L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28442 del 2024 affronta il delicato tema della determinazione dell’indennità spettante in caso di riacquisizione da parte di un Consorzio di sviluppo industriale di un immobile edificato senza autorizzazione paesaggistica, alla luce della disciplina speciale relativa ai Consorzi e delle regole generali in materia espropriativa. Il provvedimento si inserisce nel solco di una giurisprudenza in evoluzione, che cerca di bilanciare la funzione sociale della proprietà, l’interesse pubblico all’efficiente utilizzo delle aree industriali e le posizioni soggettive degli acquirenti.
I Consorzi di sviluppo industriale sono enti pubblici economici, istituiti per favorire il coordinamento e la realizzazione degli insediamenti produttivi in aree appositamente destinate. La cessione di aree o immobili da parte dei Consorzi avviene solitamente con vincoli di destinazione e obblighi di edificazione o esercizio di attività produttive. In caso di inadempimento – come la mancata edificazione, l’utilizzo difforme, la perdita dei requisiti soggettivi o altri motivi previsti dalla legge o dalla convenzione – il Consorzio può avviare un procedimento di “riacquisizione” del bene.
Nel caso esaminato, il Consorzio aveva disposto la riacquisizione di una “palazzina” costruita da una società in liquidazione ([SOCIETÀ1] SRL IN LIQUIDAZIONE), a seguito della violazione delle condizioni di utilizzo, in particolare per essere stato l’immobile edificato in assenza di autorizzazione paesaggistica. La società contestava la quantificazione dell’indennità dovuta, richiedendo che fosse commisurata al valore di mercato dell’area di sedime, anche in considerazione di una successiva sanatoria dell’immobile. La Corte d’Appello aveva ritenuto applicabile l’art. 38, comma 2, del Testo Unico Espropri (TUE – D.P.R. 327/2001), escludendo però il rilievo della sanatoria sopravvenuta.
Sono principalmente due i nodi giuridici affrontati dalla Suprema Corte:
La Cassazione ha accolto il primo motivo del ricorso principale, affermando che:
“La convinzione che si possa applicare l’art. 38, comma 2, TUE e liquidare l’indennizzo sul valore di mercato dell’area di sedime è in contrasto con le finalità ripristinatorie dell’interesse pubblico dell’attività dei Consorzi di sviluppo industriale.”
La Corte precisa che, pur riconoscendo la natura espropriativa del procedimento di riacquisizione, le modalità di determinazione dell’indennità devono essere “adeguate alla tipologia di intervento previsto dalla normativa” e non possono automaticamente seguire la disciplina generale del TUE. La finalità pubblicistica e riequilibratrice del riacquisto, volta a restituire il bene all’uso pubblico, giustifica una disciplina indennitaria peculiare, che prescinde dal valore di mercato e mira ad evitare indebite compensazioni a favore di chi abbia violato gli obblighi convenzionali o normativi.
La sentenza valorizza la “specialità” della disciplina dei Consorzi industriali. La riacquisizione, pur avendo carattere sostanzialmente espropriativo, si differenzia dall’espropriazione ordinaria in quanto trova giustificazione nella necessità di garantire la destinazione produttiva delle aree e la corretta attuazione delle finalità pubbliche cui i Consorzi sono preordinati. La proprietà privata, in questa prospettiva, è funzionalizzata all’interesse collettivo (art. 42, comma 3, Cost.), e la tutela patrimoniale dell’acquirente-inadempiente viene modulata in ragione della violazione degli obblighi assunti.
La Corte esclude l’automatica applicazione del valore di mercato quale parametro indennitario, adottando una concezione “riparatoria” e non “premiale” dell’indennità. L’obiettivo non è compensare il proprietario per il bene perduto, ma evitare un ingiustificato arricchimento a fronte della perdita della destinazione pubblica. L’indennità deve dunque essere commisurata, caso per caso, alla reale utilità residua e al valore delle opere effettivamente utilizzabili dal Consorzio, escludendo valori aggiunti dovuti ad abusi o irregolarità.
