A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati.
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Esproprio non realizzato ma proprietà inutilizzabile: sentenza e responsabilità

 

OMISSIS

 

Oggetto:

  • Imposizione vincolo espropriativo
  • Proprietario espropriando: OMISSIS
  • Beni espropriandi: terreni siti in OMISSIS  in catasto al foglio OMISSIS  mappali OMISSIS
  • Riferimento:  certificato di destinazione urbanistica prot. div. N. OMISSIS del 30.11.2007
  • osservazioni

 

 

Il proprietario istante  – assistito dagli  Avvocati OMISSIS  Avvocati Fiduciari aderenti all’Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati – intende far  riferimento al procedimento di cui  in oggetto in relazione al quale produce la presente memoria allo scopo di:

rappresentare i diritti e gli interessi da tutelare;

prefigurare i probabili esiti di un contenzioso, al fine di trovare un accordo bonario che lo eviti;

apportare un contributo al patrimonio di conoscenze giuridiche di cui dispone l’Amministrazione.

 

Accade spesso, infatti, che le Amministrazioni violino i diritti degli espropriati perché non sono sufficientemente informate sui danni effettivamente arrecati dall’opera e/o sugli sviluppi normativi e giurisprudenziali della materia, che è molto complessa e richiede una costante vigilanza sulla normativa e sulla giurisprudenza italiana (ivi compresa quella della Corte dei Conti, spesso pretermessa) e soprattutto su quella europea (che, purtroppo, è prodotta solo in lingua francese o inglese).

 

Il contenuto di questo documento è tutelato dalla legge sul diritto d’autore e può essere utilizzato esclusivamente dall’Espropriato e dagli Enti ai quali, per sua tutela, egli lo inoltrerà.

Ogni diversa utilizzazione, anche parziale, deve essere preventivamente autorizzata dagli autori.

 

  • PREMESSA

 

Dall’esame del certificato di destinazione urbanistica in oggetto, risulta che  con il p.r.g. approvato con decreto del Presidente Regionale OMISSIS  con decreto n. OMISSIS  del 19.12.1995, i terreni siti OMISSIS  in catasto al foglio OMISSIS  mappali OMISSIS sono stati oggetto di vincolo espropriativo  ed in particolare al concorso di idee nel piano attuativo unitario “vecchio rilevato ferroviario”.

In sostanza, dalla disciplina urbanistica vigente si desume:

    • che non trattasi di zona bianca;
    • che le aree sono soggette a concorso di idee;
    • che e’ vietato qualsiasi intervento diretto;
    • che e’ prevista la necessita’ di un nuovo piano strutturale;
  • che allo stato difettano gli strumenti attuativi.

 

Con il presente atto, il proprietario  intende approfondire alcuni aspetti del procedimento richiamando in particolare l’attenzione sui danni prodotti alla proprieta’ e sulla  necessita’ della corretta valutazione dei profili indennitari.

 

La circostanza fondamentale che emerge  all’esito della vicenda che si trascina ormai da venti  anni, e’ che i fondi di cui trattasi, sebbene vincolati alla destinazione ivi prevista,  ad oggi non sono stati ancora espropriati. Ne’ sugli stessi  e’ stato realizzato alcunche’. Tuttavia, i fondi  risultano assolutamente indisponibili per il proprietario che a seguito del vincolo  imposto ha vistato sostanzialmente svuotato il diritto di proprieta’, non avendo potuto  esercitare alcuna  delle relative facolta’ e poteri e non avendo percepito alcuna indennita’.

 

Valga la sola considerazione che,  ad oggi,  non e’ stata riconosciuta, per tutto il lunghissimo periodo durante il quale ha subito e continua a subire una espropriazione di fatto e nascosta, alcuna forma di indennizzo, stante la lacunosita’ della normativa sul punto ed anche la mancanza di “rimedi pretori” di creazione giurisprudenziale che in qualche modo potessero supplire alla carenza normativa.

 

Segue il documento con  la memoria prodotta dagli scriventi.

 

CONTENUTO DEL DOCUMENTO

 

Il Presidente del Consiglio di Stato, com’è noto, ha raccomandato agli avvocati di premettere una sintesi agli scritti che producono.

 

In accoglimento di questa raccomandazione e per agevolare l’esame della presente memoria – divisa i 6 Sezioni – si elencano qui di seguito gli argomenti trattati con i relativi numeri di pagina ed anche, in premessa, una breve sintesi dei contenuti.

 

 

A Sezione A – PREMESSA  Pagine
A. 1 Le nuove norme italiane in tema di espropri che si “aggiungono” al Dpr 2001/327 e le Responsabilità per la loro mancata applicazione. Pag 3
B Sezione B –  LA VIOLAZIONE Pagine
    B Violazione dell’art. 1 CEDU art. 1 protocollo aggiunto Pag 4
C Sezione C – I DANNI Pagine
    C La misura della indennita’ spettante Pag 7
D Sezione D – LA NORMATIVA DA APPLICARE   Pagine
D. 1 Le norme CEDU: come si indennizzano “beni” e “interessi”. Pag 7
D. 2 Le leggi italiane che impongono alle Amministrazioni di dare applicazione diretta alle norme cedu e le Sentenze della Corte Europea. Pag 9
D. 3 Il quadro normativo in Italia – prima del Trattato di Lisbona. Pag 11
D. 4 I principi sanciti dalla Corte Costituzionale. Pag 14
D. 5 Il nuovo quadro normativo – dopo il Trattato di Lisbona. Pag 15
E Sezione E –  LE RESPONSABILITA’    Pagine
E. 1 L’ obbligo delle Amministrazioni – imposto dalla legge 296/2006 – di dare applicazione diretta alle norme cedu e le connesse  sanzioni. Pag 16
E. 2 Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti  Pubblici per la violazione delle norme CEDU. Pag 17
E. 3 Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti di Enti Privati o liberi professionisti. Pag 19
E. 4 Sussistenza della responsabilità dell’Amministrazione in caso di delega; richiesta di garanzie al delegato. Pag 20
E. 5 Segnalazione alla Procura Regionale della Corte dei Conti. Pag 20
F Sezione F – PREFIGURAZIONE DI UN  CONTENZIOSO – CONCLUSIONI  Pagine
F. 1 Esito di un eventuale contenzioso Sintesi finale e richieste degli scriventi. Pag 21

 

 

 

Sezione A  PREMESSA

A. 1 

Le nuove norme in tema di espropri che si “aggiungono” al Dpr 2001/327 e le Responsabilità per la loro mancata conoscenza e applicazione.

IN SINTESI

In tema di espropri non può più farsi riferimento solo al d.p.r. 327/2001, ma si deve tener conto anche di altre norme che disciplinano il rapporto fra norme italiane e norme CEDU, ed in particolare della Legge 130/2008  e della Legge 269/2006.

Se le Amministrazioni non applicano le norme CEDU violando la Legge 296/2006 può configurarsi la responsabilità per danno erariale di Amministratori, Dipendenti ed altri Soggetti – anche Privati.

 

IN DETTAGLIO

Dopo l’entrata in vigore dell’Articolo 1 Protocollo aggiuntivo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)  il diritto alla tutela dei propri beni non ha più soltanto un contenuto patrimoniale, ma appartiene invece alla categoria dei “diritti umani inviolabili”.

 

La differenza fra diritti ad esclusivo contenuto patrimoniale e diritti umani inviolabili non è di poco conto.

 

I diritti umani sono universali e non sono legittimamente sopprimibili né dalle maggioranze politiche né dalle Costituzioni degli Stati democratici.

I diritti ad esclusivo contenuto patrimoniale, invece, possono essere soppressi, nei limiti consentiti dalle Costituzioni dei singoli Stati.

 

Lo Stato italiano ha sempre regolamentato il diritto di proprietà alla stregua di un diritto ad esclusivo contenuto patrimoniale; ma, dopo l’entrata in vigore dell’Articolo 1 Protocollo aggiuntivo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ciò non è più possibile.

Di conseguenza lo Stato italiano ha dovuto adottare precise disposizioni di legge per evitare di incorrere in ulteriori condanne, alcune delle quali non sono ancora ben conosciute dagli operatori del diritto.

 

Questa memoria affronterà quindi il caso di esproprio in esame coordinando norme Italiane e norme Europee ed illustrerà l’obbligo della loro applicazione e le responsabilità derivanti dalla loro violazione.

Qui di seguito alcuni punti riepilogativi delle norme e del modo in cui si coordinarle; tali punti verranno ampiamente illustrati nel corso del presente documento.

 

LE NORME CEDU.

Prevedono il pieno valore di mercato per tutti i beni espropriati, (indipendentemente  dalla loro natura) e dispongono la disapplicazione delle norme interne con esse confliggenti.

Garantiscono un indennizzo anche per i beni non tutelati dalla legge italiana; ad es. il danno all’azienda, l’avviamento, ecc.

Hanno oggi diretta applicazione in Italia con conseguente obbligo di disapplicazione delle norme interne con esse confliggenti.

 

LE NORME ITALIANE.

In tema di espropri non può più farsi riferimento solo al d.p.r. 327/2001, ma si deve tener conto anche di altre norme che disciplinano il rapporto fra norme italiane e norme CEDU, ed in particolare della Legge 130/2008.

E si deve anche tener conto dell’obbligo per Amministrazioni e Soggetti equiparati, sancito dalla Legge 269/2006,  di dare immediata applicazione alle norme CEDU; obbligo corredato da gravi responsabilità per le Amministrazioni che lo violano, con conseguente responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti.

Tali  norme italiane

  1. Prescrivono alle Amministrazioni ed ai Soggetti equiparati di applicare le norme cedu già in sede procedimentale, e prevedono anche pesanti responsabilità per le Amministrazioni inadempienti.
  2. Prescrivono ai Giudici, di applicare le norme cedu, in sede giudiziale, con conseguente disapplicazione delle norme interne che con esse contrastino; (ciò non solo ai sensi delle norme europee, ma anche delle leggi italiane, da ultimo L. 130/2008).
  3. Configurano  la responsabilità per danno erariale di Amministratori, Dipendenti ed altri Soggetti – anche privati che violano le norme cedu.

 

Dal coordinamento delle suddette norme si evidenzierà nel corso di questa memoria, che
l’applicazione delle norme CEDU è  ineludibile, perché

  1. Le Amministrazioni devono applicare immediatamente le norme CEDU e disapplicare le leggi interne con esse confliggenti, se vorranno evitare le responsabilità patrimoniali e contabili poste a loro carico da una legge dello Stato espressamente dettata per disciplinare il loro operato in tema di norme cedu.
  2. Se le norme CEDU non vengono applicate dall’Amministrazione, l’espropriato può far ricorso ai Giudici Italiani, che hanno ora il preciso dovere di applicarle direttamente, senza costringere i cittadini a “costosi  e superflui” passaggi attraverso la Corte Costituzionale.
  3. Se le norme CEDU non vengono applicate dai Giudici Italiani, l’espropriato può sempre fare ricorso alla Corte Europea.
  4. La Corte Europea, ovviamente, applicherà le norme CEDU.

E le Amministrazioni, gli Amministratori, i Dipendenti pubblici e privati che hanno violato le norme CEDU, subiranno le conseguenze previste dalla Legge 269/2006 e ss.mm con le prevedibili conseguenze in tema di responsabilità per danno erariale.

 

Sezione B

VIOLAZIONE DELL’ART. 1 PROT. 1 AGGIUNTO ALLA C.E.D.U.

IN SINTESI

La Corte Europea ha affermato che la imposizione di vincoli espropriativi preordinati alla realizzazione di un’opera pubblica, non realizzata (con la conseguente  inedificabilità), e’ in contrasto con l’articolo 1 protocollo 1 CEDU poiche’ essa rappresenta  un’espropriazione larvata e «di fatto» (caso Terazzi Srl c. Italia 17 ottobre 2002)

 

L’art. 1 Prot. 1 C.E.D.U.   dispone:

«Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni Precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».

 

L’articolo appena riportato, come noto, enuncia tre norme distinte: la prima contenuta nella prima fase del primo comma, riveste carattere generale ed enuncia il principio del rispetto della proprieta’; la seconda  espressa nella seconda frase del primo comma, attiene alla privazione della proprieta’ e la subordina a determinate condizioni; la terza contenuta nel secondo comma  riconosce agli stati contraenti il potere di disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale. La seconda e la terza regola vanno interpretate alla luce del principio fissato nella prima (vedasi, fra l’altro, la sentenza James e altri c. Regno Unito, sopra citata, al § 37, la quale riprende in parte i termini dell’analisi che la Corte ha sviluppato nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 Settembre 1982, serie A nº 52, p. 24, § 61; vedansi anche le sentenze I Santi Monasteri c. Grecia, 9 Dicembre 1994, serie A nº 301-A, p. 31, § 56 ; Iatridis c. Grecia [GC], nº 31107/96, § 55, CEDH 1999-II, e Beyeler c. Italia [GC], nº 33202/96, § 106, CEDH 2000-I).

Sostanzialmente sono due i principi che possono trarsi dalle tre norme citate e ai quali gli stati debbono attenersi per poter iniziare e concludere un procedimento di espropriazione senza incorrere in alcuna responsabilita’.

In primo luogo occorre che sia rispettato il principio di legalita’ ovvero che l’ablazione della proprieta’ privata avvenga nel rispetto delle leggi e  dei principi internazionali e che comunque tali leggi assicurino un serio e giusto ristoro per il sacrificio subito.

In secondo luogo occorre che la c.d. “ingerenza” dello stato nella proprieta’ privata per essere legittima,  abbia sempre in considerazione il contemperamento dell’interesse del privato con quello pubblico: in altri termini per potersi ammettere la c.d. ingerenza occorre che sia rispettato il giusto equilibrio tra il sacrificio del privato e l’interesse generale. Occorre quindi innanzitutto,  come “conditio sine qua non”, che il procedimento di esproprio tragga origine e si concluda all’interno di un valido e legittimo procedimento

Riconducendo il caso in esame ai principi appena enunciati, appare palese che il Comune di OMISSIS   nella fattispecie  e’ incorso nella  violazione degli stessi, con grave pregiudizio dei diritti del deducente.

La denunciata espropriazione “di fatto” non rispetta il principio di legalita’ per ben due ordini di ragioni.

 

Il primo perche’ l’ordinamento italiano (fatta eccezione per quanto segue) non contempla una normativa che indennizzi la imposizione di vincoli espropriativi (ne’ tanto meno conformativi).

L’unica norma di riferimento attualmente rinvenibile nell’ordinamento e’ l’art. 39 del t.u. sugli espropri n. 327/2001 che indennizza pero’ la sola “reiterazione” del vincolo espropriativo  e che ovviamente e’ applicabile solo per i vincoli imposti successivamente alla sua entrata in vigore.

 

Il danno subito e’ infatti particolarmente incisivo per come l’intera vicenda si e’ svolta, atteso che  il vincolo e’ stato imposto da 20 anni.

 

Il secondo ordine di ragioni attiene alla circostanza che a fronte di un cosi’ grande sacrificio imposto al privato,  il Comune di OMISSIS  non ha mai espropriato l’area oggetto di vincolo,  ne’ l’ha mai  occupata o utilizzata.

Quest’ultima considerazione apre il percorso anche per affrontare la problematica relativa al secondo e al terzo principio dell’art. 1 del Protocollo, ovvero alla c.d. “ingerenza” dello stato nella proprieta’ privata che, ripetesi, per essere legittima deve rispettare il giusto ed equilibrato contemperamento dell’interesse generale della collettivita’.

Mai come nella fattispecie in esame appare giusto e corretto affermare che il contemperamento di interessi pubblico/privato non abbia affatto avuto luogo.

E’ impensabile,  in un ordinamento che per Costituzione debba garantire il rispetto e la tutela della proprieta’ privata sia pur assicurandone “la funzione sociale”, che a seguito di imposizione di un vincolo si sottraggano per 20 anni le facolta’ inerenti il diritto di proprieta’ e nel contempo non si trovi il modo di utilizzare a beneficio della collettivita’ i frutti del sacrificio imposto al soggetto privato. Ed oltre tutto che nessun indennizzo venga corrisposto al soggetto danneggiato a fronte del lungo e pesante sacrificio subito.

Se invece l’amministrazione avesse agito nel rispetto della legge, e a seguito dell’adozione e approvazione del piano avesse dunque espropriato il terreno vincolato,  al proprietario sarebbe stata corrisposta la relativa indennita’ di esproprio.

 

La denuncia dello s rivente trova conforto  nella conclusione alla quale e’ pervenuta la CEDU con la decisione n. 36815 del 15.7.2004 (Scordino e altro / Governo Italiano) dove ha chiarito che “l’affermazione, nella giurisprudenza nazionale, del principio della indennizzabilita’ dei vincoli preordinati all’espropriazione, accompagnata dall’inesistenza di applicazioni concrete del principio, a dispetto della sua affermazione anche nell’art. 39 del dpr n. 327 del 2001, comporta la violazione dell’art. 1 del primo protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo”.

 

Nella decisione citata la Corte non ha fatto altro che confermare un approccio ai temi espropriativi e di tutela della proprieta’ scevro da formalismi e attento semmai alla concretezza dei fenomeni economici dunque alla concretezza dei pregiudizi subiti dai soggetti (in teoria) tutelati dalle regole predette e quindi alla necessita’ pressante di ovviare ai pregiudizi medesimi (i principi confermati nella decisione n. 36815/2004  sono quelli gia’ enunciati nella sentenza n. 27265 del 17.10.2002 Terazzi srl / Italia).

Questi ultimi sono riconosciuti non nella perdita della proprieta’ sempre formalmente rimasta in capo agli interessati, ma nel congelamento di essa con perdita “temporanea” (in realta’ di durata indeterminata, vista anche la reiterabilita’ illimitata dei vincoli scaduti) del valore di uso del bene (tranne che a fini agricoli, ove ne esista la possibilita’) a con totale distruzione del suo valore di scambio.

Ed e’ proprio il valore di scambio l’elemento sul quale la Corte polarizza l’attenzione ben esaltando la connessione che vi e’ tra diritto di proprieta’ dei suoli, jus edificandi e di conseguenza valore dei terreni.

Una protratta incertezza circa an e quantum della suscettivita’ edificatoria e’ di per se’ necessariamente tale da svilire sia il valore d’uso del bene sia il suo valore di scambio.

La presenza nell’ordinamento dell’art. 39 non assicura dunque il pieno ristoro a fronte del pesante sacrificio richiesto alla proprieta’ privata.

In altri termini, la norma  risulta scritta di guisa da lasciare ancora piu’ ampie incertezze in ordine al contenuto concreto della tutela cui ciascun proprietario puo’ aspirare.

Se, ad avviso della Corte, l’art. 39 rappresenta strumento blando ed inidoneo per compensare il sacrificio imposto alla proprieta’ privata che pur non subisca l’ablazione materiale del terreno, a maggior ragione il privato proprietario deve ritenersi privo di alcuna tutela nell’ordinamento italiano allorquando, come nel caso in esame, per l’illegittimo  comportamento della p.a., si ritrova con la sua proprieta’ vincolata da oltre 20 anni e di fatto espropriata senza neanche poter far ricorso (per il periodo pregresso) all’inidoneo strumento dell’art. 39.

E la Corte, avendo proprio a riferimento la circostanza che il privato possa trarre pregiudizio non soltanto dalla presenza di un vincolo validamente ed efficacemente imposto ma anche dal periodo che intercorre tra la decadenza di un vincolo e la reiterazione di un altro (regime delle c.d. “zone bianche” di cui all’art. 4 della l. n. 10/1977),   ovvero dalla predetta “incertezza” legata alla disponibilita’ dei propri beni, ha ritenuto indennizzabile anche il periodo non coperto da vincolo, ovvero il periodo di “interregno” tra la imposizione di un vincolo e la sua reiterazione.

Come sopra accennato i principi enunciati nella citata sentenza Scordino / italia, erano stati gia’ sanciti nella precedente Terazzi srl / Italia (n. 7265/2002).

La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte e’ pressoche’ speculare a quella che ne occupa. La societa’ ricorrente lamentava infatti la imposizione di un vincolo di inedificabilita’ (vincolo archeologico e paesaggistico) a seguito dell’adozione del piano generale di urbanistica a far data dal 1961 e vigente anche all’epoca di presentazione del ricorso (1995). La vicenda urbanistica che ha riguardato la societa’ Terazzi srl  (i cui dettagli per brevita’ si omettono) evidenziava sostanzialmente una alternanza di periodi con vigente vincolo di inedificabilita’  a periodo coperto dalla disciplina della cennata “zona bianca”.

Viene chiarito questo al solo fine di evidenziare come la Corte abbia ritenuto che, a prescindere dal fatto che le limitazioni che colpiscono la proprieta’ privata derivino da atto amministrativo o direttamente dalla legge, ne risulta  che comunque il terreno e’ stato colpito da interdizione a costruire in modo continuo (infatti: iniziale inedificabilita’ dal 1962 dovuta al piano regolatore generale; poi dopo la scadenza, inedifcabilita’ sia pur disciplinata dalla normativa della legge n. 10/1977; nuova imposizione di vincoli di insedifcabilita’ dal 1990 e dopo la loro scadenza (1995) ancora applicazione della legge n. 10/1977).

Circostanza fondamentale per il confronto tra la vicenda Terrazzi srl e quella di cui al presente atto e’ che la Corte ha ritenuto che la “ingerenza” dello Stato italiano nella proprieta’ privata si e’ verificata sin dal primo momento dell’adozione del piano (§ 84: “la Cour note que l’ingerence litigieuse  dure depuis plus de trente-six ans à computer de l’approbation du plan general d’urbanisme et depluis plus  de trente-neuf  ans à computer de la deliberation municipale en vue de l’adoption de celuici)”

Anzi, ad essere completi, va chiarito che la “ingerenza” dello Stato italiano  nella fattispecie del caso Terazzi srl e’ forse meno  invasiva e meno pregnante di quella lamentata dal deducente, atteso che per questi il vincolo e’ perdurato senza soluzione di continuita’ dal 1958 ad oggi.

I principi applicati nelle citate sentenze Scordino e Terazzi srl, sono stati riprodotti anche in piu’ recente decisione dalla Corte (Rossitto / Italia n. 7977 del  26 maggio 2009).

Anche in tal caso, dall’analoga situazione di vincolo di inedificabilita’  per destinazione del terreno a zona verde, inizialmente imposto con un primo piano regolatore generale, al quale sono seguiti periodi di “zona bianca” alternati con successivi vincoli imposti da altri strumenti urbanistici,  secondo la Corte, ne deriva una “ingerenza” dello stato di oltre ventiquattro anni (a tanto ammonta l’intero periodo di vincoli che non ha consentito al proprietario l’esercizio del suo diritto di proprieta’).

La Corte ha posto l’accento sulla circostanza che il proprietario (nel caso Rossitto) e’ rimasto nell’incertezza totale per  tutto il periodo di riferimento, circa la sorte della sua proprieta’, causa il susseguirsi a intermittenza dei diversi vincoli di destinazione che comunque non gli hanno consentito alcun utilizzo – in particolare quello edificatorio – e che anche dopo scaduti potevano essere rinnovati di nuovo in vista della espropriazione che non e’  mai intervenuta.

Nota la Corte, in proposito, che il diritto interno dello stato non offre strumenti per ovviare alla incertezza che colpisce le sorti dei terreni interessati alla vicenda vincolistico/espropriativa, ed in particolare risulta privo di strumenti sollecitatori per ovviare all’inerzia dell’amministrazione quando questa tarda ad assegnare al terreno la sua destinazione urbanistica o ancor piu’ tarda ad espropriare il terreno dopo avervi imposto sopra i vincoli di inedificabilita’.

Le circostanze della causa, in particolare l’incertezza e l’inesistenza di ogni ricorso interno effettivo suscettibile di ovviare alla situazione controversa, combinate con l’ostacolo al pieno godimento del diritto di proprieta’ e la mancanza di indennizzo, portano la Corte a considerare che il richiedente ha dovuto sopportare un carico speciale ed esorbitante che ha rotto il giusto equilibrio che deve sussistere tra (da una parte) le esigenze dell’interesse generale e, dall’altra parte, la salvaguardia del diritto, al rispetto dei beni (§43: Elle estime en outre que l’existence, pendat toute la periode concernee, d’interdictions de costruire a  entrave’ la pleine jouissance du droit de propriete’ de la requerante et a accentue’ les repercussions dommageables sur la situation  de celle-ci en affaiblissante considerablement, entre autres, les chances de vendre le terrain”).

In merito al danno da risarcire, si ricorda che più volte la Corte ha affermato come una sentenza che constati una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione stessa e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire, nel miglior modo possibile, la situazione precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).

 

 

Sezione C

QUANTO ALLA MISURA DEL GIUSTO INDENNIZZO SPETTANTE

IN SINTESI

La misura della indennita’ spettante puo’ essere determinata  in quella degli interessi legali calcolati sul valore del fondo per ogni anno di reiterazione del vincolo.

 

Il deducente  richiede che le conseguenze della violazione siano eliminate con il riconoscimento  della somma adeguata a riparare il danno per la perdita del godimento della proprieta’ durante tutto il periodo della imposizione del vincolo (1995) ad oggi (considerato che lo stato vincolistico e di incertezza perdura tuttora).

Non essendovi stata espropriazione, il criterio di riparazione non puo’ essere la corresponsione del valore di mercato del fondo, ma il valore venale del terreno deve essere preso come base di riferimento per l’applicazione di altro criterio  come avviene per indennizzare il periodo di occupazione legittima.

Pertanto se si ha riferimento alla decisione piu’ recente in questa sede richiamata (Rossitto/Italia), l’indennizzo puo’ essere stimato facendo riferimento al saggio di interesse legale per ogni anno di vincolo.

E’ proponibile pero’, anche alla luce dell’art. 50 d.p.r. n. 327/2001 nuovo testo unico in materia di espropriazioni,  che possa farsi riferimento anziche’ all’interesse legale alla misura di un dodicesimo del valore del terreno per ogni anno di vincolo imposto.

 

Sezione D LA NORMATIVA DA APPLICARE

D. 1

Le leggi italiane che impongono alle Amministrazioni di dare applicazione diretta alle norme cedu e le Sentenze della Corte Europea.

IN SINTESI

L’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU disapplicando le norme interne con esse confliggenti,  per TUTTI gli operatori del diritto, ivi comprese le Amministrazioni discende dalla LEGGE ITALIANA, prima ancora che dalle norme europee.

Ciò  è stabilito

A. Da precise disposizioni di Legge dello Stato italiano dettate per tutti gli operatori del diritto e per tutte le materie.

B. Da precise disposizioni di Legge dello Stato italiano dettate espressamente  in tema di espropriazione per le Amministrazioni ed i Soggetti equiparati e le conseguenti Responsabilità di Amministratori e Dipendenti.

C. E, ovviamente, dalle sentenze della Corte Europea, che trovano immediata applicazione nell’ordinamento italiano

Le norme CEDU devono essere quindi essere applicate direttamente dalle Amministrazioni senza costringere l’espropriato a far ricorso ai Giudici italiani o europei.

 

IN DETTAGLIO

La normativa vigente in Italia che impone l’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU disapplicando le leggi interne con esse confliggenti, è richiamata con estrema chiarezza in molteplici sentenze di giudici ordinari ed amministrativi, che verranno in seguito elencate.

 

E’ qui sufficiente un breve cenno, al solo scopo di indicare la prevalente normativa italiana “utilizzata”  dalla Giurisprudenza italiana che ha dato diretta applicazione alle norme cedu disapplicando le norme interne con esse confliggenti.

 

L’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU  – A

A. Le Leggi  italiane “generiche” applicabili a tutti i rami del diritto non munite di espresse sanzioni per i Soggetti che le violano.

 

1  La Convenzione stessa e la legge di ratifica.

L’obbligo per il giudice nazionale di dare diretta applicazione alla CEDU ha trovato  fondamento nella Convenzione stessa e nel principio di sussidiarietà che informa l’attività della Corte di Strasburgo, principio che si fonda sugli articoli 1 e 13 della Convenzione

2 L’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht  (come modificato dal Trattato di Amsterdam).

Il citato articolo testualmente recita: «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, … in quanto principi generali del diritto comunitario».

(a questa norma fanno riferimento non solo i giudici italiani, ma anche  la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che, si ricorda, è competente in via esclusiva ad assicurare l’interpretazione del diritto comunitario.

Sono numerose le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (con sede in Lussemburgo) nelle quali, all’indomani dell’adozione del Trattato di Maastricht avvenuta nel 1993, si afferma l’avvenuta incorporazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nel diritto comunitario per effetto dell’articolo 6 par. 2 T.U.E. (T535/93, T-176/94, T-347/94, T-156/94),  e diverse sono altresì le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che affermano la necessità di conformarsi non solo ai precetti contenuti nella Convenzione, ma altresì alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (con sede a Strasburgo) che di tali norme è unica e fondamentale interprete (C-276/01, C-94/00, C-238/99, C-413/99).

3 L’art. 117/1 Costituzione –  Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3

Questo disposto normativo è stato largamente utilizzato dalla Giurisprudenza italiana che ha dato diretta applicazione alle norme CEDU disapplicando le norme italiane con essa confliggenti, dopo la modifica dell’art 117 della costituzione L’art. 117/1 Costituzione, nel testo introdotto dall’articolo 3 della  legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);

 

L’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU – B

B.  Le Leggi italiane “specifiche” applicabili alle procedure espropriative, munite di espresse sanzioni per le Amministrazione ed i Soggetti equiparati che le violano.

 

La Legge 296/2006 e s. m

Le Amministrazioni e i Soggetti equiparati, già in sede di procedimento amministrativo di esproprio, devono dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme CEDU.

L’obbligo di applicare le norme CEDU discende da una disposizione della legge italiana, dettata  espressamente per le Amministrazioni ed i Soggetti equiparati. 

  1. 296/2006 e ss. Mm  “Lo Stato ha diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo”

 

Le implicazioni di questa norma in termini di danni economici e responsabilità amministrativa non sono state ancora pienamente colte da molte Amministrazioni e Soggetti equiparati, cui essa fa riferimento.

Questa norma, per le particolari conseguenze che essa genera in tema di responsabilità amministrativa per danno erariale, verrà esaminata con attenzione  nella successiva Sezione E.

 

L’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU – C

C.  Le Sentenze della Corte Europea.

 

La Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo presenta rispetto alle altre convenzioni internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, (la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo), cui e’ affidata la funzione di interpretare le norme della convenzione stessa; l’art. 32, paragrafo 1 stabilisce che “la competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34, 46  e 37).

 

La Corte Europea, esplicando questa sua funzione,  ha stabilito che le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed i principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte, devono essere applicati direttamente nell’ordinamento interno dalle Amministrazioni e dai Giudici, con prevalenza sulle leggi  nazionali con esse confliggenti, che devono di conseguenza essere disapplicate.

 

Le Sentenze della Corte Europea, quindi, in quanto interpretative ed integrative della Convenzione, costituiscono esse stesse norme e non semplici precedenti giurisprudenziali. 

 

Tra le numerose sentenze emesse dalla CEDU ed ottenute dallo scrivente Avvocato Fiduciario dell’Associazione che hanno stabilito la prevalenza della normativa della convenzione su quella interna dell’ordinamento italiano che dunque deve cedere il passo ai fini della piu’ ampia tutela del diritto di proprietà colpita da espropriazione, si segnalano:

Mandola contro Italia 30.6.2009;

Ippoliti contro Italia 16.12.2006;

Capoccia contro Italia. 5.10.2006;

Grossi contro Italia 6.7.2006.

In aggiunta si segnala anche la nota sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo emessa nel caso Scordino contro Italia il 29.7.2004.

 

E’ opportuno un chiarimento sul termine “sentenza”, al fine di chiarire perché le Sentenze della Corte Europea divengono “norme”.

Il termine “sentenza” assume un significato diverso a seconda che ci si riferisca ad un Giudice Italiano o alla Corte Europea.

 

Le Sentenze di  tutti i  Giudici Italiani,  com’è noto:

sono semplici precedenti giurisprudenziali, che possono essere disattesi in qualsiasi momento da un altro Giudice e dallo stesso Giudice; su di esse, quindi, nessuna Amministrazione può serenamente fondare il suo operato;

non vengono tenute in nessun conto dalla  Corte Europea, che continua a condannare lo Stato Italiano ad indennizzare, con somme ingenti, gli espropriati che ad essa fanno ricorso.

 

Le Sentenze della Corte  Europea, invece:

costituiscono “norme” integrative della Convenzione; ad esse si deve quindi guardare come norme giuridiche vigenti e non come semplici precedenti giurisprudenziali;

tutelano anche diritti ed interessi che non sono tutelati dalla legge italiana, lasciando in secondo piano ogni formalismo giuridico volto a corrispondere indennizzi non conformi alle norme CEDU;

 

Sezione D LA NORMATIVA DA APPLICARE

D. 2

Il quadro giurisprudenziale  in Italia – prima del Trattato di Lisbona

IN SINTESI

La Giurisprudenza italiana applicava le suddette  leggi vigenti in Italia che prescrivevano l’obbligo di dare diretta applicazione alle norme CEDU disapplicando le leggi interne con esse confliggenti, già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 

 

IN DETTAGLIO

Fermo restando che, quando l’espropriato farà valere i suoi diritti dinnanzi alla Corte Europea verranno ovviamente applicati i principi da essa dettati, è utile mettere in evidenza che anche i Giudici italiani applicano direttamente le norme CEDU e disapplicano le leggi interne con esse confliggenti.

In tal modo, evitano pesanti condanne allo Stato italiano e danno giustizia agli espropriati già in Italia, senza costringerli a ricorrere in Europa.

 

Una breve, sintetica elencazione della giurisprudenza italiana che, ancor prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, dava già diretta applicazione alle norme cedu.

 

CORTE DI CASSAZIONE

Cassazione  Sezioni Unite 8 maggio 1989:  si fa discendere direttamente dalla CEDU il diritto dell’estradando a ricorrere avverso il provvedimento di arresto che lo riguarda.

Cassazione 10 luglio 1991, n. 7662: si spinge sino ad affermare l’avvenuta abrogazione della norma interna in quanto contraria alla norma CEDU.

Cassazione  12/05/1993: ricorda  la idoneità della convenzione a resistere rispetto alle disposizioni interne contrastanti anche se successive.

Cassazione  n. 6672 del 1998:  ribadisce che “le norme della convenzione europea sui diritti dell’uomo, … sono fonti di obblighi per tutti i soggetti”.

Cassazione, 16 luglio n. 10542 del 2002, esclude la possibilità di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee per lamentare la contrarietà della norma interna rispetto alla CEDU, perché è il giudice nazionale a dover dare diretta applicazione alla Convenzione previa disapplicazione della norma interna.

Cassazione n. 11096 del 2004, in cui emerge che “l’applicazione della Convenzione, ove incorporata nel diritto interno, può comportare la disapplicazione della norme interne ritenute incompatibili, senza attendere l’intervento adeguatore del potere legislativo”.

Cassazione Penale a Sezioni Unite nel 2004 (Quattro sentenze gemelle  1338, 1339, 1340, 1341) ed anche la Cassazione Civile sez. I nel 2005 con la sentenza n. 7923 tornano ad affermare il principio per cui la Convenzione, e la giurisprudenza di Strasburgo che la interpreta ed integra, sono fonte di diritti soggettivi a prescindere da una legge interna di attuazione.

Cassazione a Sezioni Unite n. 28057 del 2005: si afferma che “le norme della convenzione hanno natura sovraordinata con conseguente obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso concreto”; il giudice nazionale inoltre, dovrà ricordare che egli “non deve discostarsi dalle ricostruzioni interpretative della corte di Strasburgo, alla cui giurisprudenza è tenuto a conformarsi”.

Cassazione  Civile  sez I, 06 aprile 2006, n. 8034:  va applicata la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni della Corte europea adottate in casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale” 

Cassazione  sez I penale 3 ottobre 2006, n. 32678:  afferma il principio per cui la giurisprudenza di Strasburgo deve considerarsi vincolante per tutti i giudici nazionali, fino alla estrema conseguenza di mettere in discussione l’intangibilità del giudicato.

La Corte di Cassazione nel 2006, nonostante la linea assunta con le sopra citate sentenze, ha  avuto un momento di esitazione e, con ordinanza depositata il 29 maggio 2006 (r.o. n. 402 del 2006), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, dando luogo alle note Sentenze della Corte Costituzionale 348 e349/2007, di cui si dirà in seguito.

Ma la stessa  Corte di Cassazione nel 2008 , dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è tornata ad affermare la diretta applicabilità delle norme CEDU, come più ampiamente in seguito si  dirà

 

GIUDICI DI MERITO

Anche i Giudici di Merito affermano che le sentenze italiane, anche quelle della Corte di Cassazione, se disapplicano le norme CEDU, producono un inutile dispendio di risorse economiche e procedurali, perché l’espropriato può sempre ricorrere in Corte Europea.

Si deve pertanto, da parte del giudice di merito, dare immediata e completa applicazione alle norme CEDU.

Si cita qui per brevità di esposizione, fra le numerose disponibili, la sentenza n. 570 del  27.2.2005, nella quale la Corte d’Appello di Firenze ha testualmente affermato:

se di fronte ad una sentenza della Corte di Cassazione italiana che disattenda le interpretazioni date dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alle norme della Convenzione, il cittadino soccombente ha la possibilità di proporre le sue ragioni davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e questa può attribuirgli un risarcimento per la violazione operata dalla decisione diversamente orientata della Suprema Corte; … non si vede come negare che le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sono cogenti per ogni giudice italiano.

Ed ancora*

”Ed infatti se, con la legge finanziaria dell’anno 2007, lo Stato ha ritenuto di dover legittimamente fondare sulle norme della convenzione europea per i diritti dell’uomo il proprio diritto di rivalersi nei confronti dei comuni esproprianti per ottenere il rimborso delle somme dagli enti esproprianti i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni delle convenzione medesima, il citato art. 1 comma 1217 della legge n. 296/2006 costituisce una prova oggettiva ed univoca del fatto che le norme della convenzione europea dispiegano efficacia immediata e diretta nell’ordinamento nazionale, e consente altresì di superare anche le perplessità sollevate in precedenza dalla giurisprudenza”.

*Sentenza ottenuta  dallo scrivente Avvocato Fiduciario dell’Associazione

 

CONSIGLIO DI STATO

Anche i Giudici Amministrativi affermano il principio della diretta applicabilità della CEDU e della disapplicazione delle leggi interne con essa confliggenti.

Il Consiglio di Stato, – sezione IV n. 3752 del 27.6.2007 e sez. IV n. 2582 del 21.5.2007, dà diretta applicazione alle norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo affermando testualmente:

(…) i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiché:

– per l’art. 117/1 della Costituzione, le leggi devono rispettare i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”;

– per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la  salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, … in quanto principi generali del diritto comunitario»;

– per la pacifica giurisprudenza della CEDU (che ha più volte riaffermato i principi enunciati dalla Sez. II 30 maggio 2000, ric. 31524/96, già segnalata in data 29 marzo 2001 dall’Adunanza Generale di questo Consiglio, con la relazione illustrativa del testo unico poi approvato con il D.P.R. n. 327 del 2001), si e’ posta in diretto contrasto con l’art. 1 prot. 1 della Convenzione la prassi interna sulla <espropriazione indiretta>, secondo cui l’amministrazione diventerebbe proprietaria del bene, in assenza di un atto ablatorio (cfr. CEDU  Sez. IV 17 maggio 2005; Sez. IV 15 novembre 2005, ric. 56578/00; Sez. IV 20 aprile 2006).”

 

Ancora il Consiglio di Stato sez. IV con sentenza del 16 novembre 2007 n. 5830  ribadisce la diretta applicabilità delle norme CEDU ritenendole “comunitarizzate”; si riporta testualmente:

– (…) tale ricostruzione non è conforme ai principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiché:

– per l’art. 117, primo comma, della Costituzione, le leggi devono rispettare i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”;

– per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, … in quanto principi generali del diritto comunitario»;

– per la pacifica giurisprudenza della CEDU (che ha più volte riaffermato i principi enunciati dalla Sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96, già segnalata in data 29 marzo 2001 dall’Adunanza Generale di questo Consiglio, con la relazione illustrativa del testo unico poi approvato con il D.P.R. n. 327 del 2001), si è posta in diretto contrasto con l’art. 1, prot. 1, della Convenzione).

 

Tribunali Amministrativi Regionali

La posizione assunta dal Consiglio di Stato è stata ovviamente recepita anche da Tribunali Amministrativi Regionali: ad esempio, il TAR Lombardia sezione staccata di Brescia  con la sentenza n. 466 del 1.6.2007, ha dato diretta applicazione alle norme CEDU stabilendo, in materia di risarcimento danni da occupazione appropriativa, la diretta applicazione ed efficacia nell’ordinamento nazionale delle norme cedu, prevalgono sulle legge nazionali.

 

Sezione D LA NORMATIVA DA APPLICARE

D. 3

I principi sanciti dalla Corte Costituzionale  

I più noti (aree edificabili – aree agricole – occupazioni illegittime)

I meno noti (l’interpretazione delle norme italiane)

IN SINTESI

La Corte Costituzionale, con le sentenze 348/2007 –  349/2007 –  348/2009 – 311/2009181/2011 fra l’altro, stabilisce che.

A. Le aree edificabili devono essere indennizzate con il valore di mercato.

B. Le aree agricole devono essere indennizzate con il valore di mercato.

C. I giudici italiani devono interpretare le norme italiane alla luce delle norme CEDU  che – afferma la stessa Corte Costituzionale – hanno forza superiore alle leggi ordinarie.

 

IN DETTAGLIO

Da sempre la Corte Costituzionale, in particolare già con nota la sentenza n. 5/1980, nel sottolineare che l’indennità di esproprio dovesse rappresentare in ogni caso una forma di reintegrazione seria per il cittadino espropriato, ha stabilito che “l’indennizzo assicurato all’espropriatonon può essere  fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro”

 

A seguito  delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione in tema di indennizzi di aree edificabili, la Corte Costituzionale,  con le note sentenze 348 e 349/2007  ha stabilito che, in materia di tutela della proprietà oggetto di espropriazione, sono rilevanti nell’ordinamento italiano le norme della CEDU secondo cui al proprietario spetta una indennità finalizzata ad ottenere il pieno e serio ristoro di tutti i danni subiti, da determinarsi sulla base del valore di mercato dei terreni.

 

Da ultimo, in tema di indennizzo delle le aree agricole con il valore di mercato, con sentenza 181/2011 ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli i commi 2 e 3 dell’art. 40 del DPR 2011/327. 

 

E’ necessario mettere in evidenza che la Corte Costituzionale, con le citate sentenze,  ha anche operato un riallineamento delle fonti del diritto che è utile riepilogare brevemente.

 

La Corte Costituzionale  ha affermato

  1. Le norme CEDU hanno il rango di norme sub-costituzionali, con forza superiore alle leggi ordinarie ed inferiore alle leggi costituzionali.
  2. Le leggi italiane possono essere dichiarate incostituzionali non solo quando sono in contrasto con la Costituzione, ma anche quando sono in contrasto con le norme CEDU.
  3. Le leggi italiane devono essere interpretate in modo conforme alle disposizioni CEDU, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle leggi.
  4. Qualora, a causa dei testi delle leggi italiane, non sia possibile adeguare le norme interne alle norme CEDU con l’interpretazione, si deve investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale.

 

La Corte Costituzionale ha quindi  riconosciuto alla norme CEDU il rango di norme che integrano il parametro costituzionale, ma non ha preso atto della loro “comunitarizzazione”; ha tuttavia “imposto” ai Giudici Italiani di interpretare estensivamente le norme italiane per adeguarle alle norme CEDU.

 

Tale riallineamento delle fonti del diritto produce effetti che è bene mettere in evidenza.

 

La Corte Costituzionale ha, in pratica, sancito un obbligo interpretativo per tutti gli operatori del diritto che può così banalmente sintetizzarsi: obbligo di “riempire” il contenuto delle norme italiane con i contenuti delle norme cedu, quando il testo della norma italiana lo consente.

 

Conseguenze dell’obbligo interpretativo sancito dalla Corte Costituzionale per tutti gli operatori del diritto

 

Questo obbligo – ulteriormente  ribadito dalla Corte Costituzionale nella successiva Sentenza n.  311 del 26.11.2009 – produce importanti conseguenze, alcune delle quali vengono qui di seguito evidenziate, con l’indicazione delle norme italiane di riferimento del T.U.

 

a – In campo di applicazione della riduzione dell’indennizzo in caso di riforme economico-sociali

Art. 37 comma 1. L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento.

L’individuazione dei casi definiti di riforma economico-sociale deve essere operata ai sensi delle norme cedu (e ciò, peraltro, i giudici nazionali stanno già facendo, la Corte di Cassazione ha già affermato, ad esempio, che la detrazione non si applica a PEEP , PIP, ecc..)

 

b – In campo di applicazione della riduzione per infedele dichiarazione ICI

Art. 37 comma 7. L’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili…

La Corte Costituzionale, ha già provveduto, com’è noto, a dichiarare l’illegittimità di questa norma, in conformità a quanto stabilito dalla CEDU.

 

c – In campo di applicazione della ritenuta fiscale.

Art. 35 comma 1. Si applica l’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato col decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici. (L)

La corretta applicazione di questa norma, alla luce del dettato delle Corte Costituzionale, prescrive di non sottoporre a ritenuta fiscale le somme corrisposte in relazione alle le aree ricadenti in zone omogenee diverse (ad es. le zone F); ciò perché, com’è già stato sopra illustrato, la Corte Europea non ammette che le somme corrisposte agli espropriati siano assoggettate ad imposta. E’ quindi ovvio che una norma come quella in esame, che è in pieno contrasto con le norme cedu, deve subire un’interpretazione estremamente restrittiva.

 

La Corte Costituzionale ha anche affermato che  qualora, a causa dei testi delle leggi italiane, non sia possibile adeguare le norme interne alle norme CEDU con l’interpretazione, si deve investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale.

Il giudice italiano, quindi,  non dovrebbe disapplicare la norma interna, ma dovrebbe limitarsi ad interpretarla, ove possibile, ai sensi delle norme CEDU  o, se il testo non lo consente, dovrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale, con le sopra citate sentenze,  ha voluto riservare a sé il compito di decidere l’applicabilità diretta delle norme CEDU esaminandole di volta in volta in un singolo giudizio di costituzionalità.

 

Questa posizione assunta dalla Consulta è stata sottoposta a critiche; ci si è infatti chiesto: perché si deve costringere il cittadino ad un inutile passaggio dinnanzi alla Corte Costituzionale, visto che comunque l’ultima parola spetta sempre alla Corte Europea?

 

La posizione assunta dalla Consulta è stata infatti disattesa da molti Giudici

Ad esempio, già il Consiglio di Stato sez. IV con sentenza del 16 novembre 2007 n. 5830   (in data, quindi, successiva al 24 ottobre 2007, data delle sentenze n. 348 e n. 349 della Corte Costituzionale) continua ad affermare la diretta applicabilità delle norme CEDU ritenendole “comunitarizzate” e non solleva la questione di legittimità costituzionale.

 

Oggi comunque, a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona, il suddetto quadro normativo, delineato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 e n. 311 del 2009, è radicalmente mutato nel senso che deve farsi diretta applicazione delle norme cedu anche quando il testo della norma interna è in palese contrasto con la norma cedu procedendo alla disapplicazione della norma interna.

 

Oggi, a seguito del Trattato di Lisbona,  deve farsi diretta applicazione delle norme cedu in ogni caso.

Si veda in tal senso  la Giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato (successiva all’entrata in vigore del Trattato), qui di seguito nei punti D. 5 e D. 6

 

NOTA

Sotto la spinta costante e pluriennale esercitata dalle numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale e’ stata dunque costretta a riconoscere – ma non ancora in misura sufficiente – importanza e rilevanza giuridica sia alle norme della Convenzione Europea ed alle sentenze della Corte Europea

E’ infatti del tutto pacifico che la Corte Europea accorda tuttora ai cittadini degli stati aderenti alla convenzione una tutela decisamente piu’ ampia (sia in termini di efficacia sia in termini di contenuto)  rispetto a quella piu’ limitata offerta dalla Corte Costituzionale.

 

Va da sé perciò che il soggetto espropriato che non ottiene la piena tutela dai giudici italiani, conserva sempre integro il diritto di rivolgersi comunque alla Corte Europea che continuerà, da un lato, a garantire la piu’ ampia tutela prevista dalla Convenzione Europea  e, dall’altro, a condannare gli stati aderenti che si siano resi responsabili di violazioni  alle norme della convenzione stessa.

 

Basterà citare un recente esempio del 07/06/2011 (AGRATI ET AUTRES c. ITALIE)

La Corte Costituzionale aveva affermato la legittimità della legge italiana che negava il diritto dei richiedenti ed invece la Corte Europea, superando la decisione della Corte Costituzionale, lo ha riconosciuto.

La violazione delle norme CEDU arreca quindi sempre un danno all’erario ed oggi di tale danno sono responsabili le Amministrazioni, come meglio in seguito si vedrà nella Sezione E

 

Sezione D LA NORMATIVA DA APPLICARE

D. 4

Il nuovo quadro normativo introdotto dal Trattato Lisbona 

IN SINTESI

A seguito dell’entrata in vigore del Trattato, le norme CEDU fanno ormai parte integrante del Diritto Comunitario e, di conseguenza, le leggi italiane che con esse contrastano devono essere disapplicate, così come avviene per le leggi che contrastano con i Regolamenti Comunitari e le Direttive self-executing

 

IN DETTAGLIO

E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona, ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.

 

A seguito dell’entrata in vigore del Trattato, le norme CEDU fanno ormai parte integrante del Diritto Comunitario e, di conseguenza, le leggi italiane che con esse contrastano devono essere disapplicate, così come avviene per le leggi che contrastano con i Regolamenti Comunitari e le Direttive self-executing 

 

L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha, infatti, modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunità Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:

 

  1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
  2. L’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.
  3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

 

L’entrata in vigore del Trattato ha comportato una modifica – verso l’alto – della fonte di diritto a tutela della dei diritti fondamentali, tra cui ovviamente figura la CEDU, che ormai fanno parte integrante del Diritto Comunitario.

 

Mentre infatti prima della entrata in vigore del Trattato di Lisbona i diritti fondamentali (e dunque anche il citato art. 6) trovavano la loro fonte e tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orientamento più restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalle sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007  della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano fonte e tutela in un trattato internazionale le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranità nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.

 

Ecco allora che i diritti fondamentali previsti dalla C.E.D.U. in materia di tutela del diritto di proprietà, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunità Europea  e in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale,  con obbligo di disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie:  regolamenti e direttive c.d. self-executing.

 

E tale obbligo e’ imposto a tutti:  cittadini, amministrazioni e giudici.

 

La Corte di Cassazione ed il consiglio di Stato hanno immediatamente preso atto di questa importante novità normativa, come qui di seguito illustrato. 

 

Sezione D LA NORMATIVA DA APPLICARE

D. 5

Corte di Cassazione e Consiglio di Stato – dopo il Trattato di Lisbona

IN SINTESI

Di questo nuovo quadro normativo introdotto dal Trattato di Lisbona, hanno rapidamente preso atto la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato, anche al fine di:

– dare giustizia agli espropriati già in Italia, senza costringerli a ricorrere in Europa

– evitare pesanti condanne allo Stato italiano, che dal 1.1.2007  lo Stato “ribalta” sui Soggetti che  hanno determinato gli indennizzi  in modo non conforme alla cedu.

 

IN DETTAGLIO

Corte di Cassazione dopo il Trattato di Lisbona

Già un mese dopo l’approvazione della legge di ratifica del Trattato di Lisbona , la Corte di Cassazione,  ha messo in evidenza che i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con le sentenza n. 348 e n. 349 appaiono ora superati per effetto del quadro normativo delineatosi a seguito del Trattato di Lisbona.

Dopo l’approvazione della legge di ratifica del Trattato di Lisbona , la Corte di Cassazione,  ha dato ampia apertura all’applicazione diretta ed immediata nell’ordinamento giuridico delle norme della CEDU con la ordinanza n. 23934 del 22.9.2008 con la quale, dopo aver richiamato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con le sentenza n. 348 e n. 349 che avevano negato la “comunitarizzazione” delle norme CEDU,  ha stabilito che tali principi appaiono ora superati per effetto del quadro normativo delineatosi a seguito del Trattato di Lisbona, il quale ha stabilito che i diritti fondamentali garantiti da detta Convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto dell’Unione.”affermando che:

“Il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo dei ventisette membri dell’Unione Europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione e quello istitutivo della Comunità Europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (…l’art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000…),

“…e prevede l’adesione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto 11 dell’Unione”.

 

La Corte di Cassazione quindi, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha preso atto che le norme CEDU costituiscono principi generali del Diritto dell’Unione con la conseguenza che le norme interne con esse confliggenti devono essere disapplicate.

 

In buona sostanza, si è definitivamente compreso che le sentenze dei Giudici italiani (Corte Costituzionale compresa) quando disapplicano le norme cedu, producono soltanto un inutile dispendio di risorse economiche e procedurali a carico dei cittadini e dello Stato, perché l’espropriato dopo la sentenza pronunciata in Italia, può sempre ricorrere in Corte Europea, la quale, ovviamente, applicherà le norme cedu.

 

Consiglio di Stato dopo il Trattato di Lisbona  

Il Consiglio di Stato, come sopra illustrato, già prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, riteneva che le norme CEDU trovano immediata e diretta applicazione in Italia.

Dopo l’entrata in vigore del Trattato, il Consiglio di Stato ha, ovviamente, ribadito e confermato la sua linea.

Si riporta qui integralmente, a titolo esemplificativo,  quanto testualmente  affermato dal C.d.S. nella sentenza 2 marzo 2010 n. 1220.

“Ciò posto, in questa fase del giudizio la Sezione deve fare applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009).

Per la pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CEDU, Sez. III, 28-9-2006, Prisyazhnikova c. Russia, § 23; CEDU, 15-2-2006, Androsov-Russia, § 51; CEDU, 27-12-2005, Iza c. Georgia, § 42; CEDU, Sez. II, 30-11-2005, Mykhaylenky c. Ucraina, § 51; CEDU, Sez. IV, 15-9-2004, Luntre c. Moldova, § 32), gli artt. 6 e 13 impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the domestic remedies must be effective’.

In base ad un principio applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006, Cherginets c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 20-12-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50).” CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 2 marzo 2010 n. 1220.

 

Anche il Consiglio di Stato quindi, Come la Corte di Cassazione, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona,  afferma che le norme CEDU costituiscono principi generali del Diritto dell’Unione con la conseguenza che le norme interne con esse confliggenti devono essere disapplicate.

 

Si è soprattutto chiarito che “in base ad un principio applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU 29..2.2006 Cherginets contro Ucraina) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU 20.12.2005 Trykhlib contro Ucraina)”

In mancanza, infatti, l’espropriato potrà far ricorso in Corte Europea dove, ovviamente, sarà applicata Convenzione.

 

L’applicazione delle norme CEDU è quindi  ineludibile

 

Sezione E  LE RESPONSABILITA’

E. 1

L’ obbligo delle Amministrazioni – imposto dalla legge 296/2006 e ss. mm. – di dare applicazione diretta alle norme cedu e le sanzioni – previste dalla legge italiana – per la violazione di questo obbligo.

IN SINTESI

L’obbligo delle Amministrazioni e dei soggetti equiparati di applicare le norme CEDU, disapplicando le leggi interne con esse confliggenti, non discende solo dalle norme europee, ma discende dalla legge italiana(l. 296/2006 e s. m.).

Anche le Autorità Esproprianti, quindi, già in sede di procedimento amministrativo di esproprio (e non solo i Giudici italiani in sede processuale), devono dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme CEDU.

Non applicare le norme CEDU comporta quindi, per Amministrazioni, Amministratori e Dipendenti pubblici e privati tutte responsabilità  che derivano dalla violazione di una legge dello Stato.

 

IN DETTAGLIO

Si richiama l’attenzione su una legge italiana vigente cui si è già fatto sopra cenno, le cui implicazioni in termini di responsabilità, molte Amministrazioni ed Autorità esproprianti non hanno ancora pienamente colto, anche perché la norma è stata ripetutamente “trasferita” all’interno dell’ordinamento ed è stata anche oggetto di interpretazione autentica estensiva.

 

Essa sancisce l’obbligo per le Amministrazioni di applicare le norme CEDU già in Italia, senza costringere gli espropriati a far ricorso in Europa.

 

La norma di legge è la seguente: art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11

 

lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”

 

La norma fa il suo ingresso nell’ordinamento giuridico italiano con la legge 27.12.2006  n. 296 (art 1/1217), ed da allora è ininterrottamente in vigore.

La norma, poi,  con l’art. 6 legge 25.02.2008 n. 34  è stata “trasferita”, (per dare ad essa una opportuna collocazione sistematica), nella legge quadro contenente le norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea, art. 16-bis  legge 4 febbraio 2005 n. 11

La norma, infine, è stata interpretata autenticamente e se ne è eseso l’ambito di applicazione con la legge 27 febbraio 2009, n. 14, in sede di conversione del decreto legge  207/2008, di cui qui di seguito si riporta il testo vigente.

(Art. 42-ter DL 30.12.2008 n. 207 – L’articolo 16-bis della legge 4 febbraio 2005  n. 11, si interpreta nel senso che la rivalsa si esercita anche per gli oneri finanziari sostenuti dallo Stato per le definizioni delle controversie presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che si siano concluse con sentenza di radiazione o cancellazione dal ruolo ai sensi degli articoli 37 e 39 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848.)

La rivalsa nei confronti delle Amministrazioni si applica anche, di conseguenza, non solo nei casi di condanna dello Stato italiano da parte della Corte Europea, ma anche nei casi in cui il ricorso alla Corte Europea  si concluda con un accordo e non con una sentenza di condanna.

 

La legge italiana, quindi, obbliga gli Enti Pubblici ed i soggetti equiparati, ad applicare le norme della CEDU, (disapplicando le leggi interne con esse confliggenti), ed attribuisce allo Stato il diritto di rivalersi sugli Enti che le abbiano violate.

 

E’ dunque appena il caso di precisare che qualora il cittadino espropriato – in caso di diniego opposto dall’Autorità Espropriante all’applicazione delle tutele prevista dalle norme della CEDU –  fosse costretto a ricorrere alla Corte Europea per ottenere la piena tutela dei suoi diritti, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta allo Stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno dell’Amministrazione e dei soggetti equiparati.

 

Qualsiasi norma italiana che porti alla determinazione dell’indennità di esproprio in misura non adeguata ai criteri stabiliti dalla Corte Europea, quindi, deve essere disapplicata dalle Amministrazioni, prima ancora che dai Giudici

 

Ed i Soggetti che operano per l’Amministrazione, indipendentemente dal fatto che siano ad essa legati da rapporto organico, o di servizio, o privati destinatari di delega, ecc, in caso di violazione delle norme CEDU, dovranno valutare gli aspetti connessi ad una loro personale responsabilità per danno erariale.

 

Le implicazioni di questa norma in termini di danni all’Amministrazione e Responsabilità per danno erariale di Amministratori, Dipendenti (pubblici e privati), Professionisti ecc… non sono state ancora pienamente colte da molte Amministrazioni e Soggetti equiparati, cui essa fa riferimento.

 

La norma, purtroppo, viene solitamente scoperta in un Giudizio con gravi danni per i soggetti che l’hanno violata.

 

Pare quindi opportuno esaminare qui di seguito, non solo gli obblighi imposti dalla norma, ma anche le responsabilità connesse alla sua violazione.

 

Sezione E  LE RESPONSABILITA’

E. 2

Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti  Pubblici per la violazione delle norme CEDU

IN SINTESI

Gli Amministratori ed i Dipendenti degli Enti Pubblici che non hanno applicato le norme CEDU, se l’Amministrazione subisce una condanna, possono essere chiamati a rispondere per danno erariale dinnanzi alla Corte dei Conti:

…  ”va affermata la colpevolezza di chi ha approvato atti espropriativi senza la previsione dei fondi necessari a pagare gli aventi diritto alle indennità” …

 

IN DETTAGLIO

E’ noto che le Amministrazioni, quando procedono ad un esproprio, hanno l’obbligo di prevedere e determinare correttamente le somme necessarie a corrispondere gli indennizzi, (oltre, ovviamente, all’obbligo di procedere nel pieno rispetto della legislazione che disciplina la procedura espropriativa).

 

Ciò, purtroppo, molto spesso non avviene, con grave danno per l’erario.

 

Deve quindi tenersi presente che, in caso di condanna dell’Amministrazione al pagamento di una indennità di esproprio in misura superiore a quella offerta in via amministrativa (ed ovviamente a maggior ragione in caso di condanna dello Stato italiano ad opera della Corte Europea) , si può configurare la Responsabilità per danno erariale in capo ai soggetti che si siano resi responsabili della violazione, in sede di procedimento di esproprio, delle norme in materia di corretta determinazione della indennità.

 

La responsabilità è estesa a chi ha approvato atti espropriativi senza la previsione dei fondi necessari a pagare gli aventi diritto alle indennità.

 

La responsabilità è estesa anche ai soggetti che operano per l’Amministrazione (indipendentemente dal fatto che siano ad essa legati da rapporto organico, o di servizio, o privati destinatari di delega, ecc…).

 

La Giurisprudenza in materia è copiosa ed inequivoca.

 

  1. Va affermata la colpevolezza di chi ha approvato atti espropriativi senza la previsione dei fondi necessari a pagare gli aventi diritto alle indennità (Corte Conti Sezione Basilicata n. 90 del 1.4.2008);

 

  1. Nei procedimenti espropriativi ogni inerzia e superficialità in materia e’ gravemente colpevole, per cui la pura e semplice omissione va considerata gravemente colpevole e l’accertata attività omissiva imputata al funzionario e/o responsabile preposto all’ufficio espropriazioni costituisce inescusabile violazione dei doveri connessi alla funzione rivestita nel senso che il fatto dannoso appare direttamente riconducibile alla condotta posta in essere e che l’elemento psicologico della colpa raggiunge inequivocabilmente soglia di rilevanza della colpa grave, ciò anche considerata la prevedibilità dell’evento dannoso (Corte dei Conti sezione III giurisdizionale Centrale d’Appello n. 62 del 17.2.2009);

 

  1. Nel caso di condanna in sede giudiziale al risarcimento dei danni a terzi (o comunque ad una indennità espropriativa maggiore di quella determinata ed offerta), il danno erariale e’ rappresentato dal maggior esborso sostenuto dall’ente a seguito della sentenza rispetto all’indennità’ di occupazione legittima ed all’indennità’ d’esproprio comunque dovuta (Corte Conti Sezione Calabria n. 263 del 17.4.2007);

 

  1. Il danno e’ rappresentato dai maggiori oneri a seguito del contenzioso instaurato dal privato proprietario del terreno espropriato, oneri che sarebbero stati evitati qualora l’espropriazione fosse stata espletata in base a corretti adempimenti procedurali e nel rispetto della normativa in materia di determinazione della indennità (Corte Conti Sezione Calabria n. 936 del 5.10.2005);

 

  1. Il danno erariale e’ rappresentato dalla differenza tra l’indennità’ di esproprio riconosciuta dal giudice al cittadino espropriato e quanto effettivamente pagato dall’amministrazione espropriante (Corte Conti Sezione II Giurisdizionale Centrale n. 96 del 15.3.2005 e Corte Conti Sezione Calabria n. 764 del 1.7.2005).

 

  1. Ed ancora, ex plurimis,  il capo di un’Amministrazione,  nella fattispecie, un Sindaco  subisce una condanna per una procedura espropriativa che ha violato la legge. Corte Conti, sezione II Giurisdizionale Centrale d’Appello, sentenza 11 febbraio 2002 n. 44.

 

  1. Anche i semplici Consiglieri comunali, pur non essendo amministratori, sono caduti sotto la scure della Corte dei Conti per il solo fatto di aver deliberato riconoscimenti di debiti fuori bilancio, a seguito di condanna dell’Amministrazione per espropri illegittimi. Corte Conti, Giurisdizionale, Regione Sicilia – 23 aprile 2009 n. 1042.

 

È evidente, allora, che qualora l’Autorità espropriante non dovesse provvedere a determinare in modo corretto l’indennità di espropriazione, l’espropriato si vedrà costretto a ricorrere alle competenti Autorità giudiziarie nazionali (ed eventualmente anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), esponendo così ad un giudizio per danno erariale Amministratori e Dipendenti che abbiano agito in dispregio della vigente normativa nazionale ed europea in materia espropriativa.

 

Nota.

Quanto sopra affermato, avrebbe perso validità se fosse entrata in vigore la Legge 3 agosto 2009, n. 102, senza le contestuali norme correttive richieste dal Capo dello Stato.

La norma, infatti,  prima del decreto correttivo, prevedeva che il danno erariale doveva essere cagionato solo ai sensi dell’art. 2043 del c.c.;  circostanza questa che avrebbe rimesso alla Corte di Cassazione tutti i giudizi di responsabilità amministrativa, con una notevole restrizione dell’ambito della giurisdizione della Corte dei Conti.

Il Capo dello Stato, com’è noto, si rifiutò di promulgare la legge 102 e ne pretese la correzione; il  Governo corresse la norma col D.L. 103 ed il Capo dello Stato promulgò contestualmente la legge 102 ed il decreto correttivo 103.

Quanto sopra affermato conferma quindi la sua piena validità.

 

Sezione E  LE RESPONSABILITA’

E. 3

Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti di Enti Privati o liberi Professionisti.

IN SINTESI

Anche gli  Amministratori ed i  Dipendenti degli Enti Privati che non hanno applicato le norme CEDU possono essere chiamati a rispondere per  danno erariale dinnanzi alla Corte dei Conti.

 

IN DETTAGLIO

Va precisato che la Responsabilità per danno erariale è estesa agli Amministratori ed ai Dipendenti di Enti Privati e ad altri Soggetti, anche privati.

 

Com’e noto, la recente giurisprudenza della Corte di Conti ha assunto l’indirizzo di considerare irrilevante la natura   ( pubblica o privata ) del soggetto nei cui confronti viene promossa l’azione di responsabilità per danno erariale.

 

Tale indirizzo è stato da più parti sottoposto a critiche e se ne auspicava un mutamento.

 

E’ opportuno precisare che invece tale indirizzo è ormai stato definitivamente confermato dalla Corte di Cassazione, che vi ha apposto il “sigillo” delle Sezioni Unite.

 

”Per il resto la Corte dei Conti ha fatto applicazione del più recente orientamento di questa S.C., secondo il quale ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, in ragione del sempre più frequente operare dell’amministrazione fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o un contratto di diritto privato: il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che ben può essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti (sent. 1 marzo 2 006 n. 4511)”.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili  18 luglio 2008 n. 19815.

 

E’ quindi irrilevante la differenza fra Amministratori e Dipendenti di Enti Pubblici  e Amministratori e Dipendenti di Enti Privati.

 

Quindi, anche i soggetti privati dalla cui attività derivi un danno all’erario, sono responsabili dinnanzi alla Corte dei Conti.

 

Sezione E  LE RESPONSABILITA’

E. 4

Sussistenza della responsabilità dell’Amministrazione in caso di delega; richiesta di garanzie al Delegato.

IN SINTESI

La responsabilità dell’Ente, degli Amministratori e dei  Dipendenti permane anche in caso di delega ed anche quando tutti gli oneri procedurali ed economici sono stati posti contrattualmente a carico del terzo delegato.

E’ opportuno, in caso di delega comprendente anche le obbligazioni indennitarie, richiedere che vengano prestate idonee garanzie per l’eventuale inadempimento del terzo delegato.

 

IN DETTAGLIO

Va ricordato che, in caso di delega del procedimento espropriativo ad un soggetto terzo, le responsabilità dell’Amministrazione non vengono meno;

essa infatti deve vigilare, e se necessario intervenire, affinché il procedimento sia gestito e condotto correttamente.

 

L’amministrazione, infatti, è sempre responsabile in solido con il soggetto delegato per i maggiori oneri espropriativi spettanti ai cittadini.

Cfr. fra le altre, : Corte di Cassazione 9 ottobre 2007 n. 21096. Cassazione 21 aprile 2006 n. 9401).

 

Ed a nulla vale il fatto che l’Autorità espropriante abbia previsto in un rapporto concessorio l’assunzione diretta da parte del concessionario di tutte le obbligazioni indennitarie:

 

“Nel caso di una procedura di espropriazione per p.u. eseguita dalla impresa appaltatrice dei lavori, per delega dell’Autorità espropriante, in forza di un rapporto di concessione, la previsione nel rapporto concessorio secondo cui il concessionario assume direttamente nei confronti dei terzi tutte le obbligazioni negoziali, indennitarie e risarcitorie derivanti dall’esecuzione dell’opera da esso materialmente realizzata non comporta l’esclusione della responsabilità solidale dell’autorità delegante”

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI – 31 ottobre 2007 n. 23018.

 

Le Amministrazioni hanno quindi l’obbligo di vigilare con estrema attenzione sul corretto espletamento delle procedure espropriative perché esse ne sono sempre responsabili, anche se  hanno delegato a terzi le attività ed hanno posto a carico di terzi anche gli oneri finanziari.

 

La corretta gestione delle pubbliche risorse richiederebbe inoltre la prestazione di idonee garanzie da parte del soggetto delegato per il pagamento degli indennizzi effettivamente spettanti agli espropriati a seguito di un eventuale contenzioso, specie quando si delega a soggetti di non comprovata solidità finanziaria.

 

Ciò, nell’ipotesi in cui il soggetto delegato, per sopravvenute difficoltà finanziarie, non sia più in grado al termine dell’eventuale giudizio, di far fronte alle obbligazioni assunte e di queste debba rispondere l’Amministrazione chiamata in solido.

 

 

Sezione E  LE RESPONSABILITA’

E. 5

Obbligo di segnalazione alla Procura Regionale della Corte dei Conti.

IN SINTESI

A seguito del recente intervento legislativo che ha interessato l’articolo 26 del regio decreto 13 agosto 1933 n. 1038, è ora necessario segnalare alla Procura Regionale della Corte dei Conti le procedure che violano le norme CEDU.

 

IN DETTAGLIO

Alla luce di quanto sopra esposto, appare chiaro che l’Amministrazione deve segnalare alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti gli atti ed i fatti relativi alle procedure espropriative quando potrebbero emergere elementi idonei a configurare una responsabilità erariale per violazione delle norme CEDU.

 

Tale  segnalazione si rende ora necessaria senza indugio a seguito dell’entrata in vigore della legge del 23 dicembre 2005 n. 266, al fine di consentire al P.M. contabile di  porre in essere le necessarie misure conservative e/o revocatorie, di cui qui di seguito si riporta il testo vigente.

 

Art. 1 comma 174 della legge del 23 dicembre 2005 n. 266

Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile.

 

L’obbligo di informare immediatamente la competente Procura Regionale della corte dei Conti s’impone  perché, in tema di azione revocatoria, occorre riferirsi al momento in cui si verifica l’illecito contabile.

 

”Nel giudizio di revocatoria innanzi alla Corte dei conti, ai fini dell’accertamento della anteriorità del credito rispetto all’atto di disposizione del presunto responsabile-debitore che sia pregiudizievole per le ragioni dell’erario, occorre riferirsi al momento in cui si verifica l’illecito contabile, ossia il fatto dannoso patito dalla pubblica amministrazione”.(Corte dei Conti  Sezione Giurisdizionale Puglia 3.12.2008 n. 936).

 

Il quadro normativo in tema di responsabilità per danno erariale oggi delineatosi con la legge del 23 dicembre 2005 n. 266, è destinato a sgomberare il campo dal convincimento diffuso tra amministratori e  dipendenti (pubblici e privati), che l’accertamento di  eventuali responsabilità per violazione delle norme in materia di corretta applicazione delle leggi possa essere procrastinata nel tempo ed evitata con la dismissione del proprio patrimonio personale.

 

Prima della novella introdotta dall’art. 1, comma 174 della legge 23 dicembre 2005 n. 266, infatti,  la facoltà del Pubblico Ministero contabile di procedere ad azioni cautelari a tutela del credito nei confronti dei presunti responsabili del pregiudizio erariale era suscettibile di essere vanificata dalle possibili distrazioni di questi beni ad opera dei medesimi convenuti; tuttavia non esisteva la possibilità di porvi rimedio, dal momento che – (fatta eccezione per il sequestro conservativo, che godeva di speciale menzione nell’art. 48 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 e nell’art. 5 della l. n. 19/1994) –  il Pubblico Ministero Contabile poteva esperire solo un’ attività sollecitatoria nei confronti della P.A. danneggiata, ma ciò non garantiva che effettivamente le misure cautelari venissero attivate con la sollecitudine che il rimedio stesso richiedeva.

 

Oggi, invece, L’art. 1, comma 174 della legge n. 266/2005 ha riconosciuto invece questa possibilità al Pubblico Ministero Contabile, nell’ambito del rafforzamento dei poteri a lui spettanti a garanzia del credito erariale.

 

Di conseguenza, la Procura Regionale della Corte dei Conti deve essere immediatamente informata, per metterla nelle condizioni di esperire le misure conservative ad essa attribuite dalla citata novella legislativa.

 

Sezione F CONCLUSIONI

F. 1

Conclusioni.

IN SINTESI

Le richieste dell’espropriato, le leggi da applicare e la prefigurazione dell’esito di un eventuale contenzioso.

 

IN DETTAGLIO

E’ noto che le Amministrazioni, quando procedono ad un esproprio, hanno l’obbligo di prevedere e determinare correttamente le somme necessarie a corrispondere gli indennizzi, (oltre, ovviamente, all’obbligo di procedere nel pieno rispetto della legislazione che disciplina la procedura espropriativa).

 

Ed è anche noto che le Amministrazioni, in adempimento al principio di economicità (art 2 comma 2 dpr 2001/327) hanno l’obbligo, se tecnicamente possibile, di modificare il tracciato dell’opera quando la modifica produce costi inferiore ai costi da sostenere per corrispondere le indennità correttamente determinate.

 

Si ha motivo di ritenere che il progetto relativo all’opera pubblica di cui trattasi possa rivelarsi non del tutto conforme ad un corretto esercizio del potere ablatorio che, in quanto potere discrezionale, richiede un contemperamento degli interessi pubblici con gli eventuali interessi privati coinvolti nella procedura.

 

Quando si procede ad un esproprio, infatti, occorre condurre una ponderata valutazione comparativa dei contrapposti interessi coinvolti nella vicenda espropriativa, al fine di individuare, ove possibile, soluzioni alternative che consentano:

 

  1. Un minor sacrificio del diritto di  proprietà dei soggetti privati
  2. Un minor costo per l’Amministrazione.

 

La valutazione comparativa, un tempo considerata intrinseca ad un corretto esercizio del potere amministrativo discrezionale, è oggi imposta dal principio di “proporzionalità”,  a mente del quale il sacrificio imposto al privato è legittimo soltanto se contenuto in termini di stretta necessità ed adeguatezza.

Tale principio, di derivazione comunitaria, trova applicazione nell’ordinamento italiano per effetto del rinvio contenuto nell’art. 1, comma 1 L .n 241/1990, come modif. con l. 15/2005, ai “principi dell’ ordinamento comunitario”, il cui rispetto diviene doveroso all’interno di ogni procedimento amministrativo.

 

Quanto detto vale a maggior ragione in materia di espropriazione per pubblica utilità in cui, com’è noto, la giurisprudenza ha da tempo affermato il principio secondo cui le garanzie partecipative inerenti al cosiddetto giusto procedimento devono essere applicate al procedimento preordinato alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, in quanto è in tale fase che l’amministrazione compie la propria valutazione circa l’utilità dell’intervento, e procede alla ponderazione ed al confronto degli interessi in esso coinvolti.

 

E’ pertanto necessario che in tale fase – in cui è ancora possibile per il privato influire in modo effettivo sulle scelte discrezionali dell’amministrazione pubblica – sia provocato il contraddittorio, in quanto le fasi successive (occupazione d’urgenza e emissione del decreto di espropriazione) hanno un carattere attuativo di una scelta precedentemente compiuta.

Il medesimo discorso vale anche per la motivazione: in sede di decisione finale, l’amministrazione è tenuta a dar conto delle ragioni di interesse pubblico che giustificano l’intervento e di specificare se il correlativo sacrificio dell’interesse dei proprietari delle aree occorrenti poteva essere evitato mediante soluzioni alternative.

 

Sul punto, invitando codesta amministrazione a valutare essa stessa eventuali soluzioni alternative meno lesive della proprietà privata, ci si riserva di prospettare a nostra volta eventuali soluzioni alternative.

 

Quanto al principio di economicità cui deve ispirarsi l’azione amministrativa, si ricorda che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare soluzioni alternative meno onerose per le pubbliche risorse (ad es. esproprio di aree su cui non insistono fabbricati, esproprio di aree che non determinano un danno aziendale, ecc…).

 

In conclusione, alla luce di quanto sopra illustrato, può facilmente prefigurarsi l’esito di un eventuale contenzioso che il cittadino espropriato fosse costretto ad instaurare in mancanza di un accordo bonario; infatti.

  1. L’Amministrazione ha l’obbligo di ricercare e valutare con diligenza soluzioni alternative idonee a determinare minor sacrificio del diritto di  proprietà dei soggetti privati
  2. L’Amministrazione ha l’obbligo di ricercare e valutare con diligenza soluzioni alternative idonee a determinare un minor costo per l’erario, alla luce degli indennizzi che dovrà corrispondere ai sensi delle norme CEDU
  3. L’Amministrazione ha l’obbligo di aver correttamente determinato nel suo piano economico-finanziario le indennità da corrispondere ai sensi delle norme CEDU e di avere la disponibilità delle somme prima di procedere all’esproprio.

 

L’applicazione delle norme CEDU è  ineludibile, perché.

  1. Le Amministrazioni devono applicare immediatamente le norme CEDU e disapplicare le leggi interne con esse confliggenti, se vorranno evitare le responsabilità patrimoniali e contabili poste a loro carico da una legge dello Stato espressamente dettata per disciplinare il loro operato in tema di norme cedu.
  2. Se le norme CEDU non vengono applicate dall’Amministrazione, l’espropriato può far ricorso ai Giudici Italiani, che hanno ora il preciso dovere di applicarle direttamente, senza costringere i cittadini a “costosi  e superflui” passaggi attraverso la Corte Costituzionale.
  3. Se le norme CEDU non vengono applicate dai Giudici Italiani, l’espropriato può sempre fare ricorso alla Corte Europea.
  4. La Corte Europea, ovviamente, applicherà le norme CEDU.

 

Non applicare le norme CEDU comporta:

  1. Un aggravio di spese per le Amministrazioni ed i Soggetti equiparati, in termini di maggiori oneri, rivalutazioni, interessi, ecc…
  2. Un aggravio di spese per i beneficiari dell’esproprio, se ve ne sono;
  3. Una prevedibile responsabilità per danno erariale a carico di amministratori e dipendenti (pubblici e privati), anche dopo la cessazione dalla carica o dall’ufficio.

 

Tutto ciò premesso e considerato, lo scrivente

 

AVVERTE 

che, in denegata ipotesi, si vedrnno costretti ad agire in giudizio riservandosi, se necessario, di adire anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per veder integralmente tutelati i suoi diritti e rispettate le garanzie stabilite dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi Protocolli Addizionali

 

RICORDA

che l’applicazione delle norme CEDU è ineludibile perché se esse non vengono applicate  dalle Amministrazioni o dai Giudici Italiani, saranno  applicate dalla Corte Europea, alla quale l’espropriato può sempre fare ricorso.

 

RICORDA

che l’art 16 bis, comma 5 della legge 4.5.2005 n. 1, impone alle Amministrazioni (ed ai Soggetti equiparati) l’obbligo di dare immediata applicazione alle norme CEDU e prevede pesanti responsabilità per la violazione dell’obbligo imposto.

 

INVITA

codesta amministrazione  ad accertarsi di avere la disponibilità delle somme necessarie a corrispondere gli indennizzi in misura adeguata alle norme CEDU  o, in caso di delega, ad accertarsi che i soggetti delegati abbiano tale disponibilità e che essi prestino idonee garanzie all’Amministrazione.

 

RICORDA

che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza contabile sopra richiamato, gli Amministratori, i Dipendenti ed i Soggetti anche privati che non determinano correttamente gli indennizzi (o che procedono all’esproprio senza avere la disponibilità delle somme necessarie a corrispondere gli indennizzi correttamente determinati), si rendono responsabili di danno erariale nel caso in cui l’Ente venga condannato, a seguito dell’esperimento del giudizio di opposizione alla stima, all’esborso di somme maggiori rispetto a quelle determinate in sede amministrativa.

 

SI RENDE COMUNQUE DISPONIBILE

in un clima di proficua partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo e nell’ottica di una soluzione stragiudiziale della vicenda, a collaborare per raggiungere  un accordo bonario, che rappresenta certamente il migliore mezzo per perseguire gli scopi di cui all’art. 2 comma 2 del DPR 2001/327 (economicità, efficacia, efficienza, semplificazione dell’azione amministrativa).

 

Resta in attesa di tempestivo riscontro e di conoscere gli ulteriori atti ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, anche al fine di verificare se sussistano o meno i margini per una eventuale composizione bonaria della vicenda espropriativa.

 

OMISSIS

 

A.N.P.T.ES.
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