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ECC.MO CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE 4 – RICORSO N. OMISSIS
(CAMERA DI CONSIGLIO DEL 24.10.2019)
MEMORIA DI COSTITUZIONE
OMISSIS
(appellati)
rappresentati e difesi nel presente giudizio giusta procura speciale in calce dall’Avv. OMISSIS ed elettivamente domiciliati nel suo citato domicilio digitale, si costituiscono in giudizio con la presente memoria
C O N T R O
il Comune di OMISSIS
(appellante) (Avv. OMISSIS)
PER LA REVOCA DEL DECRETO PRESIDENZIALE
PER IL RIGETTO
della domanda cautelare di sospensiva e dell’appello spiegati dal Comune di OMISSIS avverso la citata sentenza.
F A T T O
Si rimanda per brevità a quanto già rappresentato in merito dall’appellante nel ricorso in appello.
M O T I V I
Il Comune di OMISSIS ha censurato la sentenza impugnata, sostenendo che il T.a.r., laddove ha dato indicazioni al commissario ad acta di utilizzare le somme al di fuori del procedimento di dissesto finanziario, avrebbe integrato il giudicato per aver superato i limiti della potestà cognitiva attribuita al giudice dell’ottemperanza. Giudicato formatosi sulla sentenza n. OMISSIS in materia di silenzio che aveva imposto al comune l’obbligo di pronunciarsi sulla istanza con la quale i proprietari chiedevano all’ente di decidere se restituire o espropriare con decreto sanante i terreni a suo tempo illecitamente occupati.
Il motivo deve ritenersi infondato, sotto due diversi profili già trattati in sede di ricorso per l’ottemperanza.
In particolare, questa difesa aveva precisato che il ricorso proposto per l’ottemperanza in materia di silenzio non introduce un vero e proprio giudizio di ottemperanza disciplinato dal titolo I del libro quarto del c.p.a (artt. 112-115).
A ben vedere, esso (ricorso) rappresenta più propriamente una “istanza” con la quale la parte interessata chiede al giudice di nominare il commissario ad acta, come previsto dall’art. 117/3 c.p.a. (inserito nel titolo III del libro quarto).
Sia il procedimento sia la figura del commissario ad acta previsti dall’art. 117 c.p.a. per porre rimedio alla persistente inerzia dell’amministrazione silente (all’obbligo imposto dalla sentenza di condanna a pronunciarsi espressamente) sono radicalmente diversi da quelli previsti dall’art. 112 e ss. c.p.a. per porre rimedio alla inottemperanza dell’amministrazione (all’obbligo di provvedere all’adempimento imposto dalla sentenza di condanna).
Infatti, l’attività del commissario ad acta nominato in sede di giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del giudicato ( artt. 112 e ss. c.p.a.) [il quale costituisce, secondo la tesi prevalente, un organo ausiliario del giudice (C.d.S. n. 4299/2015)] si limita all’attuazione della decisione del giudice recante le direttive alle quali deve conformarsi la futura attività amministrativa.
Mentre, invece, l’attività del commissario ad acta nominato per l’esecuzione della sentenza in materia di silenzio si configura come attività di pura sostituzione nell’esercizio del potere che appartiene all’amministrazione inadempiente ed è collegata alla pronuncia giudiziale solo per quanto attiene al presupposto della persistente inerzia dell’amministrazione.
In sostanza, in materia del silenzio non si ha un vero e proprio giudizio di ottemperanza, come è dimostrato dalla circostanza che il codice di rito non rinvia alle norme sul giudizio di ottemperanza, ma si limita a prevedere semplicemente la nomina di un commissario ad acta.
Significativa in tal senso è la nota sentenza del 20.2.2018 n. 1072 con la quale codesto C.d.S. ha ribadito la distinzione di contenuto e di finalità tra i due procedimenti:
“Il Collegio è dell’avviso che la richiesta di istruzioni, formulata dal commissario ad acta nominato nell’ambito di un giudizio sul silenzio della P.A., abbia l’ambito suo proprio ed esclusivo, per ragioni di evidente simmetria e di coerenza del sistema, nelle materie la cui cognizione spetti al G.A., legittimato a conoscere delle contestazioni insorte avverso le decisioni assunte dal commissario, e che con questo implicito limite debba intendersi la disposizione dell’art. 117, comma 4, c.p.a.
A condurre a tale conclusione, un peso non secondario assume anche il rilievo che – se il commissario ad acta nominato in sede di giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del giudicato, ai sensi degli artt. 112 ss. c.p.a., costituisce, secondo la tesi prevalente, un organo ausiliario del giudice (v. ad es. Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4299) – diversa è la figura di commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente inerzia dell’Amministrazione, a norma dell’art. 117 c.p.a., nel senso che:
E’ pacifico che il commissario ad acta possa emettere egli stesso il decreto di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, in conformità ai principi stabiliti dalla nota sentenza n. 2/2016 del C.d.S. A.P.:
“7. L’Adunanza plenaria restituisce gli atti alla IV Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1, ultimo periodo, e 4, c.p.a., affinché si pronunci sull’appello in esame nel rispetto del seguente principio di diritto: “Il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall’articolo 42-bis D.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità -:
Ciò premesso, a tale appare opportuno chiarire la estensione ed il contenuto degli obblighi del commissario ad acta.
La giurisprudenza ha stabilito che il compito del commissario ad acta non si esaurisce con la sola emissione del decreto di esproprio sanante, ma si estende fino a l’adozione di tutti gli adempimenti di qualunque natura fino all’effettivo pagamento delle somme dovute.
Poiché infatti, ai sensi dell’art. 42 bis comma 4 d.p.r. 327/2001, il decreto di esproprio sanante “comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute…”, la mancanza del pagamento impedisce al decreto di produrre efficacia e non consente di ritenere conclusa l’attività del commissario ad acta diretta ad assicurare la piena ottemperanza alla sentenza:
“…ma anche la produzione della documentazione idonea a comprovare l’effettivo pagamento di quanto dovuto agli interessati;
ai sensi dell’art. 42 bis, comma 4, del T.U. espropriazioni, infatti, il provvedimento di acquisizione “comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14”, sicché non può reputarsi conclusa l’attività commissariale diretta ad assicurare la piena ottemperanza alla sentenza n. 12474 del 2016, dovendo il commissario adottare tutti gli atti all’uopo necessari, ivi compreso l’eventuale riconoscimento del debito fuori bilancio ed il reperimento delle risorse finanziarie, FINO ALL’EFFETTIVO PAGAMENTO DELLE SOMME DOVUTE, rideterminate alla luce della esclusione della predetta particella, secondo quanto sopra esplicitato”
(T.a.r. Lazio Roma 30.11.2018 n. 1167)
Individuati nei termini prospettati il contenuto e la estensione dei compiti del commissario ad acta, va da sé allora che l’indicazione fornitegli dal giudice dell’ottemperanza delle modalità necessarie a garantire il pagamento delle indennità previste nel decreto sanante (mediante utilizzazione delle risorse del bilancio ordinario dell’ente), e con ciò la piena esecuzione della sentenza, non comporta affatto né violazione né integrazione del giudicato.
Si riassume in estrema sintesi la tesi dell’ente appellante.
Il Comune di OMISSIS ha sostenuto:
A tal fine, il comune appellante invocava la nota giurisprudenza in materia.
Il motivo non coglie nel segno.
L’interpretazione prospettata dall’appellante è infondata laddove ha erroneamente ravvisato gli “atti e fatti di gestione” nella occupazione senza titolo dei terreni dei proprietari (intervenuta in epoca risalente negli anni 1970/1980), anziché nel decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. 327/2001 (al momento non ancora emesso).
A tal proposito, si rende necessario una più attenta riflessione per far luce sugli aspetti specifici che caratterizzano la particolare fattispecie acquisitiva di cui al citato art. 42 bis d.p.r. 327/2001, in relazione all’ipotesi in cui l’originaria occupazione illecita sia intervenuta prima della dichiarazione di dissesto finanziario dell’ente locale, mentre il decreto di esproprio sanante intervengo invece successivamente al dissesto.
Come è stato correttamente affermato dalla giurisprudenza (paradossalmente evocata a proprio danno dallo stesso ente appellante), il criterio scriminante non è il momento in cui il credito diventi certo liquido ed esigibile. Infatti, anche i crediti che siano accertati come tali dopo la dichiarazione di dissesto entrano nella massa passiva e nella liquidazione concorsuale, se derivano da fatti e atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto medesima.
Ciò che rileva invece è il momento del fatto genetico dell’obbligazione e non quello, del tutto accidentale e contingente, in cui il relativo credito diventi certo liquido ed esigibile (C.G.A. 29.10.2018 n. 590; T.a.r. Sicilia Catania 11.6.2018 n. 1245).
“La norma – che ha variamente impegnato la giurisprudenza amministrativa con risultati non sempre convergenti – pone l’accento sul momento genetico del debito, invitando l’interprete a prescindere dall’epoca del suo “accertamento” (anche) con provvedimento giurisdizionale. Essa ha inteso estendere la competenza dell’organo straordinario di liquidazione a tutti i fatti ed atti di gestione verificatisi ante dissesto, col chiaro fine di isolare i costi economici della gestione dissestata all’interno della speciale procedura concorsuale tesa al risanamento dell’ente…”
(T.a.r. Calabria Reggio Calabria 4.9.2018 n. 507; conforme T.a.r. Calabria Reggio Calabria 2.5.2018 n. 231).
Del resto, anche la Corte Costituzionale (con riferimento alla normativa istitutiva della gestione commissariale di Roma Capitale) ha ribadito la necessità che il discrimine tra crediti compresi e crediti esclusi dalla gestione commissariale debba essere ravvisato nella data certa in cui si avvera il “fatto o atto genetico dell’obbligazione”, posto che la relativa norma appare logica a coerente a tutela della eguaglianza tra i creditori. Mentre, al contrario, è irrilevante, ai fini della imputazione o meno alla gestione straordinaria, la circostanza che il relativo credito sia accertato in un momento successivo:
“Si deve ribadire che in una procedura concorsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione”.
(Corte Cost. 21.6.2013 n. 154)
I citati principi affermati dalla giurisprudenza richiamata devono ora essere calati nella fattispecie oggetto del presente giudizio di cui si riassumono di seguito i dati e le date significativi:
I proprietari appellati sostengono che nella fattispecie l’”atto o fatto di gestione” di cui all’art. 5/2 d.l. n. 80/2004 (o meglio ancora, il fatto genetico della relativa obbligazione) debba essere individuato (non nella pregressa occupazione illecita, ma) nell’emanando decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. 327/2001 che il commissario ad acta potrà/vorrà adottare.
Infatti, è solo con l’emissione del decreto di esproprio sanante che si produce l’effetto traslativo della proprietà dei beni occupati in capo all’amministrazione. E, coerentemente, è solo con l’emissione del decreto di esproprio sanante che sorge in capo ai proprietari il relativo credito indennitario.
Ecco allora che rispetto alla pregressa occupazione senza titolo (risalente al periodo 1970/1980), l’emanando decreto di esproprio sanante rappresenta un nuovo fatto genetico, ontologicamente diverso rispetto l’iniziale occupazione senza titolo che è derubricata ad un mero antefatto, privo di rilevanza.
Infatti, al di là di qualche pronuncia distonica che sembra aver solo lambito la problematica, il decreto di esproprio sanante segna una rottura netta e spezza ogni continuità con l’originaria occupazione senza titolo.
Mentre il decreto di esproprio sanante rappresenta un nuovo provvedimento ed un titolo legittimo di acquisto della proprietà in capo all’amministrazione, la pregressa occupazione senza titolo rappresenta(va) invece un fatto illecito. E ancora, mentre tutte le somme previste dall’art. 42 bis d.p.r. 327/2001 determinate con il decreto di esproprio sanante hanno pacificamente natura indennitaria (Cass. SS.UU. 30.5.2018 n. 13702; Cass. SS.UU. 2.2.2018 n. 2583; Cass. SS.UU. 22.9.2016 n. 18567; Cass. SS.UU. 25.7.2016 n. 15283; Cass. SS.UU. 29.10.2015 n. 22096), invece quella spettante al proprietario per il periodo di occupazione illecita ha natura risarcitoria.
Inoltre, poiché l’attivazione del nuovo procedimento amministrativo semplificato prevista dall’art. 42 bis d.p.r. 327/2001 assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità sia il decreto di esproprio, staccandosi così del tutto dalla iniziale occupazione illecita (Corte Cost. n. 71/2015), va da sé che sotto i citati profili (della pubblica utilità e dell’effetto traslativo della proprietà) il nuovo decreto sanante ex art. 42 bis si atteggia alla stessa maniera di un nuovo ordinario decreto di esproprio.
Con l’effetto che come il debito indennitario prodotto dal nuovo ordinario decreto di esproprio emesso dopo la dichiarazione di dissesto non ricade nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione, così parimenti il debito indennitario prodotto dal nuovo decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. 327/2001 emesso dopo la dichiarazione di dissesto resta escluso dalla gestione commissariale ed appartiene alla gestione ordinaria dell’ente.
Si espone di seguito la dimostrazione giuridica.
In primo luogo, si deve prendere le mosse dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 il quale prevede testualmente quanto segue:
“Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, NON RETROATTIVAMENTE, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”.
Il significato della norma è chiaro laddove stabilisce che il decreto di esproprio sanante produce effetti “ex nunc”, posto che il titolo di acquisto della proprietà è rappresentato dal decreto di esproprio sanante, con ciò superando e rendendo irrilevante a tal fine l’originaria occupazione illecita.
In secondo luogo, con la nota sentenza n. 71/2015, la stessa Corte Costituzionale ha chiarito che il decreto di esproprio “sanante” è espressione di un nuovo esercizio del potere pubblico ed il risultato di un nuovo procedimento di esproprio, che riconduce nell’alveo della legittimità il procedimento amministrativo e soprattutto produce effetti “ex nunc”. In altri termini, solo con l’emissione del decreto sanante l’amministrazione acquista la proprietà delle aree espropriate e solo per effetto del medesimo decreto i proprietari acquistano i relativi diritti indennitari:
“6.5.- L’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni ha certamente reintrodotto la possibilità, per l’amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma.
[…]
La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena citato, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato).
[…]
6.6.1
Nel caso di specie, i giudici rimettenti omettono di considerare che, se pure il presupposto di applicazione della norma sia “l’indebita utilizzazione dell’area” – ossia una situazione creata dalla pubblica amministrazione in carenza di potere (per la mancanza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o per l’annullamento o la perdita di efficacia di essa) – tuttavia l’adozione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito appositamente dalla norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con l’adozione di tale atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino”
(Corte Cost. 30.4.2015 n. 71)
Ad ulteriore dimostrazione che il credito indennitario sorge solo per effetto della emissione del decreto di esproprio sanante, milita anche un ulteriore significativo argomento.
In particolare, si intende far riferimento alla pacifica e nota giurisprudenza amministrativa secondo la quale la domanda di risarcimento dei danni, con la quale il privato chiedesse la condanna dell’ente al pagamento del controvalore dei beni occupati illecitamente occupati, non può trovare accoglimento posto che, in assenza di decreto di esproprio sanante, egli non può ottenere il risarcimento per la perdita di beni di cui continua ad essere proprietario, quantunque oggetto di occupazione permanente ad opera dell’amministrazione
(C.d.S. IV 6.2.2017 n. 494; C.d.S. VI 10.5.2013 n. 2559; C.d.S. V 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. IV 26.3.2013 n. 1710; C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; C.d.S. 27.12012 n. 427; C.d.S. IV 29.8.2012 n. 4650; C.d.S. IV 16.3.2012 n. 1514; C.d.S. IV 29.8.2011 n. 4833; C.d.S. IV 2.12.2011 n. 6375; C.d.S. IV 2.11.2011 n. 5844; C.d.S. IV 28.1.2011 n. 676)
L’impossibilità per il g.a. di condannare l’amministrazione alla retrocessione o alla acquisizione coattiva dei beni occupati impone la necessità di un passaggio intermedio, costituito dalla condanna generica ad esercitare la scelta tra le due citate opzioni. Con l’effetto che solo a seguito della emissione del decreto di esproprio sanante di cui all’art. 42 bis d.p.r. 327/2001, finalizzato all’acquisto della proprietà del bene in capo all’amministrazione, il proprietario può legittimamente rivendicare le relative indennità
(Tar Campania Napoli V 22.11.2016 n. 5415; T.a.r. Lazio Roma 8.11.2016 n. 11044; C.d.S. IV 16.11.2007 n. 5830; T.A.R. Campania Salerno II 14.1.2011 n. 43; T.A.R. Campania Napoli V 5.6.2009 n. 3124; C.d.S. A.P. n. 15/2011; Tar Sicilia Palermo III 27.2.2013 n. 434; Tar Sicilia Catania II 4.6.2013 n. 1684; Tar Campania Napoli V 16.4.2013 n. 1685; Tar Abruzzo 21.2.2013 n. 276; Tar Sicilia Catania II 1.2.2013 n. 385; Tar Campania Salerno II 11.1.2013 n. 58; Tar Lombardia Milano IV 4.12.2012 n. 2910; Tar Calabria Catanzaro II 3.8.2012 n. 857; Tar Sicilia Catania II 3.5.2013 n. 1310; Tar Sicilia Palermo III 24.5.2013 n. 1160; Tar Sicilia Catania II 21.5.2013 n. 1465; Tar Lombardia Milano III 29.4.2013 n. 1105; Tar Sicilia Palermo II 19.4.2013 n. 848; Tar Sicilia Catania II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo III 25.3.2013 n. 676; Tar Campania Napoli V 1.3.2013 n. 1192; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485; Tar Sicilia Catania II 17.1.2013 n. 106; Tar Sicilia Catania II 1.3.2013 n. 645).
In terzo luogo, come è stato acutamente precisato dalla Adunanza Plenaria di codesto C.d.S., il decreto previsto dall’art. 42 bis d.p.r. 327/2001 (benchè comunemente indicato come “sanante”, tuttavia) non ha alcun legame di continuità e soprattutto non produce alcun effetto convalescente del pregresso comportamento illecito dell’amministrazione. Rispetto alle ragioni sottese alla originaria occupazione illecita, il decreto di esproprio è caratterizzato da uno scopo nuovo ed autonomo, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, fondate sulla valutazione di interessi pubblici attuali e su ragioni eccezionali imposte dallo straordinario assetto dello stato dei luoghi.
“b) l’art. 42-bis, invece, configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo;
(C.d.S. A.P. 9.2.2016 n. 2)
Nello stesso senso è orientata anche la giurisprudenza di legittimità:
“Invero, il provvedimento ex art. 42 bis è volto a ripristinare (con effetto “ex nunc“) la legalità amministrativa violata – costituendo, pertanto, una “extrema ratio” per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico e non già il rimedio rispetto ad un illecito – sicchè è necessario che venga adottato tempestivamente e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno, venendo altrimenti meno il potere attribuito dalla norma all’Amministrazione”
(Cass. 7.3.2017 n. 5686)
Ciò posto, va fatta ora chiarezza in ordine alla giurisprudenza di codesto Consiglio di Stato [n. 4741/2019; n. 4740/2019; n. 4739/2019; n. 4760/2019; n. 4776/2019; n. 4737/2019; n. 4738/2019 (cfr. pag. 8 dell’appello)] invocata dal Comune di OMISSIS a sostegno della sua tesi.
E’ agevole replicare che si tratta di decisioni tutte chiaramente irrilevanti ed inconcludenti rispetto all’oggetto ed ai termini del presente giudizio.
Infatti, le fattispecie ivi trattate consistono in giudizi di ottemperanza di sentenze con le quali la Corte di Appello di OMISSIS aveva condannato il Comune di OMISSIS al pagamento del risarcimento dei danni conseguenti ad occupazioni illecite intervenute e consumate decenni prima la dichiarazione di dissesto dell’ente (sopraggiunta nel 2014). Poiché invece le citate sentenze di condanna erano state emesse tutte nell’anno 2016, è pacifico che il relativo credito risarcitorio è stato accertato con provvedimento giurisdizionale sopraggiunto in data successiva (2016) al 31 dicembre dell’anno precedente (2013) a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato.
Le fattispecie ivi decise ricadono dunque esattamente nella previsione di cui all’art. 5/2 d.l. n. 80/2004, posto che gli “atti e fatti di gestione” (occupazione illecita) si sono verificati entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato (2013), mentre invece il relativo debito è stato accertato con provvedimenti giurisdizionali intervenuti (2016) successivamente a tale data.
Dunque, sono ineccepibili le citate sentenze per effetto delle quali i debiti di cui trattasi sono stati ricondotti alla competenza dell’organo straordinario di liquidazione, con la conseguente inammissibilità dei relativi giudizi di ottemperanza.
Ma è altrettanto evidente che la fattispecie oggetto del presente giudizio è radicalmente diversa, dal momento che, per quanto rappresentato in precedenza, gli “atti e fatti di gestione” nel caso in esame devono essere individuati nell’emanando decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. 327/2001 che il commissario ad acta vorrà/potrà adottare.
Con l’effetto che solo quando il citato decreto sanante sarà emesso, verrà in essere l’“atto di gestione” di cui all’art. 5/2 d.l. n. 80/2004, il cui debito, in quanto intervenuto in data successiva alla dichiarazione di dissesto (2014), resta estraneo alla gestione commissariale e ricade invece sul bilancio ordinario dell’ente.
