La sentenza n. 34399/2024 della Corte di Cassazione affronta temi centrali e attuali in tema di espropriazione e acquisizione sanante: il valore venale del bene, la rilevanza delle opere pubbliche realizzate sul fondo, la determinazione dell’indennizzo e la durata dell’occupazione senza titolo. Il caso offre spunti di riflessione su questioni ricorrenti nella prassi, come la distinzione tra giudicato sulla qualifica e sul valore del fondo, la natura e la retroattività del provvedimento ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001, la liquidazione dell’indennizzo patrimoniale e non patrimoniale, e i rapporti con le statuizioni dei giudici amministrativi e ordinari.
La controversia nasce dalla richiesta di indennità di esproprio e di occupazione da parte del proprietario di un suolo, inserito in un piano di esproprio per viabilità comunale. La Corte d’appello di Reggio Calabria aveva precedentemente liquidato la sola indennità di occupazione legittima per il periodo 2 marzo 2001 – 2 marzo 2005, sulla base di una valutazione di €120/mq.
Scaduto il termine di occupazione senza che fosse stato emesso il decreto di esproprio, il proprietario si rivolgeva al TAR per ottenere l’indennizzo integrale per la perdita della proprietà, ottenendo una liquidazione pari a €324.135,41 (€120/mq). Nel 2013, il Comune adottava un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis, liquidando €92.339,00. Il Consiglio di Stato dichiarava improcedibile l’appello, essendo sopravvenuta l’acquisizione sanante.
Nella successiva causa davanti alla Corte d’appello (poi oggetto di ricorso in Cassazione), la superficie corretta era individuata in 1.874 mq, il valore venale in €40/mq, indennizzo patrimoniale in €74.960, non patrimoniale in €7.496 e per occupazione illegittima in €14.055, per un totale di €96.511, inferiore agli importi già percepiti dal proprietario, cui veniva ordinata la restituzione dell’eccedenza.
I ricorrenti lamentavano che la precedente sentenza della Corte d’appello, che aveva riconosciuto la natura edificabile del fondo e il valore di €120/mq, facesse giudicato anche sul valore del bene. La Cassazione chiarisce che:
“Le opposizioni alla stima dell’indennità di occupazione e quelle all’indennità di espropriazione contengono domande distinte ed autonome, avuto riguardo alle diversità delle relative causae petendi, costituite l’una dalla privazione del godimento del bene occupato e l’altra dall’ablazione di quello espropriato” (Cass., sez. 1, 14 ottobre 2019, n. 25859).
Uno dei punti centrali della sentenza è la contestazione, da parte dei ricorrenti, dell’esclusione dal calcolo dell’indennizzo del valore delle opere pubbliche realizzate sul fondo prima dell’acquisizione sanante.
La Cassazione conferma che:
La ratio è evitare un indebito arricchimento dell’ablato, che altrimenti riceverebbe sia il valore del suolo che quello dell’opera realizzata dalla PA con oneri a proprio carico.
“Il valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. acquisizione sanante… deve essere determinato senza tenere conto del valore delle opere pubbliche realizzate medio tempore dalla PA”.
Sono richiamati il principio di accessione (art. 934 c.c.), il divieto di duplicazione di costo per l’amministrazione e la giurisprudenza della Corte EDU (Guiso-Gallisay c. Italia, 22 dicembre 2009), che ha escluso la necessità di riconoscere anche il plusvalore dell’opera pubblica.
L’indennizzo ex art. 42-bis si compone di:
La Corte ribadisce che il valore venale va determinato “alla data dell’adozione del provvedimento acquisitivo”, tenendo conto delle condizioni di mercato e delle caratteristiche effettive del cespite.
Un ulteriore motivo di ricorso riguardava la determinazione del periodo di occupazione senza titolo. I ricorrenti sostenevano che dovesse andare dal 2 marzo 2005 (scadenza occupazione legittima) fino al 26 giugno 2013 (data di acquisizione sanante), mentre la Corte d’appello lo aveva limitato al 15 dicembre 2008.
La Cassazione accoglie il rilievo e precisa che:
La sentenza della Cassazione comporta:
La sentenza richiama e conferma:
La decisione si pone in continuità con la giurisprudenza più recente, volta a evitare duplicazioni di ristoro e a privilegiare una valutazione oggettiva del valore del bene espropriato. Resta centrale il tema della certezza dei criteri di liquidazione e della separazione tra giudicati riguardanti diverse fasi e diversi periodi del procedimento espropriativo.
Alcuni autori sottolineano che la mancata inclusione del valore delle opere pubbliche realizza un equilibrio tra la necessità di evitare arricchimenti ingiustificati e quella di garantire un ristoro adeguato: il proprietario deve essere indennizzato per la perdita del bene, non per le migliorie apportate dalla collettività.
La sentenza n. 34399/2024 offre chiarezza su aspetti cruciali dell’acquisizione sanante: il giudicato non copre il valore venale del fondo nei diversi giudizi, l’indennizzo non può comprendere il valore delle opere pubbliche, la durata dell’occupazione senza titolo va coperta integralmente fino al provvedimento di acquisizione. Il quadro che emerge è volto a bilanciare gli interessi pubblici e privati, evitando distorsioni e garantendo equità e certezza nei procedimenti espropriativi.
La sentenza della Cassazione n. 34399/2024 offre lo spunto per riflettere sulle nozioni di giudicato interno ed esterno nei procedimenti espropriativi. In dottrina si è evidenziato che il giudicato formatosi sulla natura del terreno (es. edificabile o agricolo) rappresenta un presupposto logico-giuridico vincolante per i successivi giudizi, ma non si estende automaticamente alla quantificazione del valore venale, che può subire variazioni a seconda della domanda introdotta e del periodo di riferimento. Questo evita il rischio di “cristallizzazione” di valori non più attuali e consente al giudice di adattare la valutazione all’effettivo stato del bene al momento della liquidazione dell’indennizzo.
La giurisprudenza nazionale e quella della Corte EDU, come ricordato nella sentenza in commento, concordano nel ritenere che il proprietario non abbia diritto a essere indennizzato anche per il valore delle opere pubbliche realizzate sul fondo. Il principio di “non arricchimento” mira a evitare che il proprietario riceva un compenso superiore al reale pregiudizio subito, tenendo conto che le opere sono frutto di investimento pubblico e destinate a finalità collettive.
In dottrina si discute se, in presenza di opere che abbiano determinato una radicale trasformazione del bene e una perdita di valore residuo, sia corretto riconoscere comunque il pieno valore venale originario o se debba applicarsi una stima “intermedia”. La Cassazione, in linea con la Corte EDU, propende per la valorizzazione della situazione al momento del provvedimento di acquisizione sanante, senza attribuire plusvalore per le migliorie pubbliche.
La durata dell’occupazione senza titolo è uno dei temi più delicati nella prassi espropriativa. La Cassazione ribadisce il principio per cui il Comune è tenuto a liquidare l’indennizzo per tutto il periodo di detenzione sine titulo, a partire dalla scadenza dell’occupazione legittima fino all’emissione del provvedimento sanante. Questo meccanismo incentiva la pubblica amministrazione a non procrastinare indefinitamente la regolarizzazione della situazione di fatto e rafforza la tutela del diritto di proprietà contro le condotte dilatorie o omissive degli enti pubblici.
Alla luce della sentenza, alcuni suggerimenti operativi per avvocati, tecnici e funzionari coinvolti in procedimenti di espropriazione e acquisizione sanante:
Il tema della determinazione dell’indennizzo e della gestione di occupazioni illegittime non è peculiare solo all’ordinamento italiano. In Francia, ad esempio, la giurisprudenza distingue tra indennité d’expropriation (calcolata al valore corrente) e indennité d’occupation (a titolo di perdita di godimento), mentre in Germania il risarcimento è ancorato al principio della “giusta compensazione” secondo il valore di mercato, con attenzione particolare alla situazione effettiva del bene al momento dell’ablazione definitiva.
In Italia si discute sull’opportunità di introdurre meccanismi che rendano più rapida e trasparente la liquidazione degli indennizzi, anche mediante forme di mediazione obbligatoria o arbitrato, per evitare la moltiplicazione dei giudizi e i tempi lunghi che spesso caratterizzano queste controversie.
Rimangono aperte alcune questioni, tra cui:
La giurisprudenza più recente sembra orientata a una sempre maggiore tutela dell’affidamento del privato, ma senza sacrificare l’equilibrio finanziario dell’ente pubblico e l’interesse collettivo alla realizzazione delle opere.