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CORTE DI APPELLO DE OMISSIS
MEMORIA DI COSTITUZIONE
CON DOMANDA RICONVENZIONALE
NEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE ALLA STIMA
EX ART. 54 DPR N. 327/2001
La societa’ OMISSIS OMISSIS con sede legale in OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. signor OMISSIS difesa e rappresentata nel presente giudizio dall’Avv. Rocco Baldassini c.f. BLD RCC 58P05 I838YOMISSIS giusta delega in calce ed elettivamente domiciliato in OMISSIS , si costituisce nel presente giudizio
C O N T R O
la Regione OMISSIS o in persona del legale rappresentante p.t. difesa e rappresentata dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di OMISSISa
e chiede il
R I G E T T O
della opposizione alla stima formulata dalla Regione OMISSIS con atto di citazione del 26.7.2010
e nel contempo formula a sua volta
OPPOSIZIONE IN VIA RICONVENZIONALE
avverso la stima delle indennita’ espropriative determinata dalla commissione tecnica con relazione del 3.12.2010 in relazione ai terreni siti in Comune di OMISSIS in catasto al foglio OMISSIS mappale OMISSIS esteso 830 mq. e mappale OMISSIS () esteso 370 mq. espropriati con il decreto determinazione n. DC17/26 del 6.9.2011 (doc.n.1).
COMUNICAZIONI DI CANCELLERIA
Ai fini delle comunicazioni di cancelleria di cui all’art. 133 ed art. 134 c.p.c. come modificati dall’art. 2 d.l. 14.3.2005 n. 35 convertito dalla legge 14.5.2005 n. 80, si chiede che tutte le comunicazioni di cancelleria siano effettuate a mezzo fax mediante invio dei relativi avvisi al numero OMISSIS)
F A T T O
Con atto di citazione notificato in data 10.8.2011 , la Regione OMISSIS spiegava opposizione alla stima delle indennita’ espropriative (di esproprio, di occupazione e da frazionamento) determinate dalla terna arbitrale ex art. 21 d.p.r. n. 327/2001 con consulenza tecnica del 3.12.2010 (gia’ depositata in atti dall’attore).
I tre periti, dopo aver riconosciuto la sussistenza delle edificabilita’ legale, ritenevano che ai terreni espropriati (ai quali l’autorita’ espropriante aveva attribuito un unico valore unitario di euro 6,60 mq.), dovesse essere attribuito il valore unitario:
La Regione OMISSIS ha ritenuto eccessiva la stima determinata dalla commissione evidenziando:
Per effetto dei citati rilievi, chiedeva che i terreni espropriati fossero ritenuti non edificabili e che l’indennita’ di esproprio fosse confermata in quella provvisoria di euro 6,60 mq..
Con il presente atto si costituisce in giudizio la convenuta OMISSISla quale:
M O T I V I
Occorre preliminarmente contestare le osservazioni che controparte ha mosso alla relazione di stima della commissione.
Non puo’ innanzitutto essere condivisa l’affermazione circa la asserita sopravvalutazione che sarebbe stata effettuata grazie alla realizzazione dell’opera pubblica. Il rilievo – di per se’ certamente condivisibile in astratto – non si attaglia tuttavia alla fattispecie, laddove il valore delle aree espropriate e’ stato determinato (in coerenza con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimita’) a prescindere dal vincolo espropriativo, ma tenendo conto del vincolo conformativo.
Del tutto irrilevante oltre che infondata e’ poi l’affermazione che la particella 1004 (ex 860) avrebbe esaurito la sua capacita’ edificatoria per via della intervenuta realizzazione di un opificio industriale da parte della convenuta. Al contrario, la circostanza che il terreno sia stato legittimamente utilizzato dal privato per l’attivita’ di edificazione ne comprova la natura edificabile.
Quanto alla lamentata circostanza che la commissione tecnica sarebbe andata oltre l’incarico conferitole di stimare la indennita’ di esproprio, e’ appena il caso di precisare che il rilievo e’ privo di fondamento atteso:
Ai fini di un esatto inquadramento della fattispecie, si premette che i terreni espropriati compresi in zona D (certamente il mappale OMISSIS e verosimilmente anche il mappale OMISSIS e hanno oggettiva natura edificabile: e cio‘ per effetto della espressa destinazione urbanistica (con finalita’ produttiva e commerciale) prevista dai relativi strumenti di pianificazione del territoriale.
Cio’ premesso, la sussistenza nella fattispecie dell’edificabilita’ legale discende direttamente dallo stesso dato normativo di cui all’art. 32 ed all’art. 37 d.p.r. n. 327/2001. In particolare, l’art. 37 prevede:
Posto dunque che i terreni di cui trattasi sono dotati degli elementi di cui sopra sintomatici e rivelatori della edificabilita’ legale nei termini in cui gli stessi sono stati individuati dal citato art. 37 d.p.r. n. 327/2001, deve oggettivamente convenirsi che i fondi sono muniti della edificabilita’ legale.
E’ noto infatti che la Corte di Cassazione ha stabilito che i terreni espropriati per la realizzazione dei piani industriali e produttivi hanno per cio’ stesso natura edificabile, a prescindere dalla utilizzazione concreta degli stessi nell’ambito delle previsioni del piano.
In materia di piani produttivi, e’ noto che con giurisprudenza assolutamente pacifica la Corte di Cassazione ha stabilito che l’edificabilita’ legale delle aree ivi incluse discende per cio’ stesso direttamente dal relativo strumento urbanistico.
Con la sentenza n. 7987 del 7.4.2011 la Corte di Cassazione ha stabilito (che “Proprio per il carattere generale ed astratto della previsione che ha compreso nell’intera zona D2 in cui rientra il terreno in disamina, le “aree destinate ad insediamenti industriali della zona ASI del Dittaino”, la stessa non puo’ assumere la qualifica di vincolo preordinato all’esproprio;….
Si deve aggiungere che la destinazione da parte del P.R.G. della zona in esame agli insediamenti industriali, gia’ sufficiente a conferire al terreno (…), “le possibilità legali di edificazione” richieste dall’art. 5 bis, ha trovato conferma proprio nello strumento consortile che l’ha ribadita, percio’ confermandone la vocazione edificatoria accertata dalla Corte di Appello; ed escludendo che la valutazione dell’area potesse essere compiuta con il criterio tabellare relativo ai suoli agricoli di cui alla legge n. 865/1971 art. 16”.
Con la sentenza n. 23965 del 25.11.2010 la Corte di Cassazione ha testualmente chiarito che con riferimento alle aree comprese nei piani P.I.P., la destinazione edificatoria risulta attribuita proprio in conseguenza della loro inclusione nell’ambito del piano industriale.
Si rimanda per brevita’ alla ampia giurisprudenza di legittimita’ di cui in questa sede di riportano solo alcune massime:
Per cio’ che riguarda l’altro mappale 1004, qualora risultasse compreso in zona F, si precisa che per esso in tal caso la edificabilita’ legale deve essere desunta attraverso un diverso percorso argomentativo, anche alla luce del contributo offerto dalla giurisprudenza di legittimita’.
In particolare, la Corte di Cassazione ha stabilito che le aree espropriate comprese nella zona F dell’art. 2 d.m. 2.4.1968 (cioe’ “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”) pur dovendosi considerare in linea di principio non edificabili, cio’ non ostante possono in via eccezionale ritenersi edificabili allorquando sia consentita l’attivita’ edilizia o la costruzione di infrastrutture in genere, poiche’ la nozione di edificabilita’ non si identifica ne’ si esaurisce in quella residenziale abitativa ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, purche’, a tal fine, la zona non sia vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, non precluso all’iniziativa privata, sia esclusiva sia nella forma mista pubblico – privata.
Nella fattispecie, la circostanza che l’attivita’ edilizia possa essere esercitata su iniziativa privata e‘ comprovata:
Tanto basta per soddisfare la condizione richiesta ai fini della sussistenza della edificabilita’ legale.
(conformi ex multisi Cass. 29.9.2004 n. 19542, Cass. 25.1.2007 n. 1641 e Cass. n. 2871/2005).
