L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 11848/2024 costituisce un importante contributo in materia di espropriazione per pubblica utilità, con particolare attenzione alla determinazione dell’indennità spettante al proprietario in funzione della natura urbanistica dei terreni ablati. L’analisi della pronuncia offre la possibilità di approfondire i rapporti tra vincoli urbanistici, edificabilità legale, vincoli assoluti e relativi, nonché le conseguenze di tali qualificazioni sulla determinazione del valore venale dei fondi oggetto di esproprio.
La vicenda trae origine dall’opposizione alla stima proposta dalle signore OMIS contro il Comune di Atripalda, relativa a due particelle espropriate per finalità pubbliche: la n. 839 (già frazionata) e la n. 196. Il Comune aveva offerto un’indennità commisurata alla natura edificabile della prima particella e a quella agricola della seconda. Le ricorrenti contestavano la qualificazione delle aree e l’entità degli indennizzi.
Il procedimento ha visto numerosi passaggi tra Corte d’Appello e Cassazione, tra cui una precedente pronuncia (Cass. n. 10913/2003) che aveva riconosciuto la natura agricola della particella 196, e altre decisioni relative all’indennità di occupazione e a presunti giudicati esterni.
Il cuore della controversia riguarda la qualificazione urbanistica delle aree espropriate e il conseguente criterio per la determinazione del valore venale ai fini indennitari.
La Cassazione richiama numerosi principi:
“Le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità), non valendo neppure la circostanza secondo cui la natura edificatoria deriverebbe dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto essere realizzati anche da privati.” (Ordinanza n. 11848/2024, p. 17-18)
Il provvedimento affronta dettagliatamente la differenza tra vincoli:
La Corte ribadisce che la presenza di questi vincoli deve essere tenuta in primaria considerazione, anche quando la destinazione urbanistica “formale” sembra attribuire carattere edificatorio.
La sentenza censura la Corte d’Appello per non aver considerato i certificati di destinazione urbanistica prodotti dalle parti, che individuavano la presenza di vincoli di inedificabilità su parte delle aree.
Solo l’esame puntuale di tali certificati permette di distinguere tra aree effettivamente edificabili e aree a destinazione pubblica o agricola, con vincoli che precludono lo ius aedificandi.
La Cassazione richiama il principio consolidato secondo cui il criterio unico e dirimente per la determinazione dell’indennità è l’edificabilità legale, ossia la possibilità di edificazione riconosciuta dalla legge o dagli strumenti urbanistici generali.
“Il sistema di ricognizione e valutazione degli immobili li suddivide in base al binomio edificabilità-non edificabilità, dove questo secondo termine contrassegna tutti i beni cui non possa riconoscersi il parametro dell’edificabilità secondo l’accezione legale del termine, che corrisponde alle prescrizioni della disciplina urbanistica; detto sistema ha prescelto quale unico criterio per individuarne l’appartenenza all’una o all’altra categoria, quello dell’edificabilità legale, riconosciuta cioè direttamente ed esclusivamente dalla legge o, per essa, dagli strumenti urbanistici generali.” (Ordinanza n. 11848/2024, p. 18)
Sulla scorta di questi principi, la Corte stabilisce che:
L’ordinanza cita e applica numerose disposizioni legislative e precedenti giurisprudenziali:
La Cassazione accoglie il ricorso del Comune, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello per una nuova valutazione che tenga conto dei vincoli urbanistici e dei certificati di destinazione urbanistica.
Principi affermati:
L’ordinanza n. 11848/2024 ribadisce la centralità della funzione pubblica nella disciplina espropriativa e pone limiti rigidissimi al riconoscimento di valori edificatori a terreni vincolati a uso pubblico.
La pronuncia rafforza la linea giurisprudenziale che mira a evitare indebiti arricchimenti in danno dell’interesse pubblico e assicura trasparenza e coerenza nella determinazione delle indennità di espropriazione.
L’attenzione alla documentazione urbanistica, ai vincoli assoluti e ai requisiti dell’edificabilità legale rappresenta una garanzia per l’effettiva tutela dei diritti dei privati e della collettività.
La sentenza, in conclusione, contribuisce a delineare con chiarezza il confine tra proprietà privata e interesse pubblico nella materia delle espropriazioni, fornendo un quadro di certezze giuridiche utile sia agli operatori del diritto sia agli enti esproprianti.