Oggetto:
PREMESSA
I signori OMISSSI, assistiti dall’Avv. OMISSSI intendono far riferimento al procedimento di esproprio di cui in oggetto per significare quanto segue.
Con le presenti osservazioni i proprietari intendono fornire ogni utile elemento informativo e di valutazione limitato pero’ agli aspetti indennitari del procedimento di esproprio e con esclusione dunque di ogni aspetto piu’ direttamente tecnico (contenuto delle previsioni progettuali, posizionamento dell’opera pubblica sul territorio, valutazione di soluzioni alternative, modalita’ esecutive, ecc.).
Sotto questo profilo, le presenti osservazioni potrebbero rivelarsi addirittura intempestive poiche’ dirette ad affrontare la problematica della corretta determinazione della indennita’ di esproprio la quale, come e’ noto, rappresenta un momento che appartiene ad una fase successiva del relativo procedimento. Tuttavia, le notevoli implicazioni sottese ed il complesso regime delle responsabilita’ ne consigliano la prospettazione anticipata gia’ in questa sede.
Tanto premesso e con il dichiarato intento di sgombrare sin d’ora il campo da falsi problemi facilmente prevedibili, si precisa che le questioni trattate con il presente atto riguardano:
Si rende necessario premettere preliminarmente che, come del resto gia’ espressamente ammesso da codesta amministrazione, l’area esproprianda e’ dotata della edificabilita’ legale e che dunque sulla base di tale natura essa deve essere indennizzata. In particolare, si intende fari riferimento alla circostanza al principio gia’ da tempo stabilito dalla giurisprudenza secondo il quale le aree espropriate per la viabilita’ destinata a servizio e completamento di circostanti aree gia’ urbanizzate ed edificate, devono (al pari di queste ultime rispetto) ritenersi munite della edificabilita’ legale.
La aree destinate a viabilita’ e comunque ad uso pubblico all’interno, e in funzione, di una zona urbanistica edificabile e/o gia’ edificata ed urbanizzata, debbono ritenersi gravate da un vincolo preordinato ad esproprio del quale non si tiene conto ai fini della valutazione del bene, sicche’ le aree medesime devono essere considerate edificabili ai fini della determinazione dell’indennita’ di esproprio. |
Sul punto specifico la giurisprudenza e’ pacifica.
“Del resto, anche la porzione destinata a strada segue la medesima sorte delle particelle limitrofe, come gia’ indicato dalla giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 125 del 2001; sez. 1 n. 2613 del 7.2.2006; n. 24837 del 24.11.2005; n. 14064/2004), dal momento che la valutazione di suoli destinati alla realizzazione di opere di viabilità all’interno e al servizio di singole zone, deve essere riferita alla potenzialità edificatoria di aree limitrofe, al cui servizio la destinazione stessa “a strada” è concepita”.
“Di tali principi ha fatto corretta applicazione la Corte territoriale, la quale – sulla base di congrua motivazione, scevra da vizi logici e giuridici – è pervenuta alla conclusione che la destinazione a parcheggi pubblici, impressa all’area espropriata dal piano regolatore generale e confermata dalla successiva variante, concretasse, per l’appunto, non già un vincolo conformativo, ma un vincolo preordinato all’espropriazione, esulando dall’ottica della suddivisione zonale del territorio del Comune, e mirando invece ad imporre un vincolo particolare su beni singolarmente individuati, in vista della creazione di un’area non edificata – in specie, una pubblica piazza – all’interno di zone a spiccata vocazione edificatoria ed a servizio delle strutture e degli edifici circostanti (tra i quali anche l’ospedale civile e due istituti scolastici)”
“…riguardo alla viabilita’ prevista dal piano regolatore, pur essendo vero che l’indicazione delle opere necessaria, che comporta un vincolo di inedificabilita’ delle parti del territorio interessate (legge 17.8.1942 n. 1150 art. 7 comma 2 n. 1) con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennita’ di esproprio nel sistema legge 8.8.1992 n. 359 art. 5 bis, basato sulla edificabilita’ o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, occorre pero’ che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (legge n. 1150 del 1942 art. 13), come tale, riconducibile a vincolo imposto a titolo particolare, a carattere espropriativo (Cass. 7.12.2001 n. 15519; 11.1.2002 n. 296) nella specie la Corte di merito ha correttamente motivato che, trattandosi di “strada pubblica della parte di comprensorio”, e dunque destinata ad una zona circoscritta del territorio comunale, ad essa non poteva essere attribuita natura conformativa; in ordine al secondo motivo, non dovendosi tener conto della destinazione a strada, costituente vincolo preordinato ad esproprio, le aree interessate vengono indennizzate secondo la potenzialita’ edificatoria delle aree limitrofe, a cui servizio la destinazione stessa a strada concepita (Cass. 28.12.2004 n. 24064), tenendo conto, peraltro – come correttamente operato dalla sentenza impugnata, in sede di valutazione, proprio sulle indicazioni del Comune – degli spazi da assegnare ad attrezzature collettive (Cass. 21.3.2001 n. 125/1980)”.
“…la giurisprudenza amministrativa, puntualmente ricordata dal Ministero, ha ripetutamente enunciato il principio, di carattere generale, che il rilascio della concessione per aree non comprese in strumenti urbanistici (anche di attuazione) è tra l’altro subordinato alla presenza di due requisiti: “deve trattarsi di area dotata di opere di urbanizzazione funzionalmente collegate a quelle comunali; deve anche trattarsi di area avente obiettiva ed intrinseca funzione di “completamento” rispetto ad area contigua destinata all’edificazione.
In breve, la verifica della funzione di completamento dell’area non si risolve nella possibilità di allaccio con le strutture di urbanizzazione primaria, ma si estende ad accertare l’armonico inserimento di essa in un ambito territoriale più esteso, rispetto al quale la stessa si presenta come naturale completamento di una zona adibita all’edificazione; e la verifica deve ispirarsi a criteri funzionali, inevitabilmente condizionati dall’analisi dell’impatto urbanistico ed edilizio che la previsione di detta edificazione produce in un contesto più ampio di quello circoscritto alla singola zona in cui è compresa (C.S. sezione V n. 2874/2000, n. 920/1992; n. 382/1988).
Questa Corte aveva, infine, avvertito che le relative opere sono rilevanti, ai fini della valutazione degli immobili espropriati, anche se compiute dagli stessi espropriati o da terzi, in quanto assicuranti l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area, apprezzabile come sua qualità intrinseca, rilevante in una libera contrattazione (Cass. 8523/1998; 8548/1998 ecc.) a patto che l’esistenza di infrastrutture, collegamenti e servizi – come pure l’esistenza di costruzioni nelle aree circostanti, non dipendano da una serie di opere abusive, dei cui effetti incrementativi il Giudice non deve tenere conto nella stima del valore indennitario dei suoli espropriati…”.
“La destinazione di aree ad utilizzo pubblicistico all’interno, e in funzione, di una zona urbanistica edificabile, comporta che dette aree debbono ritenersi gravati da un vincolo preordinato ad esproprio, del quale non si tiene conto ai fini della valutazione del bene, sicché le aree gravate da detti vincoli vanno considerate edificabili ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio e del risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima.
Con riferimento alle opere di viabilità, la Corte di Cassazione, muovendo dalla premessa che il piano regolatore generale contiene di regola il programma generale di sviluppo urbanistico, e che le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono condizionate dalle caratteristiche fisico – geografiche del territorio comunale, ha ripetutamente affermato che la destinazione di parti del territorio a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta estranea alla vicenda espropriativa; di modo che, pur non potendosi escludere, in particolari casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano regolatore generale, l’indicazione da parte di questo, delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (legge 17 agosto 1942 n. 1150 art. 7 comma 2 n. 1), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema della legge 8 agosto 1992 n. 359 art. 5 bis, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, resta normalmente estranea alla vicenda espropriativa: nel senso che i vincoli stabiliti in detto piano influiscono sulla qualificazione dei suoli espropriati, alla stregua delle possibilità legali, per via del contenuto conformativo della proprietà che ad essi deriva dalla funzione di operare scelte programmatorie di massima (Cass. 13199/2006; 3386/2004; 15519/2001; 8685/2001).
A meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (legge n. 1150 del 1942 art. 13), di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo: trattandosi (soltanto in tali casi) di limitazioni particolari, incidenti su beni determinati in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica; ed in tal caso ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione (o del risarcimento del danno per l’occupazione espropriativa), la valutazione di suoli destinati alla realizzazione di opere di viabilità all’interno e a servizio delle singole zone, deve essere riferita alla potenzialità edificatoria delle aree limitrofe della medesima zona omogenea, al cui servizio la destinazione stessa “a strada” è concepita, tenendo conto degli spazi da assegnare ad attrezzature collettive (Cass. n. 7892/2006; n. 2613/2006 e n. 24837/2005)”.
“Nella fase della definizione dei connotati di un futuro complesso residenziale da realizzarsi previa espropriazione dei suoli occorrenti, la decisione di collocare in alcuni fondi una cubatura maggiore, rispetto a quella mediamente prevista dal piano regolatore, utilizzando poi altri fondi limitrofi per servizi ed infrastrutture diverse dal fabbricati ad uso abitativo (come i parcheggi ed il verde pubblico per la cui realizzazione sono stati espropriati i terreni dei ricorrenti principali), è momento soltanto attuativo ed esecutivo del piano urbanistico generale attraverso il piano particolareggiato, non esprime una revisione di valutazioni generali inerenti alla densità abitativa, non implica un mutamento delle possibilità edificatorie suscettibile di vita autonoma dal progetto espropriativo (e dalla dichiarazione di pubblica utilità che l’inaugura), e, quindi, non incide sull’indennità, insuscettibile di essere incrementata o compressa, come si è detto, per mero effetto della sorte assegnata a ciascun terreno nell’ambito di un articolato programma di edificazione pubblica tramite espropriazioni”.
Nello stesso senso Cassazione n. 26908 del 10.11.2008 e Cass. n. 26615 del 6.11.2008 le quali hanno ribadito che qualora la destinazione delle opere di viabilita’ previste dal p.r.g. sia riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo, ai fini della determinazione della indennita’ di espropriazione la valutazione deve essere riferita alla potenzialita’ delle aree limitrofe della medesima zona omogenea, al cui servizio la destinazione stessa “a strada” e’ concepita, tenendo conto degli spazi da assegnare ad attrezzature collettive.
ART. 117 COSTITUZIONE
ART. 1 PROT. 1 ADDIZIONALE DELLA C.E.D.U.
CORTE COSTITUZIONALE 24.10.2007 N. 348
L’ART. 2 LEGGE 24.12.2007 N. 244
RIFLESSI IN TERMINI DI INDENNITA’ DI ESPROPRIO
Cio’ premesso, si rende ora necessario individuare il quadro normativo applicabile alla fattispecie e delineare gli effetti che ne conseguono in termini di determinazione della indennita’ di esproprio.
La normativa c.e.d.u.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla c.e.d.u. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ o nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata.
La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola
(confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
In sintesi, dalla coordinata lettura delle norme della convenzione e soprattutto dei principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (le cui sentenze – appare opportuno precisare – hanno lo stesso valore giuridico e la stessa efficacia vincolante delle norme della convenzione stessa), si puo’ affermare che nell’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla c.e.d.u. e’ stato ravvisato il presidio generale a difesa del diritto della proprieta’ privata la quale, in caso di espropriazione, deve essere indennizzata sulla base del valore di mercato.
Da sempre la Corte Costituzionale (in particolare gia’ con nota la sentenza n. 5/1980 emessa con riferimento alla espropriazione di aree edificabili), nel sottolineare che l’indennita’ di esproprio dovesse rappresentare in ogni caso una forma di reintegrazione seria per il cittadino espropriato, ha stabilito che «l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42/3 Costituzione, se non deve costituire una integrale riparazione della perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non puo’ essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro.
Perche’ cio’ possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge.
Solo in tal modo puo’ assicurarsi la congruita’ del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene».
Relazione tra normativa italiana e normativa cedu
Si tratta ora di stabilire quale sia la relazione corrente tra la normativa interna italiana e le norme della c.e.d.u. ed i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di fonte internazionale).
A tal fine l’indagine deve prendere le mosse dall’esame dell’art. 117/1 Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) il quale dispone testualmente che “la potesta’ legislativa e’ esercitata dalla stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Poiche’ la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (il cui testo e’ stato firmato a Roma il 4.11.1950 ed il cui protocollo addizionale e’ stato firmato a Parigi il 20.3.1952) e’ stata ratificata dall’Italia con la legge 4.8.1955 n. 848, essa dunque configura una fonte di diritto sovranazionale da cui scaturiscono pacificamente quegli “obblighi internazionali” espressamente evocati dall’art. 117/1 Costituzione.
Orbene, la prima e naturale conseguenza per lo Stato italiano – imposta dapprima dalla ratifica della Convenzione Europea per effetto della legge n. 848/1955 e successivamente dalla modifica apportata all’art. 117/1 Costituzione per effetto della legge costituzionale n. 1/2003 – consiste nell’ ”obbligo internazionale” (peraltro espressamente formulato dall’art. 32 paragrafo 1 della convenzione stessa) di adeguare la propria legislazione interna alle norme della convenzione, conformandosi in particolare alla interpretazione ed al significato attribuito alle norme stesse dalla giurisprudenza della Corte Europea specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione.
La Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo presenta, rispetto alle altre convenzioni internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, cui e’ affidata la funzione di interpretare le norme della convenzione stessa (e’ stato gia’ precisato che l’art. 32, paragrafo 1 stabilisce che “la competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste negli articoli 33, 34 e 47”).
Secondo la Corte Europea, i giudici italiani sono tenuti ad applicare direttamente nell’ordinamento, con prevalenza sulle norme nazionali, le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed i principi stabiliti dalla giurisprudenza della stessa Corte Europea. |
Tra le numerose sentenze emesse dalla c.e.d.u. (ottenute da questa difesa quale Avvocato fiduciario dell’ANPTES) che hanno stabilito la prevalenza della normativa della convenzione su quella interna dell’ordinamento italiano che dunque deve cedere il passo ai fini della piu’ ampia tutela del diritto di proprieta’ colpita da espropriazione si segnalano:
c.e.d.u. 30.6.2009 Mandola contro Italia;
c.e.d.u. 16.12.2006 Ippoliti contro Italia;
c.e.d.u. 5.10.2006 Capoccia contro Italia ;
c.e.d.u. 6.7.2006 Grossi contro Italia.
A titolo meramente esemplificativo, non puo’ sottacersi – per la particolare importanza unanimemente riconosciuta e per l’impatto e la risonanza notevoli degli effetti prodotti – la nota sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo emessa nel caso Scordino contro Italia (ricorso n. 36813/1997), pubblicata il 29.7.2004.
Con la citata sentenza, la Corte Europea ha stabilito:
Corre l’obbligo di aggiungere immediatamente che l’indicata decisione, emessa dalla Corte Europea in esito al caso Scordino/Italia, e’ stata espressamente evocata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 348/2007, sia pure nel tentativo di ridurne la portata e l’efficacia.
In particolare, la Corte Costituzionale ha proceduto ad un riallineamento delle fonti del diritto per effetto del quale le norme della Convenzione Europea (a seguito della modifica apportata dalla legge costituzionale n. 1/2003 all’art. 117/1 Costituzione che ha imposto alla potesta’ legislativa l’obbligo del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) assumerebbero il rango di norme sub – costituzionali (con l’effetto che in caso di conflitto tra norma interna e norma della convenzione, il giudice italiano non potrebbe disapplicare la prima per accordare efficacia prevalente ed applicazione diretta alla seconda, dovendosi invece limitare a sollevare la questione di legittimita’ costituzionale della norma italiana per conflitto con la norma della convenzione europea avente efficacia e valore di norma sub – costituzionale).
Sotto la spinta costante e pluriennale esercitata dalle numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale e’ stata dunque costretta a riconoscere – ma non ancora in misura sufficiente – importanza e rilevanza giuridica sia alle norme della Convenzione Europea ed alle sentenze della Corte Europea.
E’ infatti del tutto pacifico che la Corte Europea accorda tuttora ai cittadini degli stati aderenti alla convenzione, una tutela decisamente piu’ ampia (sia in termini di efficacia sia in termini di contenuto) rispetto a quella piu’ limitata offerta dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 348/2007.
Va da se’ percio’ che anche dopo la sentenza costituzionale n. 348/2007, il soggetto espropriato che non ottenesse la piena tutela dai giudici italiani, conserva sempre integro il diritto di rivolgersi comunque alla Corte Europea che continuera’, da un lato, a garantire la piu’ ampia tutela prevista dalla Convenzione Europea e, dall’altro, a condannare gli stati aderenti che si siano resi responsabili di violazioni alle norme della convenzone stessa.
La Corte Costituzionale non potra’ evitare in alcun modo che la Corte Europea continui a condannare lo stato italiano. |
Quanto alla applicazione diretta ed alla efficacia della Convenzione Europea nell’ordinamento nazionale, si osserva quanto segue.
La diretta applicabilita’ nell’ordinamento delle norme della convenzione europea trova giustificazione normativa nel nuovo testo dell’art. 117/1 costituzione risultante a seguito della modifica apportata dalla legge costituzionale n. 3/2001. Il citato art. 117/1 costituzione prevede infatti che la potesta’ legislativa e’ esercitata dallo Stato nel rispetto tra l’altro dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Orbene, tra gli obblighi internazionali figura certamente anche quello del rispetto delle prescrizioni contenute nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali, considerato che la convenzione medesima e’ stata a suo tempo ratificata dallo Stato italiano con la legge 4.8.1955 n. 848.
Fermo restando quanto sopra prospettato, si rende necessario aggiungere che (gia’ prima della entrata in vigore in data 1.12.2009 del Trattato di Lisbona), all’applicazione diretta ed immediata nell’ordinamento giuridico delle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo era stata concessa una ampia apertura con la nota ordinanza n. 23934 del 22.9.2008 con la quale la Corte di Cassazione, dopo aver richiamato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con le note sentenza n. 348 e n. 349 del 24.10.2007 in materia di efficacia ed applicabilita’ delle norme previste dalla Convenzione Europea, aveva stabilito che tali principi sembravano ormai superati per effetto del quadro normativo delineatosi a seguito del Trattato di Lisbona ed in particolare aveva chiarito:
– che “il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di Governo dei ventisette membri dell’Unione Europea hanno sottoscritto a Lisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione e quello istitutivo della Comunità Europea. Oltre a modifiche formali ai testi dei trattati indicati (…l’art. 6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000…), e prevede l’adesione alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentali garantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri costituiscono principi generali del diritto dell’Unione”;
– che “con la ratifica del trattato di Lisbona, di cui alla legge 2.8.2008 n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada all’APPLICAZIONE DIRETTA DELLE NORME DEL TRATTATO STESSO E DI QUELLE ALLE QUALI IL TRATTATO FA RINVIO…”.
Come e’ noto, in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della dei diritti fondamentali (tra cui ovviamente figura l’art. 6 della CEDU): mentre infatti prima della entrata in vigore del Trattato di Lisbona i diritti fondamentali (e dunque anche il citato art. 6) trovavano la loro fonte e tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orientamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalle sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007 della Corte Costituzionale, ora invece (a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) quegli stessi diritti fondamentali trovano fonte e tutela in un trattato internazionale le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla C.E.D.U. in materia di tutela del diritto al giusto processo (art. 6) e di proprieta’ (art. 1 Protocollo 1 aggiunto), ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali possono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, anche con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
In questo senso si e’ gia’ espresso il C.d.S. che, con sentenza n. 1220 del 21.3.2010, ha stabilito che l’art. 6 della CEDU e’ direttamente applicabile nel sistema nazionale a seguito della modifiche disposte dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1.12.2009.
La stessa sentenza ha inoltre significativamente aggiunto che “per la pacifica giurisprudenza della Corte di Starsburgo (CEDU 28.9.2006 Prisyazhinikova contro Russia; 15.2.2006 Androsov contro Russia; 27.12.2005 Iza contro Georgia; 30.11.2005 Mykhaylenky contro Ucraina; 15.9.2004 Luntre contro Moldova;) gli articoli 6 e 13 impongono agli stati di precedere una giustizia effettiva e non illusoria…”.
Ma soprattutto, ha chiarito che “in base ad un principio applicabile gia’ prima dell’entrata in vigore del Trattao di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU 29..2.2006 Cherginets contro Ucraina) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU 20.12.2005 Trykhlib contro Ucraina)”
E tale obbligo e’ imposto a tutti cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
Anche le autorita’ esproprianti, gia’ in sede di procedimento amministrativo di esproprio (e non solo i Giudici italiani in sede processuale), devono garantire e dare applicazione diretta nell’ordinamento alle norme della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.
L’art. 16/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di prestare rispetto e di conformarsi alle norme della c.e.d.u.. |
Ancora, ulteriore prova della immediata efficacia ed applicabilita’ nell’ordinamento nazionale delle norme della c.e.d.u. e’ fornita da una specifica norma vigente nell’ordinamento (le cui implicazioni in termini di responsabilita’ spesso non sono state pienamente colte).
In particolare, si intende far riferimento all’art. 16 bis/5 della legge 4.2.2005 n. 11 (legge in materia di “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) come modificato dall’art. 6 della legge 25.2.2008 n. 34 (gia’ art. 1/1217 della legge n. 296/2006) il quale ha previsto l’obbligo per l’autorita’ espropriante di conformarsi alle norme della c.e.d.u., prevedendo testualmente che “lo Stato ha altresi’ diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955 n. 848 e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.”
Se dunque con la indicata legge lo Stato ha imposto alle autorita’ amministrative di garantire – nell’ambito del procedimento di esproprio ed ai fini della corretta determinazione della relativa indennita’ – il rispetto delle norme della c.e.d.u., cio’ evidentemente configura la prova normativa che le norme della c.e.d.u. possono e devono trovare applicazione immediata e diretta nell’ordinamento.
E’ pertanto appena il caso di precisare che qualora il soggetto espropriato firmatario del presente atto – in caso di diniego opposto da codesta autorita’ espropriante all’applicazione ed alla tutela prevista dalle norme della c.e.d.u. – fosse costretto a ricorrere all’autorita’ giudiziaria nazionale ed alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per ottenere la piena tutela del diritto di proprieta’, gli effetti economici derivanti dalla condanna di pagamento (formalmente) rivolta allo Stato italiano sono destinati a riflettersi integralmente in danno di codesta autorita’, proprio per effetto della previsione contenuta dal citato art. 16 bis/5 della legge n. 11/2005.
Con l’art. 2 commi 89 e 90 della legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla sentenza costituzionale n. 348/2007 ed ha previsto (tra l’altro), che l’indennita’ di espropriazione di un’area edificabile e’ determinata nella misura pari al valore venale del bene; quando l’espropriazione e’ finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, l’indennita’ e’ ridotta del 25 per cento.
Cio’ premesso in linea generale, si tratta di accertare se l’espropriazione per la realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi sia o meno suscettibile di essere inquadrata nelle espropriazioni finalizzate all’attuazione di interventi di riforma economica sociale e, per l’effetto, se la relativa indennita’ di esproprio debba o meno scontare la riduzione del 25% in applicazione dell’art 37 comma 1 del DPR 2001/327, come modificato dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007.
Sul punto specifico, si rende necessario precisare quanto segue.
1 – LE NORME E LA GIURISPRUDENZA CEDU.
E’ noto che la giurisprudenza della C.E.D.U. (che trova diretta ed immediata applicazione in Italia) ha ammesso che l’indennita’ di esproprio possa anche non coincidere con il pieno valore di mercato allorquando l’esproprio soddisfi due condizioni:
Il legislatore nazionale, nel tentativo di arginare i maggiori costi scaturenti dall’obbligo di determinare l’indennita’ di esproprio nella misura di mercato dei terreni ha ritenuto, con la citata legge n. 244/2007, di poter introdurre un temperamento gia’ noto da tempo alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Tuttavia, non puo’ sfuggire che la stessa CEDU ha ritenuto di poter applicare la riduzione in casi del tutto eccezionali ed infrequenti tra cui a titolo meramente esemplificativo si indicano:
Com’e’ evidente, si tratta di casi eccezionali ed episodici che non hanno nessuna attinenza diretta con le espropriazioni “ordinarie”, qual e’ certamente quella oggetto del presente procedimento.
Nelle fattispecie, appare con immediata evidenza che difettano entrambe le citate condizioni:
Si rende necessario aggiungere che l’analisi della recente prassi amministrativa ha evidenziato che sovente e quasi sistematicamente le pubbliche amministrazioni esproprianti tentano di giustificare l’applicazione, sempre e comunque, della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in maniera pressocche’ indiscriminata.
Tale prassi contribuisce tuttora a delineare una casistica estremamente dilatata per cui, di fatto, si assiste al tentativo di ricomprendere tutte le opere pubbliche (quali strade, marciapiedi, ospedali, scuole, opere di urbanizzazione, ecc.), in quanto di per se’ connotate dalla “pubblica utilità”, nell’ambito degli interventi di “riforma economico – sociale” suscettibili di beneficiare indiscriminatamente dell’abbattimento del 25 % dell’indennita’ di esproprio.
Ma un’indagine seria non può prescindere dalla rigorosa impostazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, com’è noto, ha introdotto il concetto di “riforma economico – sociale” in un quadro di circostanze derogatorie assolutamente eccezionali al principio generale del valore venale del bene espropriato (passaggio dalla monarchia alla repubblica, riunificazione delle due Germanie, passaggio dal comunismo al regime di libero mercato e le altre ipotesi indicate in precedenza).
Orbene, la Corte Europea ha sempre distinto gli espropri appartenenti alle suddette riforme economico – sociali (oggettivamente connotati da una amplissima incisivita’ sull’ordinamento e/o sul gran numero indifferenziato e non predeterminabile dei destinatari) dagli espropri cosiddetti “isolati” (oggettivamente connotati dall’assenza di incisivita’ sull’ordinamento e/o dal ridotto numero di destinatari, spesso direttamente determinabili ed addirittura inidividuabili).
Per gli espropri cosiddetti isolati, la CEDU ha sistematicamente seguito la regola dell’applicazione del valore venale di mercato del bene espropriato.
Di conseguenza, l’interprete deve sempre tener presente la distinzione (da una parte) tra opere pubbliche “singole ed isolate” progettate e approvate per ordinarie esigenze di pubblica utilita’ e (dall’altra parte) opere pubbliche funzionali a riforme generali dell’ordinamento per scopi di sviluppo e giustizia sociale incidenti su una pluralità indistinta ed indeterminabile di cittadini in situazioni eccezionali (quale, ad esempio, e’ stata a suo tempo la riforma agraria di cui alla legge 841/1950, con i relativi espropri generalizzati dei latifondi).
Appare dunque oggettivamente difficile riscontrare oggi “riforme economico – sociali” nella accezione fatta propria dalla Corte Europea, caratterizzate cioe’ dai connotati della generalità, dell’eccezionalita’, della incisiva innovativita’ del contenuto normativo o della eversivita’ dell’assetto economico – sociale.
La previsione introdotta nell’articolo 37 d.p.r. n. 327/2001 dall’art. 2/89 della legge n. 244/2007 e’ quindi destinata a rivelarsi una pedissequa ripetizione dei concetti espressi in via generale dalla Corte Europea, destinata a rimanere sul piano potenziale di astratta regolamentazione di eventuali future riforme di quel tipo.
Infatti, con la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennita’ di esproprio, atteso che la realizzazione dell’opera in oggetto non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha gia’ chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali (pur astrattamente idonea a giustificare un’indennità di esproprio in misura inferiore all’effetto valore di mercato), allora a maggior ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio per la realizzazione dell’opera pubblica di cui al presente procedimento espropriativo.
Corte Costituzionale
E’ appena il caso di precisare altresi’ che, in conformita’ ai principi stabiliti dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, l’autorita’ espropriante ed il giudice nazionale sono tenuti ad uniformarsi alle norme della c.e.d.u. (nonche’ ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della C.E.D.U.) ed a garantirne, per effetto dell’art. 117/1 costituzione, l’applicazione nell’ordinamento, allorquando le stesse non siano in conflitto con la normativa nazionale.
Posto dunque che la normativa c.e.d.u. in materia di determinazione della indennita’ di esproprio (parametrazione al valore di mercato – salvaguardia del serio ristoro – riduzione del 25 % non per espropri isolati ma solo per quelli inseriti in interventi di grandi riforme economico – sociali gia’ definite dalla giurisprudenza) e’ vigente e cogente e che la stessa sul punto specifico non si pone in contrasto con la normativa nazionale, l’interprete non ha alcuna discrezionalità nell’individuare a suo compiacimento la nozione di “riforma economico – sociale”, atteso che invece deve necessariamente conformarsi sul punto sia alla normativa della c.e.d.u. sia alle giurisprudenza della C.E.D.U.
Va da se’ allora che l’espressione utilizzata dal legislatore nell’art. 2/89 della legge n. 244/2007 (“quando l’espropriazione e’ finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, l’indennita’ e’ ridotta del 25 per cento”) non puo’ comportare l’applicazione della riduzione del 25 % di cui trattasi senza la necessaria ponderazione.
Diversamente, il testo normativo rischierebbe di presentare maglie cosi’ larghe da ammettere che la riduzione del 25 % della indennita’ espropriativa potrebbe astrattamente trovare applicazione in ogni procedimento di esproprio, posto che (come gia’ chiarito in precedenza) a ben vedere ogni espropriazione e’ sempre sorretta da motivazioni “economico – sociali”, implicitamente sottese alla stessa dichiarazione di pubblica utilita’.
Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione si è già “allineata” a quanto stabilito dalle norme CEDU, in relazione al significato dell’espressione “interventi di riforma economico-social
Cassazione Civile sez. I 4.2.2009 n. 2712 (in materia di piani p.e.e.p.)
Con la sentenza del 4.2.2009 n. 2712, la Corte di Cassazione ha espressamente escluso l’applicabilita’ della riduzione del 25 % della indennita’ di esproprio in materia di edilizia convenzionata, stabilendo espressamente che
“E d’altra parte alla fattispecie non è invocabile neppure lo ius superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, in base ai quali “Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del venticinque per cento”:
sia per la sua inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie, dato che la norma intertemporale di cui al menzionato comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento “ai procedimenti espropriativi” e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonchè 11480/2008);
sia per il fatto che l’espropriazione in oggetto non rientra in quest’ultima categoria individuata da quest’ultima normativa, bensì nella prima generale ipotesi per la quale anch’essa dispone “che l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene”.
Cassazione Civile sez. I 8.10.2008 n. 24863 (in materia di piani p.i.p)
Con la sentenza n. 28463 del 8.10.2008, la Corte di Cassazione (con riferimento all’ipotesi di esproprio finalizzato ad un piano produttivo che la giurisprudenza di merito aveva ritenuto configurasse una “riforma economico – sociale”) ha invece escluso tale interpretazione stabilendo che l’espropriazione per un piano produttivo “…non rientra in quest’ultima categoria individuata da quest’ultima normativa, bensì nella prima generale ipotesi per la quale anch’essa dispone <che l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene>”.
Cassazione SS.UU. 28.2.2008 n. 5269
Con la sentenza n. 5269, pronunciata a sezioni unite, la Corte di Cassazione ha confermato l’inapplicabilità di decurtazioni dell’indennità per gli espropri isolati, ammettendola solo per eventi gravi ed eccezionali, come le ricostruzioni per interventi sismici che hanno coinvolto intere regioni del paese.
All’uopo, la citata sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, in particolare, infatti, ha richiamato il recente fondamentale arresto della Grande Chambre del 29 marzo 2006 (in causa Scordino v. Italia) ove appunto si precisa che, mentre “in caso di espropriazione isolata solo una riparazione integrale può essere considerata in un rapporto ragionevole con i valore del bene”, viceversa “obbiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possano giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo”, nel quadro di “un ampio margine apprezzamento” riconosciuto, per tal profilo, allo Stato. Ora, appunto, la legge 14 maggio 1981 n. 219 – in quanto volta, in una contingenza, drammatica ed eccezionale a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, con tempestivi interventi in favore delle popolazioni colpite dal terremoto, per la “ricostruzione delle zone disastrate della Basilicata e della Campania” – innegabilmente rientra nella categoria di quelle prevedenti espropriazioni, non “isolate”, finalizzate al perseguimento di “obbiettivi sociali” che giustificano, anche nel quadro di tutela della CEDU, la corresponsione di un “indennizzo inferiore al valore di mercato” nella misura che, secondo l’apprezzamento del legislatore risulti necessaria per la fattibilità dei programmi di ricostruzione.
Consiglio di Stato
Anche il Consiglio di Stato si e’ conformato a quanto stabilito dalle norme CEDU, in relazione al significato dell’espressione “interventi di riforma economico-sociale
Si aggiunga inoltre, per completezza d’indagine, che anche il Consiglio di Stato (pronunciandosi, ovviamente, in materie di sua competenza e non in tema di indennità di espropriazione) si è uniformato a quanto stabilito dalle norme CEDU in relazione al significato dell’espressione “interventi di riforma economico-sociale.
Consiglio di Stato sez. VI 4.8.2008 n. 3893
Con la sentenza n. 3893 del 4.8.2008, il CDS ha infatti precisato:
Con il decreto riscontro in questa sede, codesta amministrazione ha ritenuto di determinare l’indennita’ provvisoria di esproprio nellla misura unitaria di euro 140,00 mq. e cosi’ complessivamente nella misura di euro 122.731,00.
Sulla base di diversi elementi informativi e valutati riscontrabili, si ritiene invece che il valore complessivo dell’area esprorianda debba essere prudenzialmente determinata in una somma non inferiore ad euro 160.000,00 (corrispondente ad un valore unitario di euro 182,50 mq.).
Ovviamente, l’indennita’ provvisoria offerta da codesta amministrazione deve ritenersi rifiutata e pertanto gli istanti formulano sin d’ora espressa istanza affinche’ la ‘indennita’ definitiva sia determinata dalla commissione provinciale espropri.
I proprietari istanti hanno diritto altresi’ anche alla idennita’ per la reiterazione del vincolo espropriativo posto che la prima imposizione dello stesso risale a piu’ di dieci orsono.
La reiterazione dei vincoli espropriativi deve essere puntualmente motivata con riguardo alla persistente necessita’ di acquisire la proprieta’ privata (da valutare sulla base di una apposita istruttoria procedimentale da cui emerga la prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello privato da sacrificare); e, contemporaneamente, deve prevedere la corresponsione del giusto indennizzo.
In mancanza di tali presupposti vi e’ lesione del diritto di proprieta’. |
Il testo unico (DPR 327/2001) ha previsto l’indennizzabilità per la reiterazione dei vincoli di esproprio.
In ogni caso, in base alla sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999, il legislatore era tenuto a disciplinare la quantificazione e le modalità di liquidazione dell’indennizzo per le ipotesi prese in considerazione dalla medesima sentenza; infatti, in base alla sentenza n. 179 del 1999 poteva essere adito il giudice ordinario per ottenere il pagamento dell’indennizzo.
Per ridurre l’inevitabile contenzioso e per fissare una regola unitaria cui si attengano le amministrazioni, nell’articolo 39 del Testo Unico si è pertanto prevista una disciplina dichiaratamente provvisoria, tendente a colmare l’attuale vuoto normativo, senza effettuare particolari scelte discrezionali.
Il Testo Unico ha introdotto alcune regole volte a definire con rapidità la questione se spetti l’indennità nel caso di reiterazione del vincolo e, senza indicare il quantum dovuto, si è enunciato il principio per cui la somma va calcolata in base all’entità del danno effettivamente prodotto.
Afferma l’articolo 9 del T.U. che “il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard.
Il Testo Unico ha introdotto il seguente meccanismo:
Come è noto, il giudice delle leggi ha sancito il principio per cui, quando i vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo sono oggetto di reiterazione, e vengono in tal modo a superare il limite di durata considerato tollerabile dalla legge (c.d. periodo di franchigia), sorge in capo all’Amministrazione l’obbligo di indennizzo, al fine di salvaguardare il proprietario dal pregiudizio causato dal protrarsi del vincolo (Corte cost. 20 maggio 1999 n. 179).
Il che – è stato precisato – vale anche in assenza di norme specifiche sulle modalità di liquidazione dell’indennizzo, potendo essere ricavate dall’ordinamento le regole a tal fine utili (Corte cost. 25 luglio 2002 n. 397).
Si deve aggiungere che per i vincoli (urbanistici) espropriativi, la reiterazione (o la proroga) comporta oltre la temporaneità necessariamente anche un indennizzo, diretto al ristoro del pregiudizio causato dal protrarsi della durata (Corte Costituzionale sentenza n. 148 del 2003).
Le censure di cui sopra appaiono fondate, nella misura in cui pongono in rilievo l’assenza di una qualsivoglia valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti dalla proroga (rectius: rinnovo) dei vincoli espropriativi, in relazione alla persistente necessita’ da parte della pubblica amministrazione di disporre della proprieta’ privata per realizzare un progetto di interesse generale.
Il vincolo preordinato all’esproprio nella fattispecie incide direttamente sulla proprieta’ interessata, esponendola al procedimento espropriativo cui e’ prodromica la dichiarazione di pubblica utilita’ in essi implicita.
La generalita’ dell’intervento non consente il bilanciamento dell’interesse pubblico, come concretamente puo’ atteggiarsi nelle varie porzioni del territorio, con gli interessi dei proprietari destinatari del vincolo, i quali vengono cosi’ esposti ad un ulteriore periodo di compressione del proprio diritto, quando la decorrenza, anche lontana, del periodo, legale e prevedibile, di efficacia del vincolo, poteva aver creato in essi un legittimo affidamento sulla riespansione del diritto medesimo.
Come e’ noto, l’art. 37/7 d.p.r. n. 327/2001 dispone che l’indennita’ definitiva di esproprio deve essere ridotta al (eventuale) minor valore dei terreni espropriati dichiarato dai proprietari ai fini i.c.i..
La giurisprudenza di legittimita’ ha stabilito che – dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 348/2007 che ha introdotto nuovi parametri di interpretazione – non e’ legittima la riduzione automatica del valore della indennita’ di esproprio al minor valore del terreno dichiarato ai fini dell’i.c.i., posto che il contemperamento del diritto al proprietario ad ottenere una indennita’ di esproprio che rappresenti un serio ristoro ed il dovere dello stesso di pagare le imposte puo’ essere raggiunto anche soltanto subordinando il pagamento della indennita’ espropriativa all’intervenuta regolarizzazione tributaria ai fini dell’i.c.i..
