L’acquisizione sanante, disciplinata dall’art. 42-bis del D.P.R. 327/2001, costituisce uno degli istituti più delicati e controversi del diritto amministrativo italiano. La sua introduzione ha rappresentato il tentativo di porre fine a decenni di incertezza e contenzioso legati alle cosiddette “occupazioni usurpative” della pubblica amministrazione e di assicurare, nel rispetto dei principi costituzionali ed europei, un equilibrio tra l’interesse pubblico e la tutela del diritto di proprietà privata. La recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, oggetto di questa analisi, si inserisce in tale panorama offrendo spunti interpretativi di grande rilievo.
La vicenda oggetto dell’ordinanza trae origine da una procedura espropriativa avviata da un Comune per la realizzazione di un piano di edilizia economica e popolare (PEEP). Il fondo, originariamente di proprietà di privati, veniva inserito nel comparto oggetto di esproprio e assegnato a una cooperativa edilizia. Nel corso degli anni, il TAR competente annullava gli atti espropriativi, accertando l’illegittimità della procedura e la conseguente occupazione sine titulo del bene da parte dell’amministrazione e della cooperativa assegnataria.
Successivamente, il Comune adottava un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis, con cui formalizzava l’acquisizione coattiva del bene già trasformato, determinando l’indennizzo da corrispondere ai proprietari e disponendo il relativo deposito presso la Cassa depositi e prestiti.
I proprietari, insoddisfatti dell’importo fissato, introducevano due procedimenti: uno dinanzi al TAR per contestare la legittimità del provvedimento, l’altro dinanzi alla Corte d’appello per l’opposizione alla stima dell’indennizzo.
L’art. 42-bis è stato introdotto per colmare il vuoto normativo determinatosi a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle discipline precedenti che legittimavano l’acquisto a titolo originario della proprietà da parte della PA in assenza di un valido provvedimento espropriativo (la cosiddetta “occupazione acquisitiva”). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la nota sentenza Scordino c. Italia, aveva ravvisato in tali prassi una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, imponendo al legislatore italiano di approntare garanzie effettive per la tutela della proprietà privata.
L’art. 42-bis permette oggi all’amministrazione di sanare situazioni di fatto consolidate, previo accertamento dell’interesse pubblico e pagamento di un indennizzo congruo, evitando così il perpetuarsi di illeciti e la proliferazione di contenziosi.
La norma impone una rigorosa istruttoria: l’amministrazione deve valutare se sussista un interesse pubblico attuale e concreto all’acquisizione, se la restituzione del bene sia impossibile o irragionevole e deve corrispondere un indennizzo che tenga conto del valore venale del bene e di tutti i pregiudizi subiti dal proprietario.
A fronte dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante, il proprietario può:
La vicenda in esame è emblematica di questa duplicità: i proprietari hanno attivato entrambe le tutele, in sede amministrativa e civile.
La Cassazione conferma il principio secondo cui la giurisdizione in tema di opposizione alla stima è ordinaria, anche quando la contestazione si estenda alle modalità di determinazione dell’indennizzo e alla sua congruità. Rimangono invece di competenza del giudice amministrativo le controversie relative alla legittimità del provvedimento di acquisizione.
L’indennizzo ex art. 42-bis deve essere commisurato al valore venale del bene al momento dell’acquisizione, secondo i criteri di mercato e tenendo conto delle potenzialità urbanistiche effettive. Nell’ordinanza in commento, la Corte sottolinea la necessità di individuare correttamente la destinazione urbanistica e la concreta utilizzabilità del bene, evitando penalizzazioni a carico del proprietario.
L’indennizzo deve altresì comprendere una componente risarcitoria per il danno derivante dall’occupazione illegittima protrattasi nel tempo, in conformità all’orientamento della giurisprudenza europea e costituzionale. Ciò garantisce il rispetto del principio del “giusto indennizzo” e della piena reintegrazione patrimoniale.
La Suprema Corte ribadisce che l’indennizzo da acquisizione sanante, pur avendo natura indennitaria e non risarcitoria in senso stretto, mira a porre il proprietario nella stessa situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato in assenza della vicenda ablatoria. La qualificazione giuridica della somma dovuta resta, tuttavia, oggetto di dibattito dottrinale.
Il pagamento dell’indennizzo, in caso di disaccordo tra le parti, deve avvenire mediante deposito presso la Cassa depositi e prestiti, a tutela di eventuali diritti di terzi e a garanzia della legittimità della procedura.
