Nel settembre del 1982, [PERSONA1] vendeva a [SOCIETÀ1] un terreno sito nel territorio di [COMUNE1], in località [LOCALITÀ1], per un corrispettivo definito nell’atto notarile. Parte di quest’area era destinata, secondo il vigente Programma di Fabbricazione, alla realizzazione di una strada comunale. Contestualmente, le parti sottoscrivevano una scrittura privata integrativa, nella quale [PERSONA2], in proprio e quale rappresentante di [SOCIETÀ1], si impegnava, nell’ipotesi in cui il Comune avesse espropriato l’area, a riversare a [PERSONA1] la somma effettivamente percepita quale indennità di espropriazione, detratto quanto già corrisposto in sede di vendita. [PERSONA2] si obbligava inoltre ad adoperarsi affinché il Comune corrispondesse l’indennità dovuta ex lege.
Successivamente, [SOCIETÀ1] presentava un progetto di lottizzazione, che otteneva inizialmente parere favorevole dalla Commissione Edilizia. Tuttavia, interveniva l’adozione del nuovo Piano Regolatore Generale ([ANNO1]), che mutava la destinazione dell’area, rendendola edificabile nella sua interezza e quindi sottraendola alla destinazione a strada pubblica.
A distanza di anni, [PERSONA1], riscontrando la mancata espropriazione e la mutata destinazione dell’area, agiva in giudizio per ottenere il pagamento della differenza di valore e l’esecuzione della strada. Le società acquirenti e i successivi aventi causa eccepivano la prescrizione, la nullità della scrittura privata e la mancanza di responsabilità, chiamando a loro volta in causa i successivi acquirenti.
Il Tribunale rigettava la domanda di [PERSONA1], ritenendo che il mancato avveramento della condizione non fosse imputabile ai convenuti e che non sussistesse alcun danno risarcibile. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado, sottolineando che gli acquirenti avevano adempiuto agli obblighi e che il mancato perfezionamento della lottizzazione e la mancata realizzazione della strada pubblica erano dovuti a circostanze non imputabili alle parti private, ma alla discrezionalità della pubblica amministrazione e a mutamenti urbanistici sopravvenuti.
La Cassazione chiarisce che la scrittura privata integrativa introduceva un’obbligazione condizionata all’evento futuro e incerto dell’espropriazione. L’obbligo di riversare l’indennità maturava solo al verificarsi dell’espropriazione e in misura corrispondente alla somma effettivamente percepita, al netto di quanto già corrisposto in sede di vendita.
La Suprema Corte richiama il principio secondo cui, se l’avveramento della condizione è stato impedito da una delle parti, la condizione si considera avverata (art. 1359 c.c.), ma la prova dell’impedimento doloso o colposo della condizione grava su chi invoca la fictio iuris. Nel caso concreto, [PERSONA1] non ha fornito elementi atti a dimostrare che l’acquirente abbia dolosamente o colposamente impedito l’espropriazione, né che abbia omesso di attivarsi contro l’inerzia dell’amministrazione comunale.
La Corte ribadisce che la discrezionalità urbanistica della pubblica amministrazione consente il mutamento della destinazione d’uso dei suoli anche in presenza di convenzioni o accordi tra privati. La potestà di pianificazione urbanistica del Comune non può essere vincolata dalle volontà delle parti e può comportare la perdita dell’interesse pubblico all’opera programmata (in questo caso, la strada), mutando così l’assetto urbanistico e rendendo edificabile un’area inizialmente destinata a uso pubblico.
Il caso in esame offre spunti di riflessione anche sulla disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità. L’espropriazione, ancorché prevista da strumenti urbanistici o convenzioni tra privati, rimane evento eventuale e subordinato alla scelta discrezionale della pubblica amministrazione. Nessun soggetto privato può vantare un diritto all’espropriazione in assenza di un provvedimento amministrativo di avvio del procedimento ablativo.
L’autonomia privata consente di prevedere obbligazioni condizionate all’eventuale espropriazione, ma il diritto all’indennità, così come eventuali obblighi accessori (come il riversamento pattuito), sorge solo con il perfezionamento della procedura ablativa. In assenza dell’evento espropriativo, tali obblighi restano sospesi e non si trasformano in diritti certi. La scrittura privata non può vincolare la pubblica amministrazione né incidere sull’esercizio della funzione pianificatoria e sull’interesse pubblico.
Nel caso specifico, il mutamento della destinazione urbanistica a seguito del nuovo Piano Regolatore, che ha reso edificabile l’intera area, ha fatto venir meno sia il presupposto dell’espropriazione sia l’interesse pubblico alla realizzazione della strada. La Corte sottolinea che tale mutamento è espressione legittima della discrezionalità pianificatoria e non può essere considerato inadempimento contrattuale delle parti private, né fonte di responsabilità risarcitoria. Solo la dimostrazione di un comportamento doloso o colposo degli acquirenti potrebbe fondare la fictio dell’avveramento della condizione (art. 1359 c.c.), ma tale prova manca.
Il caso affrontato dalla Cassazione n. 12937/2024 consente di approfondire i rapporti tra autonomia privata, convenzioni urbanistiche e strumenti di pianificazione.
Né la stipula di una scrittura privata, né l’avvio di pratiche urbanistiche (es. lottizzazione) possono trasformare un interesse legittimo (alla realizzazione dell’opera pubblica) in un diritto soggettivo all’esproprio o all’indennità.
La pronuncia n. 12937/2024 della Cassazione rafforza alcuni capisaldi dell’ordinamento:
La sentenza offre così strumenti interpretativi chiari agli operatori del diritto e ai privati coinvolti in vicende urbanistiche complesse, contribuendo a prevenire contenziosi fondati su aspettative non tutelabili e a rafforzare la certezza dei rapporti giuridici.
Questa decisione invita, sul piano pratico, a una maggiore attenzione nella stesura di clausole contrattuali relative a terreni suscettibili di espropriazione: