L’ordinanza n. 30605/2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione affronta una tematica di particolare rilievo nell’ambito del diritto amministrativo e della tutela della proprietà: la sorte dell’azione restitutoria e risarcitoria in caso di espropriazione illegittima, nonché il rapporto tra tutela proprietaria e azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione.
La pronuncia si colloca nel solco di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa i limiti e le condizioni per l’esperibilità di azioni restitutorie e risarcitorie a fronte di procedure ablative viziate, con particolare attenzione alle ipotesi di intervenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e impossibilità della retrocessione in natura.
L’ordinanza, di notevole valore sistematico, offre spunti di riflessione anche in ordine alla natura dell’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. come rimedio sussidiario nel quadro dei rapporti tra amministrazione e privati coinvolti in procedimenti espropriativi.
Il caso trae origine da un procedimento di espropriazione per pubblica utilità avviato da un’amministrazione comunale negli anni ’70, finalizzato alla realizzazione di un’area a destinazione pubblica.
Gli atti amministrativi avevano condotto all’adozione del decreto di esproprio e al pagamento dell’indennità accettata dai privati. Tuttavia, nel tempo, si erano manifestati profili di illegittimità nella procedura, in particolare in relazione alla decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e all’impossibilità di retrocedere in natura i beni.
I ricorrenti, eredi dei soggetti espropriati, agivano in giudizio domandando:
Le corti di merito rigettavano le domande, ritenendo insussistenti i presupposti per l’azione restitutoria e per quella di arricchimento senza causa.
La questione giungeva così all’attenzione della Suprema Corte, Sezioni Unite, chiamata a chiarire l’ambito applicativo e i presupposti delle azioni esperibili in tali casi.
L’espropriazione per pubblica utilità è disciplinata dal d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
L’istituto realizza un bilanciamento tra l’interesse generale e la tutela della proprietà privata (art. 42, Cost.), prevedendo una procedura rigorosa e la corresponsione di un’indennità.
Il procedimento si articola in più fasi:
L’illegittimità del procedimento espropriativo può derivare da molteplici cause: violazione di termini, vizi sostanziali o formali degli atti, superamento dei limiti temporali della dichiarazione di pubblica utilità, mancata realizzazione dell’opera, ecc.
In presenza di tali vizi, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’occupazione acquisitiva (o “accessione invertita”), successivamente superata in favore di un modello più coerente con la tutela proprietaria, che riconosce al privato il diritto alla restituzione del bene o, se ciò non sia possibile, al risarcimento del danno.
L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. costituisce uno strumento sussidiario a tutela di chi abbia subito un depauperamento ingiustificato a vantaggio di un altro soggetto.
Nel contesto espropriativo, essa può essere invocata quando il trasferimento della proprietà sia avvenuto senza un valido titolo o in assenza della corresponsione di un giusto indennizzo, a condizione che il privato non disponga di altri rimedi.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, è stata chiamata a risolvere il seguente quesito:
in presenza di un’espropriazione illegittima, decorso il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e in assenza dei presupposti per la retrocessione, quali sono i rimedi esperibili dal privato?
In particolare, può il danneggiato agire in via principale per la restituzione o il risarcimento del danno per illegittima ablazione e, in subordine, per l’arricchimento senza causa nei confronti della pubblica amministrazione?
Le Sezioni Unite ribadiscono che il sistema offre, in primis, una tutela di tipo reale e risarcitoria al titolare espropriato illegittimamente.
Il proprietario, in caso di espropriazione priva di valido titolo, conserva il diritto alla restituzione del bene o, ove quest’ultima sia impossibile, ad un risarcimento integrale del danno subito, calcolato secondo il valore venale del bene alla data di proposizione della domanda, detratto quanto eventualmente già percepito a titolo di indennità.
Questa tutela si fonda sul principio costituzionale della proprietà privata e trova conferma nella più recente evoluzione giurisprudenziale, orientata a garantire una piena reintegrazione patrimoniale del soggetto leso.
