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CORTE DI APPELLO DI SALERNO
RICORSO EX ART. 702 BIS CPC
(ART. 29 D.LGS. 1.9.2011 N. 150)
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
Il Dott. OMISSIS difeso e rappresentato dall’Avv. OMISSIS ) giusta procura speciale notarile rep. …………………………….. rilasciata a mezzo Notaio……………………….ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. OMISSIS, spiega
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
ed in particolare formula ai sensi dell’art. 54 d.p.r. n. 327/2001 la domanda
DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
della indennita’ di esproprio e di servitu’ coattiva di rete fognaria
C O N T R O
il Comune di OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t.
F A T T O
In vista della realizzazione del Piano per gli Insediamenti Produttivi in localita’ OMISSIS , il Comune di OMISSIS approvava i seguenti atti emessi nell’ambito del relativo procedimento di esproprio:
e cosi’ per un totale complessivo di euro 644.878,50.
Ad oggi l’autorita’ espropriante non ha ancora comunicato la indennita’ definitiva di esproprio e di occupazione legittima da determinarsi adopera della Commissione Provinciale Espropri.
Con il presente giudizio, l’opponente, nel ritenere manifestamente insufficiente l’indennita’ determinata in via provvisoria, intende contestare la mancata determinazione della indennita’ definitiva di esproprio e di servitu’ e chiederne a codesta Corte di Appello la determinazione in sede giudiziale nella misura di legge.
M O T I V I
Con il presente giudizio, l’opponente intende avvalersi del diritto accordato dalla nota sentenza n. 67/1990 (doc. n. 9) con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che il proprietario – a cui sia stato notificato il decreto di esproprio – puo’ comunque chiedere la determinazione giudiziale della indennita’ di esproprio, pur in mancanza della determinazione in sede amministrativa della indennita’ definitiva, la quale dunque non si pone piu’ quale condizione di azionabilita’ del relativo diritto.
Peraltro, l’entrata in vigore recentemente dell’art. 29 del d.lgs. 1.9.2011 n. 150 conferma l’ammissibilita’ della presente azione nei termini spiegati (oltre ad prevedere la gestione del giudizio nel rispetto del rito sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c.).
E’ stata altresi’ dichiarata, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, l’illegittimita’ costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che contengono norme identiche a quelle dichiarate in contrasto con la Costituzione dalla medesima sentenza.
Come e’ noto, con l’art. 2 commi 89 e 90 della legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale ed ha ora previsto (tra l’altro):
E’ noto infatti che la Corte di Cassazione (con principio del tutto analogo a quello stabilito in materia di piani p.e.e.p.) ha stabilito che i terreni espropriati per la realizzazione dei piani industriali e produttivi hanno per cio’ stesso natura edificabile, a prescindere dalla utilizzazione concreta degli stessi nell’ambito delle previsioni del piano.
Con la sentenza n. 7987 del 7.4.2011 la Corte di Cassazione ha stabilito che “Proprio per il carattere generale ed astratto della previsione che ha compreso nell’intera zona D2 in cui rientra il terreno in disamina, le “aree destinate ad insediamenti industriali della zona ASI del Dittaino”, la stessa non puo’ assumere la qualifica di vincolo preordinato all’esproprio;….
Si deve aggiungere che la destinazione da parte del P.R.G. della zona in esame agli insediamenti industriali, gia’ sufficiente a conferire al terreno (…), “le possibilità legali di edificazione” richieste dall’art. 5 bis, ha trovato conferma proprio nello strumento consortile che l’ha ribadita, percio’ confermandone la vocazione edificatoria ed escludendo che la valutazione dell’area possa essere compiuta con il criterio tabellare relativo ai suoli agricoli di cui alla legge n. 865/1971 art. 16”.
