OMISSIS
Oggetto:
Il proprietario istante – assistito dagli Avvocati OMISSIS Avvocati Fiduciari aderenti all’Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati – intende far riferimento al procedimento di esproprio in oggetto in relazione al quale produce la presente memoria allo scopo di rappresentare i diritti e gli interessi suscettibili di tutela al fine di trovare un accordo bonario che possa evitare il relativo contenzioso.
Al fine, lo scrivente intende fornire sin d’ora tutti gli elementi informativi utili alla corretta quantificazione della indennita’ di esproprio.
Con la nota in oggetto, codesta amministrazione comunicava l’occupazione temporanea delle aree ivi indicate e la determinazione d’urgenza della indennita’ di esproprio quantificata in euro 1.067,90.
La realizzazione dell’opera pubblica prevede la espropriazione delle aree di cui trattasi nonche’ la demolizione di un ponte in calcestruzzo che garantisce l’accesso alla restante proprieta’ dello scrivente.
Con il decreto di cui sopra, codesta amministrazione ha omesso di prevedere l’indennita’ spettante:
Al proprietario espropriato spetta (oltre alla indennita’ per il terreno) anche una ulteriore e distinta indennita’, cosiddetta di soprassuolo, per compensarlo della perdita dei beni esistenti sul fondo alla data della immissione in possesso (nella fattispecie un ponte a calcestruzzo sul torrente OMISSIS) e dei costi necessari al ripristino dello stato dei luoghi.
Tenuto conto della vetusta’ delle opere, della strada di accesso della lunghezza di 125 ml., della bitumatura della larghezza di 4 m. e della cunetta a monte, l’indennita’ spettante puo’ essere determinata cosi’ di seguito:
e cosi’ per un totale di euro 34.375,00 (125 ml. X 275 euro)
per il ponte sul torrente OMISSIS della lunghezza di 37 ml. ed una larghezza di 4,10 m. con due pilastri centrali e spalle laterali:
e cosi’ per un totale di euro 45.709,00.
Il tutto e’ stato gia’ rappresentato a codesta societa’ con la nota del 10.4.2017.
Allo scrivente quale comproprietario spetta la relativa indennita’ in proporzione ed in ragione dei relativi diritti dominicali.
Tanto premesso, appare utile evocare il principio stabilito in materia dalla Corte di Cassazione che, dopo aver tracciato la distinzione tra la occupazione temporanea preordinata alla espropriazione (art. 22 bis d.p.r. n. 327/2001) e quella temporanea non preordinata alla espropriazione (art. 49 d.p.r. n. 327/2001) ha precisato che rientra nel giudizio di opposizione alla stima ogni domanda tesa a rivendicare l’indennita’ dei beni esistenti sui terreni espropriati:
“E tanto era sufficiente ad escludere i vizi di legittimità dedotti dai ricorrenti posto che ogni altra doglianza relativa al quantum di detto indennizzo, ai criteri stabiliti per quantificarlo dagli art. 37 e segg., alla possibilità di includervi il valore dei materiali di cava estratti ed estraibili, nonchè in caso contrario di denunciare il contrasto di dette norme con il precetto contenuto nell’art. 42 costituzione, nonchè con l’art. 1 del protocollo 1 aggiuntivo alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, non attiene alla legittimità del provvedimento di occupazione d’urgenza, – nè alla logicità e congruità della motivazione che lo stesso deve contenere. Ma si concreta necessariamente in un’opposizione alla stima di detta indennità che in base al combinato disposto degli artt. 50 (cui rinvia l’art. 22 bis) e 53 del citato T.U. appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (comma 3), e quindi alla speciale competenza in unico grado della Corte di appello (art. 50, u.c., e art. 54)…”
(Cass. SS.UU. 6.5.2009 n. 10362)
Come gia’ anticipato in premessa, dall’esame della documentazione relativa al progetto, si evince che si e’ in presenza di una espropriazione parziale, atteso che il procedimento di esproprio produrra’ una superficie relitta la quale conserva scarsa utilita’.