L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c., precisa la Corte, può essere proposta solo quando manchino gli estremi di un’azione tipica di natura reale o risarcitoria.
Essa opera in via residuale, a copertura di situazioni in cui il trasferimento del bene sia avvenuto senza causa e in assenza di altri strumenti di tutela.
Nella fattispecie, essendo astrattamente configurabile l’azione di risarcimento per illegittima espropriazione – anche in caso di decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e impossibilità della retrocessione – non può essere ammessa l’azione di arricchimento, che resta preclusa dalla sussistenza di un rimedio specifico.
La soluzione adottata dalla Corte valorizza la centralità della tutela risarcitoria come presidio imprescindibile del diritto di proprietà, conformemente ai principi costituzionali e convenzionali (CEDU, art. 1, Protocollo addizionale).
Essa esclude il ricorso all’arricchimento senza causa ogniqualvolta sia esercitabile un’azione tipica, anche qualora questa comporti maggiori oneri probatori o procedurali per il danneggiato.
Tale impostazione garantisce coerenza sistematica, evitando un utilizzo distorto dell’azione di arricchimento quale scorciatoia per bypassare i presupposti e i limiti delle azioni ordinarie.
La pronuncia chiarisce i confini applicativi dell’azione di arricchimento nel contenzioso espropriativo, confermandone la funzione di extrema ratio.
Deve trattarsi di ipotesi in cui il privato non disponga di alcun’altra azione per ottenere la reintegrazione patrimoniale: ad esempio, nei casi di impossibilità giuridica o materiale di agire per la restituzione o il risarcimento tipico.
La Corte richiama, a tal proposito, la costante giurisprudenza secondo cui l’arricchimento senza causa è inammissibile laddove la legge preveda un rimedio specifico, anche se quest’ultimo sia soggetto a prescrizione o sia più gravoso da esercitare.
Dal punto di vista applicativo, la decisione rafforza la certezza dei rapporti tra amministrazione e privati, delimitando le possibilità di azione contro la pubblica amministrazione in caso di espropriazione illegittima.
Il privato dovrà innanzitutto esperire i rimedi tipici (restituzione o risarcimento danni) e solo in via del tutto residuale potrà invocare l’arricchimento senza causa, in presenza di una totale assenza di altri strumenti di tutela.
Un profilo di particolare interesse concerne la determinazione del danno risarcibile.
La Corte ribadisce che il danno deve essere calcolato sulla base del valore venale del bene al momento dell’introduzione della domanda giudiziale, detraendo quanto già percepito a titolo di indennità di esproprio.
Tale criterio garantisce una piena compensazione del pregiudizio subito, in linea con i principi di integrale reintegrazione patrimoniale.
Altro tema dibattuto riguarda la decorrenza del termine prescrizionale per le azioni di risarcimento e di arricchimento.
La giurisprudenza, richiamata dalla Corte, individua il dies a quo nel momento in cui il privato ha avuto conoscenza dell’illegittimità della procedura o della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, in coerenza con i principi generali in materia di danno extracontrattuale.
Va sottolineato come la soluzione adottata dalla Suprema Corte sia conforme ai principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che impongono agli Stati membri di assicurare una tutela effettiva e integrale della proprietà privata, anche in presenza di attività amministrative illegittime.
La possibilità di ottenere la restituzione o, in subordine, il risarcimento del danno, rappresenta un requisito essenziale di conformità convenzionale.
L’ordinanza n. 30605/2024 delle Sezioni Unite della Cassazione rappresenta un fondamentale punto di riferimento per la disciplina delle conseguenze dell’espropriazione illegittima.
La pronuncia riafferma con chiarezza la centralità della tutela risarcitoria e definisce i limiti stringenti per l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa, relegandola a rimedio residuale.
Si tratta di una soluzione che assicura coerenza e sistematicità al sistema, rafforzando la certezza dei rapporti giuridici e garantendo un bilanciamento tra interesse pubblico e tutela della proprietà privata.