Una delle principali criticità risiede nella effettività delle garanzie riconosciute al proprietario, spesso coinvolto in procedimenti lunghi e complessi, con rischio di ritardi nel ristoro patrimoniale dovuto. La motivazione del provvedimento, la valutazione dell’interesse pubblico e l’adeguatezza dell’indennizzo sono punti nevralgici su cui si gioca la legittimità dell’acquisizione.
Nonostante l’apparente chiarezza della disciplina, la prassi mostra significative disomogeneità nell’applicazione dei criteri di valutazione, nella stima dei danni e nella gestione del contraddittorio. La giurisprudenza continua a svolgere un ruolo fondamentale nell’orientare gli operatori e nel garantire l’uniformità delle decisioni.
Le pronunce della Corte EDU hanno inciso profondamente sulla disciplina italiana delle espropriazioni, imponendo standard più elevati di tutela della proprietà privata. L’art. 42-bis rappresenta la risposta del legislatore a tali sollecitazioni, ma la sua efficacia dipende dall’interpretazione conforme delle autorità amministrative e giudiziarie.
L’istituto dell’acquisizione sanante resta in continua evoluzione. Dottrina e giurisprudenza segnalano la necessità di ulteriori interventi normativi per rafforzare le garanzie dei proprietari, semplificare i procedimenti e uniformare i criteri di determinazione dell’indennizzo. L’auspicio è che si possa giungere a una disciplina chiara, equa ed effettiva, in linea con i principi costituzionali e sovranazionali.
Secondo una parte significativa della dottrina, l’acquisizione sanante ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001 rappresenta un istituto “ibrido”, a metà tra il tradizionale procedimento espropriativo e la fattispecie risarcitoria dell’illecito permanente. La sua funzione non è puramente riparatoria, ma anche regolativa di rapporti di fatto già consolidati, che l’ordinamento non può ignorare senza rischiare di pregiudicare l’interesse pubblico e la certezza dei rapporti giuridici.
Il dibattito dottrinale si è concentrato, da un lato, sulla compatibilità costituzionale dell’istituto rispetto all’art. 42 Costituzione e, dall’altro, sulla rispondenza agli standard richiesti dall’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla CEDU. In particolare, la Corte Costituzionale (sent. n. 71/2015) ha sottolineato che l’acquisizione sanante può essere giustificata solo in presenza di un interesse pubblico attuale e concreto, non surrogabile da altre soluzioni meno invasive.
Mentre la giurisprudenza della Cassazione ha ormai chiarito che l’indennizzo ex art. 42-bis ha natura indennitaria, la Corte EDU e parte della dottrina insistono sulla necessità che la somma corrisposta tenga conto anche del danno ulteriore (morale, da mancato godimento, ecc.) subito dal proprietario. Questo aspetto è stato messo in rilievo anche dalla Corte Costituzionale, che ha richiamato la necessità di un ristoro integrale, comprensivo di tutte le componenti del pregiudizio subito, per rispettare il principio dell’equità e della piena tutela patrimoniale.
Le vicende giurisprudenziali dimostrano che la prassi amministrativa non sempre si attiene a criteri rigorosi nell’adozione di provvedimenti di acquisizione sanante. Non mancano casi in cui:
Tali criticità sono spesso all’origine di nuovi contenziosi, che rischiano di vanificare la funzione deflattiva dell’istituto.
Le esperienze concrete e le continue sollecitazioni della giurisprudenza europea inducono a ritenere che la disciplina dell’acquisizione sanante sia destinata a ulteriori affinamenti. Tra le proposte avanzate in dottrina e nella prassi:
La Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale, insieme alla Corte dei diritti dell’uomo, continueranno a svolgere un ruolo di indirizzo imprescindibile, sia per orientare la prassi amministrativa, sia per garantire l’uniformità interpretativa e il rispetto dei principi fondamentali.
L’analisi delle pronunce più recenti e delle criticità emerse suggerisce ai professionisti del settore (avvocati, tecnici, responsabili di uffici espropri) di:
L’acquisizione sanante rappresenta un punto di equilibrio dinamico tra esigenze pubbliche e tutela della proprietà. La sua disciplina, pur essendo oggi più chiara di quanto non fosse in passato, rimane aperta a sviluppi e a possibili riforme, soprattutto in un’ottica di maggior efficienza, equità ed effettività della tutela giurisdizionale.
Dottrina e giurisprudenza continueranno a confrontarsi su temi cruciali: la natura dell’indennizzo, la delimitazione della giurisdizione, i tempi e le modalità del procedimento, la conformità agli standard europei. Solo da tale confronto potrà emergere una disciplina sempre più attenta ai bisogni della collettività e ai diritti inviolabili della persona.