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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGINALE DELLA OMISSIS
R I C O R S O
OMISSIS
rappresentati e difesi nel presente giudizio dall’Avv. OMISSIS giusta procura speciale rep. n. OMISSIS del 2.8.2013 per Notaio OMISSIS la signora OMISSIS e giusta procura speciale rep. n. OMISSIS del 15.11.2012 e rep. n. OMISSIS del 16.11.2012 per Notaio OMISSIS tutti gli altri ed elettivamente domiciliati in OMISSIS , spiegano il presente ricorso
C O N T R O
il Comune di OMISSISin persona del legale rappresentante p.t.
F A T T O
Con sentenza n. OMISSIS (doc. n. 1), il Consiglio di Stato, investito dell’appello spiegato dal Comune di OMISSIS per l’annullamento della sentenza n. OMISSIS del Tar OMISSIS che aveva accolto il ricorso n. OMISSIS proposto dai ricorrenti avverso gli atti del procedimento di esproprio relativi alla costruzione di una scuola media nella frazione OMISSIS :
Con deliberazione della giunta municipale n. OMISSIS del 3.6.1985 (doc. n. 4), il Comune di OMISSIS approvava il contratto preliminare di cessione bonaria sottoscritto in data 30.5.1985.
Cio’ premesso, si rende necessario aggiungere:
Spirato infruttuosamente il termine finale del 31.1.1990 previsto per la ultimazione delle espropriazione ai fini della pubblica utilita’ (e – per quanto possa rilevare in questa sede – anche il termine del 31.1.1986 previsto per la sottoscrizione del contratto definitivo di cessione bonaria), veniva a determinarsi la seguente situazione per effetto della quale:
Al fine di porre rimedio alla indicata situazione, con istanza del 26.8.2013 i ricorrenti hanno chiesto al comune di attivare e concludere il procedimento diretto ad emettere il decreto di acquisizione sanante secondo la previsione dell’articolo 42 bis d.p.r. n. 327/2001, delle aree ancora di proprieta’ dei ricorrenti medesimi, illegittimamente occupate e trasformate a seguito della costruzione della scuola media in frazione OMISSIS e di corrispondere agli stessi l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale nonche’ il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione “sine titulo” delle stesse.
Con il presente giudizio, i ricorrenti, in via principale, intendono impugnare il silenzio formatosi sulla citata istanza di emissione del decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 ed, in subordine, intendono chiedere comunque che il comune sia condannato alla cessazione immediata dell’occupazione “sine titulo” dei terreni di proprieta’ dei ricorrenti e per l’effetto a valutare e decidere se intenda procedere o meno ad acquisire ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non retroattivamente al patrimonio indisponibile i terreni occupati “sine titulo” con la ulteriore condanna (in tale ipotesi) dell’amministrazione o a raggiungere e concludere un accordo bonario con i proprietari ovvero (in caso di mancato accordo) ad emettere il decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 ed, in entrambi i casi, al pagamento delle somme indennitarie e risarcitorie ivi previste.
M O T I V I
L’esame della fattispecie deve necessariamente prendere le mosse dalla trattazione della questione pregiudiziale concernente la verifica se l’accordo bonario del 30.5.1985 sottoscritto dalle parti abbia o meno ancora una qualche efficacia.
Si premette immediatamente che la circostanza che le parti abbiano raggiunto il citato accordo sulla indennita’ di esproprio e sull’impegno a firmare il contratto definitivo di cessione bonaria si rileva del tutto irrilevante alla luce della mancata emissione del decreto di esproprio e del mancato perfezionamento del relativo procedimento e certamente non rappresenta un elemento ostativo all’accoglimento della domanda spiegata nel presente giudizio.
E’ ben noto infatti il principio stabilito dalla giurisprudenza (sia della Corte di Cassazione sia del Consiglio di Stato) secondo cui, a seguito della mancata tempestiva conclusione del procedimento di esproprio (mediante la emissione del decreto di esproprio ovvero mediante la stipula del contratto di cessione bonaria), il negozio stipulato tra la pubblica amministrazione ed il privato – avente ad oggetto il concordamento della sola indennita’ di esproprio – deve ritenersi caducato, travolto e privato di efficacia.
In realta’ ed in conformita’ alla richiamata giurisprudenza, l’accordo sulla indennita’ di esproprio e’ implicitamente, strutturalmente e funzionalmente condizionato alla legittima conclusione del procedimento di esproprio (conclusione che si perfeziona con il decreto di esproprio ovvero con il contratto di cessione bonaria). In altri termini, l’accordo sulla indennita’ non ha autonomia propria e non vive di vita propria, ma rappresenta un atto endoprocedimentale collocato all’interno del procedimento di esproprio.
In sostanza, l’accordo bonario avente ad oggetto l’indennita’ di esproprio, non possedendo valenza sostitutiva degli atti conclusivi e dunque non essendo idoneo a trasferire la proprieta’ privata in capo alla p.a., perde ogni efficacia qualora il procedimento, come appunto nel caso in esame, non si concluda legittimamente con il decreto di esproprio ovvero con il negozio di cessione bonaria.
“In realta’, come e’ stato messo in rilievo dalla corte territoriale e come affermato da questa Corte nella stessa sentenza richiamata dal comune a sostegno della propria censura, l’eventuale accordo tra il proprietario del bene e la p.a. sull’ammontare dell’indennita’ perde di efficacia ove il procedimento non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio…” (Cass. sezione VI 30.5.2013 n. 13685) (doc. n. ).
“…la giurisprudenza della Suprema Corte e’ assolutamente consolidata sui seguenti principi: 1) L’accordo sull’indennità di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, non ha alcun effetto traslativo della proprieta’ del bene, ma si inserisce nel procedimento ablativo – avendo pertanto natura negoziale pubblica – nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso, ma sono tuttavia condizionate alla sua conclusione, cioe’ alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante. 2) Ne consegue che, qualora tali condizioni manchino, la procedura espropriativa non si perfeziona e si ha la caducazione degli accordi e degli atti compiuti nella sua pendenza. E l’intervenuto accordo sulla determinazione dell’indennizzo non toglie all’accettante la possibilita’ di far valere eventuali illegittimita’ della procedura espropriativa e/o di richiedere la determinazione giudiziale dell’indennita’ di occupazione (Cass. 6867/2009; 6009/2003; 11864/2001)…” (Cass. 12.10.2011 n. 21029) (doc. n. ).
“Gli accordi bonari sull’indennita’ di espropriazione hanno valenza meramente endoprocedimentale e non sono idonei a trasferire la proprieta’ del bene dal proprietario all’espropriante, ma quantificano vincolativamente fra le parti la misura dell’indennita’ dovuta in vista della conclusione del procedimento espropriativo al termine del quale soltanto con la emanazione del decreto di esproprio o con la stipula dell’atto di cessione, avviene il trasferimento della proprieta’; suddetto accordo perde efficacia ove detto procedimento non si concluda” (Cass. SS.UU. 9.7.2009 n. 16092) (doc. n. ).
“Questa Corte ha infatti a più riprese ha chiarito a tale proposito che l’accordo sull’indennita’ di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, non ha alcun effetto traslativo della proprieta’ del bene, ma si inserisce nel procedimento ablativo – avendo pertanto natura negoziale pubblica – nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi dei procedimento stesso, ma sono tuttavia condizionate alla sua conclusione, cioe’ alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio i quali realizzano il trasferimento della proprieta’ dall’espropriato all’espropriante; di conseguenza, qualora tali condizioni manchino, l’accordo sull’indennita’ resta, caducato e privo di qualsiasi effetto giuridico (v. da ultimo Cass. 6867/09; Cass. 13415/08)” [cosi’ testualmente Cass. 1.6.2010 n. 13412) (doc. n. 1); conformi ex multis Cass. SS.UU. 25.6.2009 n. 14886 (doc. n. 2); Cass. SS.UU. 9.3.2009 n. 5624 (doc. n. )].
“La Sezione ha gia’ avuto modo di chiarire che l’accordo amichevole sull’ammontare dell’indennita’ di esproprio non comporta la cessione volontaria del bene, ma e’ semmai un accordo preliminare finalizzato alla stipula del negozio di cessione destinato a perdere di efficacia se, nel termine di scadenza della dichiarazione di pubblica utilita’, non intervenga la cessione o comunque un valido decreto di esproprio (Cfr. Consiglio Stato sez. IV 18/06/2009 n. 4022). Le maggiorazioni dell’indennita’, eventualmente concordate nel relativo verbale, non costituiscono l’effetto di un accordo transattivo a mezzo delle quali le parti prevengono la lite facendosi reciproche concessioni, ma somme direttamente previste dalla legge per il caso in cui l’espropriando condivida le determinazioni estimatorie fatte dall’amministrazione nell’ambito di un procedimento espropriativo che, fisiologicamente e legittimamente, si concluda nei termini di scadenza della dichiarazione di pubblica utilita’ con la cessione volontaria o con un decreto di esproprio. Ove, tuttavia, il procedimento non si concluda, per causa imputabile all’amministrazione, e cio’ nonostante l’occupazione continui e le opere siano realizzate, si e’ dinanzi ad un cattivo esercizio del potere, generativo di un illecito e di conseguenti obbligazioni risarcitorie in capo all’amministrazione. E’ infatti evidente che l’accettazione ed il pagamento dell’indennita’ di esproprio, ha efficacia dirimente sino a quando possa dibattersi di indennita’ e di esproprio, ma non anche quando la patologica evoluzione del procedimento espropriativo conduca alla decadenza dal potere ablatorio ed alla produzione di danni civili” [C.d.S. sezione IV 16.3.2012 n. 1514 (doc. n. ); conformi ex multis C.G.A.R.S. 6.2.2013 n. 143 (doc. n. ); C.d.S. sezione IV 28.1.2011 n. 676 (doc. n. ); C.d.S. 18.6.2009 n. 4022 (doc. n. )].
Ai fini di una piu’ chiara e coerente prospettazione delle questioni oggetto del presente giudizio, appare opportuno affrontare in ordine logico dapprima le problematiche sottese alla domanda risarcitoria collegata con l’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (domanda formulata in via subordinata) posto che le relative soluzioni che saranno individuate potranno rivelarsi utili anche alle problematiche sottese alla domanda di annullamento del silenzio (domanda formulata in via principale).
Tanto premesso, un esatto inquadramento della fattispecie rende necessario prendere le mosse dall’esame della pluralita’ delle problematiche sottese alla fattispecie prevista e disciplinata dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.
Gia’ da tempo, la giurisprudenza amministrativa e’ ormai pacifica nel ritenere superata ed espunta dall’ordinamento la figura tradizionalmente nota quale accessione invertita.
“In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione Europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000 ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e cio’ indipendentemente dalle modalita’ – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno…
La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato e’ in se’ un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione puo’ essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprieta’ in fatti o comportamenti materiali (C.d.S. sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650; 27 gennaio 2012 n. 427)” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559)
(conformi in termini C.d.S. sezione V 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sezione IV 26.3.2013 n. 1710; C.d.S. sezione IV 29.8.2011 n. 4833; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; C.d.S. sezione IV 28.1.2011 n. 676; Tar Calabria Catanzaro sezione II 14.6.2013 n. 678; Tar Emila Romagna Bologna sezione I 4.6.2013 n. 423; Tar Abruzzo Pescara 3.6.2013 n. 302; Tar Sicilia Palermo sezione III 24.5.2013 n. 1160; Tar Sicilia Catania sezione II 21.5.2013 n. 1465; Tar Campania Napoli sezione V 20.5.2013 n. 2578; Tar Puglia Bari sezione I 3.5.2013 n. 684; Tar Lombardia Milano sezione III 29.4.2013 n. 1105; Tar Sicilia Palermo sezione II 19.4.2013 n. 848; Tar Puglia Lecce sezione I 17.4.2013 n. 849; Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Sardegna sezione II 8.4.2013 n. 274; Tar Sicilia Palermo sezione III 9.4.2013 n. 796; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 675; Tar Sicilia Palermo sezione I 27.3.2013 n. 732; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Campania Salerno sezione II 8.3.2013 n. 584).
La mancanza dunque di un titolo idoneo a trasferire la proprieta’ in capo all’amministrazione responsabile dell’occupazione “sine titulo” comporta coerentemente da un lato che “Nonostante l’irreversibile modificazione delle aree illecitamente occupate, la proprieta’ delle stesse rimane, quindi, in capo agli originari titolari e non puo’ esservi luogo per risarcimenti connessi alla <perdita> della proprieta’, trattandosi di evento non realizzatosi e non realizzabile, salvo quanto di seguito si dira’…” (C.d.S. sezione IV 16.3.2012 n. 1514) e dall’altro lato che “Il percorso idoneo a consentire una compiuta definizione della controversia, e’ destinato ad articolarsi o in un <accordo traslativo> avente ad oggetto il trasferimento della proprieta’ del suolo occupato illecitamente o in un decreto di acquisizione ex a 42 bis” (C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375).
Quale ulteriore corollario dei citati principi e’ stato altresi’ precisato “(C.d.S. sezione IV 30 gennaio 2006 n. 290; 7 aprile 2010 n. 1983) che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e cio’ superando l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato…D’altra parte, l’amministrazione deve valutare l’attivazione di quanto ora previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327 del 2000… (si veda C.d.S. sezione IV 16.3.2012 n. 1514)…” (C.d.S. sezione IV 29.8.2012 n. 4650).
Nell’esaminare le problematiche sottese all’art. 42 bis e egli effetti riconducibili alla norma, la piu’ recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (conformandosi all’indirizzo gia’ seguito dal C.d.S.) ha affermato i seguenti principi.
“La disposizione in questione, pertanto, esclude che la proprieta’ possa essere perduta per effetto di una occupazione legittima seguita dalla realizzazione dell’opera pubblica ovvero per effetto di una occupazione illegittima seguita dalla richiesta di risarcimento del danno da parte del proprietario” (Cass. sezione I 10.4.2013 n. 8694).
“Peraltro per l’azione risarcitoria si e’ correttamente rilevato (Cass. 28 gennaio 2013 n. 1804) che nel nostro ordinamento non ha spazio il modo di acquisto della proprieta’ gia’ definito dalla giurisprudenza <occupazione appropriativa>, che si perfeziona per la trasformazione irreversibile delle aree occupate con la costruzione su di esse delle opere dichiarate di pubblica utilità. Tale atipica forma di acquisizione della proprieta’ privata in favore di terzi o di soggetti pubblici, va comunque oltre i limiti della Costituzione e delle norme sopranazionali e comunitarie, con la conseguenza che nelle fattispecie concrete, comunque con rispondenti alla presente causa, dovrebbe applicarsi il d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 art. 42 bis aggiunto dal d.l. 6 luglio 2011 n. 98 art. 34 comma 1 convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111…” (Cass. sezione I 20.3.2013 n. 6883).
“E’ noto che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha censurato con vigore le forme di <espropriazione indiretta> elaborate nell’ordinamento italiano anche e soprattutto in sede giurisprudenziale (come l’accessione invertita) e le ha configurate come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto dell’uomo fondamentale, garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge 28 agosto 1997 n. 296, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell’intervenuta realizzazione di un’opera pubblica sul terreno interessato, e non potendo giammai l’acquisizione del diritto di proprieta’ conseguire a un illecito (v., tra le tante, le sentenze Carbonara & Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007)…
Una recente decisione di questa Corte (sezione II 14 gennaio 2013 n. 705) ha ritenuto non piu’ predicabile “il principio (da ultimo ribadito in Cass., Sez. 2, 16 gennaio 2007, n. 869, e in Cass., Sez. 1, 7 marzo 2008, n. 6195) secondo cui l’occupazione appropriativa per fini di pubblica utilita’ non seguita da espropriazione determina, comunque, l’acquisto della proprieta’, in capo alla P.A., dell’area occupata per effetto della realizzazione dell’opera pubblica … Cio’ e’ confermato dalla presenza, nel sistema del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’ (d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327), di una norma, l’art. 42 bis, aggiunto dal d.l. 6 luglio 2011 n. 98 art. 34 comma 1 convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, il quale, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalita’ attraverso le quali, a fronte di una utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, e’ possibile – con l’esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto – pervenire ad una acquisizione, non retroattiva, della titolarita’ del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprieta’, di un importo a titolo di indennizzo.
In effetti la base legale dell’istituto dell’accessione invertita (o occupazione appropriativa/acquisitiva) – gia’ discussa evidenziandosi il suo mancato riconoscimento nel “testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’”, qual e’ il d.p.r. n. 327 del 2001 (che ha abrogato la legge 27 ottobre 1988 n. 458 art. 3, in materia di edilizia residenziale pubblica, e la legge 23 dicembre 1996 n. 662 art. 3 comma 65 in cui si e’ talora ravvisata la fonte del suo riconoscimento nel diritto interno) – e’ oggi insussistente. Una decisiva conferma viene dal gia’ citato art. 42 bis, che non si e’ limitato a sanare il vizio formale che aveva determinato la dichiarazione (con sentenza della Corte Costituzionale 7 luglio 2010 n. 293) di illegittimita’ costituzionale dell’art. 43 del medesimo d.p.r. del 2001 per eccesso di delega legislativa, ma ha ridisegnato alcuni profili sostanziali controversi della disciplina originaria…
Il nuovo istituto, per come configurato dal gia’ citato art. 42 bis, porta a compimento una lunga e complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale, sancendo l’espunzione dal nostro ordinamento delle c.d. espropriazioni indirette, tra le quali senza dubbio rientra la c.d. accessione invertita, cosi’ come qualunque altra forma che consenta all’amministrazione di acquisire la proprieta’ altrui in violazione del principio di legalita’ e con modalita’ <arbitrarie>, tali dovendosi considerare quelle caratterizzate dalla mancanza di un <giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo> (v. Cedu, Ucci c. Italia 22 giugno 2006; Belvedere Alberghiera c. Italia 30 maggio 2000). In caso di occupazioni illegittime (ab origine o divenute tali successivamente) l’amministrazione puo’ legittimamente acquisire la proprieta’ altrui solo attivando il procedimento che si conclude con il provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis che e’ sindacabile in sede giurisdizionale…Il trasferimento della proprieta’ privata in favore dell’amministrazione puo’ avvenire, oltre che a mezzo dello strumento negoziale…, soltanto mediante il procedimento espropriativo ordinario o quello <espropriativo semplificato> previsto dall’art. 42 bis in via eccezionale” (Cass. 28.1.2013 n. 1804)
(conformi in termini Cass. sezione I 14.1.2013 n.705 e Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216).
Dai citati principi posti a premessa dell’indagine, la giurisprudenza univoca ha tratto una prima conclusione che ha ravvisato la natura permanente nell’illecito (occupazione “sine titulo”) sotteso alla previsione di cui all’art. 42 bis. Il che ha consentito di affermare, quale conseguenza logica coerente, che – poiche’ la condotta permanente si rinnova di momento in momento – non sono soggetti a prescrizione i diritti repersecutori e risarcitori del proprietario del bene occupato “sine titulo”.
E’ appena il caso di segnalare che per il superamento della ricostruzione dogmatica della prescrizione nell’illecito dell’occupazione <sine titulo> “…e’ risultata determinante la netta presa di posizione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nel censurare con estremo vigore le forme di “espropriazione indiretta” elaborate nell’ordinamento italiano anche – e soprattutto – in sede giurisprudenziale (ivi per prima l’anzidetta teoria dell’“accessione invertita”), configura le occupazioni <sine titulo> come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto dell’uomo fondamentale e imprescrittibile, garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge 28 agosto 1997 n. 296, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell’intervenuta realizzazione di un’opera pubblica sul terreno interessato, e non potendo giammai l’acquisizione del diritto di proprieta’ conseguire a un illecito (cfr. sul punto, ad es., le ben note sentenze 15 e 29 luglio 2004, Scordino c. Italia, nonche’ 30 maggio 2000, Carbonara & Ventura c. Italia)…
Ne’ va sottaciuto che la particolare autorevolezza della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo risulta ad oggi ulteriormente avvalorata dalla rinnovata e diretta incidenza sul piano interno delle disposizioni della relativa Convenzione, e cio’ in forza del combinato disposto della nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea conseguente dalle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona (cfr. ivi, commi 2 e 3: <L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. …>; <I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali>) e dell’art. 117 primo comma costituzione come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (<La potesta’ legislativa e’ esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>)” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808).
Cio’ premesso, si ritiene che il “diritto vivente” costituito dalla configurazione da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’occupazione <sine titulo> come illecito permanente e percio’ non assoggettato a prescrizione non contrasta con valori costituzionalmente garantiti, coniugandosi semmai alla garanzia della riserva di legge di cui all’art. 42 costituzione sia in ordine ai modi di acquisto della proprieta’, sia per quanto attiene alla determinazione dei casi di espropriazione per motivi d’interesse generale (C.d.S. n. 4808/2012 citata).
“Nell’ambito dell’ordinamento, l’enunciazione di ordine generale della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo circa la permanenza dell’illecito dell’occupazione <sine titulo> va pertanto salvaguardata nella sua effettivita’ ancorando, secondo i comuni principi, il termine iniziale della prescrizione quinquennale della pretesa risarcitoria alla data di cessazione dell’occupazione medesima, ossia allorquando viene posto rimedio alla situazione <contra ius> mediante la restituzione dell’immobile al suo proprietario, ovvero mediante la cessione della proprieta’ dell’immobile al soggetto che lo ha per l’innanzi occupato abusivamente (cfr. sul punto, ad es., Cass. SS.UU. 8 aprile 2008 n. 9040, nonche’ C.d.S. sez. IV 31 maggio 2011 n. 3294 e 9 marzo 2011 n. 1521)” (conformi C.d.S. n. 4808/2012 citata; C.d.S. n. 4650/2012).
“Come piu’ volte chiarito da questa sezione, l’occupazione di un immobile da parte della p.a., in difetto di un provvedimento o altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprieta’, costituisce illecito permanente, cui non e’ possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell’illecito (cfr. C.d.S. sezione IV 31 maggio 2011 n. 3294, 21 aprile 2009 n. 2420, 21 maggio 2007 n. 2582)” (C.d.S. sezione IV 16.5.2013 n. 2679). Del resto, una volta esclusa ovviamente ogni possibilita’ di evocare la figura dell’accessione invertita (per quanto gia’ prospettato al precedente punto), la protrazione oltre i termini previsti dal procedimento e la <permanenza> dell’occupazione <sine titulo> in difetto di decreto di esproprio impediscono la decorrenza del diritto al risarcimento dei danni (C.d.S. n. 2679/2013 citata).
Similmente, “Poiche’ si e’ negato che la irreversibile trasformazione del bene illegittimamente appreso possa comportare il trasferimento della proprieta’, appare palese la natura permanente dell’illecito dell’amministrazione (finche’ dura l’illegittima occupazione del bene senza che vi sia un eventuale titolo idoneo a determinare il trasferimento della proprieta’ in capo all’amministrazione medesima)” (C.d.S. sezione IV 2.8.2011 n. 4590) (conforme Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216).
“Di conseguenza, negandosi ogni trasferimento della proprieta’ per effetto della irreversibile trasformazione del bene illegittimamente appreso, appare palese la natura permanente dell’illecito dell’amministrazione, finche’ dura l’illegittima occupazione del bene senza che vi sia un eventuale titolo idoneo a determinare il trasferimento della proprieta’ in capo all’amministrazione medesima, con la conseguenza che non puo’ ritenersi sussistente alcuna prescrizione del relativo diritto al risarcimento” (C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279)
[conformi ex multis C.d.S. sezione IV 8.5.2013 n. 2481 secondo cui l’occupazione illegittima e’ connotata da un illecito permanente che si rinnova “de die in diem” fino alla restituzione dell’area ovvero fino alla data dell’acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis e C.d.S. sezione IV 2.8.2011 n. 4590 secondo cui “…la realizzazione dell’opera pubblica non produce alcun effetto traslativo della proprieta’ del suolo, la cui occupazione resta permanentemente illecita, con la conseguenza che il relativo termine prescrizionale riprende a decorrere <de die in diem> per tutto il periodo di illegittima occupazione (ex plurimis C.d.S. sez. IV 28 gennaio 2011 n. 676)”; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo sezione II 19.4.2013 n. 848].
Sia infine consentito notare che, nell’approfondimento della problematica, e’ stato opportunamente chiarito che “…la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa (quella realizzata in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilita’)…ha perso di significato sia con riferimento alla giurisdizione (nel senso che residuano al giudice ordinario le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilita’ dell’opera) che alla decorrenza del termine di prescrizione trattandosi nei due casi di un illecito permanente come affermato dalla piu’ recente giurisprudenza amministrativa (aderendo alle argomentazioni svolte in piu’ occasioni dalla Corte Europea dei diritti umani e, di recente, C.d.S. sez. IV 27 giugno 2007 n. 3752, 16 novembre 2007 n. 5830 e 30 novembre 2007 n. 6124)” (C.d.S. sezione IV 2.11.2011 n. 5844)
(conformi in termini C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279 nonche’ C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429 secondo cui spetta in ogni caso il risarcimento dei danni in relazione all’occupazione sia essa acquisitiva o usurpativa dell’area di proprieta’; conformi Tar Calabria Reggio Calabria 19.12.2012 n. 732; Tar Piemonte sezione I 30.8.2012 n. 985).
E dunque proprio “Per tali ragioni, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione…puo’ legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino…Peraltro, l’azione restitutoria, essendo posta a riparazione di un illecito permanente (i.e., l’occupazione <sine titulo>; cfr. C.d.S. sezione IV 28 novembre 2012 n. 6012), e’ imprescrittibile e puo’ essere proposta senza limiti di tempo…” (C.d.S. sezione V 10.5.2013 n. 2559).
La configurazione della fattispecie dell’occupazione illecita “sine titulo” nei termini appena prospettati consente di individuare piu’ facilmente quali siano gli obblighi gravanti sull’amministrazione responsabile dell’occupazione e quali siano i rimedi astrattamente esperibili. Anticipando le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza, e’ stato chiarito che, fermo restando l’obbligo primario di attivarsi per far cessare la permanenza e la protrazione “sine die” dell’occupazione illecita adeguando la situazione di fatto alla situazione di diritto, l’amministrazione ha a disposizione tre rimedi individuati:
Anche su tale punto la giurisprudenza si e’ mostrata univoca affermando i seguenti principi.
“L’art. 42 bis, infatti, come gia’ in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all’analoga ratio dell’art. 43 (Sez. IV 16 novembre 2007 n. 5830), e’ stato emanato per consentire una <legale via di uscita> per i moltissimi casi in cui una pubblica amministrazione (ovvero un soggetto privato da essa immesso nel possesso di un bene altrui in esecuzione di una ordinanza di occupazione d’urgenza) avesse occupato senza titolo un’area di proprieta’ privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio…
L’articolo in questione, inserito nel testo unico degli espropri dal d.l. 6.7.2011 n. 98 (art. 34) convertito nella legge n. 2011, ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale gia’ attribuito dall’art. 43: l’amministrazione – valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto – puo’ decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito)…
Anche nell’attuale quadro normativo, l’amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione <sine titulo> e cioe’ deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto… E nella specie l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto puo’ avere luogo – come sopra rilevato – o con la riduzione in pristino del terreno e la sua restituzione in favore dei proprietari (con la spettanza in tal caso anche del risarcimento del danno derivante dal ritardo della consegna) o con la emanazione del provvedimento di acquisizione (con la spettanza in tal caso dell’indennizzo di cui all’art. 42 bis)” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559) (conforme C.d.S. sezione IV 26.3.2013 n. 1710).
“Del resto, …il venir meno della disciplina a suo tempo contenuta nell’anzidetto art. 43 del t.u. 327 del 2001 non elimina il dovere per l’amministrazione occupante <sine titulo> un immobile destinato alla realizzazione di un’opera pubblica di addivenire ad un accordo transattivo con il proprietario che determini il definitivo trasferimento della proprieta’ dell’immobile, provvedendo anche al risarcimento del danno da occupazione illegittima (così C.d.S. sez. IV 28 gennaio 2011 n. 676). Ora, quindi, il legislatore ha apprestato in tal senso un apposito strumento per consentire la cessazione dell’illecito permanente alle amministrazioni che (…) si trovano in tale condizione: cessazione di cui va ribadita la doverosita’, essendo ben evidente, anche a fronte della dianzi dimostrata impossibilita’ di invocare la prescrizione dell’obbligazione nei riguardi del titolare dell’immobile occupato <sine titulo>, la circostanza che il trascorrere del tempo incrementa <ex se> l’ammontare del debito, con conseguente responsabilita’ erariale per gli amministratori e i funzionari che non provvedono ad estinguerlo” (C.d.S. sezione IV 19.9.2012 n. 4808).
“Finche’ perdura l’occupazione <sine titulo> anche di natura usurpativa, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o attraverso la restituzione del suolo ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001)” (C.d.S. 2.8.2011 n. 4590)
(conformi ex multis Tar Campania Salerno sezione II 17.4.2013 n. 987; Tar Lazio Latina 22.4.2013 n. 343; Tar Calabria Catanzaro sezione I 21.3.2013 n. 295; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485;
“La giurisprudenza ha avuto gia’ modo di chiarire che il provvedimento adottato ai sensi della novella normativa e’ un provvedimento di acquisizione coattiva e si pone quale come un nuovo atto, omogeneo a quello di esproprio, di cui fa le veci: <Non siamo piu’ in presenza di un provvedimento sanante di un precedente illecito, o, per usare le parole della Corte Costituzionale (sentenza n. 293 del 2010), della trasposizione in legge di un istituto in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta, ma di un nuovo strumento, che opera ex nunc, che non vale ad eliminare le illegittimita’ esistenti o a perpetuare le conseguenze di comportamenti illeciti> (Trib. Sup. Acque Pubbliche 14 marzo 2012 n. 44). In altri termini, l’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 prevede un procedimento espropriativo <semplificato>, che non sana il precedente illecito, ma si limita a disporre l’acquisizione del bene al patrimonio della p.a. con effetti <ex nunc>, previa corresponsione al privato di un indennizzo (non quindi di un risarcimento) che copre il valore venale del bene (da calcolarsi al momento dell’acquisizione)”
(Tar Sicilia Palermo sezione II 3.5.2013 n. 1030).
L’esame dei tratti distintivi della acquisizione sanante discplinata dall’art. 42 bis dimostra “…che non si e’ più in presenza di un provvedimento diretto a sanare un precedente illecito, ma di un nuovo strumento che opera <ex nunc>, che non vale a eliminare le illegittimita’ esistenti o a perpetuare le conseguenze di comportamenti illeciti.
Si tratta, in definitiva, di un procedimento espropriativo <semplificato> che non sana il precedente illecito ma si limita – all’esito di una rigorosa motivazione sulle esigenze di interesse pubblico, valutate comparativamente con gli interessi del privato, anche in relazione all’assenza di alternative possibili – a disporre l’acquisizione del bene al patrimonio della p.a. con effetto non retroattivo, previa corresponsione al privato di un indennizzo (non quindi di un risarcimento) che copre il valore venale del bene (da calcolarsi al momento dell’acquisizione), oltre ad una somma ulteriore a titolo di ristoro del pregiudizio non patrimoniale forfettariamente determinata in misura pari al 10 % del valore venale.
Alla stregua di tali rilievi, e’ inconferente che la nuova disciplina attui o meno una sostanziale equiparazione tra occupazione <usurpativa> e occupazione <appropriativa>, dal momento che il nuovo istituto disciplinato dall’art. 42 bis non ha la funzione di sanare una pregressa occupazione illecita, ma opera <ex nunc> sulla base di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, posto a raffronto con l’interesse privato e adeguatamente evidenziato nella motivazione dell’atto di acquisizione…” (Tar Piemonte sezione I 22.2.2013 n. 241).
Ai fini della corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, si impone altresi’ la necessita’ di verificare il soggetto destinatario al quale la norma affida l’esercizio del potere ivi descritto. L’esito della verifica comportera’ in via conseguenziale anche la esatta delimitazione del perimetro e delle modalita’ di esercizio del potere stesso.
Ebbene, la giurisprudenza ha immediatamente chiarito che la norma si rivolge all’amministrazione che occupi “sine titulo” il bene privato. E’ dunque “l’autorita’ che utilizza il bene per scopi di pubblico interesse” il solo soggetto deputato a valutare se l’interesse pubblico possa essere meglio perseguito mediante la demolizione dell’opera realizzata e la restituzione del terreno occupato “sine titulo” (previo pagamento del risarcimento del danno per il periodo di mancato godimento del bene) ovvero la acquisizione sanante del bene illecitamente occupato.
In sostanza, “…la competenza sulla gestione della vicenda, con l’alternativa tra l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 e la materiale demolizione delle opere al fine restitutorio, e’ riservata all’autorita’ che occupa sine titulo il bene” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559)
(conformi Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Sicilia Palermo sezione III 9.4.2013 n. 796; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Calabria Catanzaro sezione I 22.2.2013 n. 206; Tar Sicilia Palermo sezione III 13.2.2013 n. 334; Tar Sicilia Palermo sezione III 21.1.2013 n. 152; Tar Veneto sezione II 21.1.2013 n. 51; Tar Puglia Lecce sezione I 12.7.2012 n. 1242).
In termini ancor piu’ chiari, e’ stato affermato che “…le disposizioni di cui all’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001 (… ) sono rivolte non gia’ al giudice, bensi’ alla amministrazione pubblica, e precisamente all’ <autorita’ che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico>. Ne consegue che, nell’ipotesi normativamente prevista, e’ detta autorita’ che deve procedere (ovvero non procedere) a liquidare l’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale subito, potendo il giudice valutare la legittimita’ dell’attivita’ amministrativa solo ex post, una volta che – richiestone dalla parte che si ritiene lesa – sia chiamato a sindacare l’operato della pubblica amministrazione”(C.d.S. sezione IV 9.1.2013 n. 76).