E’ noto che l’espropriazione parziale si verifica quando la vicenda ablativa investa una parte di un complesso immobiliare (caratterizzato da un’unitaria destinazione economica) appartenente allo stesso proprietario. Essa inoltre deve implicare per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, e cio’ per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa.
In particolare, l’art. 33/1 d.p.r. n. 327/2001 prevede che “Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata e’ determinata tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.
In materia di espropriazione parziale si registra una copiosa e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione che, anche gia’ sotto il previgente quadro normativo, aveva stabilito i principi ispiratori dell’istituto tuttora seguiti anche sotto la vigenza dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
Il criterio di stima maggiormente accreditato e’ quello cosiddetto differenziale, per effetto del quale l’indennita’ da esproprio parziale e’ determinata dalla differenza del valore di mercato che il compendio immobiliare aveva prima e dopo l’espropriazione.
“Una volta sussunta la fattispecie concreta nella previsione dell’esproprio parziale, viene meno la necessita’ di una determinazione specifica del valore di singole componenti dell’immobile, essendo sufficiente il raffronto tra i due valori complessivi pari al giusto prezzo di mercato ante e post ablazione”
(Cass. 20.6.2011 n. 13455)
“…il criterio di stima differenziale di cui alla legge n. 2359/1865 art. 40 (poi recepito dall’art. 33 del T.U.), rivolto a garantire proprio che l’indennita’ di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, e quindi anche il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato in dipendenza dell’espropriazione; ed ha applicato il principio giurisprudenziale ripetutamente enunciato da questa Corte che tale risultato può essere conseguito… detraendo dal valore venale che l’intero cespite aveva prima dell’esproprio il valore successivamente attribuibile alla parte residua (non espropriata) (Cass. 22110/2004; 13887/1999)”
(Cass. 18.11.2011 n. 24304; conformi Cass. 27.4.2011 n. 9254; Cass. 4.5.2009 n. 10217; Cass. 21.5.2007 n. 11782)
“…le Sezioni Unite (sentenza n. 9041 dell’8.4.2008) si sono pronunciate nel senso che nell’espropriazione parziale,…, vada compresa ogni ipotesi di diminuzione di valore (nella specie interclusione) della parte non interessata dall’espropriazione, con necessario riferimento al concetto unitario di proprieta’ ed al nesso di funzionalita’ tra cio’ che e’ stato oggetto del provvedimento ablativo e cio’ che e’ rimasto nella disponibilita’ dell’espropriato…”
(Cass. 10.12.2008 n. 28979)
(conformi Cass. 5.2.2008 n. 2746; Cass. n. 28817/2008; Cass. n. 19570/2007; Cass. n. 24435/2006; Cass. n. 10634/2004; Cass. n. 10570/2003; Cass. n. 10934/2001; Cass. n. 6388/2000; Cass. n. 9489/1998; Cass. n. 6722/1998).
