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Espropriazione e Silenzio-Amministrativo: Tutela del Privato alla Luce della Giurisprudenza

Obblighi e Responsabilità della Pubblica Amministrazione in Caso di Occupazione Sine Titulo

Differenze tra Occupazione Legittima e Illegittima: Tutele per il Proprietario

Per maggiori chiarimenti consulta L’INDICE GENERALE

CONSIGLIO DI STATO

 

SEZIONE OMISSIS – RIC. N. OMISSIS – CONS. RELATORE DOTT. OMISSIS

 

CAMERA DI CONSIGLIO DEL OMISSIS

MEMORIA ILLUSTRATIVA

 

OMISSIS

C O N T R O

COMUNE DI OMISSIS

 

  • PREMESSA
  • quanto agli atti sopraggiunti emessi dal Comune di OMISSIS

 

Si ritiene di dover richiamare l’attenzione su una circostanza astrattamente dirimente e risolutiva del presente giudizio.

In particolare, successivamente alla pubblicazione della sentenza del Tar OMISSIS impugnata in questa sede, il Comune di OMISSIS ha emesso una serie di atti che appaiono univocamente diretti e finalizzati alla emissione del decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.

 

Si tratta in particolare:

 

  • della delibera n. 165 del 23.5.2014 (doc. n. 1) con la quale la giunta comunale ha stabilito che “…onde valutare la possibilita’ dell’acquisizione dell’area, in esecuzione di quanto stabilito nella sentenza del Tar OMISSIS in data 26.2.2014 n. OMISSIS, si rende necessario acquisire una stima dei terreni interessati…” dall’Agenzia del Territorio che ha poi formalizzato la perizia estimativa con atto prot. n. OMISSIS del 9.6.2914 (doc. n. 2);

 

  • della delibera n. OMISSIS del 2.12.2014 (doc. n. 3) con la quale la giunta comunale ha stabilito:
  • “…l’impossibilita’ della restituzione delle aree, ritenendosi conforme all’interesse pubblico prevalente procedere all’acquisizione delle stesse al patrimonio comunale…”;
  • di autorizzare a tal fine il dirigente dell’ufficio demanio espropri “…di redigere tutti gli atti necessari per l’acquisizione della aree al patrimonio comunale a mezzo dell’emissione del decreto acquisitivo ai sensi dell’art. 42 T.U. sugli espropri…”;
  • “di dare atto che le somme da corrispondere alla OMISSIS, nelle more dell’applicazione dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 e calcolate sulla scorta del valore unitario individuato dall’Agenzia delle Entrate nella stima assunta al prot. n. OMISSIS del 9.6.2014, ammontano ad euro 138.126,48…”;

 

  • della determinazione n. OMISSIS del 7.12.2014 (doc. n. 4) con la quale il dirigente stabiliva “di determinare ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 e s.m.i. l’indennita’ di esproprio in complessivo euro 138.126,48 scaturito dal calcolo secondo il valore individuato dalla perizia dell’Agenzie delle Entrate…”;

 

  • del provvedimento del 5.3.2015 notificato il 6.3.2015 (doc. n. 5), con il quale il responsabile del procedimento individuava catastalmente i beni da espropriare con il decreto acquisitivo sanante e determinava nella somma di euro 90.961,34 le somme espropriative spettanti ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, informando che, in difetto di riscontro, il comune avrebbe proceduto a quanto disposto dal citato art. 42 bis.

 

Stante il chiaro contenuto dei citati atti univocamente diretti alla emissione del decreto acquisitivo sanante, si  ritiene che gli stessi  siano idonei a  comportare la sopraggiunta improcedibilita’ dell’appello proposto dal Comune di OMISSIS, atteso che  il contenuto, i motivi e le domande dell’appello  appaiono incompatibili con la perdurante volonta’ di impugnare la sentenza del Tar OMISSIS.

 

Cio’ premesso, nel merito si ritiene di dover aggiungere quanto segue.