L’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, che offre il rimedio della acquisizione sanante, rappresenta una “…disposizione che individua una sfera di discrezionalita’ intangibile dalla giurisdizione amministrativa, nel senso che l’emanazione del provvedimento rimane affidata all’iniziativa e alla responsabilita’ dell’amministrazione…” (C.d.S. sezione IV 16.5.2013 n. 2679)
(conformi in termini C.d.S. sezione IV 8.5.2013 n. 2481; Tar Sicilia Palermo sezione III 23.5.2013 n. 1155; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220).
“L’art. 42 bis, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla p.a. non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario art. 43, che attribuiva all’amministrazione la facolta’ e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria, ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione.
L’eliminazione della descritta facolta’ inibisce, sul piano processuale, l’emersione dell’interesse pubblico all’acquisizione dell’immobile, sia pur in sanatoria…
Cio’ nonostante il potere discrezionale dell’amministrazione di disporre l’acquisizione sanante e’ conservato: l’art. 42 bis infatti regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia…
Non regola piu’ invece, come innanzi accennato, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attivita’ dell’amministrazione…
I principi derivanti dall’interpretazione sistematica delle norme citate e le possibilita’ insite nel principio di atipicita’ delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett. c) c.p.a., impongono allora una limitazione della condanna all’obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis, salvi gli effetti vincolanti degli accertamenti compiuti nella sede giudiziaria in cui esiti sono irretrattabili..
Rimane invece impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto, a seguito della quale, l’amministrazione, ove ritenga di non restituire gli immobili al proprietario previo riduzione nel pristino stato, potra’ in via alternativa disporre l’acquisizione del bene.
Qualora essa decida per l’acquisizione, dovra’ contestualmente liquidare in favore degli appellanti il valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento a titolo di danno patrimoniale, un ulteriore importo pari al 10 % del valore del bene a titolo di ristoro forfettario del danno non patrimoniale arrecato, nonche’ il 5 % del valore del bene per ogni anno di occupazione illegittima, subordinando, come per legge, l’effetto traslativo all’effettivo pagamento delle somme” (C.d.S. sezione IV 16.3.2012 n. 1514 ampiamente richiamata in giurisprudenza) (conforme in termini ex multis Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685.
Cio premesso, la completezza di indagine rende necessario approfondire a questo punto la modalita’ con cui si incrociano da un lato la facolta’ valutativa e decisionale riservata in via esclusiva alla competenza discrezionale dell’amministrazione e dall’altro il potere, il contenuto ed i limiti di controllo e di condanna riservati al giudice.
“Certamente nell’ipotesi normativamente prevista dall’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001, la <facultas agendi> e’ rivolta esclusivamente all’amministrazione pubblica – e precisamente all’autorita’ che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico – sulla quale grava la decisione di procedere all’acquisizione ovvero non procedervi, ma in tal caso restituendo il mal tolto.
Sul piano processuale, poi, l’affermazione della giurisprudenza per cui il predetto comando non e’ rivolto al giudice ma alla p.a. (cfr. infra multa C.d.S. sez. IV 9 gennaio 2013 n. 76), sta a significare solo che la decisione relativa alla valutazione della persistenza dell’interesse pubblico al mantenimento dell’opera pubblica, afferisce totalmente al merito amministrativo e non puo’ essere demandato alla sede giurisdizionale.
Ma cio’ non vuol affatto dire che la pretesa del privato che chiede la reintegrazione dei suoi diritti lesi da anni da un’illecita occupazione non possa, e debba, essere valutata dal giudice – alla luce della complessiva situazione in atto e dei comportamenti procedimentali e processuali delle parti in conflitto – al fine di verificare sotto i profili della logica, dell’imparzialita’ e del buon andamento la sussistenza dei presupposti fattuali che potrebbero eventualmente giustificare il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione.
Pertanto, se l’amministrazione resta libera di adottare, o meno, il provvedimento di acquisizione, al giudice resta sempre aperta la possibilita’ di procedere ad ordinare la restituzione e la rimessa in pristino (cfr. C.d.S. sezione VI n. 6351 del 1.12.2011)…
L’amministrazione resta quindi libera di scegliere se intenda adeguare la situazione di diritto alle pregresse situazioni di fatto procedendo quindi a far luogo al provvedimento di acquisizione, ovvero far venir meno l’occupazione sine titulo, restituendo i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato, e disponendo la riduzione in pristino.
Quello che l’amministrazione non puo fare, e’ continuare a restare inerte in una situazione di illecito permanente” (C.d.S. sezione IV 26.3.2013 n. 1710).
Sulla scorta di quanto finora prospettato, la giurisprudenza piu’ recente ha tratto una conclusione del tutto coerente con i citati principi elaborati. In particolare, dopo aver premesso:
la giurisprudenza ha tratto coerentemente la conclusione che, in mancanza della perdita della proprieta’, il privato non puo’ fondatamente chiedere che il giudice condanni direttamente l’amministrazione al relativo risarcimento dei danni, proprio per la evidente considerazione che non si e’ verificato l’evento produttivo del danno (erroneamente) lamentato.
In tal caso, il giudice non puo’ nemmeno condannare direttamente l’amministrazione ad adottare il decreto di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis, atteso che cosi’ facendo egli si sostituirebbe illegittimamente all’amministrazione nella valutazione dei contrapposti interessi in conflitto, invadendo la relativa sfera di competenza intangibile ed avocando a se’ l’esercizio di una discrezionalita’ che invece la legge ha inteso riservare in via esclusiva alla sola amministrazione. In tal caso, invece, il giudice – avvalendosi delle larghe maglie della trama della condanna atipica prevista dall’art. 34 c.p.a. – deve limitarsi a formulare una condanna generica per effetto della quale l’amministrazione e’ tenuta ad esercitare l’opzione tra restituzione ed acquisizione sanante. In questo secondo caso, l’amministrazione ha a disposizione tre strumenti ravvisati nell’accordo bonario con il proprietario, nel decreto ordinario di esproprio (all’occorrenza, previo rinnovamento degli atti del relativo procedimento) e nel decreto semplificato di acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis.
Ne consegue allora che si rivelerebbe inammissibile o infondata la domanda “…volta a ottenere la condanna dell’amministrazione all’adozione di un atto di natura prettamente autoritativa e discrezionale che come tale appartiene esclusivamente alla sfera di competenza della p.a.” (Tar Piemonte sezione I 10.5.2013 n. 607).
La domanda “…mirata ad ottenere un risarcimento compensativo per una (inesistente) acquisizione dell’immobile per presunta accessione invertita, non puo’ trovare accoglimento” (Tar Abruzzo 26.4.2013 n. 399);
Non puo’ il giudice pronunciarsi sulla determinazione dell’importo dovuto al proprietario “…il quale dipendera’ dall’esercizio o meno del potere di acquisizione ex art. 42 bis, la cui scelta di merito e’ riservata all’ente pubblico” (Tar Campania Salerno sezione I 11.4.2013 n. 832). Di conseguenza, in applicazione dell’articolo 34 c.p.a., con la citata sentenza n. 832/2013 lo stesso Tar Campania Salerno ha disposto:
“…affinche’ possa perfezionarsi il trasferimento della proprieta’ del fondo occupato sine titulo, su cui e’ stata realizzata un’opera pubblica… e’ necessario che l’amministrazione si avvalga dell’art. 42 bis del t.u. espropri, fatto sempre salvo il ricorso alternativo ai possibili strumenti di natura privatistica (cosi’, Tar Abruzzo Aquila 168/2012 ma vedi anche C.d.S.5813/2011)…
L’art. 42 bis riserva, dunque, a livello di diritto positivo, unicamente alla valutazione discrezionale della p.a. la decisione di emettere il decreto di acquisizione sanante, e, per converso, la mancanza di tale decreto comporta la perdurante sussistenza del diritto di proprieta’ in capo ai soggetti incisi. Fino a quando non si verifichi il passaggio di proprieta’ delle aree in capo all’amministrazione, a mezzo del suindicato strumento autoritativo (il decreto di cui all’art. 42 bis t.u. espropri), ovvero con altro strumento privatistico rimesso alla consensuale libera autonomia delle parti, il danno subito dai privati e’ da individuarsi nella permanente occupazione <sine titulo> dell’area…
Tutto cio’ premesso, e ritenuta la necessita’ di consentire all’amministrazione di valutare se mantenere la disponibilita’ dei beni illegittimamente appresi, adottando il provvedimento di cui all’art. 42 bis citato ovvero restituirli alla societa’ proprietaria, come imposto dall’ordinamento giuridico, il Collegio ritiene di ricorrere allo strumento previsto dall’art. 34 comma 4 c.p.a., con i criteri che verranno di seguito dettati, riservandosi, in sede di ottemperanza, ove non si addivenga ad un accordo, di valutare la condotta tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilita’ degli ulteriori danni cagionati dal protrarsi dell’illegittima occupazione…
Il Tribunale dispone pertanto che l’amministrazione comunale rinnovi la valutazione di attualita’ e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei fondi in oggetto adottando, nel termine di 90 (novanta giorni) dalla notifica della presente sentenza a cura di parte ricorrente, un provvedimento con il quale i fondi illegittimamente appresi siano, alternativamente:
1) acquisiti, non retroattivamente, al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 42 bis dpr 327/2001…;
2) restituiti al legittimo proprietario, oltre al risarcimento del danno per la mancata utilizzazione del bene…”
(Tar Campania Salerno sezione II 17.4.2013 n. 897)
Ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, “…spetta esclusivamente alla p.a. la valutazione in ordine agli interessi in conflitto (attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che giustificano la restituzione del bene ovvero l’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante…)… e, per l’effetto, va disposto che il Comune di Gela si attivi, ai sensi e per gli effetti di cui 42 bis d.p.r. n. 327 del 2001 e dell’art. 34 comma 4 c.p.a., ponendo in essere le attivita’ procedimentali ivi previste entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa, o dalla notificazione, se anteriore, della presente sentenza per il pagamento delle somme dovute. Ritiene infine il Collegio, che nell’ipotesi dell’inerzia dell’amministrazione comunale, quale ulteriore misura conformativa resa ai sensi dell’art. 34 comma 1 lett. e) c.p.a. (v. C.d.S. Ad. Plen. n. 15/2011), possa nominarsi sin da ora, quale commissario ad acta, il Prefetto della Provincia di Gela, o un funzionario dello stesso ufficio territoriale del Governo da lui delegato, il quale provvedera’, su istanza degli interessati, nel successivo termine di giorni novanta” (Tar Sicilia Palermo sezione III 27.2.2013 n. 434).
“Cio’ premesso, osserva tuttavia il Collegio che in nessun caso, neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica e nonostante l’espressa domanda in tal senso di parte ricorrente, e’ possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’amministrazione, poiche’ una tale pronuncia postula l’avvenuto trasferimento della proprieta’ del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della p.a. che se ne e’ illecitamente impossessata: esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato, come gia’ detto, dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (…).
Donde la necessita’ di un passaggio intermedio, finalizzato all’acquisto della proprieta’ del bene da parte dell’ente espropriante (cfr. C.d.S. sezione IV 16 novembre 2007 n. 5830; T.A.R. Campania Salerno sezione II 14 gennaio 2011 n. 43; T.A.R. Campania Napoli sezione V 5 giugno 2009 n. 3124).