Si rende necessario affrontare la questione in ordine alla applicabilita’ o meno nella fattispecie del criterio indennitario previsto dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge 24.12.2007 n. 244 introdotta a seguito delle note sentenze della Corte Costituzionale n. 348/2007 e n. 349/2007. Precisamente, i commi citati prevedono:
Cio’ premesso, si ritiene che la fattispecie sfugga all’applicazione della riduzione del 25 % prevista dalla normativa citata, in conformita’ ai principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimita’. In particolare, la Corte di Cassazione ha ormai da tempo stabilito che gli estremi che integrano e caratterizzano gli interventi di riforma economico – sociale:
“…-va in ogni caso ribadito che, affinchè sussista il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, esso deve riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass., 23 febbraio 2012, n. 2774, in tema di edilizia convenzionata; Cass., 28 gennaio 2011, n. 2100, relativa a terreno inserito in zona P.i.p.) (Corte di Cassazione Sez. I, Sent., 26-10-2015, n. 21708, conforme Cass. Civ. 20-10-2015, n. 21270; Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-04-2015, n. 8320; Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2014, n. 15342)
“Peraltro ogni dibattito sul punto è superato dall’insegnamento di questa corte (Cass. 16 marzo 2012 n. 4210), per il quale il fine di riforma economico sociale connota una particolare qualità di fini di utilita’ pubblica, perseguiti in un dato momento storico, e perciò devoluta esclusivamente – non già al potere discrezionale dell’amministrazione espropriante, e neppure all’interpretazione del giudice in caso di opposizione giudiziale alla stima dell’indennità, ma – al legislatore, al quale soltanto spetta di decidere (nel rispetto dei vincoli individuati dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria) se e quando avvalersi del potere di prevedere una riduzione del tipo prefigurato dalla norma” (Corte di Cassazione 28.5.2012 n. 8445) (conformi Cass. 16.3.2012 n. 4210 e Cass. 28.1.2011 n. 2100).
“Devesi osservare che,…, resta l’assorbente rilievo per il quale la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte si è ripetutamente ed anche di recente espressa affermando che siffatto intervento riformatore deve avere i caratteri della specialità, eccezionalità, temporaneità (S.U. 5265 del 2008, 9595 e 10130 del 2012) che, ovviamente, difettano totalmente nella ipotesi di un intervento funzionale alla attuazione di un PIP. Resta quindi ferma la correttezza della decisione di escludere la decurtazione del 25 %” (Cass. 3.5.2013 n. 10384).
“Ritiene il relatore che, a parte la inapplicabilità alla vicenda in disamina della novella del 2007 (Cass. 14939 del 2010 e 2774 del 2012), resta l’assorbente rilievo per il quale la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte si è ripetutamente ed anche di recente espressa affermando che siffatto intervento riformatore deve avere i caratteri della specialità, eccezionalità, temporaneità (S.U. 5265 del 2008, 9595 e 10130 del 2012) che, ovviamente, difettano totalmente nella ipotesi di un intervento funzionale alla attuazione di un PIP. Resta quindi ferma la correttezza della decisione di escludere la decurtazione del 25%.” (Cass. 28.5.2013 n. 13258).
“Non senza notare che la predetta detrazione non trova comunque applicazione nel caso in cui il procedimento sia adottato per realizzare un semplice programma di edilizia convenzionata o di P.I.P. inidonei ad integrare il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale cui la norma riconduce la riduzione del 25% del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità: intervento, che deve invece riguardare l’intera collettivita’ o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate, in attuazione di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass. sez. 1 23 febbraio 2012, n. 2774)” (Cass. 23.5.2013 n. 12757).
Ma c’e’ un argomento destinato a sgombrare il campo dagli equivoci.
Ne’ può sottacersi infatti che la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale economica e popolare, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennità di esproprio, atteso che la realizzazione del piano p.e.e.p. non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha già chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali, allora per la stessa ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio di cui trattasi (trattandosi manifestamente di esproprio isolato).
L’art. 2 comma 89 della legge n. 244/2007 prevede che nei casi in cui sia stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non e’ stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perche’ a questi e’ stata offerta un’indennita’ provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l’indennita’ e’ aumentata del 10 per cento.