Corte di Cassazione 8.10.2009 n. 21395
“Ove il piano regolatore comunale od altri strumenti equivalenti prevedano l’edificabilita’ della zona in cui e’ ubicato l’immobile, dichiarandola espressamente, regolandone la densita’ edilizia e consentendo la presentazione di piani di lottizzazione od altro ancora, tale destinazione legale e’ sufficiente ad imprimere allo stesso qualita’ edificatoria; la quale non richiede, perche’ rilevi giuridicamente, di essere, volta a volta, confermata da ulteriori indagini sulle sue caratteristiche materiali, essendo state queste gia’ preventivamente apprezzate in un certo modo nella fase di elaborazione dello strumento urbanistico e tradotte nelle conseguenti prescrizioni che le rispecchiano; per cio’ solo si realizza il presupposto indispensabile dello sfruttamento edificatorio da parte del proprietario, a nulla rilevando, ai fini di tale ricognizione, che il proprietario abbia contravvenuto all’obbligo di compiere la conseguente dichiarazione ai fini dell’ICI prescritta dal d.lgs. n. 504 del 1992”.
Corte di Cassazione n. 11096 del 22.5.2009
Con la sentenza n. 11096 del 22.5.2009, la Corte di Cassazione ha stabilito che “…conformemente ai principii affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007, nonche’ da questa Corte (per tutte vedi Cass. 14459/2008; Cass. n. 19/2008), secondo cui in ogni caso:
“In tema di espropriazione di area fabbricabile, qualora il valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. risulti inferiore all’indennita’ di espropriazione stabilita secondo i criteri previsti dalle disposizioni vigenti, il principio per il quale l’indennita’ e’ pari al valore di mercato, enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007, comporta una lettura costituzionalmente orientata del d.lgs. 30.12.1992 n. 504 art. 16/1, applicabile “ratione temporis”, tesa ad evitare che il collegamento in funzione antievasione tra indennita’ di esproprio e valore dichiarato ai fini dell’i.c.i. sia fatto con riferimento al valore indicato in una dichiarazione del contribuente che risulti infedele (collegamento che realizzerebbe la finalita’ antielusiva, ma sacrificherebbe ingiustificatamente il diritto costituzionalmente tutelato al serio indennizzo), piuttosto che a quello indicato nella dichiarazione sottoposta all’accertamento del comune o, eventualmente, emendata e rettificata dallo stesso proprietario, in modo che l’indennizzo non sia del tutto ed aprioristicamente svincolato dal valore commerciale del bene espropriato.
Pertanto l’indennita’, determinata (con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito all’opposizione alla stima) avendo riguardo al valore di mercato, può essere concretamente erogata solo dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato, attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, (a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente) e la liquidazione dell’imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni“;
“In tema di espropriazione, il diritto all’indennita’ di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione i.c.i... Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l’evasore totale non perde il suo diritto all’indennizzo espropriativo, ma e’ unicamente destinato a subire le sanzioni per l’omessa dichiarazione e l’imposizione per l’i.c.i. che aveva tentato di evadere, potendo l’erogazione dell’indennita’ di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’i.c.i.., stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni. Analogamente l’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il comune puo’ procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributar per poi commisurare, in via definitiva, l’indennita’ espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele”.
Corte di Cassazione 9.7.2008 n. 18844
Con la sentenza 9.7.2008 n. 18844, la Corte di Cassazione (vedi motivazione punto 5.3.1.) ha testualmente chiarito che “Infatti, a tale proposito questa Corte ha gia’ affermato (nella sentenza n. 19 del 2008) che il diritto all’indennita’ di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I.; che la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l’evasore totale non perde il suo diritto all’indennizzo espropriativo, ma e’ unicamente destinato a subire le sanzioni per l’omessa dichiarazione e l’imposizione per l’I.C.I. che aveva tentato di evadere, potendo l’erogazione dell’indennita’ di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l’I.CI. stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni; che analogamente l’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il Comune puo’ procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari per poi commisurare, in via definitiva, l’indennita’ espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele; che, in ogni caso (sentenza n. 24509 del 2006), la questione nascente dall’osservanza dell’art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992, non e’ rilevabile d’ufficio ma e’ esaminabile ad istanza dell’espropriante, trattandosi di diritto disponibile”.
Corte di Cassazione 29.5.2008 n. 14459
In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 348/2007, l’art. 16/1 d.lgs. n. 504/1992 (nonche’ l’art. 37/7 d.p.r. n. 327/2001 attualmente vigente) deve essere interpretato secondo un indirizzo costituzionalmente orientato ai principi enunciati nella citata sentenza, nel senso che, in caso di espropriazione di area fabbricabile e qualora il valore dichiarato ai fini dell’i.c.i risulti inferiore all’indennita’ di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, l’indennita’ di espropriazione stessa, in tal modo determinata con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito ad opposizione alla stima, non possa essere concretamente erogata se non dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell’espropriato che – attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente, e la liquidazione dell’imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni – determini l’avvio del recupero dell’imposta medesima.
In particolare, con la nota sentenza n. 29.5.2008 n. 14459, la Corte di Cassazione (punto 8 della motivazione) ha stabilito:
[conformi ex multis Cass. 10.7.2008 n. 19048; Cass. 9.4.2008 n. 9245 e Cass. 3.1.2008 n. 19].
Come emerge dagli elementi informativi disponibili, i terreni espropriandi ricadono in “zona F servizi ed attrezzature di interesse comunale”.
INDIVIDUAZIONE DELLA ZONA OMOGENEA
Ai fini di un esatto inquadramento della fattispecie, si premette che l’art. 2 d.m. 2.4.1968 n. 1444, in materia di cosiddetta zonizzazione del territorio comunale, prevede testualmente che alle ZONE F siano destinati “gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale…”.
ESAME DELL’ART. 11 LEGGE N. 413/1991
Si rende necessario prendere le mosse preliminarmente dall’esame dell’art. 11 della legge n. 413/1991 per poterne successivamente individuare l’esatto contenuto ed ambito.
Come e’ noto l’art. 11/5 della legge n. 413/1991 ha introdotto l’imposta del 20 % sulle somme ivi indicate ed in particolare sulle “ plusvalenze conseguenti alla percezione…, di indennita’ di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonche’ di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968…”.
ESAME DELL’ART. 35 D.P.R. N. 327/2001
Con disposizione del tutto identica a quella gia’ prevista dall’art. 11 della legge n. 413/1991, l’art. 35 d.p.r. n. 327/2001 ha stabilito che “Si applica l’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato col d.p.r. n. 917/1986, qualora sia corrisposta a chi non eserciti una impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica, un intervento di edilizia residenziale pubblica o una infrastruttura urbana all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, come definite dagli strumenti urbanistici.”
ESCLUSIONE DA IMPOSIZIONE DI SOMME RELATIVE A ZONA F
Successivamente all’entrata in vigore della legge n. 413/1991, alle quattro zone omogenee inizialmente indicate era stata aggiunta anche la zona F che era stata inserita nell’ambito della previsione normativa dall’art. 3 comma 1 lettera a) del decreto legge 28 febbraio 1992 n. 174, del decreto legge 27 aprile 1992 n. 269 e del decreto legge 25 giugno 1992 n. 319, tutti rimasti non convertiti.