E’ appena il caso di precisare che il valore unitario di euro 6,60 mq. determinato ed offerto dall’amministrazione espropriante a titolo di indennita’ provvisoria di esproprio non appare affatto idoneo a rappresentare l’effettivo valore di mercato delle aree produttive, che notoriamente si attesta su valori di gran lunga piu’ elevati.
All’uopo occorre aggiungere che neppure la stima della commissione offre un valore rispondente ai reali valori del mercato, atteso che il valore determinato appare oggettivamente sottostimato rispetto agli effetti valori praticati dal mercato.
A tale fine, si rende necessario aggiungere che – ferma restando l’edificabilita’ legale per effetto di quanto prospettato in precedenza – la stima deve essere elaborata in conformita’ al principio da sempre pacifico stabilito dalla invocata giurisprudenza secondo il quale “ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione, va considerato edificabile un terreno inserito dallo strumento generale in zona destinata a insediamenti industriali, non essendo necessaria una specifica destinazione conferita da uno strumento attuativo, e restando irrilevante che, all’interno della zona, il terreno possa essere destinato a servizi (nella specie, ad opere di viabilita’ interna), in virtu’ di prescrizioni di carattere preespropriativo, rapportandosi in tal caso la valutazione alle aree comprese nella zona” (Cass. 20.9.2006 n. 20408 gia’ allegata) (conformi Cass. 3.4.2009 n. 8121; Cass. SS.UU. n. 125/2001, nonche’ n. 19501/2005; n. 15519/2001; n. 1113/1999).
In questa sede, appare opportuno aggiungere (solo per completezza di indagine) che con la recente sentenza n. 11729 del 14.5.2010 la Corte di Cassazione SS.UU. ha testualmente stabilito che
<Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’edificabilita’ del fondo deve necessariamente essere commisurata ad indici “medi” di fabbricabilita’ riferiti (o riferibili) all’intera zona omogenea, al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato, nel senso che, ove non si ritenga di stimare il terreno ricorrendo a criteri comparativi basati sul valore di aree omogenee, l’adozione del metodo analitico – ricostruttivo comporta che l’accertamento dei volumi realizzabili sull’area non possa basarsi sull’indice fondiario di edificabilita’ (che e’ riferito alle singole aree specificamente destinate all’edificazione privata) e che, invece, postulando l’esercizio concreto dello ius aedificandi che l’area sia urbanizzata e, che si tenga conto dell’incidenza degli spazi all’uopo riservati ad infrastrutture e servizi a carattere generale, si debba prescindere come dal fatto che l’area sia (eventualmente) destinata ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità, parcheggi) non potendo l’edificabilita’ essere vanificata dalla utilizzatalita’ non strettamente residenziale, cosi’ dalla maggiore o minore fabbricabilita’ che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni di piano attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture, di guisa che tutti i terreni espropriati in uno stesso ambito zonale vengano a percepire la stessa indennita’, calcolata su una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialita’ edificatoria “media” di tutto il comprensorio, ovvero dietro applicazione di un indice di fabbricabilita’ (territoriale che sia frutto del rapporto tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato” (Cass. sez. 1^ 29 novembre 2006 n. 25363; Cass. sez. un. 21 marzo 2001 n. 125; Cass. sez. 1^ 16 maggio 2006 n. 11477; Cass. sez. 1^ 16 giugno 2006 n. 13958)>.
Conforme anche Cass. n. 14755 del 18.6.2010 secondo cui “…allorquando il valore venale di un fondo debba determinarsi in base al suo valore di trasformazione (cosidetto metodo analitico – ricostruttivo), deve essere recepito l’indice che individua la densita’ territoriale della zona (e non quello relativo alla densità fondiaria), soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale di spazi pubblici gravanti sul fondo espropriato; e trattandosi di un terreno incluso in un piano di zona l’edificabilita’ deve commisurarsi ad indici medi di fabbricabilita’, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi e spazi liberi (Cass. 2349/2004; n. 555/2004; 0555/2004 ; n. 25/2001)”.
Alla societa’ opponente in via riconvenzionale spetta altresi’ anche l’indennita’ di occupazione legittima per il periodo intercorrente tra la data di immissione nel possesso dei fondi (12.3.2009 come indicata nella relazione del 3.12.2010 della commissione tecnica) e la data del decreto di esproprio (6.9.2011).
Come e’ noto, l’indennita’ di occupazione legittima e’ determinata (anche per i terreni edificabili quali sono quelli di cui trattasi) per ogni anno di occupazione temporanea nella misura di 1/12 del valore di mercato calcolato sulla somma spettante a titolo di indennita’ di esproprio (art. 50 d.p.r. n.327/2001).
Dalla fine di ogni anno di occupazione, al proprietario spettano altresi’ gli interessi legali (nonche’ – a giudizio di questa difesa – anche la rivalutazione monetaria istat previo assolvimento del relativo onere probatorio) sulla singola quota annuale di indennita’.
Con l’intento di superare il rilievo formulata dalla Regione OMISSIS secondo il quale la commissione tecnica avrebbe operato “ultra petita”, la societa’ convenuto formula espressa richiesta di determinazione e liquidazione giudiziale dell’indennita’ di occupazione temporanea e legittima, dichiarando di volersi avvalere a tal fine degli effetti della nota sentenza n. 470/1990 della Corte Costituzionale (che ha consentito la formulazione della domanda di determinazione giudiziale della indennnita’ di occupazione temporanea anche in mancanza della relative indennita’ definitiva e purche’ via sia il provvedimento abilitativo alla occupazione medesima: circostanze queste soddisfatte nella fattispecie).
Come risulta direttamente dagli allegati atti del procedimento, nella fattispecie la espropriazione ha danni in termini cosiddetti da frazionamento e/o da esproprio parziale, secondo quanto previsto dall’art. 33 d.p.r. n.327/2001.
Va da se’ che anche di tali danni la Regione OMISSIS deve rispondere.
L’art. 33/1 d.p.r. n. 327/2001 (confermando sostanzialmente la previsione dell’art. 40 della legge fondamentale n. 2359/1865) prevede infatti che “nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata e’ determinata tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.
Nella fattispecie il danno da frazionamento e da espropriazione parziale scaturisce in particolare a seguito dell’abbattimento del valore delle aree parzialmente espropriate, il valore di mercato delle cui superficie residue risulta deprezzato a causa della minor appetibilita’ commerciale e della scarsa utilizzabilita’ dei fondi residui.
In materia di danno da frazionamento, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 5.12.2008 n. 28817 e Cass. 10.12.2008 n. 28979) ha ormai da tempo stabilito che l’indennizzabilita’ della diminuzione di valore della parte di fondo non espropriata presuppone non soltanto che vi sia stato un effettivo degrado della parte residua, ma altresi’ l’esistenza, tra la parte di fondo espropriata e quella non espropriata, di un rapporto di unita’ funzionale, per ubicazione e destinazione, sicche’ il degrado sia imputabile alla loro separazione (Cass. n. 6722/1998).
In altri termini, l’espropriazione parziale e’ configurabile quando ricorra la duplice condizione che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale e obiettivo, tale da conferire all’intero immobile unita’ economica e funzionale, e che il distacco di una parte di esso influisca, oggettivamente, in modo negativo sulla parte residua, con esclusione di ogni valutazione soggettiva, cioe’ rilevante per il solo proprietario o per persone determinate (Cass. n. 9489/1998; Cass. n. 6722/1998).
Infatti, l’espropriazione parziale, per la quale l’indennita’ va determinata sulla base della differenza fra il valore dell’unico bene prima dell’espropriazione ed il valore della porzione residua, si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass. n. 19570/2007)
(conformi ex multis Cass. n. 24435/2006 sul solco di fermo indirizzo espresso per tutte da Cass. n. 10634/2004; Cass n. 10934/2001, Cass. n. 10570/2003 e Cass. n. 6388/2000).
6) QUANTO ALLA IPOTETICA RIDUZIONE DEL 25 %
Con l’art. 2 commi 89 e 90 della sopraggiunta legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla citata sentenza costituzionale n. 348/2007 ed ha ora previsto (tra l’altro):
Cio’ premesso in linea generale, si tratta di accertare se l’espropriazione per l’allocazione di iniziative produttive nell’agglomerato industriale di Molfetta sia o meno suscettibile di essere inquadrata nelle espropriazioni finalizzate all’attuazione di interventi di riforma economica sociale e per l’effetto se la relativa indennita’ di esproprio debba o meno scontare la riduzione del 25 % in applicazione dello “ius superveniens” introdotto dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007.
Sul punto specifico, si rende necessario precisare quanto segue.
E’ noto infatti che la giurisprudenza della C.E.D.U. ha ammesso che l’indennita’ di esproprio possa anche non coincidere con il pieno di valore di mercato allorquando l’espropriato soddisfi due condizioni:
Emerge infatti con tutta evidenza che il legislatore nazionale, nel tentativo di arginare i maggiori costi scaturenti dall’obbligo di determinare l’indennita’ di esproprio nella misura di mercato dei terreni, ha ritenuto di poter introdurre un temperamento gia’ noto da tempo alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Tuttavia, non puo’ sfuggire che la stessa CEDU ha ritenuto di poter applicare la citata riduzione casi del tutto eccezionali ed infrequenti tra cui a titolo meramente esemplificativo si indicano:
– i “mutamenti radicali del sistema costituzionale di un paese quali la transizione della monarchia alla repubblica” (caso ex-roi de Grèce et autres c. Grèce sentenza 23 novembre 2000);
– il quadro di riforma generale dell’enfiteusi in Inghilterra (caso James e altri contro Regno Unito);
– la nazionalizzazione di societa’ di costruzioni aeronautica e navale prevista dal programma economico, politico e sociale del partito che aveva vinto le elezioni (caso Lithgow e altri vs Regno Unito).
Com’e’ evidente, si tratta di casi eccezionali ed episodici che non hanno ragionevole attinenza diretta con le espropriazioni “ordinarie”, qual e’ certamente quella oggetto del presente procedimento (intervento finalizzato alla costruzione della nuova questura).
Nelle fattispecie, appare con immediata evidenza che difettano entrambe le citate condizioni:
Si rende necessario aggiungere che l’analisi della recente prassi amministrativa ha evidenziato che sovente e quasi sistematicamente le pubbliche amministrazioni esproprianti si sforzino di giustificare l’applicazione, sempre e comunque, della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in maniera pressocche’ indiscriminata. Tale prassi contribuisce tuttora a delineare una casistica estremamente dilatata per cui, di fatto, si assiste al tentativo di ricomprendere tutte le opere pubbliche (quali strade, marciapiedi, ospedali, scuole, opere di urbanizzazione, ecc.), in quanto di per se’ connotate dalla “pubblica utilità”, nell’ambito degli interventi di “riforma economico – sociale” suscettibili di beneficiare indiscriminatamente dell’abbattimento del 25 % dell’indennita’ di esproprio.
Ma una indagine piu’ seria ed attenta non può prescindere dalla rigorosa impostazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, com’è noto, ha introdotto il concetto di “riforma economico – sociale” in un quadro di circostanze derogatorie assolutamente eccezionali al principio generale del valore venale del bene espropriato (passaggio dalla monarchia alla repubblica, riunificazione delle due Germanie, passaggio dal comunismo al regime di libero mercato e le altre ipotesi indicate in precedenza).
Orbene, la Corte Europea ha sempre distinto gli espropri appartenenti alle suddette riforme economico – sociali (oggettivamente connotati da una amplissima incisivita’ sull’ordinamento e/o sul gran numero indifferenziato e non predeterminabile dei destinatari) dagli espropri cosiddetti “isolati” (oggettivamente connotati dall’assenza di incisivita’ sull’ordinamento e/o dal ridotto numero di destinatari, spesso direttamente determinabili ed addirittura individuabili). Ebbene, per gli espropri cosiddetti isolati, la CEDU ha sistematicamente seguito la regola dell’applicazione del valore venale di mercato del bene espropriato.