Si ritiene che la corretta interpretazione dell’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007 possa autorizzare il riconoscimento del beneficio dell’aumento del 10 % della indennita’ definitiva:
E’ appena il caso di segnalare che in materia la Corte di Cassazione ha gia’ chiarito i termini della questione:
“Con riguardo alla censura di cui al terzo motivo, che conclama la mancata applicazione dell’aumento del 10 % stante la sproporzione superiore ai due decimi del quantum offerto rispetto al quantum accertato come dovuto per indennità, essa appare fondata come rilevato in relazione. In punto di fatto si rammenta, alla stregua di quanto già questa Corte ha rilevato (Cass. 2774/2012) che nella specie la dichiarazione di p.u. venne adottata ben dopo l’acquisizione di efficacia del D.P.R. n. 327 del 2001, che il procedimento venne definito con l’esproprio 4.1.2008, che la riscrittura dell’art. 37 del T.U. venne ad entrare in vigore l’1.1.2008. Orbene, lettera chiarissima e ratio della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90 fanno ritenere che l’espressione non può che riferirsi, al fine di indicare le ipotesi in cui si debba dare ingresso al testo dell’art. 37 riscritto al comma 89 secundum constitutionem, ai procedimenti determinativi pendenti all’1.1.2008, per i quali soltanto l’indennità può ancora essere determinata secondo lo jus superveniens, in tal senso potendosi richiamare quanto considerato da questa Corte (Cass. 14939 del 2010), fermo restando che, per i procedimenti espropriativi pur successivi ad 1.7.2003 ma definiti prima della entrata in vigore della novella, non può che darsi ingresso al criterio del valore venale pieno (rispettoso della pronunzia di Corte Cost. 348 del 2007) di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39. Di qui la cogenza nella specie della previsione di incremento perequativo del 10% che l’accertamento comparativo tra indennità offerta (Euro 22.315) ed indennità accertata come dovuta (Euro 288.884) conclama come evidente. E di qui, cassata la sentenza e non occorrendo altre valutazioni, la pronunzia ex art. 384 c.p.c. che determina l’importo dovuto nella maggior somma di Euro 317.773 (Euro 288.884 + 10%), della quale devesi ordinare il deposito in una con gli interessi legali, nelle forme di legge”
(Cass. 13.1.2014 n. 499) (conforme Cass. n. 2774/2012).
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione delle aree, deve tenersi conto sia della CEDU sia degli effetti prodotti nell’ordinamento dalla nota sentenza della Corte Costituzionale sentenza del 24.10.2007 n. 348 che, avendo abrogato l’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11.7.1992 n. 333 nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, in via consequenziale, l’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’), ha comportato la reviviscenza del principio generale che l’indennita’ di esproprio deve essere determinata nel valore di mercato delle aree espropriate (art. 39 della legge fondamentale n. 2359/1865 ed ora art. 37 d.p.r. n. 327/2001 come modificato ed integrato dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007).
4.1) l’art. 1 protocollo 1 addizionale alla cedu
Il principio del valore venale era del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
4.2) l’applicazione e l’efficacia della Cedu (dopo il Trattato di Lisbona ratificato con legge 2.8.2008 n. 130)
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orientamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
“Ne’ va sottaciuto che la particolare autorevolezza della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo risulta ad oggi ulteriormente avvalorata dalla rinnovata e diretta incidenza sul piano interno delle disposizioni della relativa Convenzione, e cio’ in forza del combinato disposto della nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea conseguente dalle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona (cfr. ivi, commi 2 e 3: <L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. …>; <I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali>) e dell’art. 117 primo comma costituzione come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (<La potesta’ legislativa e’ esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>)” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808).
Tuttavia, corre l’obbligo di segnalare per completezza che si e’ registrata di recente anche qualche voce contraria in materia che ha rivisitato la indicata interpretazione (C.d.A. A.P. n. 5/2015).
5.1) L’ obbligo delle amministrazioni – imposto dalla legge 296/2006 e ss. mm. – di dare applicazione diretta alle norme cedu e le sanzioni – previste dalla legge italiana – per la violazione di questo obbligo.
IN SINTESI
L’obbligo delle Amministrazioni e dei soggetti equiparati di applicare le norme CEDU, disapplicando le leggi interne con esse confliggenti, non discende solo dalle norme europee, ma discende dalla legge italiana. (l. 296/2006 e s. m.).
Anche le Autorità Esproprianti, quindi, già in sede di procedimento amministrativo di esproprio (e non solo i Giudici italiani in sede processuale), devono dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme CEDU.
Non applicare le norme CEDU comporta quindi, per Amministrazioni, Amministratori e Dipendenti pubblici e privati tutte responsabilità che derivano dalla violazione di una legge dello Stato.
Si richiama l’attenzione su una legge italiana vigente cui si è già fatto sopra cenno, le cui implicazioni in termini di responsabilità, molte Amministrazioni ed Autorità esproprianti non hanno ancora pienamente colto, anche perché la norma è stata ripetutamente “trasferita” all’interno dell’ordinamento ed è stata anche oggetto di interpretazione autentica estensiva.
Essa sancisce l’obbligo per le Amministrazioni di applicare le norme CEDU già in Italia, senza costringere gli espropriati a far ricorso in Europa.
La norma di legge è la seguente: art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11
“lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”
La norma fa il suo ingresso nell’ordinamento giuridico italiano con la legge 27.12.2006 n. 296 (art 1/1217), ed da allora è ininterrottamente in vigore.
La norma, poi, con l’art. 6 legge 25.02.2008 n. 34 è stata “trasferita”, (per dare ad essa una opportuna collocazione sistematica), nella legge quadro contenente le norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea, art. 16-bis legge 4 febbraio 2005 n. 11
La norma, infine, è stata interpretata autenticamente e se ne è esteso l’ambito di applicazione con la legge 27 febbraio 2009, n. 14, in sede di conversione del decreto legge 207/2008, di cui qui di seguito si riporta il testo vigente.
(Art. 42-ter DL 30.12.2008 n. 207 – L’articolo 16-bis della legge 4 febbraio 2005 n. 11, si interpreta nel senso che la rivalsa si esercita anche per gli oneri finanziari sostenuti dallo Stato per le definizioni delle controversie presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che si siano concluse con sentenza di radiazione o cancellazione dal ruolo ai sensi degli articoli 37 e 39 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848.)
La rivalsa nei confronti delle Amministrazioni si applica anche, di conseguenza, non solo nei casi di condanna dello Stato italiano da parte della Corte Europea, ma anche nei casi in cui il ricorso alla Corte Europea si concluda con un accordo e non con una sentenza di condanna.
La legge italiana, quindi, obbliga gli Enti Pubblici ed i soggetti equiparati, ad applicare le norme della CEDU, (disapplicando le leggi interne con esse confliggenti), ed attribuisce allo Stato il diritto di rivalersi sugli Enti che le abbiano violate.
E’ dunque appena il caso di precisare che qualora il cittadino espropriato – in caso di diniego opposto dall’Autorità Espropriante all’applicazione delle tutele prevista dalle norme della CEDU – fosse costretto a ricorrere alla Corte Europea per ottenere la piena tutela dei suoi diritti, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta allo Stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno dell’Amministrazione e dei soggetti equiparati.
Qualsiasi norma italiana che porti alla determinazione dell’indennità di esproprio in misura non adeguata ai criteri stabiliti dalla Corte Europea, quindi, deve essere disapplicata dalle Amministrazioni, prima ancora che dai Giudici.
Ed i Soggetti che operano per l’Amministrazione, indipendentemente dal fatto che siano ad essa legati da rapporto organico, o di servizio, o privati destinatari di delega, ecc, in caso di violazione delle norme CEDU, dovranno valutare gli aspetti connessi ad una loro personale responsabilità per danno erariale.
Le implicazioni di questa norma in termini di danni all’Amministrazione e Responsabilità per danno erariale di Amministratori, Dipendenti (pubblici e privati), Professionisti ecc… non sono state ancora pienamente colte da molte Amministrazioni e Soggetti equiparati, cui essa fa riferimento.
La norma, purtroppo, viene solitamente scoperta in un Giudizio con gravi danni per i soggetti che l’hanno violata.
Pare quindi opportuno esaminare qui di seguito, non solo gli obblighi imposti dalla norma, ma anche le responsabilità connesse alla sua violazione.
