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Impugnazione del Decreto Sanante: Risarcimento Integrale e Tutela del Proprietario Espropriato

Calcolo del Risarcimento nei Decreti di Sanatoria: Criteri Legali e Valutazione Tecnica

Occupazione Illegittima, Rivalutazione e Indennità: Tutti i Passaggi per la Tutela del Proprietario

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TRIBUNALE AMMINISTRATO REGIONALE OMISSIS

SEZIONE STACCATA DI OMISSIS

R I C O R S O

 

per OMISSISrappresentato e difeso nel presente giudizio giusta procura  speciale per Notaio…………… dall’AvvOMISSIS ed elettivamente domiciliato in Lecce presso l’Avv…………..

C O N T R O

il Comune di OMISSIS  in persona del legale rappresentante p.t.

PER L’ANNULLAMENTO

del decreto di acquisizione coattiva sanante  OMISSIS del 18.5.2010 notificato il 22.5.2010 (doc. n. 1) emesso ai sensi dell’art. 43 d.p.r. n. 327/2001 limitatamente alla parte in cui ha determinato la misura del risarcimento dei danni e comunque

PER LA CONDANNA

del comune medesimo al risarcimento dei danni da determinarsi correttamente e legittimamente nella misura prevista dall’art. 43 d.p.r. n. 327/2001.

 

F A T T O

 

Con deliberazione n. OMISSIS del 26.3.2004 (doc. n. 2), il commissario straordinario del Comune di OMISSIS:

  • approvava il progetto definitivo delle opere infrastrutturali dell’intervento per il “miglioramento ed il completamento infrastrutturale dell’area P.I.P. di OMISSIS ed ampliamento area esistente” (punto 4);
  • dava atto che l’approvazione del progetto equivaleva a dichiarazione di pubblica utilita’ delle opere (punto 8);
  • faceva riserva di emettere il decreto di esproprio (punto 9);
  • dava atto che il vincolo preordinato all’esproprio aveva durata di anni cinque e che entro tale termine sarebbe stato emesso il decreto di esproprio (punto 11).

Con decreto dirigenziale OMISSIS del 3.6.2004 (doc. n. 3), il Comune di OMISSIS disponeva l’occupazione temporanea anticipata e d’urgenza preordinata alla espropriazione (tra le altre) delle seguenti aree di proprieta’ del ricorrente cosi’ identificate in catasto (s.e.o.):

  • foglio omissis particella OMISSIS con superficie complessiva di 4.000 mq. e con superficie da espropriare pari a 4.000 mq. (in proprieta’ esclusiva);
  • foglio omissis particella omissis con superficie complessiva di 1.054 mq. e con superficie da espropriare pari a 110 mq. (in ragione di 1/2 della proprieta’).

Il citato decreto prevedeva espressamente che l’occupazione d’urgenza non si sarebbe protratta oltre il termine di cinque anni dalla data di immissione in possesso e che entro termine il comune avrebbe altresi’ dovuto completare le espropriazioni e definire le occupazioni (vedi art. 8).

Contestualmente all’indicato decreto di occupazione, il comune notificava anche il pedissequo avviso prot. n. omissis del 4.6.2004 (doc. n. 4) con il quale informava il ricorrente che in data 18.6.2004 avrebbe proceduto alla immissione in possesso.

In data 18.6.2004 (come risulta dal decreto sanante n omissis  del 18.5.2010), il comune si immetteva nel possesso delle aree di cui trattasi e procedeva alla esecuzione dei lavori.

Nel frattempo veniva ultimata la realizzazione dell’opera pubblica e spiravano infruttuosamente i termini quinquennali previsti sia ai fini della efficacia del vincolo preordinato all’esproprio (cinque anni dal 26.3.2004) sia ai fini della efficacia e della durata della occupazione temporanea (cinque anni dal 18.6.2004).

Con nota del 6.4.2010 (doc. n. 5), questa difesa chiedeva al comune di rilasciare copia del decreto di esproprio eventualmente emesso.

Con nota prot. n. omissis del 4.5.2010 (doc. n. 6), il comune preannunciava la emissione del decreto di acquisizione sanante.

Con l’indicato decreto sanante n omissis del 18.5.2010 impugnato in questa sede, il comune dopo aver ripercorso le tappe e gli atti piu’ significativi del procedimento di esproprio :

  • dopo aver valutati gli opposti interessi in conflitto e dato atto della utilizzazione delle aree occupate per scopi di interesse pubblico in assenza di valido ed efficace decreto di esproprio, disponeva l’acquisizione delle aree stesse al patrimonio indisponibile dell’ente;
  • stabiliva che le aree occupate erano di natura agricola e comunque prive della edificabilita’ legale;
  • per l’effetto, determinava con riferimento alla data del 2009:
  1. il risarcimento dei danni nella misura di euro 3.203,45 (corrispondente al valore unitario di euro 0,79 mq.);
  2. il risarcimento per la illegittima occupazione (erroneamente indicata quale indennita’ di occupazione) nella misura di euro 1.250,20 (corrispondente ad 1/12 per cinque anni di occupazione);
  3. l’indennita’ di soprassuolo pari ad euro 385,00;
  4. gli interessi moratori dal 18.6.2004 al 30.4.2010 maturati sull’importo di euro 4.635,99 nella misura di euro 2.634,71.

 

Con il presente ricorso, affidato ai motivi di cui in seguito, il ricorrente intende ottenere l’annullamento “in parte qua” dell’indicato decreto sanante e limitatamente alla parte di esso che ha determinato la misura del risarcimento dei danni e comunque ed in ogni caso la condanna del comune al pagamento del risarcimento dei danni nella misura correttamente e legittimamente prevista dall’art. 43 d.p.r. n. 327/2001.

 

M O T I V I

1) QUANTO ALLA GIURISDIZIONE

Ritiene questa difesa che il presente giudizio debba ritenersi correttamente radicato dinanzi al g.a. e cio’:

  • sia per quanto attiene al profilo connesso alla domanda di annullamento pacificamente appartenente alla giurisdizione di legittimita’ (trattandosi – in parte – di un giudizio impugnatorio);
  • sia per quanto attiene al profilo connesso alla domanda risarcitoria appartenente alla giurisdizione esclusiva (trattandosi di domanda di condanna al risarcimento dei danni derivante dalla cosiddetta occupazione appropriativa) (Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006 nonche’ art. 34 d.lgs. n. 80/1998 ed art. 43 e 53 d.p.r. n. 327/2001).