Cio’ deve indurre l’interprete a tenere sempre presente la distinzione (da una parte) tra opere pubbliche “singole ed isolate” progettate e approvate per ordinarie esigenze di pubblica utilita’ e (dall’altra parte) opere pubbliche funzionali a riforme generali dell’ordinamento per scopi di sviluppo e giustizia sociale incidenti su una pluralità indistinta ed indeterminabile di cittadini in situazioni eccezionali (quale, ad esempio, e’ stata a suo tempo la riforma agraria di cui alla legge 841/1950, con i relativi espropri generalizzati dei latifondi).
Appare dunque oggettivamente difficile riscontrare oggi “riforme economico – sociali” nella accezione fatta propria dalla Corte Europea, caratterizzate cioe’ dai connotati della generalità, dell’eccezionalita’, della incisiva innovativita’ del contenuto normativo o della eversivita’ dell’assetto economico – sociale.
Cio’ deve condurre l’interprete a ritenere che la previsione introdotta nell’articolo 37 d.p.r. n. 327/2001 dall’art. 2/89 della legge n. 244/2007 e’ destinata a rivelarsi una pedissequa ripetizione dei concetti espressi in via generale dalla Corte Europea, destinata a rimanere sul piano potenziale di astratta regolamentazione di eventuali future riforme di quel tipo.
La interpretazione contraria tesa ad applicare la riduzione del 25 % non appare tuttavia condivisibile posto che ad esempio anche gli espropri per la realizzazione di opere pubbliche in materia di sanità, di istruzione, di giustizia, di sicurezza, di trasporti sono suscettibili astrattamente di essere ricompresi nella piu’ ampia attuazione uniforme sul territorio nazionale.
Nel merito, e’ quanto discutibile che un piano industriale possa essere considerato alla stregua di una eccezionale e generale riforma di carattere economico – sociale, dato il suo carattere consolidato, fisiologico e ordinario e attesa la trascurabile incidenza sul mercato immobiliare, non certo elevabile al rango di mutamento dell’assetto economico e sociale (vedi Favaretto, “funzione sociale, interventi di riforma economico-sociale e indennizzo nelle espropriazioni”).
Ma c’e’ un argomento destinato a sgombrare il campo dagli equivoci.
Ne’ puo’ sottacersi infatti che la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennita’ di esproprio, atteso che la realizzazione del piano P.I.P. non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha gia’ chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali (pur astrattamente idonea a giustificare una indennità di esproprio in misura inferiore all’effetto valore di mercato), allora a maggior ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio per la realizzazione dell’intervento di cui trattasi in Comune di Molfetta (trattandosi manifestamente di esproprio isolato)
Con la gia’ citata sentenza n. 2100 del 28.1.2011, la Corte di Cassazione, con riferimento ad aree espropriate per la realizzazione di un piano P.I.P. (delle quali tra l’altro ha accertato per cio’ stesso la edificabilita’ legale) ha stabilito che “E d’altra parte alla fattispecie non e’ invocabile neppure lo ius superveniens costituito dalla legge n. 244/2007 art. 2 commi 89 e 90 in base ai quali <Quando l’espropriazione e’ finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, l’indennita’ e’ ridotta del venticinque per cento>: sia per la sua inapplicabilita’ ratione temporis alla fattispecie, dato che la norma intertemporale di cui al menzionato comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennita’ di espropriazione solo con riferimento “ai procedimenti espropriativi” e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonche’ 11480/2008); sia per il fatto che l’occupazione in oggetto non rientra invece in siffatta categoria di espropriazioni, bensi’ nella prima generale ipotesi per la quale anch’essa dispone “che l’indennita’ di espropriazione di un’area edificabile e’ determinata nella misura pari al valore venale del bene” (conformi ex multis Cass. n. 2712/2009, Cass. SS.UU. n. 11480/2008 e Cass. n. 24863/2008).
