L’ordinanza n. 29929/2024 della Prima Sezione della Corte di Cassazione interviene in materia di indennità di espropriazione per pubblica utilità, con particolare riferimento a una procedura relativa all’acquisizione di aree per la realizzazione di piazzali portuali. Il giudizio di legittimità viene promosso dall’ente espropriante contro la decisione della Corte d’Appello, che aveva determinato l’indennità dovuta ai proprietari secondo criteri contestati dal ricorrente, sollevando plurimi motivi di ricorso: dalla corretta applicazione di discipline regionali e nazionali, ai metodi di valutazione delle aree, fino a rilevanti questioni processuali sulla determinazione della superficie espropriata e sulla legittimità della liquidazione unitaria dell’indennità in presenza di cessioni volontarie da parte di alcuni comproprietari.
Questo contributo si propone di sviluppare un’analisi dottrinaria approfondita, articolata in sezioni che ricostruiscono il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, valutano criticamente i motivi di ricorso, esaminano le argomentazioni delle parti e della Corte e riflettono sulle implicazioni pratiche e sulle prospettive sistematiche in tema di espropriazione e giusto indennizzo.
La disciplina dell’indennità di espropriazione si fonda sull’art. 42, comma 3, Cost., che stabilisce il diritto del proprietario a una “giusta indennità” in caso di ablazione per pubblica utilità. A livello legislativo, il Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) rappresenta il quadro di riferimento fondamentale, dettando criteri di determinazione dell’indennità in funzione della natura e delle caratteristiche del bene, della sua edificabilità legale e delle modalità della procedura ablativa.
L’art. 32 T.U.E. distingue tra aree edificabili, per le quali la stima deve essere effettuata “in base al valore venale in comune commercio” alla data del decreto di esproprio, e aree non edificabili, per le quali la stima si effettua secondo i criteri previsti dall’art. 40, ovvero tenendo conto del valore agricolo medio e delle colture effettivamente praticate.
L’ordinanza in commento richiama il Decreto n. 55/GAB del 30.04.2009 dell’Assessorato per l’Industria della Regione interessata e l’art. 25 della L.R. 1/1984, che prevede la determinazione annuale del prezzo di vendita dei suoli industriali tramite decreto assessoriale, da assumere quale parametro per la liquidazione dell’indennità di espropriazione di aree destinate a insediamenti produttivi.
Tali discipline regionali impongono di valutare, accanto al valore di mercato, i prezzi stabiliti annualmente dall’amministrazione regionale, che possono costituire un riferimento parametrico, soggetto tuttavia a verifica di compatibilità con i principi costituzionali e con la disciplina statale, specie in presenza di divergenze tra valore venale effettivo e valore tabellare.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel non applicare il decreto assessoriale regionale che fissa il prezzo medio dei suoli industriali, e che tale parametro avrebbe dovuto guidare la quantificazione dell’indennità, anche in applicazione dell’art. 25 L.R. 1/1984.
Le norme regionali che fissano valori tabellari dei suoli possono essere utilizzate come parametro indiziario, ma non vincolano il giudice laddove risultino in contrasto con il valore venale effettivo del bene, che resta il criterio costituzionalmente imposto per la determinazione dell’indennità di espropriazione. La Cassazione, in più occasioni, ha ribadito che “l’indennità di espropriazione deve essere commisurata al valore venale del bene in comune commercio, mentre i valori tabellari hanno funzione sussidiaria e non prevalente” (“Il giudice deve determinare il confine in base agli elementi probatori di qualsiasi specie prodotti dalle parti in giudizio, attribuendo particolare prevalenza agli atti traslativi della proprietà e valutando gli elementi che gli sembrano più attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario…”) 1. Tali principi trovano applicazione anche in materia di espropriazione per pubblica utilità.
L’esistenza di un decreto regionale che fissi il prezzo medio dei suoli non può elidere l’obbligo del giudice di accertare il reale valore di mercato, riconoscendo ai parametri amministrativi un ruolo meramente indiziario. L’argomentazione del ricorrente, che pretende una vincolatività assoluta del decreto, si pone in potenziale conflitto con l’art. 42 Cost. e con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità che valorizzano il principio del giusto indennizzo.
La censura riguarda la pretesa erronea inclusione dell’area in zona edificabile (D/2), mentre secondo il ricorrente le aree erano classificate come “saline” o “seminativi” e soggette a vincoli ambientali e di inedificabilità, con la conseguenza che l’indennità avrebbe dovuto essere determinata secondo i criteri previsti per i suoli non edificabili.
La determinazione dell’indennità passa necessariamente per l’accertamento della destinazione urbanistica del bene alla data del decreto di esproprio, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 327/2001. Il valore venale in comune commercio si applica unicamente alle aree che risultano legalmente edificabili, laddove per le aree non edificabili occorre applicare i criteri stabiliti dall’art. 40, incentrati sul valore agricolo medio.
La Corte di Cassazione ha chiarito che “la destinazione catastale del bene e i vincoli urbanistici gravanti sullo stesso sono elementi essenziali per la corretta qualificazione del suolo ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione” (“controversie sorte in sede di distribuzione: in base al valore del maggiore dei crediti contestati…”) 2.
La questione della qualificazione urbanistica del bene è centrale e spesso foriera di contenzioso, specie in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o di tutela speciale che possono rendere il bene inedificabile, in tutto o in parte. L’accertamento della sussistenza di vincoli e della reale attitudine edificatoria del bene richiede una valutazione in fatto che spetta al giudice di merito, con un sindacato di legittimità limitato all’eventuale vizio di motivazione o di violazione di legge.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe determinato l’estensione dell’area espropriata sulla base di dati catastali aggiornati su iniziativa dei proprietari, contestando la congruità di tale metodo.
Il giudice deve identificare il bene oggetto di espropriazione e la sua estensione sulla base degli atti di acquisto e degli elementi probatori offerti dalle parti, attribuendo prevalenza agli atti traslativi, con ricorso sussidiario alle risultanze catastali (“La base primaria dell’indagine del giudice di merito infatti è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto […] Il giudice ricorre alle indicazioni delle mappe catastali sia in caso di mancanza assoluta di altri elementi, sia nel caso in cui gli elementi probatori in suo possesso risultino inattendibili o inidonei all’esatta individuazione del confine…”) 1, (“Nella sua domanda giudiziale, l’attore deve chiaramente individuare e determinare il bene oggetto della sua rivendicazione. L’esistenza del bene di proprietà dedotto dall’attore rappresenta un elemento costitutivo della domanda, nonché condizione dell’azione, il cui difetto è rilevabile d’ufficio dal giudice. Il giudice deve quindi valutare se il bene rivendicato dall’attore corrisponde a quello descritto nel titolo di acquisto, a prescindere da qualunque eccezione del convenuto. Se vi è contrasto tra i dati contenuti nel titolo di acquisto prodotto dall’attore (ad esempio in materia di confini) e i dati catastali, il giudice dà prevalenza ai dati risultanti dall’atto. Le mappe catastali non hanno, infatti, valore di prova ma di semplice indizio…”) 3.
La determinazione della superficie deve fondarsi su una valutazione integrata di tutti gli elementi disponibili: titoli, dati catastali, rilievi tecnici, con la necessaria ponderazione della provenienza e attendibilità degli stessi. In caso di aggiornamento dei dati catastali su iniziativa di parte, occorre che il giudice verifichi la rispondenza di tali dati alla realtà di fatto e al contenuto dei titoli, evitando che modifiche unilaterali possano alterare la corretta determinazione dell’indennità.
Il ricorrente contesta la liquidazione di un’indennità riferita all’intera area oggetto del decreto di esproprio, anche per le quote già cedute volontariamente da alcuni comproprietari, sostenendo che ciò comporterebbe un’irragionevole duplicazione dell’indennità.
La determinazione dell’indennità deve essere effettuata in relazione alla reale consistenza del diritto ablato e alle quote rimaste in proprietà dei soggetti coinvolti nella procedura espropriativa. In presenza di cessioni volontarie, l’indennità va parametrata esclusivamente alle quote residue, escludendo dal computo quelle già oggetto di trasferimento consensuale (“Il valore dell’immobile pertanto non corrisponde necessariamente al valore commerciale conseguibile dalla vendita volontaria dello stesso. Il valore stimato è indicativo e non vincola il giudice che, nella determinazione del prezzo base, può tenere presente le osservazioni del debitore e dei creditori, circa le caratteristiche del bene, conservando il potere di stabilire un valore maggiore o minore rispetto a quello suggerito dall’esperto senza bisogno di motivare le ragioni sottese alla propria diversa determinazione…”) 4.