Tale passaggio, allo stato della legislazione vigente, e’ costituito senz’altro dall’art. 42 bis d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327…
Ed allora, affinche’ possa essere soddisfatto l’interesse primario della parte lesa, volto al risarcimento del danno da perdita del bene, deve imporsi all’amministrazione…di rinnovare, entro novanta giorni dalla notificazione della presente sentenza a cura dei ricorrenti, la valutazione di attualita’ e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei fondi per cui e’ causa, adottando, all’esito di essa, un provvedimento col quale gli stessi, in tutto od in parte, siano alternativamente:
(Tar Campania Salerno sezione II 8.3.2013 n. 584)
(conforme in termini Tar Sicilia Catania sezione II 4.6.2013 n. 1684; Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Abruzzo 21.2.2013 n. 276; Tar Sicilia Catania sezione Ii 1.2.2013 n. 385; Tar Campania Salerno sezione II 11.1.2013 n. 58; Tar Lombardia Milano sezione IV 4.12.2012 n. 2910; Tar Calabria Catanzaro sezione II 3.8.2012 n. 857).
“Sul punto, la Sezione ha avuto infatti modo di statuire come la domanda di risarcimento basata su tali presupposti possa trovare accoglimento, mediante una pronuncia che obblighi l’amministrazione alla cessazione della illegittima detenzione del bene attraverso l’utilizzo dell’istituto di cui all’art. 42 bis del t.u. espropriazioni, puntando la domanda risarcitoria per equivalente comunque alla tutela della situazione proprietaria (…)
Per tali motivi, la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della proprieta’ dei terreni in conseguenza della irreversibile trasformazione da essi subita deve essere accolta ordinando al Comune di Mistretta, in base al disposto degli artt. 3 comma 1 lett. b) e 42 bis t.u. espropriazioni, di restituire (previa sua riduzione in pristino) il bene irreversibilmente trasformato, ovvero di acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42 bis t.u. espropriazioni”
(Tar Sicilia Catania sezione II 3.5.2013 n. 1310).
(conformi in termini Tar Sicilia Palermo sezione III 24.5.2013 n. 1160; Tar Sicilia Catania sezione II 21.5.2013 n. 1465; Tar Lombardia Milano sezione III 29.4.2013 n. 1105; Tar Sicilia Palermo sezione II 19.4.2013 n. 848; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Campania Napoli sezione V 1.3.2013 n. 1192; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485; Tar Sicilia Catania sezione II 17.1.2013 n. 106; Tar Sicilia Catania sezione II 1.3.2013 n. 645).
Appare addirittura superfluo precisare che l’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (stante la chiara formulazione del comma 8 della stessa norma) sia applicabile anche a “fatti anteriori” intervenuti prima della entrata in vigore della norma stessa.
Sul punto la giurisprudenza del tutto pacifica.
L’art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni “trovano altresi’ applicazione ai fatti anteriori…” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559) (conformi ex multis C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sezione IV 19.3.2013 n. 1603; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; Cass. sezione I 10.4.2013 n. 8694; Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216).
“Gia’ nella vigenza dell’anzidetto art. 43 del t.u. 327 del 2001 questa stessa sezione aveva avuto modo di affermare che la disciplina in esso contenuta trovava una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima della sua entrata in vigore, posto che l’anzidetto art. 57, richiamando i <procedimenti in corso>, ha introdotto norme transitorie unicamente per individuare l’ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, nel mentre l’atto di acquisizione ex art. 43 era emesso <ab externo> del procedimento espropriativo e non rientrava, pertanto, nell’ambito di operativita’ della normativa (cfr. sul punto C.d.S. sezione IV 26 marzo 2010 n. 1762).
La conclusione non muta per la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalita’ del predetto art. 43, dovendo infatti mantenersi fermo nel <sistema> il principio dell’estraneita’ della fase dell’eliminazione delle conseguenze dell’occupazione <sine titulo> al procedimento espropriativo propriamente detto, essendo unicamente mutato lo strumento attraverso il quale si realizza l’effetto traslativo della proprietà in favore dell’amministrazione.
Semmai, va denotato che ora il comma 8 dell’art. 42 bis del t.u. 327 del 2001 espressamente precisa, concordando quindi con l’indirizzo giurisprudenziale precedente alla sua emanazione, che <le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore>” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808) [conforme C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429 secondo cui l’applicazione ai fatti anteriori era garantita sia dal previgente art. 43 (per effetto della interpretazione fornitone dalla giurisprudenza) sia dall’art. 42 bis (per effetto della espressa previsione normativa di cui comma 8)].
Appare infine opportuno anticipare sin d’ora che tra gli aspetti piu’ significativi della applicazione retroattiva (cioe’ ai fatti anteriori) dell’art. 42 bis figura il diritto all’indennita’ per il danno non patrimoniale.
“Inoltre, devono essere valutati <i danni morali> richiesti dall’appellante sulla base del nuovo art. 42 bis del t.u. espropriazione n. 327/2001, introdotto dall’art. 34 della cosiddetta <Manovra Economica 2011> (d.l. 6 luglio 2011 n. 98), il quale, reintroducendo l’istituto dell’acquisizione sanante, prevede anche che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, anche con riferimento ai fatti antecedenti (comma 8 del predetto art. 42 bis). Il riferimento al danno non patrimoniale in tale disposizione costituisce disposizione innovativa, che impone la necessita’ di opportuna considerazione anche in sede di risarcimento del danno per illecita occupazione…” (C.d.S. 2.11.2011 n. 5844).
L’indagine deve prendere le mosse dal testo dell’art. 42 bis il quale prevede testualmente quanto segue:
La norma dunque traccia in maniera sufficientemente chiara le coordinate contenenti i criteri ed i parametri necessari alla quantificazione delle somme previste. Da una prima anche superficiale analisi del testo, e’ consentito desumere immediatamente:
“L’art. 42 bis del t.u. 327 del 2001 definisce la prestazione pecuniaria cui e’ tenuta l’amministrazione occupante <sine titulo> come <indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene> (comma 1).
L’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale <e’ determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilita’ e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 dello stesso t.u. 327 del 2001> (comma 3).
Per il periodo di occupazione senza titolo e’ computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entita’ del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del terreno, come dianzi considerato (ibidem).
Nelle ipotesi di terreno utilizzato per finalita’ di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalita’ di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento acquisitivo e’ di competenza dell’autorita’ che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale e’ pari al venti per cento del valore venale del bene (ibidem, comma 5) (conforme ex multis C.d.S. 2.12.2011 n. 6375)” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808) (conformi C.d.S. sezione IV 19.3.2013 n. 1603; Tar Sicilia Palermo sezione III 27.2.2013 n. 434).
“Ai fini della determinazione dell’indennizzo previsto dall’art. 42 bis, il valore di mercato dell’area deve essere determinato alla data del provvedimento di acquisizione sanante” (C.d.S. sezione IV 18.4.2013 n. 2186 e 26.3.2013 n. 1710; Tar Campania Salerno sezione II 17.4.2013 n. 897).
Con riferimento alla somma spettante per il periodo di occupazione senza titolo, non appare dubitabile:
1.7.1) quanto alla edificabilita’ legale delle aree
Si premette che e’ ben noto l’orientamento della giurisprudenza, sia della Corte di Cassazione sia del Consiglio di Stato, che – facendo levale sulla natura conformativa del relativo vincolo – tende a disconoscere i caratteri della edificabilita’ ai terreni espropriati per interventi di edilizia scolastica.
Tuttavia, ai terreni oggetto del presente puo’ riconoscere natura edificabile per almeno due motivi:
La corretta impostazione dell’analisi deve prendere le mosse dalla verifica della natura conformativa ovvero lenticolare ed espropriativa del vincolo imposto sui terreni occupati.
A tal fine, rivestono importanza dirimente sia la deliberazione della giunta municipale n. 53 del 6.2.1985 (con la quale il Comune di OMISSIS ha proceduta alla nuova seconda approvazione del progetto dell’opera pubblica di cui trattasi) sia la sentenza n. 1185/2003 del Consiglio di Stato (emessa in esito al contenzioso tra le parti).
In particolare, con la citata sentenza n. 1185/2003, il Consiglio di Stato (laddove ha dichiarato improcedibile l’appello spiegato dal comune per sopraggiunto difetto di interesse a seguito del nuovo assetto prodotto sia dalla nuova seconda approvazione del progetto per effetto della deliberazione n. 53 del 6.2.1985 sia dall’intervenuto accordo con i proprietari per effetto del contratto del 30.5.1985) confermava l’annullamento (gia’ disposto dalla sentenza del Tar) degli atti emessi nell’ambito del primo procedimento di esproprio. Tra questi, figuravano in particolare: a) la deliberazione del consiglio comunale del 12.5.1976 n. 173 di approvazione del progetto per la costruzione della scuola media; b) la deliberazione della giunta municipale del 26.1.1977 n. 32 di approvazione del progetto esecutivo; c) la deliberazione del consiglio comunale del 3.3.1977 n. 108 di individuazione dell’area per la costruzione dell’edificio scolastico;…i) il p.r.g. del Comune di OMISSIS nella parte relativa alla destinazione scolastica delle aree di proprieta’ dei ricorrenti (vedi pagg. 2/3 della citata sentenza).
A seguito dell’intervenuto annullamento dei citati atti disposto dal Tar Lombardia con la sentenza n. 59/1983 emessa a definizione del giudizio di primo grado (annullamento – ripetesi – che la sentenza n. 1185/2003 del Consiglio di Stato non ha intaccato o modificato ma ha solo superato), il Comune di OMISSIS adottava la deliberazione di giunta n. 53 del 5.2.1985 con la quale:
Tanto premesso, ed alla luce dei citati passaggi testuali della citata deliberazione n. 53 del 6.2.1985 della giunta municipale, si tratta di accertare se il vincolo imposto sulle aree di cui trattasi avesse natura conformativa ovvero natura lenticolare ed espropriativa. E’ appena il caso di precisare che il quesito e’ pregiudiziale e dirimente ai fini dell’accertamento della natura edificabile o meno delle aree e della conseguente determinazione del corretto valore di mercato.
Sul punto, appare sufficiente richiamare la sentenza n. 11228 del 10.5.2013 con la quale la Corte di Cassazione, nell’affrontare la questione articolata nei termini prospettati, ha affermato quanto segue:
“E’, invero, insegnamento consolidato di questa corte che il carattere conformativo di una variante e’ configurabile ove essa miri a una (nuova) zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, si’ da incidere su di una generalita’ di beni, nei confronti di una pluralita’ indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo piu’ spaziale) con un’opera pubblica; mentre, se la variante non abbia una tal natura generale, ma imponga un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione non gia’ di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non puo’ coesistere con la proprieta’ privata, il vincolo che la stessa contiene deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area, pur quando la variante abbia mutato la classificazione urbanistica di quest’ultima, con la conseguenza che soltanto in tal caso deve farsi riferimento alla previgente destinazione (Cass. 21 gennaio 2005 n. 1336). Di destinazione <lenticolare> ha dunque senso parlare nel caso che a un’area particolare sia impressa una destinazione non conforme a quella della zona omogenea di appartenenza, con un provvedimento del quale non deve tenersi conto; opposto e’ il caso, che si da nella presente fattispecie, di una (cosiddetta) variante la quale, comportando una semplice specificazione dell’uso gia’ previsto dal piano regolatore generale per la zona in cui e’ compresa, e’ per cio’ stesso meramente confermativa di un vincolo conformativo precedente…”.
Orbene, non pare dubitabile:
Tanto basta sul punto ai fini del riscontro della edificabilita’ delle aree occupate.