 

 

  • QUANTO ALL’ASSERITA INAMMISSIBILITA’/IMPRICEDIBILITA’ DEL RICORSO IN MATERIA DI SILENZIO (con riferimento al primo motivo di appello)

 

Sul primo motivo di appello, si rimanda per brevita’ ai rilievi  gia’ prospettati con la memoria di costituzione del 29.7.2014.

In particolare, con i citati rilievi  questa difesa ha dimostrato che con la nota del 3.12.2012 [assunta al protocollo del comune con il n. 60278 del 6.12.2012 (doc. n. 12 fascicolo ricorrente)] la societa’ (contrariamente a quanto prospettato dall’amministrazione appellante) non ha affatto richiesto la emissione del decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.  Ad ulteriore riscontro di  circostanza si segnala che con la nota medesima lasocieta’ concludeva (cfr. ultima pagina) affermando testualmente che

 

“La presente proposta, non producibile in altre sedi e finalizzata esclusivamente all’esperimento di un tentativo di transazione, non comporta ovviamente ne’ alcuna rinuncia o abbandono dei diritti della societa’ OMISSIS. ne’ riconoscimento e/o acquiescenza di alcun diritto del comune”.

 

Tanto basta, da un lato, ad escludere che la citata nota proposta dalla societa’ potesse configurare la istanza diretta alla emissione del decreto di esproprio sanante e, dall’altro lato, a confermare invece che si trattasse di una semplice proposta di transazione.

 

  • QUANTO ALLA ASSERITA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1375 E 1175 C.C. (in relazione al secondo motivo di appello)

 

Nel ribadire preliminarmente, anche in questo caso, a quanto gia’ prospettato con la memoria di costituzione del 29.7.2014, in questa sede si rende necessario aggiungere quanto segue.

 

Nessuna violazione degli obbligo di lealta’, correttezza e buona fede puo’ essere fondatamente imputata alla societa’ appellata per aver asseritamente violato gli obblighi assunti con l’accordo del 23.11.2000.

 

Come infatti piu’ diffusamente prospettato in punto di fatto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, i gravi ritardi ed i  numerosi inadempimenti in cui era incorso il Comune di OMISSIS  nella realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi rappresentano la vera causa che ha impedito alla societa’ di definire  i tempi e le modalita’ relative alla cessione definitiva al Comune di OMISSIS dei terreni di cui trattasi.

 

Per di piu’,  la societa’ segnalava immediatamente al comune  che l’accordo bonario del 23.11.2000 non era piu’ suscettibile di esecuzione per effetto della scadenza dei relativi termini di pubblica utilita’ e che la irreversibile trasformazione  dei terreni, emersa a seguito della esecuzione dei lavori dell’opera pubblica, imponeva la necessita’  di risolvere la questione relativa alla perdurante occupazione abusiva degli stessi.

 

Al fine dunque di porre rimedio alla indicata situazione, con istanza del 27.8.2013 (doc. n. 1 fascicolo primo grado),  la societa’ chiedeva  all’amministrazione occupante di  attivare e concludere il procedimento diretto ad  emettere   il decreto  di acquisizione sanante secondo la previsione dell’articolo 42 bis  d.p.r. n. 327/2001, delle aree ancora di proprieta’ della societa’ stessa  (distinte in catasto al foglio n. OMISSISI particelle OMISSISI  e al catasto urbano particelle OMISSISI  per una  superficie complessiva di mq. 2.214 s.e.o.), tuttora illegittimamente occupate e trasformate  a seguito  dei lavori eseguiti per la costruzione del  piano di intervento denominato “OMISSISI’ alternativa per OMISSIS citta’ aperta all’uomo ovvero OMISSIS citta’ senza auto”,  e di corrispondere alla stessa  l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale nonche’ il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione “sine titulo” delle stesse.