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione delle aree, deve tenersi conto sia della CEDU sia degli effetti prodotti nell’ordinamento dalla nota sentenza della Corte Costituzionale sentenza del 24.10.2007 n. 348 che, avendo abrogato l’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11.7.1992 n. 333 nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, in via consequenziale, l’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’), ha comportato la reviviscenza del principio generale che l’indennita’ di esproprio deve essere determinata nel valore di mercato delle aree espropriate (art. 39 della legge fondamentale n. 2359/1865 ed ora art. 37 d.p.r. n. 327/2001 come modificato ed integrato dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007).
Il principio del valore venale era del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
Anche le autorita’ esproprianti, gia’ in sede di procedimento amministrativo di esproprio devono garantire e dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.
L’art. 16/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di prestare rispetto e di conformarsi alle norme della c.e.d.u..
Si richiama l’attenzione su una norma vigente della cui introduzione e delle cui implicazioni in termini di responsabilita’, le amministrazione esproprianti non si sono ancora pienamente avvedute. Essa peraltro fornisce la prova della immediata efficacia e della diretta applicabilita’ nell’ordinamento nazionale delle norme della c.e.d.u..
In particolare, si intende far riferimento all’art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) il quale ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u., prevedendo testualmente che “lo Stato ha altresi’ diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”
E’ dunque appena il caso di precisare che qualora il cittadino espropriato fosse costretto a rivolgersi all’autorita’ giudiziaria nazionale ed alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per ottenere la piena tutela del diritto di proprieta’, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta contro lo stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno dell’amministrazione espropriante, proprio per effetto della previsione contenuta dal citato citato art. 16 bis/5 della legge n. 11/2005.
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orientamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
Si aggiuna solo per completezza (stante la mancanza della relativa domanda da parte dell’attore) che nella fattispecie deve ritenersi definitivamente esclusa ogni possibilita’ di riferimento al valore dell’ici dichiarato dal propriertario, alla luce della sentenza n. 338 del 22.12.2011 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ dell’art. 37/7 d.p.r. n. 327/2001.
E’ ben noto il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui in materia di credito di valuta (quale e’ certamente il credito per l’indennita’ di esproprio) spetta, oltre agli interessi legali, anche il maggior danno (Cass. SS.UU. 16.7.2008 n. 19499 e conformi Cass. Sez. III 28.6.2006 n. 14975; Cass. Sez. II 16.3.2006 n. 5860; Cass. Sez. III 27.10.2004 n. 20807; Cass. Sez. III 7.1.2004 n. 58 e Cass. Sez. I 22.2.2000 n. 1997). In conformita’ all’invocato indirizzo, il maggior danno puo’ essere liquidato anche in via presuntiva, tenendo conto delle caratteristiche soggettive del creditore, in funzione (tra gli altri parametri e per quanto interessa in questa sede) della qualita’ soggettiva del creditore. Nella fattispecie, il creditore e’ un imprenditore il quale, se avesse avuto la tempestiva disponibilita’ della somma spettante, l’avrebbe verosimilmente e presumibilmente investito nell’esercizio dell’attivita’ commerciale. La mancata disponibilita’ delle risorse finanziarie spettanti devono dunque essere reperite sul mercato bancario con oneri (interessi passivi quali il prime rate) a carico dello stesso creditore.
Del resto, si ritiene che – in conformita’ alle indicazioni fornite dalla stessa C.E.D.U. nel noto caso Scordino – la domanda possa trovare ragionevole accoglimento poiche’ essa e’ finalizzata a mantenere inalterato nel tempo il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso e’ stato espropriato. Va da se’ che tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione definitiva, al fine di mantenerlo costantemente adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla indennita’ di esproprio cosi’ rivalutata vanno poi calcolati altresi’ gli interessi legali, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalita’ diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione patrimoniale dell’espropriato quale era anteriormente al decreto di esproprio, ed avendo i secondi funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata.
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Tanto premesso, la Omega Ecologia sas di Daniel Iezzi & C.
C H I E D E
a codesta Corte di Appello:
Vittoria di spese.
Ai fini istruttori:
Ai fini del contributo unificato dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che la domanda riconvenzionale non modifica il valore dichiarato nell’atto di citazione.
OMISSIS 1