Infine, si segnala che l’art. 2 della legge 24 marzo 1993 n. 75 ha fatto salvi gli effetti dei decreti non convertiti e, pertanto, la zona omogenea F e’ rimasta definitivamente esclusa dalla fattispecie impositiva prevista dall’art. 11 della legge n. 413/1991
Si deve dunque concludere, senza possibilita’ di errore, che restano escluse dalla imposizione del 20 % le somme dovute a seguito di acquisizione coattiva relativamente a terreni occupati per la costruzione di opere pubbliche appartenenti alle zone F del territorio comunale come definite dal citato d.m. 2.4.1968 n. 1444.
Atteso che la somma spettante al proprietario istanti per la causale di cui trattasi scaturisce da un esproprio di terreni destinati alla costruzione di un’opera pubblica e di attrezzature di interesse generale comprese nella zona F, essa non deve scontare l’imposta del 20 % introdotta dall’art. 11 della legge n. 413/1991.
LA POSIZIONE DEL MINISTERO DELLE FINANZE
Per completezza di indagine, e’ appena il caso di precisare che, fin dalle prime applicazioni dell’art. 11 della legge n. 413/1991, lo stesso ministero delle finanze ha piu’ volte e costantemente chiarito e ribadito l’esclusione dalla tassazione del 20 % delle somme dovute a seguito della espropriazione di terreni destinati ad ospitare opere pubbliche ed infrastrutture ricadenti nella zona F.
Con la r.m. n. 5865/1994, il ministero delle finanze ha testualmente stabilito che “per quanto riguarda le fattispecie da assoggettare a tassazione, codesta Cassa Depositi e Prestiti ha chiesto di conoscere se le indennita’ relative a terreni ricadenti nella zona omogenea F siano da assoggettare a ritenuta, cio’ in quanto la lettera F era stata inserita, dall’art. 3 comma 1 lettera a) dei decreti legge 28 febbraio 1992 n. 174, 27 aprile 1992 n. 269 e 25 giugno 1992 n. 319, tutti non convertiti. Al riguardo, si precisa che l’art. 2 della legge 24 marzo 1993 n. 75, ha fatto salvi gli effetti dei decreti non convertiti e, pertanto, si deve ritenere legittima l’effettuazione della ritenuta avvenuta nel periodo di vigenza di detti decreti.
Particolarmente significativa e decisiva si rivela l’indicata r.m. n. 111/1996 atteso che con essa il ministero delle finanze ha fornito al comune espropriante le necessarie indicazioni in relazione ad una fattispecie del tutto identica a quella oggetto del presente atto (caratterizzata in particolare dall’esproprio di terreni che benche’ ricadenti nella zona omogenea F – e dunque espropriati per la realizzazione di opera pubblica ed attrezzatura di interesse generale – sono stati dal giudice ritenuti e valutati quali terreni edificabili).
Con l’indicata r.m. n. 111/1996, il ministero delle finanze ha cosi’ testualmente stabilito:
“Con la nota… il comune di… ha fatto presente di essere stato condannato dalla Corte d’appello di Catania al pagamento alla ditta M. delle indennita’ di esproprio, occupazione, rivalutazione, risarcimento danni ed interessi per un’area destinata a parco comunale ed ha chiesto di conoscere se le somme da corrispondere siano da assoggettare o meno alla ritenuta prevista dalla norma indicata in oggetto.
In particolare, il comune di… ha precisato che l’area espropriata e’ stata classificata, sulla base degli strumenti urbanistici vigenti, all’interno di una zona omogenea di tipo F, come risulta peraltro dalla relazione tecnica acquisita dall’ufficio tecnico comunale in data 28 dicembre 1995. Nella sentenza definitiva, invece, il giudice ha tenuto conto dei criteri di determinazione proposti dal consulente tecnico d’ufficio e, quindi della sua potenzialita’ edificatoria, equiparando sostanzialmente l’area espropriata, all’atto della valutazione, alle aree A e B. In forza di questa pronuncia, sulle somme da corrispondere alla predetta ditta M. si renderebbe applicabile la ritenuta d’imposta del 20% di cui alla norma in oggetto.
In relazione a quanto precede, il comune di… ha espresso l’opinione che, poiche’ l’art. 11 commi 5 e seguenti della legge n. 413/1991 prevede l’assoggettamento a tassazione soltanto delle indennita’ di esproprio e delle altre somme riferibili ad aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture urbane situate all’interno di zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al d.m. 2 aprile 1968 – come tali definite dagli strumenti urbanistici – ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 167 e successive modificazioni, nel caso di specie le somme da corrispondere non dovrebbero essere assoggettate a ritenuta.
Al riguardo e’ opportuno chiarire che la norma non fa alcun riferimento alla suscettibilita’ edificatoria del terreno, bensi’ alla collocazione dello stesso all’interno delle zone omogenee espressamente richiamate (zone omogenee di tipo A, B, C, D).
E’ pur vero che la stesura originaria della norma in esame richiedeva, ai fini dell’assoggettabilita’ a tassazione dell’indennita’ di esproprio, il requisito della suscettibilita’ edificatoria dei terreni; tuttavia il testo, definitivamente approvato ha fatto esclusivo riferimento alle richiamate zone omogenee e, pertanto, solo ad esse si deve avere riguardo.
Ai fini dell’imponibilita’, quindi, e’ necessario verificare se il terreno rientri in una delle zone omogenee richiamate dalla norma e non, invece, se esso sia suscettibile di edificabilita’.
In proposito si osserva che, sebbene nella maggior parte dei casi i due concetti coincidano, puo’ verificarsi eccezionalmente che nelle zone omogenee previste dal legislatore rientrino non soltanto terreni suscettibili di edificabilita’, ma anche quelli non edificabili. In questo caso l’indennita’ di esproprio e’ assoggettata a tassazione per il semplice fatto che il terreno rientra in una delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al d.m. 2 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici.
E’ appena il caso di ricordare che, mentre il certificato di destinazione urbanistica certifica se una certa area è edificabile ed in quale misura, il d.m. 2 aprile 1968 definisce le zone omogenee, cioe’ reca la descrizione topografica del territorio e per ciascuna zona fissa le quote standards, cioe’ le dotazioni minime inderogabili di spazi per infrastrutture e servizi pubblici. In pratica, un terreno – come gia’ detto – potrebbe non essere edificabile e trovarsi in una delle zone omogenee per le quali e’ prevista la tassazione e viceversa.
E’ quindi necessario che sia il comune a specificare in quale zona omogenea il terreno ricade o ricadrebbe (nei casi in cui le zone omogenee non sono state definite). Va inoltre precisato che per quanto riguarda le fattispecie da assoggettare a tassazione, LE INDENNITA’ RELATIVE AI TERRENI RICADENTI NELLA ZONA OMOGENEA F NON SONO DA ASSOGGETTARE A RITENUTA; cio’ in quanto la lettera F era stata inserita, dall’art. 3 comma 1 lettera a) dei decreti legge 28 febbraio 1992, n. 174, 27 aprile 1992, n. 269, e 25 giugno 1992, n. 319, tutti non convertiti. Al riguardo, si precisa ulteriormente che l’art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, ha fatto salvi gli effetti dei decreti non convertiti e, pertanto, si deve ritenere legittima l’effettuazione della ritenuta avvenuta nel periodo di vigenza di detti decreti. In tal senso si e’ espressa anche l’Avvocatura Generale, confermando l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria (c.s. n. 7854/93, partenza n. 043408, 12 aprile 1994)… Va, infine, precisato che il criterio di valutazione assunto dal giudice per determinare l’indennita’ di esproprio non puo’ essere di alcun ausilio per individuare le fattispecie da assoggettare a tassazione…
Con l’indicata r.m. n. 30/1997, il ministero delle finanze ha ribadito l’orientamento e le prescrizione gia’ impartite con i pronunciamenti precedenti, stabilendo testualmente quanto segue.
“Con istanza… il comune di G. ha chiesto chiarimenti in ordine all’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 11 commi 5 e seguenti della legge 30 dicembre 1991 n. 413, concernenti la tassazione delle indennita’ di esproprio.
In proposito e’ stato fatto presente che l’amministrazione comunale, nella procedura espropriativa delle aree ricadenti nel piano insediamenti produttivi (P.I.P.), ha offerto alle ditte interessate le indennita’ determinate ai sensi del titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865, in quanto dette aree al momento dell’imposizione del vincolo (approvazione P.R.G.) avevano destinazione agricola…
Al riguardo si ricorda – come gia’ precisato in precedenti occasioni – che i criteri in base ai quali viene determinata l’indennita’ di esproprio sono del tutto irrilevanti ai fini dell’assoggettamento o meno a tassazione delle somme in questione e, pertanto, la citata legge n. 359/1992 non puo’ in alcun modo essere posta in relazione con le disposizioni della legge n. 413/1991, che disciplinano la soggetta materia.
Queste ultime, infatti, dettano il regime fiscale applicabile alle predette indennita’ di esproprio, mentre la citata legge n. 359/1992 disciplina soltanto i criteri di determinazione delle indennita’ stesse e non contiene alcun riferimento, neppure implicito, al sistema di tassazione, sistema, peraltro, gia’ in vigore al momento dell’approvazione della richiamata legge n. 359/1992.
Per quanto riguarda piu’ specificatamente il quesito posto, nel ricordare che il regime fiscale delle suddette indennita’ di esproprio e’ stato anche illustrato nelle istruzioni delle dichiarazioni dei redditi (ad esempio, per le persone fisiche, nel modello 740/M) ed e’ stato ribadito con numerose risoluzioni e, da ultimo, con risoluzione n. 111/E dell’11 luglio 1996, si ritiene utile ribadire quanto segue…
Le indennita’ e le altre somme sopra specificate sono assoggettate a tassazione a condizione che siano state corrisposte relativamente ad aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche ovvero di infrastrutture urbane all’interno di zone omogenee di tipo A, B, C e D di cui al d.m. 2 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici, e di interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 167 e successive modificazioni.
Pertanto, ove l’esproprio venga disposto per destinare l’area ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge sopra citata, la relativa indennita’ di esproprio dev’essere sempre assoggettata a tassazione, non assumendo alcun rilievo la collocazione dell’area in questione nelle diverse zone omogenee in cui e’ ripartito il territorio. Le zone omogenee, infatti, vengono prese in considerazione, ai fini della tassazione delle indennita’ di esproprio, solo quando si riferiscono a procedimenti espropriativi relativi ad aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture urbane.
Va, inoltre, ribadito che il riferimento alle zone omogenee contenuto nella disposizione in questione deve ritenersi tassativo, nel senso che la norma dispone l’assoggettamento a tassazione delle indennita’ di esproprio (nelle ipotesi sopra specificate) con riferimento alla collocazione dell’area nelle zone omogenee di tipo A, B, C e D, senza discriminare i terreni tra quelli agricoli e quelli suscettibili di un uso diverso rispetto a quello agricolo…
Sulla base delle premesse considerazioni, si precisa, dunque, che nel caso di specie le somme non debbono essere assoggettate a tassazione se al momento dell’inizio della procedura di esproprio le aree espropriate ricadevano in una delle zone omogenee non comprese tra quelle elencate nell’art. 11 comma 5 della legge 30 dicembre 1991 n. 413”.
Con l’indicata c.m. n. 194/1998, il ministero delle finanze, dopo aver espressamente richiamato e ribadito le precedenti r.m. n. 111/E del 11.7.1996 e r.m. n. 30/E del 18.2.1997, ha ulteriormente confermato che “…con riferimento alle fattispecie da assoggettare a tassazione, si precisa che le indennita’ relative ai terreni ricadenti nella zona omogenea F sono escluse dalla tassazione in quanto l’inclusione della medesima tra quelle nelle quali la realizzazione di opere pubbliche e di infrastrutture urbane da’ luogo alla tassazione delle relative indennita’ e’ stata effettuata dall’articolo 3 comma 1 lettera a) dei decreti legge 28 febbraio 1992 n. 174, 27 aprile 1992 n. 269 e 25 giugno 1992 n. 319, tutti non convertiti…”.
Appartiene allo stesso indirizzo anche l’iniziale indicata r.m. n. 7/1993 con la quale il ministero delle finanze ha stabilito quanto segue.
“L’Ing. G.F. ha chiesto di conoscere se alla ritenuta del 20% … recentemente istituita, debbano essere assoggettate le indennita’ di esproprio relative sia a terreni che a fabbricati, ivi comprese le pertinenze, ricadenti all’interno delle zone omogenee di tipoA, B, C, D, F, di cui al D.M. 2 aprile 1968 o se, invece, solo le indennita’ relative ai terreni siti nelle predette zone omogenee siano da ritenere assoggettabili a tassazione…
In forza delle citate disposizioni le indennita’ e le altre somme sono sottoposte a tassazione se corrisposte relativamente ad aree destinate alla realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture urbane all’interno di zone omogenee di tipo A, B, C e D (infatti l’allargamento alla lettera F era contenuto nel d.l. 28 febbraio 1992, n. 174, non convertito nei termini e la disposizione non e’ stata riprodotta nei decreti di reiterazione) di cui al d.m. 2 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici, ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 167, e successive modificazioni.”
Infine, conformi sono le prescrizioni impartite con la r.m. n. 5/1993.“Codesto ministero ha chiesto di specificare se le indennita’ riferite all’acquisizione, mediante esproprio, di edifici urbani siano o meno soggette alla ritenuta di cui all’art. 11 comma 7 della legge 30 dicembre 1991 n. 413.
Al riguardo, va precisato che con l’art. 11 commi 5 e seguenti della legge citata, è stata disposta la tassazione delle indennità di esproprio e delle somme percepite a seguito di cessioni volontarie o ad altro titolo nel corso di procedimenti espropriativi, nonche’ delle somme comunque dovute per effetto di occupazione acquisitiva, compresi gli interessi su tali somme e la rivalutazione, relative a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane ricadenti all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D di cui al d.m. 2 aprile 1968, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962 n. 167, e successive modificazioni, percepite da soggetti che non esercitano imprese commerciali…”.
Null’altro occorre aggiungere sul punto
Le conclusioni possono essere cosi’ di seguito sintetizzate.
L’APPLICAZIONE DELLE NORME CEDU E’ INELUDIBILE perché:
LA MANCATA APPLICAZIONE DELLE NORME CEDU comporta:
Alla luce di quanto sopra, la ditta espropriata, in un clima di proficua partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo, con il presente atto auspica un accordo bonario che, nel contemperamento degli opposti interessi, possa perseguire gli scopi di cui all’art. 2/2 del DPR 2001/327 (economicità, efficacia, efficienza, semplificazione dell’azione amministrativa).
Tutto ciò premesso e considerato, i proprietariistanti
INVITANO
sin d’ora codesta amministrazione a conformarsi alle motivazioni di cui sopra ed a formulare in via consequenziale l’offerta della indennita’ di esproprio e nel contempo
SI RENDONO COMUNQUE DISPONIBILE
ad una auspicata soluzione stragiudiziale e bonaria della vicenda
AVVERTONO
che, in difetto, si vedrà costretta a tutelare i propri diritti nelle competenti sedi, riservandosi, se necessario, di adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per veder integralmente tutelati i suoi diritti e rispettate le garanzie stabilite dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi Protocolli Addizionali.
INVITANO
sin d’ora codesta amministrazione ad accertare di avere la disponibilità delle somme necessarie a corrispondere l’indennita’ in misura adeguata alle norme CEDU o, in caso di delega, ad accertarsi che i soggetti delegati abbiano tale disponibilità e che essi prestino idonee garanzie all’amministrazione;
Questa difesa resta in attesa di tempestivo riscontro e di conoscere gli ulteriori atti ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, anche al fine di verificare se sussistano o meno i margini per una eventuale composizione transattiva della controversia.
OMISSSI