 

2) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE:

  • DELL’ART. 43/6 DPR N. 327/2001
  • DELL’ART. 37 DPR N. 327/2001

Ai fini di un chiaro inquadramento della fattispecie, appare utile premettere che il decreto sanante impugnato si rivela illegittimo per violazione delle norme in epigrafe poiche’ e nella parte in cui:

  • ha ritenuto che le aree espropriate fossero di natura agricola anziche’ edificabili;
  • ha determinato in via consequenziale il risarcimento dei danni nella misura del valore agricolo medio stimato in euro 0,79 mq. anziche’ nel valore di mercato delle aree edificabili;
  • ha omesso di determinare il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illecita ed illegittima, compreso tra il termine finale di occupazione legittima (19.6.2009) fino alla data del decreto sanante (18.5.2010).

 

In ogni caso, il diritto al risarcimento dei danni spettante al proprietario autorizza e legittima lo stesso a ricorrere al g.a. affinche’ determini la misura risarcitoria nel rispetto dei criteri previsti dall’art. 43/6 d.p.r. n. 327/2001.

 

  • QUANTO ALLA EDIFICABILITA’ LEGALE DEI TERRENI

Si premette che i terreni di cui trattasi sono stati espropriati ed acquisiti per la realizzazione dell’intervento per il “miglioramento ed il completamento  infrastrutturale dell’area P.I.P. di omissis  ed ampliamento area esistente”.

Appare parimenti importante sottolineare sin d’ora che la giurisprudenza ha altresi’ chiarito che tutte le aree comprese nel medesimo programma urbanistico (piano p.i.p., piano di zona, piano p.e.e.p., ecc.) contribuiscono allo stesso modo alla determinazione dell’indice medio di edificabilita’ territoriale, a prescindere dalla effettiva destinazione dei singoli lotti e restando dunque irrilevante che, all’interno della zona, le singole aree possano essere destinate a servizi (opere di viabilita’, parcheggio, aree verdi, ecc.). E’ dunque proprio grazie al concorso di tutti i terreni alla determinazione dell’indice medio di edificabilita’ territoriale, che tutti i terreni compresi nel medesimo piano devono ritenersi edificabili.

 

I terreni espropriati per la realizzazione di interventi compresi nei piani degli insediamenti produttivi devono ritenersi edificabili sia in base alla normativa italiana sia in base alle norme della c.e.d.u..

In conformita’ alle norme della c.e.d.u., i terreni devono essere valutati ed indennizzati sulla base del valore di libero mercato degli stessi.

 

  • normativa c.e.d.u.

L’applicazione dell’art. 1 Protocollo 1 addizionale alla c.e.d.u. comporta gia’ di per se’ la naturale implicazione che i terreni siano stimati e valutati sulla base del loro pieno valore di mercato “sic et simpliciter”, a prescindere da ogni indagine in ordine alla natura edificabile o meno degli stessi (indagine che in ogni caso riveste un aspetto di secondo piano atteso che la natura dei fondi e’ comunque sottesa al loro comune ed intrinseco valore venale). Appare peraltro del tutto superfluo precisare che il  terreno espropriato per l’insediamento di stabilimenti industriali deve certamente ritenersi edificatorio ai fini della c.e.d.u..

 

  • normativa nazionale

Ad ogni buon conto,   ritenendo opportuno a tal fine richiamare anche la normativa nazionale ed in particolare le previsioni  dell’art. 32 e dell’art. 37 d.p.r. n. 327/2001, è agevole concludere che i terreni espropriati hanno oggettiva ed indiscussa natura edificabile. In particolare il citato art. 37 prevede:

  • che “ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilita’ legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione…” (comma terzo);
  • che “salva la disposizione dell’articolo 32/1, non sussistono le possibilita’ legali di edificazione quando l’area e’ sottoposta ad un vincolo di inedificabilita’ assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalita’ di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (comma quarto);
  • che “i criteri e i requisiti per valutare l’edificabilita’ di fatto dell’area sono definiti con regolamento da emanare con decreto del ministro delle infrastrutture e trasporti” (comma quinto);
  • che infine “fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilita’ effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell’area” (comma sesto).

Posto dunque che i terreni di cui trattasi sono stati espropriati in vista della costruzione di insediamenti industriali e considerato che nella fattispecie sussistono tutti gli elementi di cui sopra sintomatici e rivelatori della edificabilita’ legale nei termini in cui gli stessi sono stati individuati dal citato art. 37 d.p.r. n. 327/2001, deve convenirsi sulla conclusione che i fondi espropriati devono ritenersi edificabili e che agli stessi deve essere riconosciuta oggettiva edificabilita’ legale.

 

  • la giurisprudenza della Corte di Cassazione

Del resto tale conclusione e’ confortata dalla pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in materia di espropriazione di aree comprese in zone destinate ad insediamenti produttivi, ha stabilito:

  • che “ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione, va considerato edificabile un terreno inserito dallo strumento generale in zona destinata a insediamenti industriali, non essendo necessaria una specifica destinazione conferita da uno strumento attuativo, e restando irrilevante che, all’interno della zona, il terreno possa essere destinato a servizi (nella specie, ad opere di viabilita’ interna), in virtu’ di prescrizioni di carattere preespropriativo, rapportandosi in tal caso la valutazione alle aree comprese nella zona” (Cass. 20.9.2006 n. 20408);
  • che “…questa Corte ha ripetutamente avvertito che l’edificabilità non si identifica ne’ si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo in via di principio non precluse (come nella destinazione industriale ed artigianale ricorrente nella specie) all’iniziativa privata che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (cfr. Cass. n. 9669/2000; n. 8028/2000 e n. 4473/99)…” (Cass. SS.UU. n. 14685 del 25.6.2007);
  • che “la sentenza impugnata ha infatti accertato, senza contestazione alcuna del comune al riguardo, che all’epoca del decreto ablativo (settembre 1995) – che è quella alla quale va eseguita la ricognizione legale del suolo ex l. n. 359 del 1992, art. 5 bis – il terreno rientrava in zona d3 dello strumento urbanistico comunale, destinata all’insediamento di attività commerciali, laboratori artigianali, nonché servizi pubblici e privati; ed era inserita in un piano urbanistico per insediamenti produttivi. E tanto è sufficiente a rivelarne la natura edificatoria avendo la giurisprudenza di questa Corte, resa anche a sezioni unite (Cass. n. 172 e 173 del 2001 e succ.), costantemente enunciato la regola che un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata in ragione della sua allocazione zonale e della destinazione (generale) correlativa al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale. Sicché siffatta destinazione legale e’ sufficiente ad imprimere al fondo detta qualità, la quale non richiede, perché rilevi giuridicamente, di essere volta a volta confermata da ulteriori indagini sulle sue caratteristiche materiali: essendo state queste già preventivamente apprezzate in un certo modo nella fase di elaborazione dello strumento urbanistico e tradotte nelle conseguenti prescrizioni che le rispecchiano;… D’altra parte, il fatto che l’immobile sia stato incluso in un piano per insediamenti produttivi conferma questa destinazione, posto che il piano in questione, di carattere attuativo, e volto ad incentivare le imprese mediante offerta di aree per l’impianto e l’espansione di azienda, deve necessariamente comprendere secondo il disposto della legge n. 865 del 1971 art. 27/2, aree incluse “nell’ambito delle zone destinate a insediamenti produttivi dai piani regolatori generali o dai programmi di fabbricazione vigenti”: e perciò necessariamente classificate edificabili dallo strumento urbanistico generale (Cass. n. 5874/2004; n. 4473/1999; n. 13250/1991; C.d.S.  n. 5501/2004)” (Cass. n. 9891 del 24.4.2007);
  • che “si deve aggiungere che la destinazione da parte del p.r.g. della zona in esame agli insediamenti industriali, già sufficiente a conferire al terreno V., “le possibilità legali di edificazione” richieste dall’art. 5 bis, ha trovato conferma proprio nello strumento consortile che l’ha ribadita, perciò confermandone la vocazione edificatoria accertata dalla corte di appello; ed escludendo che la valutazione dell’area potesse essere compiuta con il criterio tabellare relativo ai suoli agricoli di cui alla l. n. 865 del 1971 art. 16” (Cass. n. 11742 del 8.5.2006);
  • che “un’area va ritenuta edificabile quando (e per il solo fatto che) come tale essa risulti classificata dagli strumenti urbanistici vigenti al momento del perfezionamento della vicenda ablativa, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza dell’edificabilità legale, mentre la c.d. edificabilità di fatto rileva esclusivamente in via suppletiva (in carenza di strumenti urbanistici) ovvero, in via complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennità (Cass. 21 maggio 2003 n. 7950, sulla scia dei principi enunciati da Cass. SS.UU.  23 aprile 2001 n. 172). In particolare, nella rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole o comunque non classificabili come edificabili (rispetto alla quale non è consentita la prospettazione di un tertium genus), l’edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma comprende tutte quelle trasformazioni del suolo che siano riconducibili alla nozione tecnica ed economica di edificazione. Ne deriva che devono essere considerati edificabili anche i suoli destinati, come nella specie, ad insediamenti  industriali, i quali ultimi ben possono essere attuati ad opera dei privati, ove i suoli stessi non siano fatti oggetto di iniziative ablatorie (Cass.13 giugno 2000 n. 8028), né è a tal fine necessaria l’approvazione degli strumenti attuativi (Cass. 20 maggio 1999 n. 4903)” (Cass. n. 21161 del 29.9.2006).

 

  • IL NUOVO QUADRO NORMATIVO
  • Corte Costituzionale sentenza 10.2007 n. 348

Come e’ noto, con la sentenza 24 ottobre 2007 n. 348, la Corte Costituzionale ha dichiarato:

  • l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 5 bis commi 1 e 2  del decreto legge 11.7.1992 n. 333 (misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8.8.1992 n. 359;
  • nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, l’illegittimita’ costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’).

 

In particolare, e’ stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 5 bis commi 1 e 2, del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333 (misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992 n. 359 nella parte in cui, ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altresì l’applicazione ai giudizi in corso alla data dell’entrata in vigore della legge n. 359 del 1992.

 

E’ stata altresi’ dichiarata, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953  n. 87, l’illegittimita’ costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8 giugno 2001  n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che contengono norme identiche a quelle dichiarate in contrasto con la Costituzione dalla medesima sentenza.

Tali norme contrastano con l’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali (c.e.d.u.) firmata a Roma il 4 novembre 1950, quale interpretato dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l’indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse conducono alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore dei beni oggetto di ablazione.

La questione risolta dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 348 del 24.10.2007 si incentra sul denunciato contrasto tra la norma censurata (art. 5 bis d.l. n. 333/1992 ed art. 37 commi 1 e 2 d.p.r. n. 327/2001) e l’art. 1 del primo Protocollo della c.e.d.u., quale interpretato dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, in quanto i criteri di calcolo per determinare l’indennizzo dovuto ai proprietari di aree edificabili espropriate per motivi di pubblico interesse conducevano alla corresponsione di somme non congruamente proporzionate al valore venale pieno ed effettivo dei beni oggetto di ablazione.

  • la normativa c.e.d.u.

L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla c.e.d.u. cosi’ testualmente recita:

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.

Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.

E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:

  • la prima regola, contenuta nella prima frase del primo comma, e’ di natura generale ed enuncia il principio di pacifico godimento della proprieta’;
  • la seconda regola garantisce dalla privazione del possesso e la rende soggetta a certe condizioni;
  • la terza regola, contenuta nel secondo comma, riconosce che gli stati contraenti hanno il compito, tra le altre cose, di controllare l’uso della proprietà per la soddisfazione dell’interesse generale.

Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).

La c.e.d.u. presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, cui e’ affidata la funzione di interpretare le norme della convenzione stessa. Difatti l’art. 32  paragrafo 1 stabilisce: «La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47».

Poiche’ le norme giuridiche vivono nell’interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall’art. 32  paragrafo 1 della convenzione e’ che tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della c.e.d.u. vi e’ quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione.

In materia di individuazione dell’esatto valore da indennizzare, si deve rilevare che l’art. 1 del primo Protocollo della c.e.d.u. e’ stato oggetto di una progressiva focalizzazione interpretativa da parte della Corte di Strasburgo, che ha attribuito alla disposizione un contenuto ed una portata piu’ ampi di quelli riconosciuti dalla giurisprudenza italiana.

Nella giurisprudenza della C.E.D.U. – applicabile direttamente anche nell’ordinamento nazionale (quanto meno in caso di mancanza di conflitti tra la normativa nazionale e quella della convenzione europea) –  il diritto alla giusta indennita’ si estende fino a comprendere IL DANNO RAPPRESENTATO DAL PIENO VALORE DI MERCATO del terreno espropriato.

In particolare, tale sforzo di interpretazione  e di garanzia e’ stato riscontrato laddove si e’ trattato di riconoscere al cittadino espropriato prioritariamente il danno diretto in concreto prodotto dall’espropriazione e tradizionalmente individuato nel valore venale degli immobili ablati (principio fondamentale ma gia’ acquisito).