“Proprio in tale ottica la Corte Costituzionale (sent. 179/1999) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3298/2000) hanno precisato che l’attribuzione da parte degli strumenti urbanistici al terreno di una vocazione edificatoria (sia pure specifica) ricorre quando esso sia destinato a ricevere non soltanto costruzioni edilizie in senso stretto, ma anche attrezzature e servizi realizzabili (non in astratto, ma) per volonta’ dello strumento urbanistico pure ad iniziativa libera privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento. E sempre nella medesima prospettiva questa Corte, anche a sezioni unite ha attribuito natura edificatoria ai fondi inclusi in un PIP, ovvero in zone destinate ad attivita’ industriali (c.d. zone D di cui al D.M. n. 1444 del 1968)… (Cass. 18680/2005; 10265/2004; 16710/2003)”;
Con la sentenza n. 23965 del 25.11.2010 la Corte di Cassazione ha testualmente chiarito che con riferimento alle aree comprese nei piani P.I.P., la destinazione edificatoria risulta attribuita proprio in conseguenza della loro inclusione nell’ambito del piano industriale.
“Proprio in tale ottica la Corte Costituzionale (sent. 179/1999) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3298/2000) hanno precisato che l’attribuzione da parte degli strumenti urbanistici al terreno di una vocazione edificatoria (sia pure specifica) ricorre quando esso sia destinato a ricevere non soltanto costruzioni edilizie in senso stretto, ma anche attrezzature e servizi realizzabili (non in astratto, ma) per volonta’ dello strumento urbanistico pure ad iniziativa libera privata o promiscua… (Cass. 18680/2005; 10265/2004; 16710/2003)” (Cass. 27.4.2011 n. 9390).
Ad ulteriore conferma, si segnalano altre due recenti decisioni:
Inoltre, altre pronunce della Suprema Corte hanno stabilito:
Sulla base della giurisprudenza appena riportata, ogni eventuale obiezione che dovesse provenire dalla amministrazione convenuta tesa a sostenere che le aree in questione pur comprese nel piano P.I.P. sono state destinate non alla edificalita’ ma a servizi, viabilita’, infrastrutture, verde ecc.., sarebbe destinata ad essere superata proprio dal principio sempre ribadito dalla Suprema Corte secondo cui “ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione, va considerato edificabile un terreno inserito dallo strumento generale in zona destinata a insediamenti industriali, non essendo necessaria una specifica destinazione conferita da uno strumento attuativo, e restando irrilevante che, all’interno della zona, il terreno ossa essere destinato a servizi (nella specie, ad opere di viabilia’ interna), in virtu’ di prescrizioni di carattere preespropriativo, apportandosi in tal caso la valutazione alle aree comprese nella zona” (Cass. 20.9.2006 n. 20408).
In particolare, si richiama l’attenzione su un principio del tutto pacifico stabilito dalla invocata giurisprudenza secondo il quale “ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione, va considerato edificabile un terreno inserito dallo strumento generale in zona destinata a insediamenti industriali, non essendo necessaria una specifica destinazione conferita da uno strumento attuativo, e restando irrilevante che, all’interno della zona, il terreno possa essere destinato a servizi (nella specie, ad opere di viabilita’ interna), in virtu’ di prescrizioni di carattere preespropriativo, rapportandosi in tal caso la valutazione alle aree comprese nella zona” (Cass. 20.9.2006 n. 20408 gia’ indicata) (conformi Cass. 3.4.2009 n. 8121; Cass. SS.UU. n. 125/2001, nonche’ n. 19501/2005; n. 15519/2001; n. 1113/1999).
Orbene, appare opportuno aggiungere (solo per completezza di indagine) che con la recente sentenza n. 11729 del 14.5.2010 la Corte di Cassazione SS.UU. ha testualmente stabilito che
<Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’edificabilita’ del fondo deve necessariamente essere commisurata ad indici “medi” di fabbricabilita’ riferiti (o riferibili) all’intera zona omogenea, al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato, nel senso che, ove non si ritenga di stimare il terreno ricorrendo a criteri comparativi basati sul valore di aree omogenee, l’adozione del metodo analitico – ricostruttivo comporta che l’accertamento dei volumi realizzabili sull’area non possa basarsi sull’indice fondiario di edificabilita’ (che e’ riferito alle singole aree specificamente destinate all’edificazione privata) e che, invece, postulando l’esercizio concreto dello ius aedificandi che l’area sia urbanizzata e, che si tenga conto dell’incidenza degli spazi all’uopo riservati ad infrastrutture e servizi a carattere generale, si debba prescindere come dal fatto che l’area sia (eventualmente) destinata ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità, parcheggi) non potendo l’edificabilita’ essere vanificata dalla utilizzatalita’ non strettamente residenziale, cosi’ dalla maggiore o minore fabbricabilita’ che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni di piano attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture, di guisa che tutti i terreni espropriati in uno stesso ambito zonale vengano a percepire la stessa indennita’, calcolata su una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialita’ edificatoria “media” di tutto il comprensorio, ovvero dietro applicazione di un indice di fabbricabilita’ (territoriale che sia frutto del rapporto tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato” (Cass. sez. 1^ 29 novembre 2006 n. 25363; Cass. sez. un. 21 marzo 2001 n. 125; Cass. sez. 1^ 16 maggio 2006 n. 11477; Cass. sez. 1^ 16 giugno 2006 n. 13958)>.
Conforme anche Cass. n. 14755 del 18.6.2010 secondo cui “…allorquando il valore venale di un fondo debba determinarsi in base al suo valore di trasformazione (cosidetto metodo analitico – ricostruttivo), deve essere recepito l’indice che individua la densita’ territoriale della zona (e non quello relativo alla densità fondiaria), soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale di spazi pubblici gravanti sul fondo espropriato; e trattandosi di un terreno incluso in un piano di zona l’edificabilita’ deve commisurarsi ad indici medi di fabbricabilita’, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi e spazi liberi (Cass. 2349/2004; n. 555/2004; 0555/2004 ; n. 25/2001)”.
Ogni ulteriore residua perplessita’ circa la natura edificabile delle aree oggetto del presente ricorso, e’ destinata ad essere spazzata via allorquando si consideri che nella giurisprudenza di legittimita’ non si rinviene una sola sentenza (!) con la quale la Corte di Cassazione abbia affermato che le aree espropriate comprese in piani PIP non abbiano natura edificabile.
Infine, sia consentito aggiungere che, per effetto della interpretazione correttiva della Corte Costituzionale resa gia’ con la sentenza 16.12.1993 n. 442, ai fini dell’accertamento della edificabilita’ legale occorre assumere e valutare le possibilita’ legali ed effettive di edificazione esistenti al momento del verificarsi della vicenda ablativa, anziche’ quelle vigenti al tempo di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, del quale ovviamente non e’ consentito tener conto ai fini della stima. Tale momento deve essere correttamente e legittimamente identificato in quello di adozione del decreto di esproprio (ex multis Cass. 21 febbraio 2001 n. 2474).
E’ appena il caso di precisare che il valore unitario di euro 16,50 mq. finora determinato ed offerto dall’amministrazione espropriante non appare affatto idoneo a rappresentare l’effettivo valore di mercato delle aree produttive, che notoriamente si attesta su valori di gran lunga piu’ elevati.
E’ sufficiente a tal fine far riferimento non solo ai valori dichiarati negli atti di compravendita delle aree produttive site nel circondario (non ostante siano notoriamente indicati in misura inferiore all’effettivo prezzo corrisposto e cio’ in conformita’ all’art. 54 d.p.r. n. 131/1986), ma anche alle quotazioni dei capannoni industriali pubblicate dall’Omi Agenzia del Territorio (da cui e’ notoriamente possibile ricavare il valore della sola area) ed alle stesse sentenze emesse da codesta Corte di Appello in esito a giudizi di opposizioni alla stima relativamente ad aree espropriate per piani PIP di comuni siti nel circondario.
L’opponente intende contestare anche che il gravame imposto sui terreni distinti in catasto:
sia inquadrabile nell’ambito della servitu’ anziche’ della espropriazione vera e propria (stante la sostanziale residua inutilizzabilita’ delle aree interessate).