5.2) Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti Pubblici per la violazione delle norme CEDU
Gli Amministratori ed i Dipendenti degli Enti Pubblici che non hanno applicato le norme CEDU, se l’Amministrazione subisce una condanna, possono essere chiamati a rispondere per danno erariale
E’ noto che le Amministrazioni, quando procedono ad un esproprio, hanno l’obbligo di prevedere e determinare correttamente le somme necessarie a corrispondere gli indennizzi, (oltre, ovviamente, all’obbligo di procedere nel pieno rispetto della legislazione che disciplina la procedura espropriativa).
Ciò, purtroppo, molto spesso non avviene, con grave danno per l’erario.
Deve quindi tenersi presente che, in caso di condanna dell’Amministrazione al pagamento di una indennità di esproprio in misura superiore a quella offerta in via amministrativa (ed ovviamente a maggior ragione in caso di condanna dello Stato italiano ad opera della Corte Europea), si può configurare la Responsabilità per danno erariale in capo ai soggetti che si siano resi responsabili della violazione, in sede di procedimento di esproprio, delle norme in materia di corretta determinazione della indennità.
La responsabilità è estesa a chi ha approvato atti espropriativi senza la previsione dei fondi necessari a pagare gli aventi diritto alle indennità.
La responsabilità è estesa anche ai soggetti che operano per l’Amministrazione (indipendentemente dal fatto che siano ad essa legati da rapporto organico, o di servizio, o privati destinatari di delega, ecc…).
La Giurisprudenza in materia è copiosa ed inequivoca.
È evidente, allora, che qualora l’autorità espropriante non dovesse provvedere a determinare in modo corretto l’indennità di espropriazione, l’espropriato si vedrà costretto a ricorrere alle competenti Autorità giudiziarie nazionali (ed eventualmente anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), esponendo così ad un giudizio per danno erariale Amministratori e Dipendenti che abbiano agito in dispregio della vigente normativa nazionale ed europea in materia espropriativa.
5.3) Responsabilità per danno erariale di Amministratori e Dipendenti di Enti Privati o liberi Professionisti.
Anche gli Amministratori ed i Dipendenti degli Enti Privati che non hanno applicato le norme CEDU possono essere chiamati a rispondere per danno erariale dinnanzi alla Corte dei Conti.
Va precisato che la Responsabilità per danno erariale è estesa agli Amministratori ed ai Dipendenti di Enti Privati e ad altri Soggetti, anche privati.
Com’e noto, la recente giurisprudenza della Corte di Conti ha assunto l’indirizzo di considerare irrilevante la natura ( pubblica o privata ) del soggetto nei cui confronti viene promossa l’azione di responsabilità per danno erariale.
Tale indirizzo è stato da più parti sottoposto a critiche e se ne auspicava un mutamento.
E’ opportuno precisare che invece tale indirizzo è ormai stato definitivamente confermato dalla Corte di Cassazione, che vi ha apposto il “sigillo” delle Sezioni Unite.
”Per il resto la Corte dei Conti ha fatto applicazione del più recente orientamento di questa S.C., secondo il quale ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, in ragione del sempre più frequente operare dell’amministrazione fuori degli schemi del regolamento di contabilità di Stato e tramite soggetti in essa non organicamente inseriti, è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o un contratto di diritto privato: il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che ben può essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti (sent. 1 marzo 2 006 n. 4511)”.
(Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili 18 luglio 2008 n. 19815).
E’ quindi irrilevante la differenza fra Amministratori e Dipendenti di Enti Pubblici e Amministratori e Dipendenti di Enti Privati.
Quindi, anche i soggetti privati dalla cui attività derivi un danno all’erario, sono responsabili dinnanzi alla Corte dei Conti.
5.4) Obbligo di segnalazione alla Procura Regionale della Corte dei Conti.
