La sentenza della Suprema Corte n. 15804/2024 affronta una questione centrale nell’ambito dell’espropriazione per pubblica utilità: la corretta determinazione dell’indennità spettante al proprietario di un’area edificabile, con particolare riferimento alla rilevanza degli oneri perequativi e compensativi previsti negli accordi urbanistici. Il caso qui esaminato offre lo spunto per riflettere sul rapporto tra procedimento amministrativo, disciplina dei piani urbanistici attuativi e principi che regolano la determinazione dell’indennità di esproprio.
La controversia nasce dall’espropriazione di un terreno ricompreso in una lottizzazione, con pluralità di comproprietari e la successiva costituzione di un consorzio che aveva sottoscritto con il Comune accordi urbanistici per il cambio di destinazione d’uso e la realizzazione delle opere di urbanizzazione. Uno dei comproprietari (IGAF s.n.c.) aveva manifestato dissenso rispetto alle scelte degli altri e non aveva aderito alla domanda di permesso a costruire, né alla formazione del consorzio.
La Giunta comunale aveva approvato la variante urbanistica e apposto il vincolo espropriativo, incaricando poi un tecnico della stima dell’area dei dissenzienti. Mentre il Comune riteneva congrua la quantificazione di un’indennità provvisoria di circa € 98.000, IGAF la contestava come palesemente inadeguata, chiedendo una liquidazione superiore a € 497.000. La Corte d’appello, dopo consulenza tecnica, determinava l’indennità in circa € 244.000.
Le questioni centrali sottoposte alla Corte di Cassazione sono:
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale del Consorzio e del ricorso incidentale del Comune di Lavagno, rilevando la totale apparenza della motivazione della Corte d’appello in ordine all’esclusione degli oneri perequativi dalla stima e la carenza di motivazione circa la rilevanza del ripensamento del CTU. Il giudice di rinvio dovrà chiarire se e in che misura i contributi straordinari di perequazione e gli oneri di urbanizzazione incidano sulla determinazione dell’indennità.
Sul punto, la Corte richiama la giurisprudenza secondo cui “il valore venale è accertato con metodo sintetico-comparativo” e che “il mercato sconta preventivamente nella determinazione del valore delle aree edificabili” anche gli oneri connessi allo sfruttamento del suolo, per cui una loro ulteriore sottrazione sarebbe una duplicazione non consentita.
La Corte rigetta invece il ricorso incidentale di IGAF, evidenziando che la valutazione fiscale non è determinante per la stima del valore di mercato dell’area, che deve essere oggetto di autonoma valutazione tecnica.
Il principio costituzionale impone che l’indennità sia congrua, parametrata al valore venale dell’area, e tenga conto delle sue caratteristiche urbanistiche effettive all’atto dell’esproprio. La determinazione deve risultare trasparente e motivata, evitando sia indennizzi simbolici sia doppi benefici o duplicazioni di oneri.
Elemento centrale nel caso in esame è la natura degli oneri perequativi e compensativi, che derivano da accordi urbanistici finalizzati al cambio di destinazione d’uso. Secondo la Cassazione, tali oneri sono assimilabili agli oneri di urbanizzazione e, in linea generale, il valore di mercato delle aree urbanizzate già tiene conto di detti oneri se il metodo di valutazione è quello sintetico-comparativo, in quanto il mercato incorpora tali costi nel prezzo.
La Corte precisa che, in assenza di elementi di fatto che attestino il contrario, un’ulteriore detrazione dal valore stimato non è consentita.
Fondamentale è la necessità che il giudice motivi adeguatamente la scelta di aderire o meno alle conclusioni del CTU e che dia conto delle osservazioni delle parti, specie quando esse incidono in modo rilevante sulla quantificazione dell’indennità.
La Cassazione stigmatizza la motivazione “apparente” che non consente di ricostruire il ragionamento della Corte d’appello, imponendo un nuovo esame approfondito in sede di rinvio.
La Corte esclude che le valutazioni fiscali operate dal Comune (IMU, ICI) costituiscano parametro vincolante per la valutazione espropriativa, trattandosi di criteri e finalità diversi da quelli sottesi alla determinazione del serio ristoro dovuto al proprietario espropriato.
Questa sentenza conferma il principio per cui la stima dell’indennità di esproprio deve riflettersi sul reale valore di mercato dell’area, evitando duplicazioni o detrazioni non giustificate degli oneri urbanistici. La motivazione deve essere reale, approfondita e verificabile, specie in presenza di contestazioni tecniche delle parti.
Il caso esaminato rappresenta un importante contributo alla chiarezza applicativa del principio di “serio ristoro”, imponendo al giudice di merito di motivare puntualmente le sue scelte e di attenersi ai criteri oggettivi e trasparenti nella valutazione del valore dei beni espropriati.