In subordine, qualora fosse confermata la configurabilita’ della servitu’, la relativa indennita’ definitiva deve essere coerentemente rideterminata, alla luce dell’effettivo valore delle aree.
Con l’art. 2 commi 89 e 90 della sopraggiunta legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla citata sentenza costituzionale n. 348/2007 ed ha ora previsto (tra l’altro):
Nella determinazione della indennita’ provvisoria di esproprio, il comune ha (ovviamente ma erroneamente) ritenuto di applicare la riduzione del 25 % per interventi di riforma economico sociale.
Cio’ premesso, si tratta di accertare se l’espropriazione per l’allocazione di iniziative produttive nell’agglomerato industriale del Comune di OMISSIS sia o meno suscettibile di essere inquadrata nelle espropriazioni finalizzate all’attuazione di interventi di riforma economica sociale e per l’effetto se la relativa indennita’ di esproprio debba o meno scontare la riduzione del 25 % in applicazione dell’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007.
Sul punto specifico, si rende necessario precisare quanto segue.
E’ noto infatti che la giurisprudenza della C.E.D.U. ha ammesso che l’indennita’ di esproprio possa anche non coincidere con il pieno di valore di mercato allorquando l’espropriato soddisfi due condizioni:
Emerge infatti con tutta evidenza che il legislatore nazionale, nel tentativo di arginare i maggiori costi scaturenti dall’obbligo di determinare l’indennita’ di esproprio nella misura di mercato dei terreni, ha ritenuto di poter introdurre un temperamento gia’ noto da tempo alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Tuttavia, non puo’ sfuggire che la stessa CEDU ha ritenuto di poter applicare la citata riduzione casi del tutto eccezionali ed infrequenti tra cui a titolo meramente esemplificativo si indicano:
– i “mutamenti radicali del sistema costituzionale di un paese quali la transizione della monarchia alla repubblica” (caso ex-roi de Grèce et autres c. Grèce sentenza 23 novembre 2000);
– il quadro di riforma generale dell’enfiteusi in Inghilterra (caso James e altri contro Regno Unito);
– la nazionalizzazione di societa’ di costruzioni aeronautica e navale prevista dal programma economico, politico e sociale del partito che aveva vinto le elezioni (caso Lithgow e altri vs Regno Unito).
Com’e’ evidente, si tratta di casi eccezionali ed episodici che non hanno ragionevole attinenza diretta con le espropriazioni “ordinarie”, qual e’ certamente quella oggetto del presente procedimento (intervento finalizzato alla costruzione della nuova questura).
Nelle fattispecie, appare con immediata evidenza che difettano entrambe le citate condizioni:
Si rende necessario aggiungere che l’analisi della prassi amministrativa ha evidenziato che sovente e quasi sistematicamente le pubbliche amministrazioni esproprianti si sforzino di giustificare l’applicazione, sempre e comunque, della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in maniera pressocche’ indiscriminata. Tale prassi contribuisce tuttora a delineare una casistica estremamente dilatata per cui, di fatto, si assiste al tentativo di ricomprendere tutte le opere pubbliche (quali strade, marciapiedi, ospedali, scuole, opere di urbanizzazione, ecc.), in quanto di per se’ connotate dalla “pubblica utilità”, nell’ambito degli interventi di “riforma economico – sociale” suscettibili di beneficiare indiscriminatamente dell’abbattimento del 25 % dell’indennita’ di esproprio.
Ma una indagine piu’ seria ed attenta non può prescindere dalla rigorosa impostazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, com’è noto, ha introdotto il concetto di “riforma economico – sociale” in un quadro di circostanze derogatorie assolutamente eccezionali al principio generale del valore venale del bene espropriato (passaggio dalla monarchia alla repubblica, riunificazione delle due Germanie, passaggio dal comunismo al regime di libero mercato e le altre ipotesi indicate in precedenza).
Orbene, la Corte Europea ha sempre distinto gli espropri appartenenti alle suddette riforme economico – sociali (oggettivamente connotati da una amplissima incisivita’ sull’ordinamento e/o sul gran numero indifferenziato e non predeterminabile dei destinatari) dagli espropri cosiddetti “isolati” (oggettivamente connotati dall’assenza di incisivita’ sull’ordinamento e/o dal ridotto numero di destinatari, spesso direttamente determinabili ed addirittura individuabili). Ebbene, per gli espropri cosiddetti isolati, la CEDU ha sistematicamente seguito la regola dell’applicazione del valore venale di mercato del bene espropriato.
Cio’ deve indurre l’interprete a tenere sempre presente la distinzione (da una parte) tra opere pubbliche “singole ed isolate” progettate e approvate per ordinarie esigenze di pubblica utilita’ e (dall’altra parte) opere pubbliche funzionali a riforme generali dell’ordinamento per scopi di sviluppo e giustizia sociale incidenti su una pluralità indistinta ed indeterminabile di cittadini in situazioni eccezionali (quale, ad esempio, e’ stata a suo tempo la riforma agraria di cui alla legge 841/1950, con i relativi espropri generalizzati dei latifondi).
Appare dunque oggettivamente difficile riscontrare oggi “riforme economico – sociali” nella accezione fatta propria dalla Corte Europea, caratterizzate cioe’ dai connotati della generalità, dell’eccezionalita’, della incisiva innovativita’ del contenuto normativo o della eversivita’ dell’assetto economico – sociale.
Cio’ deve condurre l’interprete a ritenere che la previsione introdotta nell’articolo 37 d.p.r. n. 327/2001 dall’art. 2/89 della legge n. 244/2007 e’ destinata a rivelarsi una pedissequa ripetizione dei concetti espressi in via generale dalla Corte Europea, destinata a rimanere sul piano potenziale di astratta regolamentazione di eventuali future riforme di quel tipo.
La interpretazione contraria tesa ad applicare la riduzione del 25 % non appare tuttavia condivisibile posto che ad esempio anche gli espropri per la realizzazione di opere pubbliche in materia di sanità, di istruzione, di giustizia, di sicurezza, di trasporti sono suscettibili astrattamente di essere ricompresi nella piu’ ampia attuazione uniforme sul territorio nazionale.
Nel merito, e’ quanto discutibile che un piano industriale possa essere considerato alla stregua di una eccezionale e generale riforma di carattere economico – sociale, dato il suo carattere consolidato, fisiologico e ordinario e attesa la trascurabile incidenza sul mercato immobiliare, non certo elevabile al rango di mutamento dell’assetto economico e sociale (vedi Favaretto, “funzione sociale, interventi di riforma economico-sociale e indennizzo nelle espropriazioni”).
Ma c’e’ un argomento destinato a sgombrare il campo dagli equivoci.
Ne’ puo’ sottacersi infatti che la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennita’ di esproprio, atteso che la realizzazione del piano P.I.P. non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha gia’ chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali (pur astrattamente idonea a giustificare una indennità di esproprio in misura inferiore all’effetto valore di mercato), allora a maggior ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio per la realizzazione del P.I.P. in OMISSIS (trattandosi manifestamente di esproprio isolato)
Con la gia’ citata sentenza n. 2100 del 28.1.2011, la Corte di Cassazione, con riferimento ad aree espropriate per la realizzazione di un piano P.I.P. ha stabilito che “E d’altra parte alla fattispecie non e’ invocabile neppure lo ius superveniens costituito dalla legge n. 244/2007 art. 2 commi 89 e 90 in base ai quali <Quando l’espropriazione e’ finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, l’indennita’ e’ ridotta del venticinque per cento>: sia per la sua inapplicabilita’ ratione temporis alla fattispecie, dato che la norma intertemporale di cui al menzionato comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennita’ di espropriazione solo con riferimento “ai procedimenti espropriativi” e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonche’ 11480/2008); sia per il fatto che l’occupazione in oggetto non rientra invece in siffatta categoria di espropriazioni, bensi’ nella prima generale ipotesi per la quale anch’essa dispone “che l’indennita’ di espropriazione di un’area edificabile e’ determinata nella misura pari al valore venale del bene” (conformi ex multis Cass. n. 23965/2010 e Cass. n. 24863/2008 emesse emesse ovviamente con riferimento espresso ad espropri per piani P.I.P.).
