La materia dell’espropriazione per pubblica utilità rappresenta un crocevia fondamentale tra il diritto amministrativo, il diritto civile e la giustizia costituzionale. La determinazione della giusta indennità, che deve riflettere il valore effettivo del bene ablato, costituisce un presidio di legalità e di tutela del diritto di proprietà, come ribadito dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 1 Prot. Add. CEDU. L’ordinanza n. 28901/2024 della Corte di Cassazione offre un’occasione per ripercorrere i principi che regolano la stima delle aree edificabili, i criteri processuali e l’onere probatorio a carico delle parti.
Il caso trae origine dall’opposizione proposta dal proprietario (Domenico Marino Restaino) contro il Consorzio Edilizio Comparto 2 Via Cavour e il Comune di Potenza, a seguito dell’espropriazione di un terreno edificabile sito in Potenza. L’indennità offerta dall’ente espropriante era di € 38,00/mq, mentre l’opponente chiedeva il riconoscimento di un valore non inferiore a € 144,00/mq, o comunque quello risultante dal metodo “analitico-ricostruttivo”, oltre rivalutazione ed interessi.
La Corte d’Appello di Potenza, dopo consulenza tecnica, accoglieva l’opposizione, determinando l’indennità in € 181.877,85, oltre interessi sulla differenza rispetto al già corrisposto, ponendo a carico del Consorzio le spese di CTU e del giudizio.
Il Consorzio ricorreva in Cassazione con sei motivi, lamentando vizi processuali e sostanziali, errori nel metodo di stima, errata valutazione delle peculiarità del fondo e delle spese di urbanizzazione, nonché la regolazione delle spese.
Il primo motivo concerneva la presunta estinzione automatica del giudizio per interruzione, in seguito al collocamento a riposo dei difensori del Comune. La Cassazione respinge la doglianza, richiamando il consolidato principio secondo cui solo la parte colpita dall’evento interruttivo (nella specie, il Comune) è legittimata a dolersi dell’irrituale continuazione del processo, non essendo rilevabile d’ufficio dal giudice né eccepibile dall’altra parte (Cass. 19.8.2016, n. 17199).
Il secondo e il terzo motivo investivano la scelta e la rappresentatività del campione estimativo (cinque atti di compravendita), nonché la mancata considerazione delle caratteristiche specifiche del suolo (morfologia, interclusione, necessità di sbancamenti). La Corte ritiene le censure infondate e in parte inammissibili: i motivi si risolvono in rilievi di fatto, già esaminati dalla Corte d’Appello e risolti con motivazione congrua e adeguata, non specificamente censurata dal ricorrente. La Cassazione ribadisce la legittimità del ricorso al metodo sintetico-comparativo, purché fondato su atti di compravendita attendibili e rappresentativi, e la possibilità per il giudice di aderire alle conclusioni della CTU con motivazione per relationem (Cass. 6.5.2021, n. 11917).
Il quarto motivo riguardava il mancato rinnovo della CTU e l’omessa ammissione della prova testimoniale sui maggiori costi. La Corte, in linea con la giurisprudenza (Cass. 29.9.2017, n. 22799), ribadisce che la decisione di disporre una nuova CTU è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che non è tenuto a motivare espressamente il diniego se le risultanze istruttorie sono già sufficienti. Quanto alla prova testimoniale, la Corte osserva che i fatti dedotti erano, in parte, già documentali e, in parte, inammissibili perché implicavano valutazioni tecniche.
Il quinto motivo contestava il calcolo delle spese di urbanizzazione da detrarre dall’indennità. La Cassazione lo dichiara infondato e carente di specificità e autosufficienza, non essendo stato riprodotto il percorso ricostruttivo alternativo né i dati necessari a valutare la doglianza.
Il sesto motivo, infine, concerneva la regolazione delle spese di lite, che la Corte ritiene conforme all’esito del giudizio e al principio di causalità/soccombenza.
La sentenza conferma la centralità del metodo sintetico-comparativo nella determinazione dell’indennità di espropriazione per aree edificabili. Tale metodo richiede l’individuazione di atti di compravendita omogenei, recenti e rappresentativi. Tuttavia, la Corte sottolinea che l’attendibilità del campione è rimessa alla valutazione tecnica del CTU e alla motivazione del giudice di merito, insindacabile in Cassazione se congrua.