A seguito del intervento legislativo che ha interessato l’articolo 26 del regio decreto 13 agosto 1933 n. 1038, è ora necessario segnalare alla Procura Regionale della Corte dei Conti le procedure che violano le norme CEDU.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare chiaro che l’Amministrazione deve segnalare alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti gli atti ed i fatti relativi alle procedure espropriative quando potrebbero emergere elementi idonei a configurare una responsabilità erariale per violazione delle norme CEDU.
Tale segnalazione si rende ora necessaria senza indugio a seguito dell’entrata in vigore della legge del 23 dicembre 2005 n. 266, al fine di consentire al P.M. contabile di porre in essere le necessarie misure conservative e/o revocatorie, di cui qui di seguito si riporta il testo vigente.
Art. 1 comma 174 della legge del 23 dicembre 2005 n. 266
“Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile”.
L’obbligo di informare immediatamente la competente Procura Regionale della corte dei Conti s’impone perché, in tema di azione revocatoria, occorre riferirsi al momento in cui si verifica l’illecito contabile.
Il quadro normativo in tema di responsabilità per danno erariale oggi delineatosi con la legge del 23 dicembre 2005 n. 266, è destinato a sgomberare il campo dal convincimento diffuso tra amministratori e dipendenti (pubblici e privati), che l’accertamento di eventuali responsabilità per violazione delle norme in materia di corretta applicazione delle leggi possa essere procrastinata nel tempo ed evitata con la dismissione del proprio patrimonio personale.
Di conseguenza, la Procura Regionale della Corte dei Conti deve essere immediatamente informata, per metterla nelle condizioni di esperire le misure conservative ad essa attribuite dalla citata novella legislativa.
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Tutto ciò premesso e considerato il proprietario istante
AVVERTE
che, in denegata ipotesi, si vedra’ costretto ad agire in giudizio riservandosi, se necessario, di adire anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per veder integralmente tutelati i loro diritti e rispettate le garanzie stabilite dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi Protocolli Addizionali
RICORDA
che l’applicazione delle norme CEDU è ineludibile perché se esse non vengono applicate dalle Amministrazioni o dai Giudici Italiani, saranno applicate dalla Corte Europea, alla quale l’espropriato può sempre fare ricorso.
RICORDA
che l’art 16 bis, comma 5 della legge 4.5.2005 n. 1 e successive modifiche impone alle Amministrazioni (ed ai soggetti equiparati) l’obbligo di dare immediata applicazione alle norme CEDU e prevede pesanti responsabilità per la violazione dell’obbligo imposto.
INVITA
codesta societa’ ad accertarsi di avere la disponibilità delle somme necessarie a corrispondere gli indennizzi in misura adeguata alle norme CEDU o, in caso di delega, ad accertarsi che i soggetti delegati abbiano tale disponibilità e che essi prestino idonee garanzie all’Amministrazione.
RICORDA
che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza contabile sopra richiamato, gli Amministratori, i Dipendenti ed i Soggetti anche privati che non determinano correttamente gli indennizzi (o che procedono all’esproprio senza avere la disponibilità delle somme necessarie a corrispondere gli indennizzi correttamente determinati), si rendono responsabili di danno erariale nel caso in cui l’Ente venga condannato, a seguito dell’esperimento del giudizio di opposizione alla stima, all’esborso di somme maggiori rispetto a quelle determinate in sede amministrativa.
SI RENDE COMUNQUE DISPONIBILE
in un clima di proficua partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo e nell’ottica di una soluzione stragiudiziale della vicenda, a collaborare per raggiungere un accordo bonario che rappresenta certamente il migliore mezzo per perseguire gli scopi di cui all’art. 2 comma 2 del DPR 2001/327 (economicità, efficacia, efficienza, semplificazione dell’azione amministrativa).
Resta in attesa di tempestivo riscontro e di conoscere gli ulteriori atti ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, anche al fine di verificare se sussistano o meno i margini per una eventuale composizione bonaria della vicenda espropriativa.
OMISSIS