Come emerge direttamente anche dalla determinazione n. 274 del 13.7.2011, nella fattispecie il procedimento ablativo ha comportato danni patrimoniali anche in termini di espropriazione parziale.
L’art. 33/1 d.p.r. n. 327/2001 prevede che “Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata e’ determinata tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.
La citata norma reitera in parte il principio gia’ previsto dall’art. 40 della previgente legge n. 2359/1865, con la ulteriore previsione che il criterio cosiddetto differenziale non rappresenta piu’ l’unico utilizzabile dal giudice.
In materia di espropriazione parziale si registra una copiosa e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione che, anche gia’ sotto il previgente quadro normativo, aveva stabilito i principi ispiratori dell’istituto tuttora seguiti anche sotto la vigenza dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
In materia di esproprio parziale, trova applicazione “…il criterio di stima differenziale di cui alla legge n. 2359/1865 art. 40 (poi recepito dall’art. 33 del T.U.), rivolto a garantire proprio che l’indennita’ di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, e quindi anche il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato in dipendenza dell’espropriazione; ed ha applicato il principio giurisprudenziale ripetutamente enunciato da questa Corte che tale risultato può essere conseguito attraverso diverse vie: anzitutto detraendo dal valore venale che l’intero cespite aveva prima dell’esproprio il valore successivamente attribuibile alla parte residua (non espropriata) (Cass. 22110/2004; 13887/1999). Oppure accertando e calcolando detta diminuzione di valore, anziche’ attraverso tale comparazione diretta, mediante il computo delle singole perdite, ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri, che incidendo sulla parte residua, ne riducono il valore (Cass. 15359/2000; 18050/2004; 21092/2005)” (Cass. 18.11.2011 n. 24304).
“Una volta sussunta la fattispecie concreta nella previsione dell’esproprio parziale, viene meno la necessita’ di una determinazione specifica del valore di singole componenti dell’immobile, essendo sufficiente il raffronto tra i due valori complessivi pari al giusto prezzo di mercato ante e post ablazione” (Cass. 20.6.2011 n. 13455).
“Quanto al riferimento all’ipotesi dell’espropriazione parziale, deve richiamarsi il costante insegnamento di questa Corte secondo cui tale fenomeno sì verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass. 24 settembre 2007 n. 19750; Cass. 5 settembre 2008 n. 22409). In applicazione di tale principio si e’ sostenuto che l’espropriazione di un terreno adiacente a un fabbricato, abbia o meno questo i connotati della pertinenza di cui all’art. 817 c.c., non e’ riconducibile nell’ambito dell’espropriazione parziale e delle regole ad essa attinenti, se l’unico proprietario dell’insieme non riceva un impoverimento maggiore rispetto a quello correlato al valore del terreno medesimo in se’ considerato (Cass. 27 agosto 2004 n. 17112)” (Cass. 27.4.2011 n. 9254).
“E proprio siffatto principio ha trovato recente conferma sia nell’art. 33 del nuovo T.U. che non menziona piu’ la stima differenziale, ma impone soltanto al giudice di merito di tener conto della diminuzione di valore della parte residua, percio’ autorizzandolo ad avvalersi del criterio ritenuto piu’ idoneo nel caso concreto a raggiungere siffatto risultato” (Cass. 4.5.2009 n. 10217 e Cass. 21.5.2007 n. 11782).
