CORTE DI APELLO DI OMISSIS
RICORSO EX ART. 702 BIS CPC
(ART. 29 D.LGS. 1.9.2011 N. 150)
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
COMUNICAZIONI DI CANCELLERIA
Ai fini delle comunicazioni di cancelleria di cui all’art. 133 ed art. 134 c.p.c. come modificati dall’art. 2 d.l. 14.3.2005 n. 35 convertito dalla legge 14.5.2005 n. 80, si chiede che tutte le comunicazioni di cancelleria siano effettuate a mezzo fax mediante invio dei relativi avvisi al numero OMISSIS
tutti difesi e rappresentati giusta delega in calce OMISSIS e domiciliati in OMISSIS presso l’Avv. OMISSIS, spiegano ai sensi dell’art. 54 d.p.r. n. 327/2001
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
nella forma della domanda di determinazione giudiziale
DELLA INDENNITA’ ESPROPRIO E DI OCCUPAZIONE LEGITTIMA
C O N T R O
F A T T O
Con nota del 2.3.2007 (doc. n. 1), la Provincia di OMISSIS – in vista a della esecuzione dei lavori di variante strada regionale OMISSIS in prossimita’ dell’abitato di OMISSIS, Comune di OMISSIS e raccordo OMISSIS – comunicava l’approvazione del relativo progetto definitivo dell’opera pubblica.
Con nota del 18.4.2007 (doc. n. 2), la societa’ OMISSIS segnalava che i danni causati dal procedimento di esproprio dovevano essere colti in realta’ nella riduzione del valore di mercato causata al fabbricato avente destinazione commerciale – artigianale per effetto della sottrazione dell’antistante area pertinenziale espropriata destinata ed utilizzata a spazio di parcheggio e di esposizione (commercio di auto).
Con decreto prot. n. OMISSIS del 28.12.2007 (doc. n. 3), la Provincia di OMISSIS disponeva l’occupazione in via d’urgenza preordinata alla espropriazione delle aree di cui trattasi.
Con nota prot. n. 80790 del 28.12.2007 (doc. n. 4), la Provincia di OMISSIS informava che in data 28.1.2008 avrebbe proceduto alla immissione in possesso, come in effetto e’ avvenuto giusta il relativo verbale in pari data (doc. n. 5).
Con osservazioni del 7.2.2008 per la societa’ OMISSIS (doc. n. 6) e del 6.5.2008 per i comproprietari OMISSIS nonche’ per la societa’ OMISSIS (doc. n. 7), i ricorrenti richiamavano di nuovo l’attenzione della autorita’ espropriante sulla circostanza che il vero danno causato dalla espropriazione dovesse essere ravvisato (non tanto e non solo nel valore delle aree ablate, ma piuttosto):
Con prot. n. OMISSIS del OMISSIS (doc. n. 8), la Provincia di OMISSIS procedeva alla rideterminazione della indennita’ provvisoria di esproprio alla luce della sopraggiunta sentenza n. 181/2011 della Corte Costituzionale.
Infine, con decreto n. OMISSIS prot. n. OMISSIS del 20.10.2011 rep. n. OMISSIS (doc. n. 9) notificato alla societa’ OMISSIS in data 20.12.20121 a OMISSIS in data 20.12.2011 ed alla societa’ OMISSIS in data 21.12.2011, la Provincia di OMISSIS pronunciava la espropriazione delle aree indicate in premessa.
M O T I V I
Con il presente giudizio, i ricorrenti intendono avvalersi del diritto accordato dalle note sentenza n. 67/1990 (doc. n. 10) e n. 470/1990 (doc. n. 11) con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che il proprietario – a cui sia stato notificato il decreto di esproprio – puo’ comunque chiedere la determinazione giudiziale della indennita’ di esproprio, pur in mancanza della determinazione in sede amministrativa della indennita’ definitiva rispettivamente di esproprio e di occupazione legittima, la quale dunque non si pone piu’ quale condizione di azionabilita’ del relativo diritto.
I terreni oggetto di esproprio sono aree di pertinenza esclusiva:
Nel corso delle operazioni di immissione nel possesso del 28.1.2008, sono emersi immediatamente in maniera evidente problemi e criticita’ non previsti dal progetto. In particolare, e’ risultato che il tracciato dell’opera stradale, nei termini previsti dal progetto, comporta la demolizione dei percorsi carrabili ed impedisce l’accesso ai fabbricati ed in particolare ai piani interrati degli stessi (ove si trovano tra gli altri i locali della societa’ OMISSIS aventi una superficie di 500 mq.).
Cio’ e’ stato dovuto alla soluzione adottata per gli innesti con la viabilita’ trasversale esistente, laddove in corrispondenza con gli allargamenti in curva, si e’ reso necessario ampliare l’area da espropriare fino al punto da occupare l’ingresso alla rampa di accesso al piano interrato dei fabbricati.
Pertanto, i danni prodotti dal procedimento di esproprio consistono, sotto il profilo oggetto di esame, nella riduzione del valore di mercato dei fabbricati causata dalla impossibilita’ di poter accedere, attraverso il percorso carrabile, ai fabbricati stessi.
Si aggiunga che, come peraltro gia’ denunciato ed evidenziato con le osservazioni prodotte dalla societa’ OMISSIS, l’esistenza del procedimento di esproprio ha gia’ reso manifesta la volonta’ da parte del conduttore di recedere dal contratto di locazione e di abbandonare il fabbricato in quanto non piu’ rispondente all’uso ed alle utilita’ inizialmente esistenti.
Inoltre, non puo’ sottacersi che che dopo ed a seguito della espropriazione, i fabbricati verranno a trovarsi:
Tutto cio’ ovviamente limita e pregiudica sensibilmente il grado di commerciabilita’ e di fruibilita’ dei fabbricati (non espropriati) ed e’ dunque proprio questo specifico profilo del danno che e’ stato del tutto ignorato dall’autorita’ espropriante nella determinazione della indennita’ di esproprio spettante.
Corre infine l’obbligo di richiamare l’attenzione sulla circostanza che la espropriazione comporta che il tracciato della nuova opera stradale scorrera’ a distanza molto ravvicinata (appena 5 m.) dalla facciata di ingresso fabbricato dei signori OMISSIS.
E’ infatti e’ appena il caso di precisare che appartiene al fatto notorio di comune esperienza (art. 115/2 c.p.c.) – che in quanto tale non necessita di alcuna particolare dimostrazione – l’affermazione secondo la quale:
L’art. 33/1 d.p.r. n. 327/2001 prevede che “Nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata e’ determinata tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.
La citata norma reitera in parte il principio gia’ previsto dall’art. 40 della previgente legge n. 2359/1865, con la ulteriore previsione che il criterio cosiddetto differenziale non rappresenta piu’ l’unico utilizzabile dal giudice.
In materia di espropriazione parziale si registra una copiosa e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione che, anche gia’ sotto il previgente quadro normativo, aveva stabilito i principi ispiratori dell’istituto tuttora seguiti anche sotto la vigenza dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
In materia di esproprio parziale, trova applicazione “…il criterio di stima differenziale di cui alla legge n. 2359/1865 art. 40 (poi recepito dall’art. 33 del T.U.), rivolto a garantire proprio che l’indennita’ di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, e quindi anche il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato in dipendenza dell’espropriazione; ed ha applicato il principio giurisprudenziale ripetutamente enunciato da questa Corte che tale risultato può essere conseguito attraverso diverse vie: anzitutto detraendo dal valore venale che l’intero cespite aveva prima dell’esproprio il valore successivamente attribuibile alla parte residua (non espropriata) (Cass. 22110/2004; 13887/1999). Oppure accertando e calcolando detta diminuzione di valore, anziche’ attraverso tale comparazione diretta, mediante il computo delle singole perdite, ovvero aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri, che incidendo sulla parte residua, ne riducono il valore (Cass. 15359/2000; 18050/2004; 21092/2005)” (Cass. 18.11.2011 n. 24304).
“Una volta sussunta la fattispecie concreta nella previsione dell’esproprio parziale, viene meno la necessita’ di una determinazione specifica del valore di singole componenti dell’immobile, essendo sufficiente il raffronto tra i due valori complessivi pari al giusto prezzo di mercato ante e post ablazione” (Cass. 20.6.2011 n. 13455).
“Quanto al riferimento all’ipotesi dell’espropriazione parziale, deve richiamarsi il costante insegnamento di questa Corte secondo cui tale fenomeno sì verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass. 24 settembre 2007 n. 19750; Cass. 5 settembre 2008 n. 22409). In applicazione di tale principio si e’ sostenuto che l’espropriazione di un terreno adiacente a un fabbricato, abbia o meno questo i connotati della pertinenza di cui all’art. 817 c.c., non e’ riconducibile nell’ambito dell’espropriazione parziale e delle regole ad essa attinenti, se l’unico proprietario dell’insieme non riceva un impoverimento maggiore rispetto a quello correlato al valore del terreno medesimo in se’ considerato (Cass. 27 agosto 2004 n. 17112)” (Cass. 27.4.2011 n. 9254).
Particolarmente interessante (perche’ altamente calzante alla fattispecie) si rileva il principio stabilito dalla sentenza del 31.1.2008 n. 2424 con la quale la Corte di Cassazione ha determinato in lire 200.000.000 la indennita’ per la espropriazione di una superficie molto contenuta ma destinata ad area di parcheggio a servizio di un’attivita’ alberghiera [“Pare assolutamente logica la metodologia di calcolo impiegata dalla Corte d’Appello, che ha proporzionato la perdita di valore subita dall’esercizio alberghiero di proprieta’ della stessa Mara s.n.c. (lire 200.000.000) all’esproprio di parte (mq. 15) della particella n. (omissis), corrispondente a due posti macchina. Si tratta della corretta applicazione del criterio differenziale di stima (valore ante, meno valore post esproprio)…”].
“E proprio siffatto principio ha trovato recente conferma sia nell’art. 33 del nuovo T.U. che non menziona piu’ la stima differenziale, ma impone soltanto al giudice di merito di tener conto della diminuzione di valore della parte residua, percio’ autorizzandolo ad avvalersi del criterio ritenuto piu’ idoneo nel caso concreto a raggiungere siffatto risultato” (Cass. 4.5.2009 n. 10217 e Cass. 21.5.2007 n. 11782).
“E che, d’altra parte, non e’ interpretabile nei termini prospettati dal comune, disponendo la norma (idest art. 33 d.p.r. n. 327/2001) che in tal caso l’indennizzo deve coprire tutti i danni conseguenti all’esproprio, tra cui l’eventuale deprezzamento subito, dalle parti residue del suolo; e rimettendone il relativo accertamento al giudice del merito” (Cass. 5.2.2008 n. 2746).
Si aggiunga per completezza di indagine che la Corte di Cassazione ha altresi’ precisato:
In sostanza, l’espropriazione parziale si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristoratile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilita’ di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa” (Cass. n. 19570/2007; conformi ex Cass. n. 24435/2006 sul solco di fermo indirizzo espresso per tutte da Cass. n. 10634/2004; Cass. n. 10934/2001, Cass. n. 10570/2003 e Cass. n. 6388/2000).
L’area espropriata ospitava e’ costituita da un o spazio carrabile asfaltato e da un piazzale recintato, parte a parcheggio e parte a giardino, a pertinenza e servizio di un locale commerciale gia’ concesso in locazione all’autorivendita Pancar (Citroen – Suzuki), che lo utilizza per l’esposizione all’aperto degli autoveicoli in vendita.
L’area espropriata ha una superficie catastale di 440 mq. costituita da circa mq 160 di strada asfaltata; circa mq. 35 da parcheggio pavimentato con elementi autobloccanti; circa mq. 30 da resede accesso e rampa pavimentata con piastrelle di ghiaietto di fiume; circa mq. 70 da giardino oltre a superfici residuali.
Su tale area insistevano i seguenti manufatti ed impianti tutti legittimamente realizzati:
Per la determinazione del giusto valore di tali strutture ed impianti (valore del tutto ignorato nella determinazione della indennita’ provvisoria di esproprio), si deve tener conto che per la maggior parte non si tratta di opere appaltabili a misura. Si tratta, infatti, di opere puntuali di ricostruzione e ripristino che appartengono a categorie diverse e che richiedono autorizzazioni ed oneri da sostenere anche con gli enti preposti (Enel, Telecom, Publiacqua, V.V.F.F. ecc…).
Il fabbricato danneggiato (ma non espropriato) consiste in una villa di grandi dimensioni oggi in corso di ristrutturazione edilizia per la realizzazione di 14 appartamenti (autorizzazione edilizia ai sensi dell’art. 151 d.lgs. n.490/99 n. 2/2001 del 15.2.2001 prat. 221/2000).
L’area espropriata e’ costituita da una superficie asfaltata esterna e da un giardino interno recintato. Essa ha una consistenza di mq. 350 di cui circa mq .85 di superficie asfaltata e circa mq. 330 di superficie a giardino con vialetto d’ingresso.
Su tale area insistono i seguenti manufatti ed impianti tutti legittimamente realizzati:
L’area espropriata e’ costituita da un percorso meccanizzato asfaltato e da un piazzale recintato destinato a parcheggio. Essa ha una consistenza di circa 375 mq. costituita da circa mq. 215 di strada asfaltata e circa mq. 80 di parcheggio pavimentato con elementi autobloccanti in c.l.s..
Su tale area insistono i seguenti manufatti ed impianti tutti legittimamente realizzati:
L’art. 32/2 d.p.r. n. 327/2001 dispone testualmente che “ il valore del bene e’ determinato senza tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano state realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennita’. Si considerano realizzate allo scopo di conseguire una maggiore indennita’, le costruzioni, le piantagioni e le migliorie che siano state intraprese sui fondi soggetti ad esproprio dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento” (trattasi delle cosiddette “migliorie opportunistiche”).
Posto che la norma citata prevede che il cittadino espropriato non ha diritto a percepire il valore delle costruzioni, delle strutture e degli impianti solo qualora questi siano state realizzati allo scopo di conseguire una maggiore indennita’ (fissando a tal fine anche il limite temprale rappresentato dalla comunicazione dell’avvio del procedimento), operando una lettura “a contrariis” della norma citata, si ritiene di poter sostenere allora che il diritto al valore delle strutture e degli impianti esistenti sopra e sotto l’area espropriata spetti invece allorquando gli stessi siano stati realizzati in epoca non sospetta, dovendosi comunque intendere per tale l’epoca antecedente alla comunicazione dell’avvio del procedimento.
E’ appena il caso di precisare che nella fattispecie e’ da escludere in maniera assoluta che possa trattarsi di migliorie cosiddette opportunistiche atteso che le strutture e gli impianti di cui trattasi insistono da tempo sui fondi espropriati.
La corretta e coerente interpretazione dell’art. 32 d.p.r. n. 327/2001 impone dunque di indennizzare il proprietario anche del valore delle strutture e degli impianti insistenti sopra e sotto il terreno espropriato, atteso che – diversamente opinando – il patrimonio del proprietario sarebbe reintegrato solo in parte rispetto alla maggior misura dei danni (valore delle strutture e degli impianti) effettivamente prodotti dal procedimento espropriativo.
Una indennita’ di esproprio che invece non tenesse conto anche del valore delle strutture e degli impianti ivi infissi rappresenterebbe non solo una manifesta ingiustizia ma anche una grave violazione dei principi in materia di tutela del diritto di proprieta’.
Tale conclusione si rileva vieppiu’ condivisibile anche alla luce della tutela offerta al diritto di proprieta’ dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.
La mancanza della determinazione della indennita’ definitiva di esproprio ne rende necessaria la quantificazione giudiziale in questa sede.
A tal fine, si ritiene che le aree espropriate siano dotate della edificabilita’ legale in quanto esse sono state utilizzate per la edificazione legittima dei fabbricati ivi eretti e che dunque sussistano nella fattispecie le condizioni previste dall’art. 37 d.p.r. n. 327/2001.
In subordine ed in difetto, si ritiene che le aree debbano essere valutate comunque in funzione del loro valore di mercato in coerenza con i principi ed i criteri previsti dalla nota sentenza n. 181/2011 della corte costituzionale.
Agli opponenti spetta altresi’ anche l’indennita’ di occupazione legittima per il periodo intercorrente tra la data di immissione nel possesso dei fondi (28.1.2008) e la data del decreto di esproprio (20.10.2011).
Come e’ noto, l’art. 50 d.p.r. n. 327/2001 (applicabile in via analogica alla fattispecie trattandosi di occupazione temporanea sia pure non destinata alla espropriazione) prevede che l’indennita’ di occupazione legittima e’ determinata per ogni anno e/o frazione nella misura di 1/12 del valore di mercato della aree esprpriate.
E’ ben noto l’orientamento della giurisprudenza secondo cui in materia di credito di valuta (quale e’ certamente il credito per l’indennita’ di esproprio) spettano i soli interessi legali, a meno che il cittadino espropriato non dimostri – anche con presunzioni – di aver subito un maggior danno (Cass. SS.UU. 16.7.2008 n. 19499 e conformi Cass. Sez. III 28.6.2006 n. 14975; Cass. Sez. II 16.3.2006 n. 5860; Cass. Sez. III 27.10.2004 n. 20807; Cass. Sez. III 7.1.2004 n. 58 e Cass. Sez. I 22.2.2000 n. 1997).
Si chiede dunque che agli opponenti sia riconosciuto (anche in forza della presunzione fondata sulla qualita’ soggettiva di imprenditori) il diritto ad avere sulla indennita’ di esproprio sia gli interessi moratori (per il maggior danno dovuto al ritardo nel pagamento) nella misura del tasso praticato dal mercato bancario necessario per l’acquisto del denaro sia gli interessi legali calcolati in via principale sulla sorte capitale interamente rivalutata ed in subordine sulla sorte capitale via via rivalutata.
Del resto, si ritiene che – in conformita’ alle indicazioni forinte dalla stessa C.E.D.U. nel noto caso Scordino – la domanda possa trovare ragionevole accoglimento poiche’ essa e’ finalizzata a mantenere inalterato nel tempo il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso e’ stato espropriato. Va da se’ che tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione definitiva, al fine di mantenerlo costantemente adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla indennita’ di esproprio rivalutata vanno poi calcolati altresi’ gli interessi legali, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalita’ diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione patrimoniale dell’espropriato quale era anteriormente al decreto di esproprio, ed avendo i secondi funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata.
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione dei danni rivaneicati con il presente giudizio, deve tenersi conto sia della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo sia della giurisprudenza della stessa Corte Europea.
Il principio dell’integrale ristoro di tutti danni (nella fattispecie, quelli prodotti dalla esproprio parziale in termini di riduzione del valore di mercato dei fabbricati non espropriati) arrecati alla proprieta’ privata dal procedimento di esproprio era gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orinetamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
Del resto, l’obbligo di applicare le norme (ora divenute) comunitarie e’ stato di recente sottolineato dalla sentenza del 1.12.2011 n. 25719 con la quale la stessa Corte di Cassazione ha testualmente stabilito che “…anche per il principio piu’ volte ricordato dalla Corte Costituzionale che sul giudice comune grava l’obbligo di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui cio’ sia permesso dal suo tenore…”.
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Tutto cio’ premesso i nominativi e le societa’ in premessa come sopra rappresentati e difesi
R I C O R R O N O
a codesta Corte di Appello di OMISSIS affinche’, respinta ogni contraria domanda o eccezione e con riferimento al decreto di n. OMISSIS prot. n. OMISSIS del 20.10.2011 rep. n. OMISSIS con il quale la Provincia di OMISSIS ha espropriato
anche alla luce della sentenza n. 348 del 24.10.2007 della Corte Costituzionale e del sopraggiunto art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 24.12.2007 n. 244 (legge finanziaria anno 2008) nonche’ dell’art. 1 del Trattato di Lisbona:
Ai sensi e per gli effetti delle previsioni di cui all’art. 702 bis comma 1
A V V E R T O N O
che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c..
Ai fini del contributo unificato si dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che il relativo contributo e’ pari ad euro 225,00.
In via istruttoria:
OMISSIS