L’ordinanza n. 27979/2024 della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, affronta una tematica di grande rilievo per il diritto urbanistico, ossia la natura dei vincoli imposti dagli strumenti urbanistici sui beni privati, la distinzione tra vincoli conformativi e vincoli preordinati all’esproprio, il tema della reiterazione e la questione dell’indennizzabilità. La decisione è esemplare perché si pone all’incrocio tra principi costituzionali, norme europee e consolidata giurisprudenza nazionale e sovranazionale, offrendo spunti preziosi per l’interpretazione e l’applicazione pratica delle regole in materia di pianificazione e proprietà.
La vicenda ruota attorno a una controversia tra un gruppo di privati proprietari di terreni siti nel Comune di Udine e l’amministrazione comunale, cui si aggiunge l’Università degli Studi di Udine, destinataria finale della trasformazione urbanistica. I ricorrenti lamentavano che i propri fondi, inizialmente edificabili, erano stati per decenni gravati da vincoli urbanistici reiterati – ossia periodicamente rinnovati – finalizzati alla realizzazione di strutture universitarie e connessi servizi pubblici. Gli attori chiedevano un indennizzo, sostenendo che la reiterazione dei vincoli avesse svuotato di fatto il contenuto economico della proprietà, impedendo ogni forma di godimento e valorizzazione del bene.
Dopo una lunga trafila giudiziaria, la Corte d’Appello di Trieste aveva rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo i vincoli di natura conformativa e non preordinati all’esproprio. Il giudizio giungeva così in Cassazione, con i ricorrenti che invocavano la violazione dei principi della Costituzione e della Convenzione EDU, contestando la natura dei vincoli e la mancata previsione di indennizzo.
La distinzione tra vincoli conformativi e vincoli preordinati all’esproprio è centrale nella sentenza e costituisce uno dei punti nodali del diritto urbanistico italiano. I vincoli conformativi sono quelli che derivano dalla generale pianificazione del territorio e che si applicano a una pluralità indifferenziata di beni, in funzione della destinazione impressa a una zona. Essi esprimono il bilanciamento tra l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo urbanistico e la tutela della proprietà privata, e non danno luogo a indennizzo, in quanto rappresentano il contenuto tipico e fisiologico del diritto dominicale nella moderna società.
Diversamente, i vincoli preordinati all’esproprio sono quelli che individuano specificamente un bene o una serie di beni come destinati alla realizzazione di una determinata opera pubblica, impedendo l’uso del bene per scopi diversi e preludendo all’espropriazione. La reiterazione di tali vincoli oltre i limiti di legge (oggi fissati a 5 anni dall’art. 9 DPR 327/2001) determina l’insorgere del diritto all’indennizzo, in quanto il protrarsi del vincolo equivale a una sostanziale ablazione della proprietà privata, come riconosciuto dalla Corte costituzionale (sent. n. 55/1968, n. 179/1999).
La Corte costituzionale, con una serie di pronunce fondamentali, ha affermato che il sacrificio imposto alla proprietà privata mediante vincoli espropriativi reiterati deve essere temporalmente limitato e ragionevole, pena la violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU. La reiterazione sine die di vincoli espropriativi, senza previsione di indennizzo, è stata dichiarata incostituzionale, imponendo al legislatore di prevedere una congrua indennità a carico della pubblica amministrazione.
Anche la Corte EDU ha più volte ribadito la necessità di un equo bilanciamento tra interesse pubblico e diritto di proprietà, stigmatizzando le ipotesi in cui il proprietario si trovi, per effetto di vincoli urbanistici prolungati, nell’impossibilità di disporre e godere dei propri beni senza un’adeguata compensazione (cfr. sent. Scordino c. Italia, 2006).
La Suprema Corte, nel caso in esame, ha riconosciuto che il giudicato interno formatosi sulla natura conformativa dei vincoli apposti sui terreni degli attori esclude in radice l’indennizzabilità della reiterazione. Rileva che, secondo la giurisprudenza consolidata, solo i vincoli che, per oggetto e finalità, incidono su beni determinati in vista della realizzazione di una specifica opera pubblica possono essere qualificati come espropriativi; tutti gli altri, che si inseriscono nella zonizzazione generale, rimangono vincoli conformativi, insuscettibili di dare luogo a indennizzo.
La Corte richiama inoltre la funzione del giudizio di rinvio e il vincolo del principio di diritto enunciato nella precedente sentenza di legittimità, affermando che il giudice del rinvio non può discostarsene se non in presenza di ius superveniens o di decisioni sopravvenute della Corte costituzionale o della Corte di giustizia europea.