La deduzione delle spese di urbanizzazione deve avvenire sulla base dell’importo previsto in convenzione, non di quello effettivamente già sostenuto, in quanto la funzionalità urbanistica dell’area deriva dall’integrale realizzazione delle opere previste.
Particolarmente rilevante è il richiamo al principio di specificità e autosufficienza dei motivi di ricorso: il ricorrente deve contestare puntualmente le rationes decidendi della sentenza impugnata, pena l’inammissibilità dei motivi.
La dottrina (Saitta, “Proprietà e funzione sociale”, 2020; De Giorgi Cezzi, “Espropriazione e interesse pubblico”, 2022) sottolinea la necessità di un bilanciamento tra la garanzia del giusto indennizzo e l’effettività delle esigenze pubbliche, valorizzando la trasparenza e la motivazione delle decisioni in materia espropriativa.
L’ordinanza n. 28901/2024 della Cassazione conferma la funzione di garanzia dell’indennità di espropriazione, riaffermando il ruolo dei criteri oggettivi e delle valutazioni tecniche nella determinazione del valore delle aree edificabili. La sentenza richiama tutti gli attori – enti, CTU, difensori, giudici – alla massima attenzione nella selezione dei dati di raffronto, nella documentazione delle spese e nella puntuale motivazione delle decisioni, a tutela sia dell’interesse pubblico sia del diritto di proprietà.
La costante attenzione della Suprema Corte all’adeguatezza e alla coerenza delle motivazioni, all’onere probatorio e ai principi di specificità nei ricorsi costituisce un presidio di legalità e trasparenza, che rafforza la fiducia dei cittadini nel sistema della giustizia espropriativa.
L’istituto dell’indennità di espropriazione si colloca all’incrocio tra esigenze pubbliche e diritti fondamentali dell’individuo. Le evoluzioni legislative e giurisprudenziali, specie dopo l’intervento della Corte Costituzionale n. 348/2007 e della Corte EDU (Scordino c. Italia, 2006), hanno progressivamente innalzato il livello di tutela, sancendo la necessità di un indennizzo che sia “equo”, cioè correlato al valore venale effettivo del bene. Tale principio si riflette anche nella giurisprudenza ordinaria, che richiede motivazioni trasparenti e parametri di stima ancorati alla realtà di mercato.
La sentenza in esame si inserisce in questo solco, ribadendo che la funzione della stima non è solo tecnica, ma anche garanzia di giustizia sostanziale per il privato, il quale non può subire un depauperamento ingiustificato a fronte della perdita del proprio bene.
Un punto di rilievo nella vicenda affrontata dalla Cassazione è il ruolo della parte in causa nell’attività di prova e contestazione:
Questa impostazione accentua la natura dialettica del processo espropriativo, dove la trasparenza e la collaborazione tra le parti e il perito sono essenziali per una decisione equa.
La determinazione del valore di aree edificabili avviene, secondo la prassi giudiziaria, attraverso uno dei due metodi principali:
La giurisprudenza (Cass. 11917/2021; Cass. 19077/2015) sottolinea che la scelta del metodo compete al giudice di merito e deve essere motivata in relazione alle peculiarità del caso concreto. La Cassazione interviene solo in caso di illogicità manifesta o omessa motivazione.
La deduzione delle spese di urbanizzazione rappresenta uno dei momenti più delicati nel calcolo dell’indennità:
In caso di contestazioni, il giudice può avvalersi del CTU per una quantificazione aggiornata e congrua.
L’ordinanza in commento richiama l’importanza di una motivazione chiara e congrua, sia nella decisione sulle questioni tecniche (scelta del metodo, attendibilità del campione) sia in materia di regolazione delle spese. Una motivazione “per relationem” all’elaborato peritale è legittima purché il giudice dia conto delle contestazioni e delle peculiarità del caso. La motivazione rafforza la legittimità della decisione e costituisce presidio contro arbitrarietà e disparità di trattamento.
L’esperienza giurisprudenziale e la pratica suggeriscono alcune linee di miglioramento: