L’espropriazione per pubblica utilità è uno strumento legittimo, ma anche potenzialmente lesivo, che lo Stato può utilizzare per acquisire beni privati al fine di realizzare opere di interesse collettivo. Quando però il procedimento espropriativo è condotto in modo scorretto, o viene realizzato al di fuori dei limiti imposti dalla legge, il cittadino ha diritto a ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti. In alcuni casi, il risarcimento è alternativo alla restituzione del bene; in altri è l’unico rimedio per rimediare alla lesione della proprietà privata.
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I casi nei quali è possibile ottenere il risarcimento danni nel contesto di un esproprio sono diversi. Tra i più frequenti si segnalano:
Il danno può essere di natura patrimoniale (perdita del bene, perdita di redditività, diminuzione di valore) o non patrimoniale (danno morale, esistenziale, stress e disagio familiare documentabili).
L’indennità è la somma riconosciuta dalla legge per l’espropriazione legittima e viene calcolata secondo criteri oggettivi, come il valore venale del bene. Il risarcimento, invece, nasce da una condotta illegittima o dannosa dell’amministrazione e ha natura civilistica.
Le principali differenze sono:
Laddove il procedimento presenti vizi insanabili, come:
il proprietario può chiedere al giudice:
La domanda va proposta al tribunale civile competente con perizia tecnica, prove documentali e quantificazione dettagliata del pregiudizio subito.
In alcuni casi, la Pubblica Amministrazione si immette nel possesso del bene senza un atto legittimo (occupazione d’urgenza non adottata, dichiarazione scaduta, decreto assente). Si parla allora di occupazione senza titolo.
Questa condotta dà luogo a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e consente al proprietario di chiedere:
In presenza di prove chiare, il giudice può accogliere la domanda anche dopo anni, purché il diritto non sia prescritto (termine ordinario di 10 anni).
La legge impone che il decreto di esproprio sia preceduto dal pagamento o dal deposito dell’indennità. Laddove ciò non avvenga, si realizza una forma di esproprio senza indennizzo, vietata dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU.
Il risarcimento è riconosciuto se:
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato lo Stato italiano per espropriazioni prive di effettivo indennizzo. Il giudice civile italiano può riconoscere un danno pari al valore del bene più rivalutazione, interessi e danni accessori.
Laddove l’espropriazione interessi solo una parte del fondo, può verificarsi un deprezzamento della porzione residua. In questi casi il proprietario ha diritto a un indennizzo aggiuntivo per:
L’art. 33 del DPR 327/2001 prevede che l’indennità tenga conto anche di tali effetti indiretti. Se ciò non accade, il proprietario può promuovere azione di risarcimento separata per ottenere il differenziale non riconosciuto.
Quando un terreno viene vincolato a fini espropriativi ma il procedimento non viene attivato entro 5 anni, il vincolo decade. Il proprietario può chiedere il risarcimento per la compressione subita durante la vigenza del vincolo.
Il danno può riguardare:
Questo tipo di danno, detto anche “danno da pianificazione”, può essere liquidato dal giudice se il proprietario dimostra la natura espropriativa del vincolo e l’assenza di compensazioni urbanistiche.
Nel caso in cui l’amministrazione abbia realizzato un’opera pubblica su un terreno privato senza esproprio formale, si configura la cosiddetta espropriazione indiretta.
In passato si parlava di “accessione invertita”. Oggi, secondo la giurisprudenza più recente, la costruzione non determina automaticamente il trasferimento della proprietà ma solo l’obbligo dell’ente di risarcire integralmente il danno patrimoniale.
La Cassazione ha più volte affermato che in simili casi il proprietario conserva il diritto alla restituzione o, in alternativa, al pagamento del valore attuale del bene più gli accessori.
Per ottenere un risarcimento, il danneggiato deve fornire:
La domanda deve essere fondata su elementi concreti e ben articolata. Il giudice può disporre consulenza tecnica d’ufficio per quantificare il danno.
La domanda di risarcimento si prescrive:
La competenza è del giudice ordinario (Tribunale o Corte d’Appello). Il TAR non può pronunciarsi sul risarcimento salvo che venga richiesto in via accessoria al ricorso amministrativo.
Il processo civile per ottenere il risarcimento richiede:
La durata media può variare da 12 a 36 mesi. Se il ricorso viene accolto, il giudice può condannare l’amministrazione anche al pagamento delle spese legali e tecniche.
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