Ed e’ evidente che l’opponente chiede che  tale interpretazione sia condivisa da codesto giudice.

La sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale conferma che, in materia di tutela della proprieta’ oggetto di espropriazione, sono rilevanti nell’ordinamento italiano – anche in forza del meccanismo ora previsto dall’art. 117/1 Costituzione – le norme della c.e.d.u. secondo cui al proprietario spetta una indennita’ finalizzata al ristoro integrale di tutti i danni subiti.

 

Sotto la spinta costante e pluriennale esercitata dalle numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale e’ stata costretta a riconoscere – ma non ancora in misura sufficiente – importanza e rilevanza giuridica sia alle norme della c.e.d.u. sia alle sentenze della Corte.

Non si puo’ sottacere infatti che la Corte Europea accorda tuttora ai cittadini degli stati aderenti alla convenzione, una tutela decisamente piu’ ampia rispetto a quella offerta dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 348/2007.

Anche dopo la sentenza costituzionale n. 348/2007, il cittadino espropriato che non ottenesse  la piena tutela dai giudici italiani, conserva integro il diritto di rivolgersi comunque alla Corte Europea che continuera’, da un lato, a garantire la piu’ ampia tutela prevista dalla c.e.d.u. e, dall’altro, a condannare gli stati aderenti che si siano resi responsabili di violazioni  alle norme della c.e.d.u..

A titolo meramente esemplificativo, si segnala che particolare importanza – per l’impatto e la risonanza notevoli degli effetti prodotti – e’ stata unanimemente attribuita (tra le numerose altre disponibili) alla sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo emessa nel caso Scordino contro Italia (ricorso n. 36813/1997), pubblicata il 29.7.2004, pur espressamente citata dalla richiamata sentenza costituzionale n. 348/2007.

Con la citata sentenza emessa sul caso Scordino, la Corte Europea (in disaccordo con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale) ha stabilito:

  • che la norme della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo sono applicabili direttamente all’interno dell’ordinamento di ogni stato contraente (e dunque anche l’Italia);
  • che tutti i giudici degli stati contraenti sono tenuti ed obbligati all’applicazione diretta delle norme della convenzione ogni qual volta ne ravvisino la violazione;
  • che la giurisprudenza e le sentenze della Corte Europea, in quanto ritenute dalla stessa Corte parte integrante della convenzione, sono parimenti vincolanti per i giudici degli stati contraenti;
  • che (con particolare riferimento alla tutela del diritto di proprieta’) la normativa prevista dal p.r. n. 327/2001  costituisce una violazione dei principi contenuti nell’art. 1 Protocollo n. 1 (normativa ora abrogata dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale e superata dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007).

 

 

Anche per il Consiglio di Stato i principi e le norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo hanno una diretta rilevanza e trovano diretta applicazione nell’ordinamento italiano.

 

L’interpretazione articolata nei termini indicati e’ stata adottata autorevolmente anche dal Consiglio di Stato (sezione IV n. 3752 del 27.6.2007 e sez. IV n. 2582 del 21.5.2007) il quale ha testualmente stabilito che “i principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiche’:

  • per l’art. 117/1 della Costituzione, le leggi devono rispettare i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”;
  • per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, … in quanto principi generali del diritto comunitario»;
  • per la pacifica giurisprudenza della CEDU (che ha piu’ volte riaffermato i principi enunciati dalla Sez. II 30 maggio 2000, ric. 31524/96, gia’ segnalata in data 29 marzo 2001 dall’Adunanza Generale di questo Consiglio, con la relazione illustrativa del testo unico poi approvato con il d.P.R. n. 327 del 2001), si e’ posta in diretto contrasto con l’art. 1 prot. 1 della Convenzione la prassi interna sulla <espropriazione indiretta>, secondo cui l’amministrazione diventerebbe proprietaria del bene, in assenza di un atto ablatorio (cfr. CEDU IV 17 maggio 2005; Sez. IV 15 novembre 2005, ric. 56578/00; Sez. IV 20 aprile 2006).”

Certamente significative in tal senso appaiono le note sentenze n. 1402/2006  e n. 1403/2006  con le quali la Corte di Appello di Firenze, nell’ambito del giudizio di opposizione alla stima, ha gia’ fatto diretta applicazione nell’ordinamento nazionale dell’art. 1 Protocollo 1 addizionale alla c.e.d.u., gia’ prima della sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale.

Tra le numerose sentenze emesse dalla C.E.D.U.  che hanno stabilito la prevalenza della normativa della convenzione su quella italiana che dunque deve cedere il passo ai fini della completa tutela del diritto di proprieta’ colpita da espropriazione si segnalano le seguenti (ottenute con il ministero di questa difesa): C.E.D.U. 30.6.2009 Mandola contro Italia; C.E.D.U. 16.12.2006 Ippoliti contro Italia; C.E.D.U. 5.10.2006 Capoccia contro Italia; C.E.D.U. 6.7.2006 Grossi contro Italia.

 

Si ritiene dunque  di poter affermare che un legittimo recepimento dei principi appena illustrati non puo’ non comportare l’integrale serio ristoro a fronte della espropriazione dei beni privati. Diversamente risulterebbe palese ed incontrovertibile  la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 aggiunto alla Convenzione ed a tal fine si precisa che la violazione stessa andrebbe individuata nelle seguenti circostanze:

  • nell’incompatibilita’ con il principio stabilito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della interferenza subita dal cittadino espropriato con il diritto al pacifico godimento della proprieta’;
  • nella manifesta ingiustizia ed insufficienza della indennita’ di esproprio qualora essa non fosse parametrata sulla base dell’effettivo valore venale di mercato dei terreni;
  • nella ingiustizia che ricadrebbe sul cittadino espropriato laddove tale differenza di valore non fosse integralmente indennizzata;
  • nella mancanza del giusto equilibrio tra i requisiti e gli obiettivi dell’interesse generale della collettivita’ e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.

 

  • TRATTATO LISBONA (RATIFICATO CON LEGGE 2.8.2008 N. 130)
  • CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA N. 23934 DEL 22.9.2008

Fermo restando quanto sopra prospettato, per completezza di indagine appare opportuno segnalare che (gia’ prima della entrata in vigore in data 1.12.2009 del Trattato di Lisbona), all’applicazione diretta ed immediata nell’ordinamento giuridico delle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo era stata concessa una ampia apertura con la nota ordinanza n. 23934 del 22.9.2008 con la quale la Corte di Cassazione, dopo aver richiamato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con le note sentenza n. 348 e n. 349 del 24.10.2007  in materia di efficacia ed applicabilita’ delle norme previste dalla Convenzone Europea, aveva stabilito che tali principi appaiono ora superati per effetto del quadro normativo delineatosi a seguito del Trattato di Lisbona ed in particolare aveva chiarito:

  • che “il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di Governo dei ventisette membri dell’Unione Europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione e quello istitutivo della Comunità Europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (…l’art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000…), e prevede l’adesione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto dell’Unione”;
  • che “con la ratifica del trattato di Lisbona, di cui alla legge 2.8.2008 n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada all’APPLICAZIONE DIRETTA DELLE NORME DEL TRATTATO STESSO E DI QUELLE ALLE QUALI IL TRATTATO FA RINVIO…”.

 

  • TRATTATO LISBONA (RATIFICATO CON LEGGE 2.8.2008 N. 130)
  • LE NORME CEDU SONO OGGI, A TUTTI GLI EFFETTI, NORME DI DIRITTO COMUNITARIO

E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.

L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:

 

“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.

I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.

  1. L‘Unione aderisce alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.
  2. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orinetamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.

Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea  e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.


E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.

 

  • 16 BIS/5 LEGGE 4.2.2005 N. 11 (C.D. LEGGE COMUNITARIA) COME MODIFICATO DALL’ART. 6 LEGGE 25.2.2008 N. 34  (GIA’ ART. 1/1217 DELLA LEGGE 27.12.2006 N. 296

 

Anche le autorita’ esproprianti, gia’ in sede di procedimento amministrativo di esproprio (e non solo i Giudici italiani in sede processuale), devono garantire e dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme della c.e.d.u..

L’art. 16/5 della legge 4.2.2005 n. 11  (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u..

 

Si richiama l’attenzione su una norma vigente nell’ordinamento le cui implicazioni in termini di responsabilita’, spesso non sono state pienamente colte. Essa peraltro fornisce la prova della immediata efficacia ed applicabilita’ nell’ordinamento nazionale delle norme della c.e.d.u..

In particolare, si intende far riferimento all’art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) il quale ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u., prevedendo testualmente che “lo Stato ha altresi’ diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”

 

3) MISURA DEL RISARCIMENTO DEI DANNI

Se dunque le aree espropriate sono munite della edificabilita’ legale, esse devono essere valutate sulla base del valore di mercato ed ovviamente alla stregua di terreni edificabili.

La misura del risarcimento dei danni determinata dal comune sulla base della ritenuta natura agricola delle aree, si rivela certamente lesiva dei diritti del proprietario al quale spetta invece il risarcimento dei danni da determinarsi in funzione della effettiva natura edificabile delle aree acquisite.

 

3.1) QUANTO AL MOMENTO DELLA VALUTAZIONE ED ALLA DECORRENZA DELLA RIVALUTAZIONE

Dalla formulazione dell’art. 43/6 d.p.r. n. 327/2001 (e grazie anche al richiamo all’at. 37/e del medesimo d.p.r.), sembra potersi desumere che la determinazione del valore di mercato debba essere effettuata con riferimento al momento della emissione del decreto di esproprio sanante, coincidente con la perdita della proprieta’ da parte del privato (C.G.A. n. 52/2009 e n.  299/2009).  Cio’ del resto appare in linea anche con la interpretazione correttiva apportata dalla Corte Costituzionale resa con la sentenza 16 dicembre 1993 n. 442 la quale, ai fini dell’accertamento della edificabilita’ legale, ha chiarito  che occorre assumere e valutare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento del verificarsi della vicenda ablativa, anziche’ quelle vigenti al tempo di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, del quale ovviamente non e’ consentito tener conto ai fini della stima. Tale momento – ha precisato la Corte Costituzionale – deve essere correttamente e legittimamente identificato in quello di adozione del decreto di esproprio (ex multis Cass. 21 febbraio 2001 n. 2474).

 

Qualora invece il risarcimento dei danni fosse quantificato con riferimento alla data dell’occupazione “sine  titulo”, in tal caso occorre procedere anche alla rivalutazione monetaria. Cio’ ovviamente risponde alla esigenza di esprimere in moneta attuale  il valore dell’area espropriata e di mantenere inalterato nel tempo il potere di acquisto del denaro.

Va da se’ che in entrambe le ipotesi citate, la rivalutazione monetaria spetta comunque di diritto fino all’effettivo pagamento, trattandosi di risarcimento danni da illecito extracontrattuale. L’unica differenza consiste nella data di decorrenza della rivalutazione:

  • dalla data della acquisizione nella prima ipotesi (valore del terreno espresso alla data del decreto sanante);
  • dalla data della occupazione senza titolo nella seconda ipotesi (valore espresso con riferimento al termine finale di occupazione legittima posto che durante il periodo di occupazione legittima l’amministrazione disponeva di un titolo legittimo per comprimere temporaneamente la proprieta’ privata).

 

Poiche’ il Comune di OMISSIS ha omesso di determinare correttamente tali elementi e tali valori, si ritiene necessario a tal fine l’espletamento di una c.t.u..

 

3.2) RAPPORTO TRA RISARCIMENTO DANNI ED I.C.I.

Ai fini di un esatto inquadramento della problematica in epigrafe, occorre prender le mosse dal dato normativo di riferimento per giungere all’interpretazione ed all’applicazione dello stesso fattane dalla giurisprudenza.

 

L’art. 37 comma 7 del  DPR n. 327/2001 (testo unico sulle espropriazioni) – espressamente richiamato dall’art. 43/6 d.p.r. n. 327/2001 – prevede testualmente che  “l’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti dall’art. 20, comma 3, dall’art. 22, comma 1, e dall’art. 22-bis qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti”.

Ciò comporta che, se il cittadino ha presentato (per il terreno espropriato) una dichiarazione ici con un valore inferiore rispetto al valore di mercato (che coincide con l’indennita’ di esproprio che gli spetta), in tal caso l’indennita’ di esproprio rischia di essere ridotta al minor valore del terreno dichiarato ai fini dell’ici.

La legge non contempla l’ipotesi in cui il cittadino abbia omesso del tutto la dichiarazione.

 

Omessa dichiarazione ICI

L’ipotesi di omessa dichiarazione ICI è tutt’altro che remota  e si è quindi largamente imposta nella prassi e nella giurisprudenza che spesso e’ stata costretta ad occuparsi della questione.

Si è quindi posta  la questione se al soggetto espropriato che non abbia presentato alcuna dichiarazione ai fini i.c.i., possa o meno applicarsi il meccanismo penalizzante previsto dall’art. 37/7 di cui sopra di riduzione della indennita’ di esproprio al valore dichiarato ai fini dell’i.c.i..

A tale quesito la stessa Corte Costituzionale ha fornito già da tempo risposta negativa.

In particolare, con la sentenza n. 351/2000 la Corte Costituzionale ha stabilito che in caso di omessa dichiarazione i.c.i. di un terreno espropriato, al cittadino espropriato spetta comunque il diritto a percepire l’indennita’  di esproprio nella misura piena del valore di mercato del terreno ed il comune conserva comunque la facolta’ di procedere all’accertamento per recuperare l’ici che il cittadino non abbia pagato, ovviamente con le sanzioni previste.

Infedele dichiarazione ICI

Lo stesso criterio e’ poi stato applicato anche alla dichiarazione ici infedele (o meglio, non coincidente con il pieno valore di mercato).

La giurisprudenza di legittimità ha stabilito in particolare che – dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 348/2007 che ha introdotto nuovi parametri di interpretazione non e’ legittima la riduzione automatica del valore della indennita’ di esproprio al minor valore del terreno dichiarato ai fini dell’i.c.i..

E’ sufficiente richiamare al riguardo le sentenze della Corte di Cassazione, in particolare la n. 19 del 3.1.2008 e la n. 9245 del 9.4.2008, in cui si afferma:

“… Con la conseguenza che, in detti casi, una interpretazione costituzionalmente adeguata e compatibile, rispettivamente comporti – come, del resto, già chiarito dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 351 del 2000:

  • che l’evasore totale non già perda il suo diritto all’indennizzo espropriativo (come reiteratamente affermato già da questa Corte: cfr., da ultimo, sent.za n. 24509/06), ma unicamente sia “destinato a subire le sanzioni per la omessa dichiarazione e l’imposizione per l’i.c.i. che aveva tentato di evadere”, potendo l’erogazione della indennità di espropriazione “intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’i.c.i., ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni” (così testualmente, appunto, Corte cost. n. 351/00 cit.);
  • che “l’evasore parziale resti soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato”, potendo quindi il Comune procedere ad accertamento del maggiore valore dei fondo agli effetti tributari e sulla base di questo commisurare consequenzialmente, in via definitiva, l’indennità espropriativa (ivi) e non già liquidarla (come nella specie) in misura irrisoria, con ancoraggio alla dichiarazione infedele. Nella quale seconda evenienza, in particolare, va da sè che il previo recupero del tributo i.c.i., parzialmente evaso, possa avvenire, agli effetti indicati, oltre che per accertamento da parte dell’amministrazione, a seguito di rettifica, in termini, da parte dello stesso proprietario (argomentando legge n. 413/1991, ex art. 32, 49 e 53, d.lgs. n. 241/1997 art. 13; d.lgs. n. 446/1997 art. 59/1 lett. l; e considerando che la dichiarazione tributaria e’ atto di scienza e di non di volonta’).

 

Tali principi sono ormai definitivamente consolidati nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, di cui qui di seguito si riportano alcune pronunce.

 

Corte di Cassazione 8.10.2009 n. 21395

Con la sentenza n. 8.10.2009 n. 21395 la Corte di Cassazione ha stabilito che

  • Ove il piano regolatore comunale od altri strumenti equivalenti prevedano l’edificabilita’ della zona in cui e’ ubicato l’immobile, dichiarandola espressamente, regolandone la densita’ edilizia e consentendo la presentazione di piani di lottizzazione od altro ancora, tale destinazione legale e’ sufficiente ad imprimere allo stesso qualita’ edificatoria; la quale non richiede, perche’ rilevi giuridicamente, di essere, volta a volta, confermata da ulteriori indagini sulle sue caratteristiche materiali, essendo state queste gia’ preventivamente apprezzate in un certo modo nella fase di elaborazione dello strumento urbanistico e tradotte nelle conseguenti prescrizioni che le rispecchiano; per cio’ solo si realizza il presupposto indispensabile dello sfruttamento edificatorio da parte del proprietario, a nulla rilevando, ai fini di tale ricognizione, che il proprietario abbia contravvenuto all’obbligo di compiere la conseguente dichiarazione ai fini dell’ICI prescritta dal d.lgs. n. 504 del 1992”.

 

Corte di Cassazione n. 11096 del 22.5.2009

Con la sentenza n. 11096 del 22.5.2009, la Corte di Cassazione ha stabilito che  “…conformemente ai principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007, nonche’ da questa Corte (per tutte  vedi Cass. 14459/2008; Cass. n. 19/2008), secondo cui  in ogni caso:

  • “In tema di espropriazione di area fabbricabile, qualora il valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. risulti inferiore all’indennita’ di espropriazione stabilita secondo i criteri previsti dalle disposizioni vigenti, il principio per il quale l’indennita’ e’ pari al valore di mercato, enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007, comporta una lettura costituzionalmente orientata del d.lgs. 30.12.1992 n. 504 art. 16/1,  applicabile “ratione temporis”, tesa ad evitare che il collegamento in funzione antievasione tra indennita’ di esproprio e valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. sia fatto con riferimento al valore indicato in una dichiarazione del contribuente che risulti infedele (collegamento che realizzerebbe la finalita’ antielusiva, ma sacrificherebbe ingiustificatamente il diritto costituzionalmente tutelato al serio indennizzo), piuttosto che a quello indicato nella dichiarazione sottoposta all’accertamento del comune o, eventualmente, emendata e rettificata dallo stesso proprietario, in modo che l’indennizzo non sia del tutto ed aprioristicamente svincolato dal valore commerciale del bene espropriato. Pertanto l’indennita’, determinata (con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito all’opposizione alla stima) avendo riguardo al valore di mercato, può essere concretamente erogata solo dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato, attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, (a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente) e la liquidazione dell’imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni“;
  • In tema di espropriazione, il diritto all’indennita’ di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione i.c.i... Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l’evasore totale non perde il suo diritto all’indennizzo espropriativo, ma e’ unicamente destinato a subire le sanzioni per l’omessa dichiarazione e l’imposizione per l’i.c.i. che aveva tentato di evadere, potendo l’erogazione dell’indennita’ di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’i.c.i.., stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni. Analogamente l’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il comune puo’ procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributar per poi commisurare, in via definitiva, l’indennita’ espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele”.

 

Corte di Cassazione 9.7.2008 n. 18844

Con  la sentenza 9.7.2008 n. 18844, la Corte di Cassazione (vedi motivazione punto 5.3.1.) ha testualmente chiarito quanto segue.

  • “Infatti, a tale proposito questa Corte ha gia’ affermato (nella sentenza n. 19 del 2008) che il diritto all’indennita’ di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I.;
  • che la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che  l’evasore totale non perde il suo diritto all’indennizzo espropriativo, ma e’ unicamente destinato a subire le sanzioni per l’omessa dichiarazione e l’imposizione per l’I.C.I. che aveva tentato di evadere, potendo l’erogazione dell’indennita’ di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’I.CI. stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni;
  • che analogamente l’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il Comune puo’ procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari per poi commisurare, in via definitiva, l’indennita’ espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele;
  • che, in ogni caso (sentenza n. 24509 del 2006), la questione nascente dall’osservanza dell’art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992, non e’ rilevabile d’ufficio ma e’ esaminabile ad istanza dell’espropriante, trattandosi di diritto disponibile”.

 

Corte di Cassazione 29.5.2008 n. 14459

In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 348/2007, l’art. 16/1 d.lgs. n. 504/1992 (nonche’ l’art. 37/7 d.p.r. n. 327/2001 attualmente vigente) deve essere interpretato secondo un indirizzo costituzionalmente orientato ai principi enunciati nella citata sentenza, nel senso che, in caso di espropriazione di area fabbricabile e qualora il valore dichiarato ai fini dell’i.c.i risulti inferiore all’indennita’ di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, l’indennita’ di espropriazione stessa, in tal modo determinata con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito ad opposizione alla stima, non possa essere concretamente erogata se non dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato che – attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente, e la liquidazione dell’imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni – determini l’avvio del recupero dell’imposta medesima.

In particolare, con la sentenza del 29.5.2008 n. 14459, la Corte di Cassazione (punto 8 della motivazione) ha stabilito:

  • che “i ricorrenti hanno censurato l’applicazione nella specie del d.lgs. n. 504/1992 art. 16/1, prospettando, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale di detto articolo, nel senso che l’automatica equiparazione dell’indennità di espropriazione al valore dell’area fabbricabile dichiarato ai fini dell’applicazione dell’i.c.i., come previsto dallo stesso art. 16, comporterebbe la violazione del diritto all’indennizzo della subita espropriazione, inteso come giusto ristoro tutelato dall’art. 42/3 costituzione”;
  • che “la  doglianza dei ricorrenti trova fondamento nei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007, con la quale il giudice delle leggi – nel dichiarare la illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117/1 cost. del d.l. n. 333/1992 art. 5 bis commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359/1992 e, in via consequenziale, del d.p.r. n. 327/2001 art. 37 commi 1 e 2, e nel riaffermare l’orientamento, già espresso in precedenti pronunce (1980/5; 1983/223; 1993/283), secondo cui “l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42/3 costituzione, se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può essere, tuttavia, fissato in misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro” – ha affermato che “il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato“, anche se non vi è “coincidenza necessaria tra valore di mercato e indennità espropriativa, alla luce del sacrificio che può essere imposto ai proprietari di aree edificabili in vista del raggiungimento di fini di pubblica utilità”, fermo restando che un’indennità “congrua, seria ed adeguata” non può “adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere a risultati marcatamente lontani da essa“. L’indennità di espropriazione deve essere pertanto espressione di un “ragionevole legame” con il valore venale, come prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in coerenza con l’esigenza di far conseguire all’espropriato il “serio ristoro”, richiesto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana”;
  • che “l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 2007/348, non può non ispirare anche l’interpretazione costituzionalmente orientata del d.lgs. N. 504/1992 art. 16, in quanto l’automatica equiparazione dell’indennità di espropriazione al valore dell’area fabbricabile dichiarato ai fini dell’applicazione dell’i.c.i. Si traduce, sostanzialmente, nell’applicazione di un criterio di calcolo di detta indennità privo di collegamento con il valore di mercato”;
  • che “la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 25 luglio 2000 n. 351 – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 504/1992 art. 16/1, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, 42/3, 53 e 97 costituzione, sul presupposto che il meccanismo di aggancio limitativo tra indennità di esproprio e valore dichiarato in sede di i.c.i., risultava tutt’altro che manifestamente irragionevole o palesemente arbitrario, risolvendosi in un rafforzamento indiretto dell’adempimento di obblighi tributari ed in un incentivo alla lealtà, correttezza e chiarezza nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, sia nell’adempimento del dovere di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 cost.), sia nel partecipare alla determinazione di valore, anche ai fini dell’indennità di espropriazione per motivi di interesse generale (art. 42/3 cost.), – ha fornito anche una possibile chiave interpretativa della finalità antievasione del citato art. 16 che prescinda dal collegamento limitativo tra indennità di esproprio e valore dichiarato ai fini i.c.i. e mira piuttosto ad un obiettivo di coerenza tra indennità di esproprio e valore dell’area fabbricabile accertato ai fini i.c.i., in una prospettiva che, senza svuotare di significato e di concreta utilità la finalità antievasione, consente comunque di agganciare l’indennità di esproprio al valore venale del bene e di attuare il diritto dell’espropriato ad un serio ristoro. In particolare, la Corte Costituzionale, nella menzionata sentenza n. 351 del 2000, con riferimento specifico all’ipotesi di omessa dichiarazione i.c.i. e quindi di evasione totale dell’imposta – ma secondo una logica interpretativa che, suffragata dalla successiva e più recente evoluzione giurisprudenziale, può adattarsi anche a situazioni di evasione parziale conseguente a dichiarazione infedeleha prospettato l’ipotesi che l’erogazione dell’indennità di espropriazione intervenga solo dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato e l’avvio del recupero dell’imposta evasa e delle sanzioni, in un quadro di necessario e armonico raccordo dei valori costituzionali che rilevano nella fattispecie, in particolare del diritto al serio indennizzo (art. 42 cost.) e dell’obbligo di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 cost.). E’ quindi possibile, alla stregua del percorso argomentativo fin qui seguito e secondo gli indirizzi interpretativi, costituzionalmente orientati, enunciati in materia dalla Consulta, un’interpretazione del disposto del d.lgs. n. 504/1992 art. 16  che, salvaguardando il collegamento, in funzione antievasione, tra indennità di esproprio e valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. del bene espropriato, consenta di realizzare tale collegamento con riferimento non al valore indicato in una dichiarazione del contribuente che risulti infedele (collegamento che realizzerebbe la finalità antielusiva, ma sacrificherebbe ingiustificatamente il diritto costituzionalmente tutelato al serio indennizzo), ma al valore indicato nella dichiarazione a fini i.c.i. che sia stata sottoposta all’accertamento del comune, o eventualmente emendata e rettificata dallo stesso proprietario, alla stregua del principio generale di emendabilità delle dichiarazioni fiscali che siano frutto di errore (cfr. Cass. SS.UU. 2004/14088; Cass. 2002/8972; 2006/25056). Tale interpretazione consente di mantenere inalterata la finalità antievasione della norma, ma anche di corrispondere un indennizzo che non sia del tutto e aprioristicamente svincolato dal valore commerciale del bene espropriato, nel rispetto dell’indirizzo costituzionalmente orientato enunciato dal giudice delle leggi in tema di serio ristoro del pregiudizio subito dal proprietario espropriato”;
  • che “in base a quanto precede deve dunque ritenersi che, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007, il d.lgs. n. 504/1992 art. 16/1, vada interpretato, secondo un indirizzo costituzionalmente orientato ai principi in detta sentenza enunciati, nel senso che, in caso di espropriazione di area fabbricabile e qualora il valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. risulti inferiore all’indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, l’indennità di espropriazione stessa, in tal modo determinata con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito ad opposizione alla stima, non possa essere concretamente erogata se non dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato che – attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente, e la liquidazione dell’imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni – determini l’avvio del recupero dell’imposta medesima”.

[conformi ex multis Cass. 10.7.2008 n. 19048; Cass. 9.4.2008 n. 9245  e Cass. 3.1.2008 n. 19].

 

Null’altro occorre aggiungere a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sopra riportata sentenza con la quale la Corte Suprema, (come essa stessa afferma) ha inteso “allinearsi” a quanto sancito dalle norme CEDU.

 

Quindi

  • in conformità ai principi stabiliti dalle norme CEDU
  • in conformità ai principi stabiliti dalla Corte Costituzionale
  • in conformità ai principi stabiliti dalla Corte di Cassazione

 

in caso di omessa dichiarazione ICI o di  infedele dichiarazione ICI, non può applicarsi nessuna riduzione  dell’indennità da corrispondere al cittadino espropriato.

 

 

4) QUANTO AL RISARCIMENTO PER LA OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA

In conformita’ ad un significativo e condivisibile orientamento della giurisprudenza (ex multis Tar Puglia Lecce n. 112/2009 e n. 3342/2008; Tar Campania Napoli n. 2212/2009; Tar Lombardia Milano n. 1987/2009; Tar Campania Salerno n. 1286/2009), la proprietario deve essere risarcito anche il periodo di occupazione illegittima ed illecita decorrente tra il momento in cui l’occupazione e’ divenuta senza titolo (termine finale della occupazione legittima) e la data di emissione del decreto di acquisizione sanante.

Il risarcimento corrisponde ad 1/12 del valore di mercato delle aree espropriate per ogni anno o frazione di anno di occupazione (criterio peraltro previsto dall’art. 50 d.p.r. n. 327/2001), con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma rivalutata dalla fine del relativo periodo di occupazione illegittima ed illecita fino al soddisfo (Tar Lombardia Milano n. 1987/2009).

 

Tanto premesso, il signor omissis ricorre a codesto giudice al quale formula le seguenti

D O M A N D E

Piaccia a codesto Tar:

  1. accertare e dichiarare l’illegittimita’ del decreto di acquisizione coattiva sanante omissis  del 18.5.2010  emesso dal Comune di OMISSIS ai sensi dell’art. 43 d.p.r. n. 327/2001 limitatamente alla parte in cui ha determinato nella misura ivi indicata il  risarcimento dei danni  e per l’effetto disporre “in parte qua” l’annullamento dello stesso;
  2. in ogni caso, condannare il Comune di OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento diretto in favore del ricorrente del risarcimento di tutti danni da determinarsi correttamente e legittimamente nella misura prevista dall’art. 43 d.p.r. n. 327/2001 ed in particolare:
  • in relazione alle aree acquisite [distinte in catasto al foglio omissis particella omissis con superficie complessiva  di 4.000 mq. e con superficie da espropriare pari a 4.000 mq. (in proprieta’ esclusiva) e foglio omissis particella omissis con superficie complessiva di 1.054 mq. e con superficie da espropriare pari a 110 mq. (in ragione di 1/2 della proprieta’) s.e.o.] nella misura del valore di mercato delle stesse, senza alcuna riduzione, da determinarsi mediante disponenda c.t.u. in funzione ed alla luce della edificabilita’ legale delle aree ed espresso con riferimento alla data del decreto di acquisizione sanante (18.5.2010), con la rivalutazione monetaria istat e gli interessi legali sulla somma interamente rivalutata dalla data del decreto di acquisizione sanante (18.5.2010) al soddisfo;
  • in relazione al periodo di occupazione senza titolo illegittima ed illecita [decorrente dal termine finale di occupazione legittima (19.6.2004) fino alla data del decreto di acquisizione sanante (18.5.2010)], nella misura di 1/12 del valore di mercato delle aree espropriate determinato come sopra per ogni anno o frazione di anno di occupazione, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma rivalutata dalla fine del relativo periodo di occupazione illegittima ed illecita fino al soddisfo;
  • vittoria di spese.

 

Ai fini istruttori:

  • deposita i documenti numerati;
  • chiede che sia ammessa c.t.u. per la necessaria valutazione in vista della quale propone i seguenti quesiti:
  1. descriva il c.t.u. i fondi acquisiti con il decreto sanante n. omissis del 18.5.2010 del Comune di OMISSIS ed, anche avvalendosi della destinazione prevista dagli strumenti urbanistici, indichi se gli stessi siano edificabili o meno;
  2. determini il valore di mercato delle aree acquisite con riferimento alla data del decreto sanante (18.5.2010) da calcolarsi con il criterio sintetico comparativo e/o con il criterio analitico – ricostruttivo (o di trasformazione);
  3. determini il risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima ed illecita [decorrente dal termine finale di occupazione legittima (19.6.2004) fino alla data del decreto di acquisizione sanante (18.5.2010)], nella misura di 1/12 del valore di mercato delle aree espropriate determinato come sopra per ogni anno o frazione di anno di occupazione.

 

Ai fini del contributo unificato, trattandosi di materia espropriativa, si dichiara che il relativo contributo ammonta ad euro 1.000,00.

 

omissis

A.N.P.T.ES.
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