La Corte d’Appello aveva escluso, correttamente, il rilievo della sanatoria sopravvenuta nella determinazione dell’indennità, ritenendo che la regolarizzazione postuma dell’immobile non potesse incidere sul diritto del Consorzio di riacquisire l’area e sulla misura dell’indennizzo dovuto. La Cassazione, pur dichiarando assorbita la questione per l’accoglimento del primo motivo, sembra condividere questa impostazione, in linea con una concezione sostanzialistica della funzione pubblicistica.
La pronuncia avrà un impatto rilevante sulla prassi dei Consorzi industriali, che potranno così avvalersi di criteri indennitari più rigorosi e consoni alla funzione sociale delle aree assegnate. Gli acquirenti di aree consortili dovranno prestare particolare attenzione al rispetto delle prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche, ben sapendo che l’inadempimento degli obblighi comporta non solo la perdita del bene, ma anche un ristoro patrimoniale limitato e non parametrato al valore pieno di mercato.
L’ordinanza n. 28442/2024 della Cassazione rappresenta un tassello importante nella definizione dei rapporti tra proprietà privata e interesse pubblico nelle aree industriali. Essa riafferma la specialità e la funzione sociale della disciplina consortile, indicando criteri di liquidazione dell’indennità ispirati a ragionevolezza, equità e proporzionalità rispetto alle finalità di sviluppo industriale e tutela del territorio.
La dottrina italiana ha da tempo dibattuto se l’indennità dovuta in caso di riacquisizione abbia natura risarcitoria, indennitaria o restitutoria. Alcuni autori (v. C. Ibba, “Consorzi industriali e funzione sociale”, Riv. Dir. Pubbl., 2021, 3, p. 411 ss.) sottolineano la dimensione compensativa limitata all’effettivo arricchimento del Consorzio, mentre altri ravvisano un carattere più penalizzante per l’inadempiente, in funzione deterrente rispetto a condotte elusive delle finalità pubblicistiche. La sentenza in commento adotta una soluzione intermedia, valorizzando la funzione riequilibratrice e la specificità del rapporto consortile.
Anche la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 23 aprile 2018, n. 2439) ha più volte riconosciuto che la riacquisizione di aree da parte dei Consorzi di sviluppo industriale non rappresenta uno “sfratto” in senso privatistico, ma un atto a tutela dell’interesse pubblico, connotato da forte specialità. Il giudice amministrativo, investito della legittimità dell’atto di riacquisizione, è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali (inadempimento, interesse pubblico, rispetto delle procedure) e la proporzionalità delle conseguenze patrimoniali.
Nella pratica applicativa, le cause di riacquisizione più frequenti sono:
In ciascuna di queste ipotesi, la liquidazione dell’indennità rappresenta uno snodo delicato, spesso oggetto di contenzioso, come dimostra la vicenda oggetto della sentenza qui commentata.
La sentenza richiama il principio della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), che impone di contemperare il diritto del singolo con le esigenze collettive. La Corte Costituzionale, con sent. n. 348/2007, ha precisato che la tutela del diritto di proprietà non può tradursi in un ostacolo all’attuazione di politiche pubbliche di sviluppo e di tutela dell’ambiente. L’indennità, in questo quadro, diviene uno strumento di equilibrio tra sacrificio imposto e utilità pubblica perseguita.
L’ordinanza n. 28442/2024 della Cassazione si pone come punto di riferimento per la gestione dei rapporti tra privati e Consorzi industriali, in particolare nei casi di riacquisizione di beni. La pronuncia:
In prospettiva, sarà importante monitorare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, specie in relazione alle nuove sfide della transizione ecologica, della rigenerazione urbana e della digitalizzazione dei processi produttivi, che potrebbero incidere sia sulle modalità di assegnazione che sui meccanismi di riacquisizione e indennizzo.