L’espropriazione per pubblica utilità rappresenta una delle più significative manifestazioni del potere autoritativo della Pubblica Amministrazione, incidendo direttamente sul diritto di proprietà privata. Il bilanciamento tra interesse pubblico e tutela del privato trova, in questa materia, una delle sue massime espressioni e pone questioni di grande rilievo giuridico, etico e sociale.
La recente ordinanza della Cassazione n. 23971/2024 offre una chiara fotografia dei profili problematici e delle soluzioni interpretative adottate dalla giurisprudenza in un contesto peculiare: l’espropriazione di aree a seguito di eventi sismici, in deroga alle ordinarie previsioni urbanistiche e nel quadro di una disciplina emergenziale. Attraverso una dettagliata ricostruzione del caso concreto e dei principi generali, questo articolo intende fornire un’analisi sistematica e critica dei punti cardine dell’espropriazione per pubblica utilità, con particolare attenzione ai criteri indennitari, all’operatività delle deroghe emergenziali e alla tutela dell’espropriato.
Il ricorrente, divenuto proprietario di diversi terreni siti nel Comune dell’Aquila, si è visto coinvolto in una procedura espropriativa avviata a seguito del sisma del 6 aprile 2009. Le amministrazioni competenti – Commissario delegato, Ufficio Speciale per la Ricostruzione, Comune – hanno localizzato le aree destinate alla realizzazione di moduli abitativi e opere di urbanizzazione, procedendo dapprima all’occupazione e poi all’espropriazione.
L’indennità provvisoria di esproprio e quella di occupazione temporanea sono state determinate sulla base di valori unitari che il proprietario ha ritenuto sottostimati, contestando la mancata considerazione dell’incremento di valore successivo al sisma e chiedendo la rideterminazione dell’indennità stessa, oltre a un equo ristoro per la diminuzione di valore dei terreni adiacenti non espropriati.
La Corte d’appello dell’Aquila, riuniti i diversi giudizi, ha:
Il proprietario ha proposto ricorso per cassazione, contestando in particolare il criterio temporale adottato per la valutazione dei terreni e la mancata considerazione delle variazioni di valore maturate successivamente al sisma.
L’art. 42, comma 3, della Costituzione sancisce la possibilità di espropriazione della proprietà privata per causa di pubblica utilità, nei casi e modi previsti dalla legge e con il riconoscimento di un giusto indennizzo. La disciplina ordinaria è contenuta nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico Espropri), che prevede, all’art. 32, il criterio generale di determinazione dell’indennità in base alle caratteristiche del bene “al momento dell’accordo di cessione o dell’emanazione del decreto di esproprio”, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa, senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio.
La disciplina generale è stata derogata, in occasione di eventi calamitosi straordinari, da norme speciali. Nel caso di specie, il D.L. 28 aprile 2009, n. 39, convertito in L. 24 giugno 2009, n. 77, ha attribuito al Commissario delegato ampi poteri di localizzazione e di espropriazione, “anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche”, imponendo criteri peculiari per la determinazione dell’indennità.
L’art. 2, comma 6, del D.L. 39/2009, stabilisce che “l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione è determinata dal Commissario delegato entro sei mesi dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del 6 aprile 2009”.
Questa disposizione, come sottolineato dalla giurisprudenza, mira a:
L’ordinanza in commento sottolinea come il legislatore abbia inteso “neutralizzare” le variazioni urbanistiche dipendenti unicamente dall’evento sismico, evitando così una “corsa al rialzo” dei prezzi e disparità di trattamento tra proprietari di aree inserite o meno nei provvedimenti di localizzazione. Il criterio temporale ancorato alla data del sisma garantisce che l’indennità sia commisurata al valore effettivo del bene prima dell’evento straordinario, impedendo che l’interesse pubblico resti ostaggio di dinamiche speculative.
La soluzione adottata trova riscontro in analoghe disposizioni dettate per altri eventi catastrofici (es. terremoto del Belice nel 1968, sisma in Emilia-Romagna nel 2012), che hanno sempre fatto riferimento al valore del bene alla data dell’evento, depurato dalle fluttuazioni indotte dall’emergenza.
La Corte ribadisce il principio per cui l’indennizzo non deve necessariamente coincidere con il valore integrale del bene, ma deve rappresentare un “serio ristoro” per la perdita subita, in modo da rispettare il bilanciamento tra interesse pubblico e tutela del privato (Corte Cost., sent. 173/1991, 1022/1988, 355/1985, 223/1983, 5/1980; CEDU, art. 1, Protocollo n. 1). L’indennità può essere inferiore al valore di mercato, specie in presenza di obiettivi legittimi di pubblica utilità e in situazioni emergenziali, purché non sia irrisoria o meramente simbolica.
In materia di indennità di espropriazione, la Cassazione ha stabilito che si tratta di debiti di valuta, non di valore: solo ove sia dimostrato un maggior danno da ritardo, è possibile riconoscere la rivalutazione monetaria oltre agli interessi legali (art. 1224 c.c.). Nel caso analizzato, il ricorrente non ha allegato né provato l’esistenza di tale danno, sicché la domanda è stata respinta.
La domanda di ristoro per il deprezzamento dei terreni residui non espropriati è stata dichiarata inammissibile per difetto di autosufficienza: il ricorrente non ha riportato né documentato il contenuto delle difese e della CTU, né ha fornito elementi idonei a dimostrare la sussistenza e la quantificazione del danno. La Corte ribadisce il principio secondo cui la mera mancata riproposizione di una domanda non equivale a rinuncia, ma è necessario che risulti inequivocabilmente il venir meno dell’interesse a coltivarla; tuttavia, l’onere di dimostrare tale coltivazione grava su chi la deduce.
La pronuncia affronta anche rilevanti questioni processuali:
L’ordinanza in esame mostra come, in presenza di eventi straordinari, il legislatore possa legittimamente derogare alla disciplina ordinaria dell’espropriazione, purché la deroga sia giustificata da esigenze di interesse pubblico e rispetti i principi di ragionevolezza, proporzionalità ed equità. La retrodatazione del criterio indennitario alla data del sisma è espressione di questa logica, e trova riscontro anche nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che riconosce agli Stati un ampio margine di discrezionalità in materia di espropriazione per pubblica utilità.
La “sterilizzazione” degli incrementi di valore determinati dalle nuove destinazioni urbanistiche imposte dall’emergenza è funzionale a evitare che l’espropriazione diventi strumento di arricchimento casuale per alcuni proprietari, a scapito dell’interesse generale e della parità di trattamento. Tale impostazione, pur sacrificando in parte le aspettative di guadagno degli espropriati, garantisce una maggiore equità e trasparenza nell’azione amministrativa.
L’analisi del caso offre diversi spunti di riflessione:
L’ordinanza analizzata rappresenta un esempio paradigmatico di come il diritto espropriativo sia chiamato a confrontarsi con situazioni di emergenza e con la necessità di bilanciare, in modo equo e ragionevole, i diversi interessi in gioco. Il rispetto delle destinazioni urbanistiche antecedenti l’evento calamitoso, la neutralizzazione degli incrementi di valore casuali, la salvaguardia di un serio ristoro per il proprietario espropriato e il rigoroso rispetto delle regole processuali costituiscono i pilastri di una disciplina che, pur nelle sue criticità, cerca di garantire la giustizia sostanziale e procedurale.
Per il giurista, l’operatore e il cittadino, la lezione è chiara: la legalità e l’equità richiedono attenzione costante non solo alle norme, ma anche ai principi che le ispirano e alle circostanze specifiche in cui si trovano ad operare.