Come gia’ premesso, i principi stabiliti dalla citata nota giurisprudenza italiana si pongono in contrasto sia con le norme contenute nella Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo sia con la opposta giurisprudenza della Corte Europea. In particolare, e’ noto che secondo l’insegnamento della Corte Europea, un terreno deve qualificarsi edificabile (e per tale deve essere stimato) per il solo fatto che esso sia utilizzato per interventi di costruzione, a prescindere se il manufatto sia destinato ad un uso pubblico piuttosto che privato, se il manufatto sia edificabile su esclusiva iniziativa pubblica anziche’ su iniziativa privata e/o su iniziativa mista pubblica/privata, se infine il vincolo imposto sullo stesso debba qualificarsi conformativo piuttosto che lenticolare ed espropriativo. Si tratta infatti di sottili distinzioni astratte e teoriche del tutto ignorate dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, la quale invece segue un criterio interpretativo orientato a cogliere la sostanza delle cose, per effetto del quale il fatto che un terreno sia stato occupato per la costruzione di un qualsiasi manufatto integra di per se’ gli estremi della edificabilita’, con tutti gli effetti conseguenti ai fini della determinazione del relativo valore di mercato.
Il principio del valore venale e’ del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
E’ altrettanto noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orientamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
Infine e per l’effetto, e’ appena il caso di precisare che al giudice italiano e’ ora consentito (anzi, imposto) di procedere alla applicazione diretta nell’ordinamento nazionale non solo delle norme della Convenzione Europea ma anche dei principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea, posto che essi hanno notoriamente la stessa efficacia e la stessa valenza giuridica delle norme della convenzione. A tal fine e’ sufficiente richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia.
“Ne’ va sottaciuto che la particolare autorevolezza della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo risulta ad oggi ulteriormente avvalorata dalla rinnovata e diretta incidenza sul piano interno delle disposizioni della relativa Convenzione, e cio’ in forza del combinato disposto della nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea conseguente dalle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona (cfr. ivi, commi 2 e 3: <L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. …>; <I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali>) e dell’art. 117 primo comma costituzione come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (<La potesta’ legislativa e’ esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>)” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808).
Premessi doverosamente nei termini appena prospettati i profili salenti caratterizzanti la fattispecie disciplinata dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, si puo’ ora procedere a trattare la domanda principale di annullamento del silenzio formatosi sulla istanza tesa ad ottenere il pronunciamento dell’amministrazione in ordine alla emissione del decreto di acquisizione sanante ed alla determinazione delle relative somme indennitarie e risarcitorie spettanti.
2.1) violazione e falsa applicazione:
Ritiene questa difesa che il proprietario del bene illecitamente occupato “sine titulo” ben possa chiedere all’amministrazione di pronunciarsi se intenda acquisire lo stesso non retroattivamente al patrimonio indisponibile ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 ovvero se intenda restituirlo, previo ripristino dello stato dei luoghi, corrispondendo le somme dovute previste rispettivamente per le due diverse ipotesi.
Il silenzio serbato dall’amministrazione sulla citata istanza comporta pacificamente:
Per l’effetto, ricorrono tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda principale di annullamento del silenzio, con consequenziale obbligo dell’amministrazione intimata silente ed inerte di attivare il procedimento e definire il procedimento previsto dall’art. 42 bis, come risulta dalla piu’ recente giurisprudenza in materia.
Si premette che i percorsi di tutela della proprieta’ privata a fronte dell’illegittimo esercizio del potere espropriativo – oscillanti tra azione restitutoria, azione risarcitoria per equivalente e, attualmente, acquisizione sanante ai sensi del vigente art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 – sono stati oggetto di perdurante dibattito dottrinale e di contrasti giurisprudenziali.
I punti di partenza della questione sono del tutto perspicui:
E’ peraltro evidente che – in mancanza di un idoneo titolo giuridico che valga a trasferire la proprieta’ in capo alla pubblica amministrazione – il privato, a fronte della illecita ingerenza, resta proprietario del bene, con la conseguenza che puo’, anzitutto, attivare (a parte, ovviamente, il risarcimento del danno per il periodo di occupazione) la tutela restitutoria, previa ripristino dello “status quo ante”: al che non puo’ costituire impedimento (una volta venuta meno la possibilita’ di evocare ls occupazione acquisitiva) ne’ la avvenuta trasformazione delle aree, ne’ la realizzazione dell’opera pubblica (gia’ nota come “trasformazione irreversibile”). Infatti, per un verso, il limite della eccessiva onerosite’ e’ codificato dall’art. 2058 c.c. in relazione alla tutela risarcitoria (in forma specifica) e non anche invece per quella restitutoria (che trova fondamento negli artt. 948 ss. ed e’ preordinata alla tutela reale della proprieta’) e, per altro verso, l’ulteriore limite di cui all’art. 2933 c.c. (relativo alla riduzione in pristino di quanto sia stato realizzato in violazione dell’obbligo di non fare) si riferisce solo alla ricorrenza di pregiudizi per l’intera economia nazionale e non invece a quelli “localizzati” (Cass. 23.8.2012 n. 14609).
Per la stessa ragione (ma al contrario), al privato dovrebbe, in principio, ritenersi preclusa la tutela risarcitoria (naturalmente diversa da quella relativa alla mera occupazione), difettando – ai fini del riconoscimento del diritto al rivendicato controvalore venale del bene – il presupposto essenziale rappresentato dalla perdita della proprieta’ (non potendosi ritenere – secondo un ragionamento speciosamente formulato in passato, ma privo di basi ed oggi espressamente ripudiato – che la formulazione della domanda risarcitoria implicasse di per se’ l’implicita volonta’ dismissiva e/o abdicativa della proprieta’, alla stregua di una sorta di “abbandono liberatorio”).
Una importante e paradossale conseguenza e’, allora, che le domande risarcitorie (anche quelle gia’ proposte in passato quando nessun privato aveva plausibile ragione di dubitare del regime della occupazione acquisitiva e giunte alla attuale cognizione del giudice amministrativo – oggi attributario della giurisdizione esclusiva in materia, giusta l’art. 34 del d. lgs. n. 80/98, trasfuso nell’art. 133 c.p.a. – per via di “translatio judicii”) dovrebbero essere coerentemente respinte in quanto non fondate, per difetto del fatto costitutivo del diritto azionato consistente nella perdita della proprieta’.
Tale esito pero’ si rivela nel complesso immediatamente insoddisfacente non solo per l’amministrazione espropriante (che vede in generale potenzialmente pregiudicato l’interesse pubblico dalla doverosita’ ed automaticita’ della reintegrazione della proprieta’ privata, anche in casi di trasformazione delle aree e di avvenuta realizzazione delle opere pubbliche, potendo solo riattivare “ex novo” il procedimento ablatorio), ma anche per lo stesso privato (che in genere e’ incline ad annettere maggior interesse alla pronta liquidazione del bene secondo il suo valore venale che non al ripristino dello “status quo ante”).
A fronte di cio’, puo’ ritenersi in generale sostanzialmente appagante l’eventualita’ che l’amministrazione eserciti l’autonomo potere ablatorio codificato dall’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 in quanto:
Il problema si pone, allora, proprio ed essenzialmente per l’ipotesi, peraltro molto frequente, di inerzia o addirittura di silenzio dell’ente espropriante: inerzia e silenzio che appaiono in grado di condizionare lo spettro delle tutele a disposizione del privato, di fatto conservandone lo “status” non sempre gradito (ed anzi addirittura prospetticamente suscettibile di frustrare le forme di tutela risarcitoria) di proprietario dei beni.
Al riguardo, si e’ formato il noto orientamento giurisprudenziale volto ad aggirare la difficolta’ ed a raggiungere comunque l’obiettivo perseguito dal legislatore. Gia’ nella vigenza dell’art. 43 si era statuito che, a fronte della domanda risarcitoria, la p.a. avrebbe potuto (alternativamente ma doverosamente) pervenire ad un accordo transattivo ovvero emettere un formale e motivato decreto, con cui disporre o la restituzione dell’area a suo tempo occupata, previa ripristino dello “status quo ante”, ovvero l’acquisizione coattiva: con tale soluzione, in caso di inerzia conseguente al giudicato “ad esito alternativo”, l’interessato avrebbe potuto chiedere, in sede di ottemperanza, l’esecuzione della decisione per la adozione delle misure consequenziali, rientrando nei poteri del giudice, in tal caso estesi come e’ noto al merito, la nomina di un commissario “ad acta” per l’adozione della scelta piu’ opportuna.
E’ evidente che, in tale prospettiva, il processo azionato dal privato diventa indirettamente uno strumento per imporre alla p.a. di attivarsi per comporre la vicenda, senza ancora pregiudicare le diverse opzioni, ma sull’implicito presupposto pratico che l’ipotesi della restituzione rimanga puramente teorica. Percio’, con l’introduzione dell’art. 42 bis, questo orientamento ha ripreso vigore, puntando piu’ direttamente sulla ineludibile alternativa tra restituzione e acquisizione sanante, ponendo invece in secondo piano altre soluzioni che erano emerse, come l’accordo transattivo o la rinnovazione del procedimento espropriativo (la prima, ovviamente, sempre possibile ma non in forza di una statuizione giudiziaria impositiva di un obbligo, sia pure alternativo, a contrarre, privo di idonea base positiva; la seconda anch’essa beninteso sempre possibile, ma chiaramente disfunzionale ed onerosa, in presenza di una facolta’ acquisitiva autonoma prevista dall’art. 42 bis).
Al primo indicato, si e’ aggiunto un secondo orientamento teso ad andare oltre il prospettato esito decisionale, escludendo ogni alternativa, anche quella della restituzione, e rendendo non piu’ nascosto ma esplicito e vincolante l’obiettivo di addivenire all’acquisizione: se il provvedimento di acquisizione sanante e’ (o si vuole che sia) l’unico modo per comporre gli opposti interessi sottesi alla vicenda e la p.a. rimane inerte, cio’ comporta che a tale provvedimento si dovra’ ineludibilmente pervenire per ordine del giudice, con eventuale esercizio di poteri sostitutivi in sede di esecuzione. In tal caso l’accoglimento del ricorso si risolve direttamente in una condanna specifica ad adottare il provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis. Con tale sorta di “mutatio” officiosa della domanda (che peraltro ha sollevato qualche dubbio di compatibilita’ con il canone della corrispondenza tra chiesto e pronunciato), la ”sostanza” cui “iussu iudicis” si perviene e’ che, da un lato, si e’ trasferita la proprieta’ e si e’ evitata la restituzione, d’altro lato, si e’ concesso indirettamente il risarcimento del danno per equivalente al privato.
L’orientamento in questione e la prospettiva della condanna a provvedere ex art. 42 bis consentono in realta’, a favore del privato, di superare in radice ogni problematico rilievo del distinguo tra domanda restitutoria e domanda di risarcimento per equivalente, poiche’, quale che sia l’esatto contenuto della domanda, soltanto nella suddetta condanna pare destinato a risolversi il processo.
Il descritto “escamotage” giurisprudenziale consente, quindi, di raggiungere l’obiettivo dell’art. 42 bis, con indubbi vantaggi anche per la tutela effettiva del privato.
In tale contesto, la nota pronuncia del Consiglio di Stato n. 1514 del 16.3.2012 ha piuttosto argomentato nel senso:
Dunque, da un lato, l’accoglimento della mera azione risarcitoria si scontra con il mancato trasferimento della proprieta’, d’altro lato, l’art. 42 bis avrebbe inequivocabilmente attribuito alla p.a. il potere discrezionale, valutati gli interessi in conflitto, di pervenire o meno al provvedimento di acquisizione, e siffatto potere (peraltro doveroso nell’ “an” giusta il principio generale scolpito all’art. 2 della legge n. 241/1990, in quanto preordinato alla salvaguardia, in prospettiva comparativa, di rilevanti interessi delle controparti private) non potrebbe essere preventivamente intaccato o limitato da un vincolo giurisdizionale che accolga la domanda restitutoria (ne’ da una condanna a provvedere “tout court” all’adozione del provvedimento acquisitivo, la quale infatti lederebbe e pregiudicherebbe la discrezionalita’ della p.a. di scegliere, valutati gli interessi in conflitto, tra acquisizione e restituzione del bene).
Alla luce delle esposte coordinate dogmatiche, va da se’ che – una volta ritenuta la “doverosita’” di attivazione del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis – la strutturazione della tutela del privato nei sensi della condanna a provvedere, nelle forme del rito avverso il silenzio e’ non solo senz’altro possibile ma addirittura auspicabile. Il risultato — condanna generica a provvedere — e’ ovviamente del tutto identico a quello scaturente dall’orientamento precedente, ma con ulteriori apprezzabili conseguenze sia per il privato, sia per la stessa p.a.:
Ecco allora che, nel quadro prospettato, il complesso delle indicate argomentazioni autorizza ad affermare che ricorrono tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda principale di annullamento del silenzio, con consequenziale obbligo dell’amministrazione intimata silente ed inerte di attivare il procedimento e definire, nei sensi chiariti, il procedimento previsto dall’art. 42 bis.
Il giudice dunque puo’ imporre all’amministrazione silente ed inerte di rinnovare, entro un termine stabilito, la valutazione di attualita’ e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei beni per cui e’ causa, adottando, all’esito di essa, un formale provvedimento col quale gli stessi siano alternativamente:
Con la ulteriore precisazione che nel primo caso, il provvedimento di acquisizione:
Sia nel caso sub a) che nel caso sub b), il provvedimento da emanarsi (in esito ad esaustiva istruttoria) dovra’ contenere la liquidazione, in favore del proprietario, di una somma in denaro a titolo risarcitorio pari all’applicazione del saggio di interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’intero bene occupato, per tutto il periodo di occupazione illegittima fino alla del provvedimento acquisizione della proprieta’ da parte dell’amministrazione o della riconsegna del bene.
Si chiede altresi’ che giudice preveda che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla richiesta decisione potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario “ad acta”.
Come e’ noto, a seguito della sentenza n. 293/2010 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ dell’art. 43 d.p.r. n. 327/2001, l’art. 34 del d.l. 6.7.2011 n. 98 convertito nella legge 15.7.2011 n. 111 ha introdotto nel predetto t.u. n. 327/ 2001 il nuovo art. 42 bis disciplinante l’utilizzazione “sine titulo” di un bene per scopi di interesse pubblico.
Il proprietario del bene illecitamente occupato “sine titulo” ben puo’ chiedere all’amministrazione di pronunciarsi se intenda acquisire lo stesso non retroattivamente al patrimonio indisponibile ex art. 42 bis ovvero se intenda restituirlo, previo ripristino dello stato dei luoghi, corrispondendo le somme dovute previste rispettivamente per le due diverse ipotesi.
Il silenzio serbato dall’amministrazione sulla citata istanza comporta pacificamente:
Al fine di sgombrare il capo da facili equivoci, va subito precisato che “…sarebbe priva di pregio l’eventuale eccezione con cui l’amministrazione sostenesse che l’istanza presentata dal proprietario ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 sarebbe in tal senso manifestamente infondata, posto che la norma indicata attribuirebbe all’amministrazione una facolta’ e non gia’ un obbligo di provvedere. Con la conseguenza quindi che a fronte del silenzio asseritamente legittimo serbato dalla stessa amministrazione, il susseguente ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile. E cio’, anche in quanto il proprietario, ancora titolare del diritto dominicale, vanterebbe solo un diritto soggettivo pieno alla restituzione del bene stesso, nel mentre in capo all’amministrazione non sussisterebbe alcun obbligo di provvedere proprio perche’ non dovrebbe essere esercitata alcuna potesta’ pubblica cui e’ correlata una posizione di interesse legittimo del proprietario alla restituzione delle aree illegittimamente detenute, in relazione alla scelta di acquisire le aree stesse ovvero di restituirle.
Una siffatta eccezione rivelerebbe tutti i propri limiti laddove si consideri che, al contrario, e’ perfettamente configurabile un vero e proprio obbligo di provvedere posto a suo carico dell’amministrazione, desumibile non soltanto dalle puntuali disposizioni di legge gia’ evocate in precedenza, ma anche dalla stessa peculiarita’ della fattispecie, nella quale evidenti ragioni di giustizia ed equita’ imporrebbero l’adozione di provvedimenti o, comunque, lo svolgimento di un’attivita’ amministrativa alla stregua dei principi (buon andamento ed imparzialita’) imposti in via generale dall’art. 97 costituzione, considerato che il proprietario null’altro pretende dall’amministrazione se non l’attivazione di un procedimento volto a definire la sorte dei beni rimasti sempre di sua proprieta’, ma tuttora illecitamente occupati “sine titulo” e mai restituiti ed anzi irreversibilmente trasformati dall’amministrazione.
Al riguardo, e’ sufficiente considerare che con la istanza sulla quale si e’ formato il silenzio impugnato in questa sede, il proprietario ha attivato una posizione giuridica di interesse legittimo pacificamente esercitabile per effetto dell’avvenuta introduzione nel sistema del d.p.r. n. 327/2001 del procedimento attraverso il quale l’amministrazione puo’ ed anzi deve sanare l’utilizzazione “sine titulo” di un bene immobile altrui per scopi di interesse pubblico.
A questo riguardo va pertanto precisato che, se al provvedimento finale di tale procedimento deve comunque attribuirsi natura discrezionale, cio’ – per l’appunto – non esclude la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione stessa di rispondere all’istanza presentata al tal fine dal privato. Senza sottacere che dall’avvio del procedimento non discende ovviamente l’adozione di un provvedimento avente un contenuto necessariamente vincolato in senso favorevole alla posizione del privato medesimo”.
Si aggiunga inoltre che “…l’art. 42 bis ha aggiuntivamente introdotto nell’ordinamento – con effetto espressamente esteso anche alle fattispecie in essere antecedentemente alla sua entrata in vigore (vedi comma 8 dell’art. 42 bis) – una facolta’ di valutazione della fattispecie da parte dell’amministrazione correlata all’eventuale acquisizione in via di sanatoria della proprieta’ sulle aree tuttora da essa occupate <contra ius> che fonda in capo al proprietario una incontestabile posizione di interesse legittimo (ulteriore e distinta rispetto a quella di diritto soggettivo alla restituzione del bene), per certo autonomamente tutelabile anche mediante il rito processuale deputato alla rimozione del silenzio illegittimamente serbato al riguardo dall’amministrazione”.
(conforme in termini Tar Campania Napoli sezione V 1.3.2013 n. 1200).
“…nell’attuale quadro normativo, l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno – in ogni caso – l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. Infatti, la pubblica amministrazione a seguito dell’avvenuta ordinanza d’urgenza di occupazione degli immobili, ha due sole alternative: o deve restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”, oppure deve attivarsi perche’ vi sia un titolo di acquisto dell’area (cfr. Consiglio di Stato sezione IV 2 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sezione VI 1 dicembre 2011 n. 6351)”.
“Nella fattispecie, emerge che l’amministrazione decretava…l’occupazione d’urgenza dell’area, divenuta poi “sine titulo”, non procedendo alla conclusione del procedimento, ne’ attraverso la restituzione del bene ne’ mediante l’acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis t.u. espropriazioni di cui al d.p.r. n. 327 del 2001 (introdotto dall’art. 34 comma 1 d.l. 6 luglio 2011 n. 98 convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111).
Per quanto sin qui considerato, emerge con evidenza che l’amministrazione sia tenuta a concludere il procedimento.
Pertanto, pur dovendosi escludersi che nella fattispecie si verta in alcuna delle ipotesi introdotte nell’art. 2 comma 5 della legge n. 241 del 1990 dall’art. 3 comma 6 bis del d.l. 14 marzo 2005 n. 35 convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005 n. 80 (nella parte in cui e previsto che <il giudice amministrativo puo’ conoscere della fondatezza dell’istanza>), tuttavia e’ indubitabile che il giudice amministrativo possa e debba limitarsi a dichiarare l’illegittimita’ del silenzio serbato dall’amministrazione ordinando alla stessa di provvedere espressamente”.
“Nel merito si osserva come la doverosita’ dell’obbligo provvedimentale, a fronte dell’istanza citata, non solo si radica in ragione del generalissimi canoni di legalita’, imparzialita’ e giustizia nell’azione amministrativa (art. 97 costituzione), ma ulteriormente si corrobora in relazione all’aspettativa connessa all’avvio… del procedimento di acquisizione sanante…”.
“Pare opportuno premettere che, nel vigore dell’art. 43 d.p.r. n. 327/2001, la giurisprudenza, con riferimento alla specifica ipotesi in cui il privato avesse sollecitato la mera emanazione del provvedimento di acquisizione in sanatoria disciplinato da tale norma, si e’ espressa sia nel senso dell’insussistenza di un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, in considerazione dell’ampia discrezionalita’ di cui la stessa dispone al riguardo (cfr. ad esempio Tar Genova, Sez. I n. 1174/2010 e Cons. Stato Sez. IV n. 5998/2008), sia nel senso del dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza (cfr. ad esempio Tar Salerno Sez. II n. 1395/2010, Tar Napoli Sez. V n. 2875/2009 e Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. Sez. Cons. n. 486/2009).
Cio’ premesso, deve osservarsi che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’impugnazione del (presunto) silenzio rifiuto dell’amministrazione e’ inammissibile quando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo, atteso che in questo caso la tutela dell’interessato deve essere fatta valere mediante l’apposita azione di accertamento (sul punto, cfr., fra le tante, Cons. Stato Sez. V n. 210/2011; Cons. Stato Sez. V n. 6947/2010; Cons. Stato Sez. V n. 3487/2010, Cons. Stato Sez. V, n. 444/2010, Cons. Stato Sez. IV n. 7057/2009; Cons. Stato Sez. VI n. 700/2008; Tar Lazio sede di Roma Sez. II n. 12003/2009; Tar Lazio sede di Roma Sez. II ter n. 10447/2008), sebbene – … – in alcune pronunce (cfr., ad esempio, Cons. Stato Sez. V n. 6497/2010 e Cons. Stato Sez. V n. 1146/2010) sia stato precisato che l’inammissibilita’ dell’impugnazione avverso il (presunto) silenzio rifiuto sussiste nei soli casi in cui la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo sulle quali il giudice amministrativo non disponga di giurisdizione esclusiva.
L’affermazione in ordine all’inammissibilita’ dell’impugnazione del (presunto) silenzio rifiuto allorquando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo si fonda sull’ineccepibile rilievo che, nell’ipotesi di rapporto di natura paritetica che riceva integrale disciplina ad opera del diritto comune, non si rende mai necessaria, ai fini dell’esperimento della tutela giurisdizionale, l’intermediazione di un provvedimento dell’amministrazione e l’eventuale comportamento omissivo di quest’ultima non assume mai i connotati del silenzio rifiuto (quanto, piuttosto, quelli dell’inadempimento civilistico), con la conseguenza che l’interessato e’ legittimato a chiedere immediata tutela in sede giurisdizionale per il pregiudizio cagionato alla propria situazione soggettiva dall’inerzia dell’amministrazione…
Tanto precisato, il Collegio rileva che, nei casi contemplati dall’art. 42 bis, primo e secondo comma d.p.r. n. 327/2001 (…), in base all’attuale quadro normativo l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione <sine titulo> e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’, trasferimento che puo’ dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell’amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprieta’ o da altri comportamenti, fatti o contegni (sul punto, cfr. C.d.S. Sez. IV n. 4833/2009 e C.d.S. Sez. IV n. 676/2011, nonche’ numerose pronunce di questa stessa Sezione, fra cui la n. 1652/2012, la n. 1498/2012 e la n. 1273/2012).
Nonostante l’irreversibile modificazione dell’area illecitamente occupata e trasformata, la proprieta’ della stessa rimane, quindi, in capo all’originario proprietario o a suoi aventi causa, con la conseguenza che, con riferimento al caso di specie, sussisterebbero i presupposti civilistici – qualora i ricorrenti avanzassero apposita domanda in sede giurisdizionale – per ordinare la restituzione del bene in loro favore, previa riduzione in pristino stato, oltre la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima.
Tali considerazioni potrebbero, quindi, deporre per l’inammissibilita’ dell’odierno ricorso, atteso che, alla stregua delle affermazioni giurisprudenziali sopra richiamate, la tutela giurisdizionale prevista per l’ipotesi di silenzio rifiuto dell’amministrazione non puo’ esperirsi nel caso in cui la posizione controversa risulti disciplinata dal diritto comune e debba, quindi, qualificarsi in termini di diritto soggettivo.
Senonche’, l’affermazione secondo cui, nelle ipotesi contemplate dal menzionato art. 42 bis primo e secondo comma d.p.r. n. 327/2001, l’amministrazione abbia semplicemente l’obbligo “civilistico” di procedere alla restituzione dell’immobile in favore del proprietario, previa riduzione in pristino, non tiene conto della piu’ complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie e, in primo luogo, delle previsioni contenute nel medesimo art. 42 bis.
Se e’ vero, infatti, che l’amministrazione ha l’obbligo, in base al diritto civile, di procedere alla restituzione del bene e di risarcire il danno, e’ anche vero che la stessa, ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, dispone del potere, in base al diritto amministrativo, di procedere all’acquisizione del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico, previa valutazione degli interessi in conflitto.
In buona sostanza, nei casi come quello in esame, si pone per l’amministrazione un’alternativa fra l’adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l’esercizio di una potesta’ autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone in forza del regime speciale ad essa assicurato dal diritto amministrativo.
La scelta che l’amministrazione deve compiere non e’, pero’, libera, come accade invece nel caso – che appare analogo da un punto di vista meramente descrittivo e funzionale – delle obbligazioni alternative, in cui il debitore puo’ effettuare la cosiddetta concentrazione individuando, a sua insindacabile ed arbitraria scelta, la prestazione che egli preferisce eseguire.
Come e’ ovvio, infatti, l’art. 42 bis primo comma d.p.r. n. 327/2001, nell’affermare che l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, “puo’” disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, non attribuisce all’autorita’ una semplice facolta’ (il cui esercizio e’ per definizione libero), ma le conferisce una potesta’, cioe’ l’esercizio obbligatorio di un potere funzionalizzato alla cura dell’interesse pubblico.
Ne consegue che l’amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all’esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all’interesse pubblico rispetto alla soluzione alternativa consistente nella restituzione dell’immobile.
La valutazione discrezionale sugli interessi in conflitto risulta, quindi, sempre necessaria nei casi di cui al citato art. 42 bis primo e secondo comma perche’, qualora essa deponga nel senso che l’interesse pubblico, nella sua composizione con gli altri interessi confliggenti, risulti meglio soddisfatto attraverso l’acquisizione del bene, all’amministrazione non resta alcuna facolta’ di optare per la restituzione dell’immobile, atteso che tale soluzione pregiudicherebbe il corretto perseguimento dell’interesse che l’autorita’ e’ deputata a soddisfare.
Cio’ – si ripete – dipende dal fatto che le potesta’ (e in primo luogo la potesta’ amministrativa), a differenza delle facolta’, non costituiscono un mero potere, ma si sostanziano in un potere – dovere, nel senso, cioe’, che il loro titolare ha l’obbligo di esercitare il potere che l’ordinamento gli attribuisce ogniqualvolta tale esercizio risulti idoneo a soddisfare l’interesse per il quale il potere stesso e’ stato attribuito.
Se, quindi, la restituzione dell’immobile e la corresponsione di quanto dovuto a titolo risarcitorio secondo la disciplina civilistica puo’ intervenire, nei casi come quello in esame, solo qualora l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, abbia ritenuto che l’esercizio della potesta’ autoritativa di acquisizione dell’immobile ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non costituisca uno strumento di migliore soddisfazione dell’interesse pubblico nella sua doverosa composizione con gli ulteriori interessi concorrenti, cio’ significa che, nei casi di cui al citato art. 42 bis primo e secondo comma il primo dovere che incombe sull’amministrazione non e’ quello <civilistico> relativo alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, ma quello <amministrativo> relativo alla valutazione degli interessi in conflitto (valutazione dalla quale dipende il concreto esercizio della potesta’ di acquisizione del bene, ovvero la concreta restituzione dell’immobile ai sensi della disciplina di diritto comune).
In altri termini, l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalita’, e’ chiamata a decidere in via preliminare se esercitare o non esercitare la potesta’ amministrativa di acquisizione che l’ordinamento le attribuisce e, solo nel caso in cui tale decisione abbia avuto esito negativo, essa e’ tenuta, come qualsiasi soggetto di diritto comune, alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno.
La valutazione degli interessi in conflitto di cui all’art. 42 bis primo comma d.p.r. n. 327/2001 e’, percio’, necessariamente prodromica rispetto alla concreta opzione fra acquisizione autoritativa e restituzione <civilistica> e deve essere obbligatoriamente compiuta dall’amministrazione in tutti i casi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dal primo e dal secondo comma della disposizione indicata.
Tale valutazione amministrativa – … – deve tuttavia pur sempre intervenire, proprio in quanto l’ordinamento non attribuisce all’amministrazione una libera facolta’ di acquisizione dell’immobile, ma le impone il dovere di procedere a tale acquisizione qualora, in base alla valutazione prescritta dal citato art. 42 bis, essa costituisca una strumento piu’ adeguato per il corretto perseguimento dell’interesse pubblico.
A fronte di una situazione quale quella in esame, l’amministrazione e’, quindi, tenuta in primo luogo a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere amministrativo discrezionale che l’ordinamento le riconosce (esercizio che ben puo’ concretizzarsi nella decisione di non acquisire l’immobile in via autoritativa), e solo in seconda battuta, qualora cioe’ l’esito di tale valutazione discrezionale si traduca nella decisione di non acquisire il bene, essa dovra’ considerarsi effettivamente tenuta alla restituzione dell’immobile secondo gli ordinari canoni civilistici.
Sulla scorta di tali considerazioni deve, percio’, ritenersi che in tutti i casi in cui si verifichi la situazione contemplata dall’art. 42 bis primo e secondo comma d.p.r. n. 327/2001 (…), l’autorita’ abbia l’obbligo di attivare e concludere il procedimento relativo alla valutazione degli interessi in conflitto al fine di stabilire se procedere all’acquisizione autoritativa dell’immobile, ovvero alla sua restituzione secondo la disciplina civilistica.
Nel caso in esame sussiste, quindi, l’obbligo di provvedere che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato quale presupposto per l’esperimento dell’azione avverso il silenzio dell’amministrazione, in quanto la stessa, ai sensi dell’art. 42 bis primo comma d.p.r. n. 327/2001, e’ effettivamente tenuta ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale che il proprietario ha sollecitato con la relativa istanza e che consiste nella scelta fra l’acquisizione autoritativa dell’immobile secondo la disciplina di cui alla norma indicata, da una parte, e l’opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall’altra”.
“Deve ulteriormente precisarsi, tuttavia, che l’alternativa provvedimentale che si pone per l’amministrazione allorquando essa proceda alla preliminare valutazione degli interessi in conflitto non e’ esattamente quella fra acquisizione autoritativa e concreta restituzione dell’immobile, ma piuttosto quella fra acquisizione e non acquisizione del bene.
Il procedimento che l’amministrazione e’ tenuta a concludere e la volonta’ provvedimentale che la stessa e’ tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non concerne invero l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico – cioe’ una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale – ed essa non costituisce ne’ puo’ costituire espressione di una specifica volonta’ provvedimentale dell’autorita’ (atteso che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune, l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento e non agisce <iure auctoritatis>)”...
“E’, infine, opportuno osservare che le conclusioni appena indicate risultano perfettamente coerenti con le affermazioni della giurisprudenza (cfr., ad esempio, C.d.S. Sez. IV n. 1514/2012; Tar Palermo Sezione II n. 428/2012, Tar Napoli Sezione V n. 1171/2012, nonche’ Tar Catania Sez. II n. 1652/2012 n. 1498/2012 e n. 1273/2012) per i casi in cui il proprietario illegittimamente spogliato del proprio bene avesse adito il giudice per ottenere la restituzione dell’immobile e il risarcimento del danno.
Nelle pronunce cui si e’ fatto riferimento, invero, la giurisprudenza non si e’ limitata a condannare l’amministrazione alla restituzione e al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, ma, in base ai principi derivanti dall’interpretazione sistematica della disciplina e utilizzando le possibilita’ implicite nel principio di atipicita’ delle pronunce di condanna di cui all’art. 34 primo comma lett. c), c.p.a., ha formulato le proprie decisioni in modo tale che esse non pregiudicassero la possibilita’ per l’amministrazione di acquisire il bene ai sensi del citato art. 42 bis, ordinando all’autorita’ di provvedere ai sensi dell’art. 42 bis qualora essa non ritenesse di restituire l’immobile al legittimo proprietario previa riduzione in pristino stato.
Cio’ conferma la peculiarita’ della situazione in cui si trova l’amministrazione nei casi di cui all’art. 42 bis primo e secondo comma e dimostra che tale situazione non si sostanzia in un semplice obbligo <civilistico> di restituzione e di risarcimento del danno, ma contempla la necessaria e preliminare valutazione discrezionale ed autoritativa sugli interessi in conflitto al fine di giungere ad una decisione di natura provvedimentale – che puo’ avere anche esito negativo – in merito all’eventuale acquisizione del bene”.
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Sulla scorta dei motivi prospettati, i ricorrenti in premessa
C H I E D O N O
b.1) l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale nella somma corrispondente al valore venale (determinato nel rispetto dei principi stabiliti dal d.p.r. n. 327/2001 e dei criteri estimativi prospettati nel presente ricorso) del bene utilizzato per scopi di pubblica utilita’ espresso alla data del decreto sanante;
b.2) l’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale nella somma forfettariamente determinata nella misura del 10 % del valore venale del bene;
b.3) il risarcimento dei danni per il mancato possesso e godimento del bene occupato, per il periodo di occupazione senza titolo [con decorrenza in via principale dal 1.2.1986 (primo giorno successivo al termine finale previsto per la sottoscrizione del contratto definitivo) ed in via subordinata dal 1.2.1990 (primo giorno successivo al termine finale previsto per l’efficacia della pubblica utilita’) e fino alla data di trasferimento della proprieta’ dei terreni in capo al comune], da determinarsi nella misura del 5 % annuo calcolato sul valore venale del bene espresso con riferimento all’inizio di ogni singolo anno di occupazione illecita, incrementato della rivalutazione monetaria istat e degli interessi legali sulla somma rivalutata fino al soddisfo;
OMISSIS