Un altro aspetto centrale della decisione concerne la prova del danno subito dal proprietario a seguito della reiterazione dei vincoli. La Corte ribadisce che, in assenza di vincoli espropriativi, non basta dedurre genericamente la perdita di valore o l’impossibilità di godere del bene: è necessario dimostrare, con elementi oggettivi, che il vincolo abbia prodotto un concreto nocumento diverso dalla normale disciplina urbanistica. Le semplici allegazioni non sono sufficienti, e la perizia sommaria prodotta dagli attori non è stata ritenuta idonea.
Tale orientamento si pone in sintonia con l’art. 39 del DPR 327/2001, che esclude la presunzione di danno (“danno in re ipsa”) e impone la prova della perdita patrimoniale effettivamente subita.
La pronuncia della Cassazione affronta anche il tema della domanda restitutoria proposta dal Comune di Udine, specificando che essa era ammissibile come domanda ex art. 389 c.p.c. formulata nella comparsa di costituzione e risposta, e che il giudice di merito, nell’interpretare le domande giudiziali, può valutarne il contenuto sostanziale oltre il mero dato letterale. Viene altresì chiarito che la domanda di manleva nei confronti dell’Università di Udine non era più stata riproposta in sede di rinvio e risultava assorbita.
La decisione della Corte di Cassazione conferma la tendenza della giurisprudenza di legittimità a circoscrivere l’indennizzabilità dei vincoli urbanistici, rafforzando il ruolo della pianificazione generale come espressione della funzione sociale della proprietà. Per i proprietari privati, la sentenza sottolinea la necessità di un’attenta valutazione della natura dei vincoli che gravano sui propri fondi e una puntuale dimostrazione degli effetti pregiudizievoli subiti nel caso di reiterazione.
Per le amministrazioni, la sentenza conferma la possibilità di adottare strumenti urbanistici di durata anche pluridecennale, purché rispettino la distinzione tra vincoli conformativi e preordinati all’esproprio e non determinino, in concreto, uno svuotamento sostanziale della proprietà privata senza indennizzo.
Un profilo di grande attualità riguarda la possibilità che il giudice nazionale, anche in sede di rinvio, sottoponga alla Corte di giustizia UE questioni pregiudiziali interpretative su possibili contrasti tra disciplina interna e diritto europeo. La Cassazione richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia (C-173/09 Elchinov, C-396/09 Interedil, C-416/10 Krizan), sottolineando che il principio di diritto enunciato in sede di legittimità può essere superato solo in presenza di ius superveniens rilevante, inclusi i mutamenti derivanti da sentenze delle corti sovranazionali.
La sentenza si pone, in definitiva, nel solco di una tradizione giuridica che vede nella proprietà un diritto non assoluto ma funzionalizzato all’interesse generale (art. 42 Cost.), e nella pianificazione urbanistica uno strumento di equilibrio tra sviluppo ordinato del territorio e tutela delle posizioni individuali. Il bilanciamento tra esigenze pubbliche e diritto del singolo resta tuttavia un terreno di costante confronto, specie in presenza di vincoli prolungati nel tempo che, di fatto, possono incidere sulle aspettative di godimento e valorizzazione della proprietà.
La pronuncia n. 27979/2024 rappresenta un ulteriore tassello nella complessa costruzione giurisprudenziale in materia di vincoli urbanistici, fornendo indicazioni preziose sia per la prassi amministrativa che per la tutela dei diritti dei proprietari. La netta distinzione tra vincoli conformativi e preordinati all’esproprio, il rigore nell’accertamento della natura e degli effetti dei vincoli, la centralità della prova del danno e il richiamo al ruolo delle fonti sovranazionali sono elementi destinati a orientare la futura evoluzione del diritto urbanistico italiano.
In prospettiva, sarà interessante osservare come la giurisprudenza risponderà alle nuove sfide poste dalla rigenerazione urbana, dal consumo di suolo, dai piani di resilienza e dagli indirizzi europei in materia di sostenibilità e ambiente, che potrebbero ridefinire confini e contenuti della funzione sociale della proprietà e delle garanzie indennitarie in favore dei soggetti incisi dalle scelte di pianificazione.
Cass. civ., Sez. 1, ord. 30 ottobre 2024, n. 27979
Corte cost., sent. n. 55/1968, n. 179/1999
Corte EDU, Scordino c. Italia, 2006
D.P.R. n. 327/2001, artt. 9, 39
Cost., art. 42
CEDU, Protocollo Addizionale n. 1, art. 1
Cass. civ., Sez. 1, 19 gennaio 2020, n. 207; 14 marzo 2023, n. 7393; 22 dicembre 2022, n. 37574
Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321
Corte giustizia UE, C-173/09, Elchinov; C-396/09, Interedil; C-416/10, Krizan