“E che, d’altra parte, non e’ interpretabile nei termini prospettati dal comune, disponendo la norma (idest art. 33 d.p.r. n. 327/2001) che in tal caso l’indennizzo deve coprire tutti i danni conseguenti all’esproprio, tra cui l’eventuale deprezzamento subito, dalle parti residue del suolo; e rimettendone il relativo accertamento al giudice del merito” (Cass. 5.2.2008 n. 2746).
Si aggiunga per completezza di indagine che la Corte di Cassazione ha altresi’ precisato:
In sostanza, l’espropriazione parziale si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un compendio immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristoratile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa” (Cass. n. 19570/2007; conformi ex Cass. n. 24435/2006 sul solco di fermo indirizzo espresso per tutte da Cass. n. 10634/2004; Cass. n. 10934/2001, Cass. n. 10570/2003 e Cass. n. 6388/2000).
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione delle aree, deve tenersi conto sia della CEDU sia degli effetti prodotti nell’ordinamento dalla nota sentenza della Corte Costituzionale sentenza del 24.10.2007 n. 348 che, avendo abrogato l’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11.7.1992 n. 333 nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, in via consequenziale, l’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’), ha comportato la reviviscenza del principio generale che l’indennita’ di esproprio deve essere determinata nel valore di mercato delle aree espropriate (art. 39 della legge fondamentale n. 2359/1865 ed ora art. 37 d.p.r. n. 327/2001 come modificato ed integrato dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007).
Il principio del valore venale era del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orinetamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
E’ ben noto il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui in materia di credito di valuta spetta, oltre agli interessi legali, anche il maggior danno (Cass. SS.UU. 16.7.2008 n. 19499 e conformi Cass. Sez. III 28.6.2006 n. 14975; Cass. Sez. II 16.3.2006 n. 5860; Cass. Sez. III 27.10.2004 n. 20807; Cass. Sez. III 7.1.2004 n. 58 e Cass. Sez. I 22.2.2000 n. 1997). In conformita’ all’invocato indirizzo, il maggior danno puo’ essere liquidato anche in via presuntiva, tenendo conto delle caratteristiche soggettive del creditore, in funzione (tra gli altri parametri e per quanto interessa in questa sede) della qualita’ soggettiva del creditore. Nella fattispecie, il creditore e’ un imprenditore il quale, se avesse avuto la tempestiva disponibilita’ della somma spettante, l’avrebbe verosimilmente e presumibilmente investito nell’esercizio dell’attivita’ commerciale. La mancata disponibilita’ delle risorse finanziarie spettanti devono dunque essere reperite sul mercato bancario con oneri (interessi passivi quali il prime rate) a carico dello stesso creditore.
Del resto, si ritiene che – in conformita’ alle indicazioni fornite dalla stessa C.E.D.U. nel noto caso Scordino – la domanda possa trovare ragionevole accoglimento poiche’ essa e’ finalizzata a mantenere inalterato nel tempo il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso e’ stato espropriato. Va da se’ che tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione definitiva, al fine di mantenerlo costantemente adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla indennita’ di esproprio cosi’ rivalutata vanno poi calcolati altresi’ gli interessi legali, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalita’ diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione patrimoniale dell’espropriato quale era anteriormente al decreto di esproprio, ed avendo i secondi funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata.
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Tanto premesso, il Dott. Giuseppe Talamo Atenolfi cosi’ come rappresentato e difeso
R I C O R R E
a codesta Corte di Appello affinche’, con riferimento ai seguenti terreni espropriati e gravati di servitu’ per effetto della determinazione n. 37 del 26.1.2012 del Comune di OMISSIS contenente il relativo decreto:
anche alla luce della sentenza n. 348 del 24.10.2007 della Corte Costituzionale e del sopraggiunto art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 24.12.2007 n. 244 (legge finanziaria anno 2008) nonche’ dell’art. 1 del Trattato di Lisbona, voglia:
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis comma 1 c.p.c.
A V V E R T E
il Comune di OMISSIS convenuto che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.
Ai fini istruttori:
Ai fini del contributo unificato dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che il relativo contributo unificato ammonta ad euro 225,00.
OMISSIS1