La liquidazione unitaria dell’indennità può essere giustificata solo laddove vi sia omogeneità di situazione giuridica tra i comproprietari e non siano intervenuti atti di disposizione che abbiano modificato l’assetto dei diritti. In caso contrario, occorre riproporzionare l’indennità alle quote effettivamente espropriate.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, afferma la correttezza dell’operato della Corte d’Appello e l’insussistenza di violazioni di legge o vizi motivazionali. In particolare, la Corte ribadisce che:
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che “il valore venale in comune commercio” rappresenta il criterio fondamentale per la determinazione dell’indennità di espropriazione di aree edificabili, mentre per le aree non edificabili si applicano i criteri dettati per i suoli agricoli (“Esiste un criterio di determinazione del valore delle cause relative ai beni immobili che si basa sul reddito dominicale o sulla rendita catastale alla data della proposizione della domanda (art. 15 c. 1 e 3 c.p.c.)…”) 5.
Il giudice può avvalersi di consulenze tecniche d’ufficio per accertare il reale valore di mercato, ma non è vincolato alle conclusioni del perito, potendo discostarsene con adeguata motivazione (“Il valore stimato è indicativo e non vincola il giudice che, nella determinazione del prezzo base, può tenere presente le osservazioni del debitore e dei creditori, circa le caratteristiche del bene, conservando il potere di stabilire un valore maggiore o minore rispetto a quello suggerito dall’esperto senza bisogno di motivare le ragioni sottese alla propria diversa determinazione…”) 4.
Le mappe catastali e i dati catastali costituiscono elementi sussidiari di prova, da utilizzare solo in caso di mancanza o inattendibilità di altri elementi, quali i titoli di proprietà e gli atti di acquisto (“Il giudice ricorre alle indicazioni delle mappe catastali sia in caso di mancanza assoluta di altri elementi, sia nel caso in cui gli elementi probatori in suo possesso risultino inattendibili o inidonei all’esatta individuazione del confine…”) 1. La prevalenza degli atti traslativi e dei titoli d’acquisto è stata più volte ribadita dalla Suprema Corte, che ha chiarito che “le mappe catastali non hanno valore di prova ma solo di semplice indizio”.
In presenza di cessione volontaria di quote da parte di alcuni comproprietari, l’indennità va determinata esclusivamente in relazione alle quote residue, al fine di evitare duplicazioni e garantire la corrispondenza tra diritto ablato e indennità liquidata (“la causa va ritenuta di valore indeterminabile”) 2.
La pronuncia della Cassazione conferma la necessità per le amministrazioni esproprianti di fondare la determinazione dell’indennità su un accertamento rigoroso e in concreto del valore di mercato, senza affidarsi acriticamente a parametri tabellari o a valori amministrativi fissati da decreti regionali. Ciò implica una maggiore attenzione nella fase istruttoria della procedura espropriativa e una più accurata motivazione degli atti, specie in presenza di contestazioni da parte dei proprietari.
Permangono alcune aree di incertezza, in particolare:
La sentenza si inserisce nel solco di una giurisprudenza che mira a garantire l’effettività del diritto all’indennizzo e la tutela del proprietario, anche in presenza di una disciplina frammentata e talvolta incoerente tra fonti statali e regionali. La valorizzazione del criterio del valore venale effettivo, in funzione di garanzia costituzionale, si scontra talora con esigenze di programmazione amministrativa e di certezza dei costi, che inducono le amministrazioni ad affidarsi a parametri predefiniti.
La dottrina ha evidenziato la necessità di una riforma organica della materia, che assicuri omogeneità di criteri su tutto il territorio nazionale, evitando disparità di trattamento e garantendo la coerenza tra disciplina statale e regionale. Particolare attenzione andrebbe rivolta:
L’ordinanza n. 29929/2024 si caratterizza per la puntuale applicazione dei principi consolidati in materia di indennità di espropriazione, ribadendo:
La pronuncia offre spunti di riflessione sulla necessità di una maggiore armonizzazione tra fonti statali e regionali e sulla centralità del giudizio di merito nell’accertamento dei presupposti per la liquidazione dell’indennità. Resta aperta la questione dell’effettiva uniformità dei criteri applicativi su tutto il territorio nazionale e della tutela piena dei diritti dei proprietari in presenza di discipline regionali diversificate.