica disciplina della invalidità delle delibere delle società di capitali.
Dove è negata la legittimazione all’azione di annullamento ed è data l’azione di danni (art. 2377 cod. civ., comma 4), il termine per proporre la domanda di risarcimento non è diverso da quello dell’azione di impugnazione (art. 2377 cod. civ., comma 6).
V è dunque, la specifica previsione di un termine di esercizio per l’azione di danno.
D’altro canto, il diritto societario prevede ipotesi, in cui non si può pronunciare l’invalidità della delibera, ma la si può accertare in funzione della condanna al risarcimento del danno (art. 2377 cod. civ., penultimo comma; art. 2379 ter cod. civ., comma 2 e art. 2504 quater cod. civ., comma 2).
E’ dunque la tutela demolitoria ad essere impedita – dalla sostituzione della delibera o dalla sua avvenuta esecuzione – non lo stesso accertamento dell’invalidità della delibera, in funzione della ammessa tutela risarcitoria
E’ stato assunto pero’ che dalla legge TAR, art. 7, comma 4 – quale è risultato dalle modificazioni, che vi sono state apportate, per il tramite del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 35, comma 4, dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 – si trae che il previo annullamento dell’atto impugnato costituisca presupposto del riconoscimento di un diritto al risarcimento.
Ciò, perchè il risarcimento v’è detto eventuale ed è considerato quale oggetto di un diritto, che come specie rientra tra gli altri diritti patrimoniali consequenziali.
E perché vi si dice che il tribunale conosce “di tutte le questioni relative al risarcimento del danno” e non – come in disposizioni dettate in tema di giurisdizione esclusiva – anche delle “controversie risarcitorie”.
Se non che, se il significato da attribuire alla disposizione fosse questo, la replica sarebbe allora che la norma ha tratto alla tutela risarcitoria che completa quella di annullamento e non alla tutela risarcitoria autonoma, che è oggetto di discussione.
Che la tutela risarcitoria autonoma rientri tra quelle che secondo l’ordinamento pertengono all’interesse legittimo deriva dalla natura sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva e, se corrisponde alle viste esigenze di effettività della tutela giurisdizionale degli interessi che ad erogarla sia il giudice amministrativo, non può poi dipendere da questo che la fruizione concreta di tale tutela sia condizionata da un presupposto che attiene invece alla tutela di annullamento.
E’ noto infatti che la tutela giurisdizionale si dimensiona su quella sostanziale e non viceversa.
E perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l’atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell’adottarlo e poi nell’eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell’atto neppure sia stato poi chiesto l’annullamento.
Lo stesso vale a proposito del comportamento consistito nel mantenere l’atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno.
Pensare diversamente significa trasformare l’onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l’annullamento in un dovere della parte di collaborare con l’amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti.
Passando poi dal piano del diritto sostanziale a quello del diritto processuale, la pregiudizialità dell’annullamento non può essere desunta sul piano sistematico da caratteristiche che si dicono intrinseche alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto giudice cui è commessa rispetto agli interessi legittimi la tutela demolitoria.
Dal fatto che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, non abbia il potere di dichiarare il dovuto modo d’essere del rapporto, ma solo quello di accertare la illegittimità dell’atto ed annullarlo, sì che è all’amministrazione che torna a spettare di dover provvedere (peraltro nel rispetto dell’effetto conformativo della pronuncia di annullamento), non segue che non possa accertare la responsabilità derivante alla P.A. dall’esercizio illegittimo della funzione.
Oggetto della domanda di risarcimento del danno è il diritto a ad ottenerlo e su ciò si forma il giudicato, mentre l’accertamento sui singoli aspetti della situazione di fatto che genera la responsabilità sono accertati in via incidentale.
Quando si discute sul se spetti il diritto al risarcimento del danno, per pervenire a riconoscerlo, si deve accertare che la parte ha subito un danno per effetto della mancata realizzazione del suo interesse e questo a causa dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica e dunque si esercita un potere che nulla ha a che vedere con quello di disapplicazione, che al contrario consiste nel tenere per non prodotti quegli effetti di un atto, che rilevano come presupposto della legittimità del provvedimento, esso oggetto della domanda di annullamento.
Ecco allora che la teoria della pregiudizialità affonda del resto la sua origine in presupposti che l’attuale stadio di evoluzione della tutela giurisdizionale degli interessi mostra non essere più riferibili all’intero spettro di questa.
Più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all’impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso (Legge TAR, art. 21, comma 1, modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 1); al potere del giudice di negare l’annullamento dell’atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 1, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 21 bis); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell’istanza nei casi di silenzio (L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 5, come modificato dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, in sede di conversione del D.L. 14 marzo 2005, n. 35.
Non mancano i casi in cui l’annullamento non è in grado di procurare alcuna soddisfazione all’interesse protetto, perchè era in gioco il solo interesse del ricorrente ed è trascorso il tempo in cui avrebbe potuto esserlo: ed allora, per ammettere il ricorso, si è costretti a postulare un interesse all’annullamento, perchè questo sarebbe il tramite necessario per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno.
Si può dunque sostenere che la parte, titolare d’una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anzichè a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l’atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.
Si deve allora concludere che proposta al giudice amministrativo la domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento.
In forza di quanto premesso, la ricorrente
C H I E D E
che sia cassata ed annullata la sentenza n. OMISSIS/09 pubblicata in data 12.6.2009 emessa dal Consiglio di Stato a definizione del giudizio ric. n. OMISSIS.
Vittoria di spese.
Ai fini del contributo unificato si dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che pertanto il relativo importo ammonta ad euro 340,00.
OMISSIS