Da ciò consegue l’ammissibilità dell’azione di ottemperanza di cui al presente giudizio.
Tale conclusione trova conferma nella giurisprudenza che ha affrontato la fattispecie specifica del decreto di esproprio sanante emesso in data successiva alla dichiarazione di dissesto, in relazione ad occupazione illecita intervenuta in data antecedente:
“La norma invocata (idest: artt. 252/4 e 254/3 t.u.e.l.) ha testuale riguardo ai debiti sorti in forza di vicende anteriori alla data – per quanto concerne il caso in esame- del 31 dicembre 2012, che tuttavia siano stati <accertati> con provvedimento successivo a tale data.
Per converso la presente controversia, nella quale è rimasto incontestato il punto che il Comune si accinge a formalizzare l’acquisizione dell’area in rilievo ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, riguarda un indennizzo che solo il relativo provvedimento di acquisizione renderà dovuto, definendone altresì l’ammontare (con la precisazione del comma 4 dell’articolo che il passaggio della proprietà sull’immobile acquisito avverrà sotto la condizione sospensiva del pagamento del relativo ammontare indennitario).
L’obbligazione indennitaria in questione, pertanto, non può essere considerata sotto alcun profilo alla stregua di un debito preesistente al 31 dicembre 2012 e in seguito solo “accertato”, potendo essa sorgere soltanto dal momento della formalizzazione dell’acquisizione ex art. 42 bis cit. e in forza di questa, ossia per effetto di un discrezionale “atto di gestione” posteriore alla data appena detta (senza dire, poi, che l’indennizzo in discussione si correla a un effetto traslativo del quale l’articolo appena citato esclude espressamente la retroattività).
Sicché merita conferma la conclusione del T.A.R. che la corresponsione dell’indennizzo in discorso esula dalle competenze dell’Organo straordinario di liquidazione e grava sull’ordinaria gestione dell’Ente debitore, con il corollario dell’inapplicabilità al caso concreto del divieto d’intrapresa o prosecuzione di azioni esecutive a carico dello stesso Ente posto dall’art. 248, comma 2, D.Lgs. n. 267 del 2000 per i soli “debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione.”
(C.G.A. 31.7.2017 n. 367) (conforme in termini T.a.r. Sicilia Catania 27.8.2019 n. 2081).
QUANTO ALLA DOMANDA CAUTELARE
Il “fumus boni iuris” sotteso ai motivi prospettati in precedenza appare più consistente, coerente e convincente di quello offerto dal Comune di OMISSIS.
Va da sé che qualora fosse deciso che il debito indennitario scaturente dall’emanando decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. 327/2001 resta estraneo alla competenza dell’organo straordinario di liquidazione e ricade sul bilancio ordinario dell’ente, ciò libererebbe il campo da ogni questione in ordine alla sussistenza stessa di un danno tale da sospendere l’efficacia della sentenza impugnata.
Quanto al pregiudizio grave ed irreparabile, si osserva quanto segue.
Non sfugge che nella domanda cautelare l’ente appellante non abbia fornito alcun dato numerico, nè in ordine alla misura delle indennità espropriative astrattamente spettanti ai proprietari, né in ordine all’entità dell’asserito danno che l’emanando decreto di esproprio sanante sia capace di apportare al bilancio ordinario del comune (di cui sono stati sottaciuti i numeri significativi).
Si ricorda infatti che i terreni oggetto dell’emanando decreto di esproprio hanno una superficie complessiva di appena 5.500 mq., come determinata dal T.a.r. Basilicata con la sentenza n. 269 del 17.4.2018 emessa a definizione del giudizio in materia di silenzio.
Orbene, non è dato cogliere nella domanda cautelare spiegata dall’ente alcun elemento che possa spiegare in quale modo le indennità espropriative di cui all’art. 42 bis d.p.r. 327/2001, spettanti a seguito dell’acquisizione sanante di terreni estesi appena 5.500 mq., possano esporre al rischio di pericolo l’erogazione dei servizi essenziali dell’ente o addirittura l’equilibrio finanziario del bilancio del Comune di OMISSIS.
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Tanto premesso, i nominativi appellati indicati in premessa
C H I E D O N O
Vittoria di spese.
OMISSIS