L’ordinanza n. 11617/2024 della Corte di Cassazione si inserisce in un contesto giurisprudenziale di forte rilievo per chi subisce espropri per pubblica utilità. Il nodo da sciogliere ruotava attorno alla cessione volontaria di beni immobili in funzione di un progetto pubblico mai realizzato e alla possibilità, da parte dei cedenti, di recuperare la proprietà degli immobili attraverso l’usucapione, sostenendo la mancata immissione in possesso della Pubblica Amministrazione.
L’espropriazione è un procedimento ablatorio che consente alla Pubblica Amministrazione di acquisire la proprietà privata per la realizzazione di opere di pubblica utilità, dietro corresponsione di un’indennità. Essa trova fondamento costituzionale nell’art. 42, co. 3, Cost., e disciplina organica nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico Espropri).
Elementi fondamentali del procedimento sono:
La cessione volontaria rappresenta un’alternativa negoziale alla procedura espropriativa, disciplinata dall’art. 45 T.U. Espropri. Essa consente all’espropriando di concludere un accordo con la P.A., cedendo il bene in cambio dell’indennità, prima dell’emissione del decreto.
La giurisprudenza più recente ne sottolinea la natura di atto di diritto pubblico, con effetti sostitutivi del decreto di esproprio, ma non nega il requisito dell’effettiva immissione in possesso per il perfezionamento degli effetti reali del trasferimento.
Nel diritto civile, il possesso è il potere di fatto sulla cosa con l’intenzione di tenerla come propria (art. 1140 c.c.). La detenzione, al contrario, è esercizio materiale privo dell’animus rem sibi habendi. In caso di esproprio, la distinzione assume valore centrale per comprendere se il cedente, rimasto nella materiale disponibilità del bene, possa usucapirlo.
Per acquisire il possesso ad usucapionem, è necessario un atto di interversio possessionis, ovvero la manifestazione unilaterale, conoscibile dal nuovo titolare, con cui il detentore inizia a comportarsi da possessore esclusivo.
In precedenti decisioni, la Cassazione aveva affermato che la cessione volontaria produce effetti simili al decreto di esproprio solo se seguita dalla materiale immissione in possesso. In mancanza di ciò, il cedente – rimasto in loco – potrebbe ancora vantare un potere di fatto idoneo, se accompagnato da interversio, a far decorrere il termine per l’usucapione.
Tale incertezza ha generato un contrasto interpretativo che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite.
La sentenza n. 651/2023 delle SS.UU. ha chiarito che:
Il verbale di immissione in possesso, da redigere entro due anni dalla cessione (o dal decreto), è condizione sospensiva per l’efficacia reale del provvedimento espropriativo. Senza tale adempimento, il trasferimento non si perfeziona.
Questo implica che:
Ai sensi dell’art. 24, co. 1 e 7 T.U. Espropri, la mancata immissione in possesso determina:
La decadenza è rilevabile anche d’ufficio ed è di natura oggettiva e non sanabile.
L’usucapione, quale modo originario di acquisto della proprietà, è inammissibile:
Nel solo caso di mantenimento del possesso con interversio successiva al trasferimento formale, l’usucapione può trovare spazio, ma la prova dell’interversio è rigorosissima.
La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo che la Corte d’Appello avesse trascurato i principi delle SS.UU. del 2023. La mancanza di immissione in possesso rendeva possibile un riesame sulla permanenza del diritto in capo all’ex proprietario.
Il secondo motivo (relativo all’esistenza di un diritto di superficie non trasferito) è stato dichiarato assorbito.
Chi ha ceduto volontariamente un immobile ma è rimasto in possesso senza mai essere stato formalmente spossessato può:
La Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di:
Il caso in esame ha sollevato dubbi anche sul trasferimento delle superfici: secondo il ricorrente, solo i fabbricati furono oggetto di cessione. La giurisprudenza, tuttavia, ritiene che, salvo patti contrari espressi, la cessione riguardi il bene nella sua interezza.
Talune clausole contrattuali (es. riferimento solo ai fabbricati nel calcolo dell’indennità) possono avere valenza meramente fiscale. Non indicano una cessione parziale se vi sono altre clausole che chiaramente estendono l’oggetto al bene completo (accessori, pertinenze, sedime).
Il mancato completamento delle procedure espropriative può:
Il diritto di proprietà non può essere intaccato senza una procedura rigorosa. La forma non è sufficiente: occorrono atti concreti, come l’immissione in possesso. La funzione pubblica deve accompagnarsi a una reale esecuzione dell’interesse collettivo.
Con questa ordinanza, la Corte riafferma la centralità del diritto di proprietà e l’obbligo della P.A. di perfezionare le procedure ablative. Il mancato rispetto dei termini determina la caducazione degli effetti traslativi, con possibilità per l’ex proprietario di tornare titolare a pieno titolo.