Il silenzio tenuto dal comune sulla citata istanza costringeva la societa’ a proporre il  ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

 

E’ appena il caso di precisare che non appare fondato il rilievo con cui il comune ha tentato di sostenere che nella fattispecie l’occupazione delle aree di cui trattasi e’ avvenuta in forza di un accordo e con l’assenso del privato e dunque cio’ consentirebbe di ritenere  l’occupazione perfettamente legittima ed autorizzata.

Il rilievo non ha pregio allorquando si consideri che l’assenso inizialmente concesso dalla societa’ alla occupazione dei terreni era stata certamente concesso, ma cio’ nella prospettiva e sotto la condizione di legge (art. 28 legge n. 2359/1865) che l’accordo del 23.11.2000 fosse  rispettato in tutte le sue previsioni.

Non avendo il comune rispettato per primo gli obblighi assunti, non puo’ addebitare  il mancato rispetto degli impegni alla societa’ contraente, quanto meno alla luce della eccezione di inadempimento.

 

E’ infine appena il caso di precisare che la tesi dell’ente appellante non appare affatto condivisibile nemmeno laddove essa ha tentato di individuare  nella societa’ la parte contraente asseritamente responsabile dell’inadempimento agli obblighi contratti con l’accordo del 23.11.2000.

 

Infatti, cosi’ argomentando l’ente  e’ incorso in errore laddove ha ignorato che e’ divenuta del tutto irrilevante la problematica relativa alla individuazione del contraente  astrattamente responsabile dell’inadempimento, e cio’:

 

  • perche’ l’accordo del 23.11.2000 e’ stato ritenuto illecito (e dunque nullo) in via definitiva dalla Corte di Cassazione (con la sentenza n. 5751/2014 del 5.2.2014) e per quanto di competenza dalla Corte di Appello di Firenze quale giudice del rinvio (con la sentenza  2579/2014 del 16.7.2014) all’esito del relativo  giudizio esperito in sede penale (cfr. infra punto 3);

 

  • perche’ (in subordine) lo stesso accordo del 23.11.2000 deve ritenersi comunque inefficace per infruttuoso decorso del termine decennale (22.6.2009) previsto sia ai fini della efficacia della  pubblica utilita’ (qualora si ritenesse che l’accordo sia stato assunto all’interno del procedimento di esproprio) sia ai fini  della efficacia dei piani particolareggiati  (qualora invece si ritenesse che l’accordo in materia di urbanistico – edilizia sia semplicemente accessivo al piano particolareggiato) (cfr. infra punto 3);

 

  • perche’ il Comune di OMISSIS, di fronte all’asserita responsabilita’ della societa’, avrebbe potuto e dovuto attivarsi esso stesso (anche alla luce dell’art. 1227 c.c.) per la costituzione del titolo di proprieta’:
  • o mediante la emissione del decreto di esproprio (rimedio ora previsto dall’art. 20 d.p.r. n. 327/2001 ma parimenti esperibile anche sotto la previgente normativa);
  • oppure mediante l’esperimento del giudizio costitutivo ex art. 2932 c.c.;

 

  • perche il comune ha lasciato spirare infruttuosamente il termine per emettere il decreto di esproprio (al massimo, entro il termine finale del 22.6.2009 di efficacia della pubblicata utilita’);

 

  • perche’ dunque il nuovo assetto dei rapporti determinatosi a seguito dei citati eventi (per effetto dei quali l’opera pubblica era  stata nel mentre realizzata sui terreni illecitamente occupati; il comune si era trovato in una situazione di possesso illecito, abusivo e senza titolo; la societa’ risultava solo formalmente ancora proprietaria delle aree occpuate) richiedeva necessariamente un rimedio  che rendesse  la citata situazione di fatto conforme alla corrispondente situazione di diritto (rimedio univocamente ravvisato nel decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001);

 

  • perche’ infine in tale nuovo contesto appare del tutto inappropriato ed inconferente il richiamo all’asserita violazione dei principi principio di buona fede e correttezza, posto che la necessita’ di dare sistemazione definitiva ai rapporti ancora pendenti conformando la  situazione di fatto alla situazione di diritto rappresenta una esigenza  primaria non solo per la societa’  proprietaria ma anche per lo stesso comune (in capo al quale semmai potrebbe parimenti ricondotta la stessa violazione del principio di buona fede e correttezza per aver tuttora sin dal 2000 il possesso ed il godimento illecito abusivo e senza titolo dei terreni occupati senza aver corrisposto le somme risarcitorie/indennitarie previste dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001).

 

 

  • QUANTO ALLA ACCERTATA ILLICEITA’ DELL’ACCORDO DEL 23.11.2000

 

Si rimanda  preliminarmente per brevita’  alla sentenza n. OMISSISI  del 5.2.2014 (gia’ allegata alla memoria di costituzione) con cui la Corte di Cassazione ha condannato  tra gli altri il signor OMISSISI  (amministratore della societa’ appellata), OMISSISI (dirigente responsabile della Direzione Pianificazione Urbanistica del Comune di OMISSIS) e OMISSISI (responsabile della Unita’ Tematica Attivita’ Produttive della Direzio S.U.I.C. del Comune di OMISSIS) per i reati urbanistici contestati, affermando la responsabilita’ penale degli imputati fondata sul previo accertamento della  illegittimita’/illiceita’ del citato accordo del 23.11.2000, con la conseguente natura illecita ed abusiva dell’intero fabbricato ivi edificato.

 

Per completezza, occorre aggiungere che con sentenza n. 2579/2014 del 16.7.2014 (doc. n. 6) emessa all’esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Firenze quale giudice del rinvio ha confermato la condanna di tutti gli imputati per il profilo di cui trattasi ed ha previsto, come conseguenza della condanna di cui al capo A) di imputazione, LA DEMOLIZIONE TOTALE DEI MANUFATTI IN BASE ALL’ART. 31 D.P.R. N. 380/2001.

 

In particolare, la Corte di Appello di Firenze si e’ anche soffermata preliminarmente sulla illiceita’ dell’accordo del 23.11.2000 affermando testualmente quanto segue:

 

“Va ricordato in particolare che che OMISSISI e’ stata firmataria dell’accordo bonario di cessione del 23.11.2000 con il quale si e’ posta la premessa per il rilascio del permesso di costruire e la realizzazione dell’immobile sulla base di un indice edificatorio notevolmente superiore a quello ammissibile ex art. 7 d.m. 1444/1968 e delibera c.c. n. OMISSISI” (cfr. pag. 12 ultimo capoverso).

 

Alla luce dunque della indiscussa illecita’ dell’accordo ormai definitivamente  accertata in sede penale  dalla Corte di Cassazione (e per quanto di competenza dalla Corte di Appello di Firenze quale giudice del rinvio), non appare dunque neppure ammissibile continuare a dissertare in questa sede se l’accordo del 23.11.2000 sia o meno valido e/o efficace e quale ne sia la natura e l’effettivo contenuto.

Si tratta infatti di un accordo pacificamente “contra legem” ed in quanto tale nessuna della parti puo’ legittimamente chiederne il rispetto e l’adempimento delle relative obbligazioni.

 

Gli elementi che hanno concorso alla fattispecie gia’ nota come occupazione appropriativa possono dunque ravvisarsi:

  • nel travolgimento (per illiceita’) e nel superamento (per inefficacia) dell’accordo del 23.11.2000;
  • nel mancato trasferimento della proprieta’ delle aree in capo al comune ne’ per effetto del contratto definitivo di cessione bonaria ne’ per effetto del decreto di esproprio;
  • nella intervenuta realizzazione ed ultimazione nel mentre dell’opera pubblica;
  • nella circostanza che il comune ha continuato e continua nella perdurante occupazione delle aree, risultata per l’effetto  illecita, senza titolo ed abusiva  (e non ostante la perdurante  proprieta’ delle stesse in capo alla  ).

 

La concomitanza degli elementi di cui sopra e la necessita’ di regolarizzare la perdurante situazione sottesa alla occupazione illecita permanente hanno spinto la societa’ Findem srl  a presentare  la istanza del 27.8.2013 tesa ad ottenere il rilascio del decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 ed a proporre il conseguente ricorso avverso il relativo silenzio.

 

 

  • (IN SUBORDINE) QUANTO ALLA SOPRAGGIUNTA INEFFICACIA DELLA SCRITTURA PRIVATA DEL 23.11.2000

 

Nel confermare estensivamente quanto gia’ prospettato in merito da questa difesa con il ricorso principale (cfr. la premessa pagg. 5/8), in questa sede e’ sufficiente limitarsi a considerare quanto segue perche’ tutti i rilievi  formulati dal comune siano  superati e travolti.

 

Se l’accordo bonario del 23.11.2000 rappresenta  un atto endoprocedimentale del procedimento di esproprio (come sostiene questa difesa),  esso e’ comunque sempre implicitamente, strutturalmente e funzionalmente condizionato alla legittima del conclusione del relativo procedimento di esproprio. Conclusione che si sostanzia nella sottoscrizione del contratto di cessione bonaria ovvero in alternativa con la emissione del decreto di esproprio. Qualora il contratto di cessione bonaria ovvero il decreto di esproprio non intervengano entro il termine finale di efficacia della pubblica utilita’, l’accordo resta definitivamente privo di efficacia  e sostanzialmente irrilevante, caducato, superato e travolto (cfr. ampia giurisprudenza della Corte di Cassazione e di codesto Consiglio di Stato indicata nella premessa del ricorso principale: pagg. 5/8).

 

Cio’ posto, nella fattispecie dagli atti gia’ prodotti in giudizio risulta  che con deliberazione del c.c. n. OMISSISI del 29.4.1999, il Comune di OMISSIS  ha approvato  il  piano particolareggiato di cui trattasi che e’ divenuto efficace in data 22.6.1999 a seguito della pubblicazione,  ai sensi della legge n. 1150/1942 e della legge regionale n. 31/1997, sul Bollettino Ufficiale della Regione Umbria.

 

Orbene, e’ noto che  l’approvazione del piano particolareggiato ha comporta “ope legis” la dichiarazione di pubblica utilita’ delle opere ivi previste ed e’ altrettanto noto che la legge ha espressamente determinato in dieci anni l’efficacia della pubblica utilita’ del piano particolareggiato. In particolare, l’art.  16 della legge n. 1150/1942 (nel suo testo storico vigente “ratione temporis”) prevede testualmente che “Col decreto di approvazione sono decise le opposizioni e sono fissati il tempo, non maggiore di anni dieci, entro il quale il piano particolareggiato dovra’ essere attuato ed i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni”.

 

Pertanto,  entro il citato termine finale di efficacia della pubblica utilita’ (spirato infruttuosamente in data 22.6.2009) ne’ le parti hanno proceduto alla cessione bonaria delle aree di cui trattasi ne’ il Comune di OMISSIS ha emesso il decreto di esproprio, ipotesi questa pur espressamente prevista dall’accordo bonario del 23.11.2000.

 

Si noti altresi’  che e’  parimenti infruttuosamente spirato  anche il termine finale specificamente previsto per la emissione del decreto di esproprio posto che, con la deliberazione della g.c. n. 310 del 24.6.1999 (doc. n. 4 fascicolo prmo grado), il Comune di OMISSIS  aveva  stabilito l’inizio delle espropriazioni  entro un anno (scadente il 24.6.2000) dall’approvazione della deliberazione e la loro conclusione entro il termine di cinque anni (scadente al piu’ tardi il 24.6.2005) dal loro inizio.

 

Se invece l’accordo del 23.11.2000  rappresenta piu’ genericamente un accordo accessivo al piano particolareggiato (come sostenuto dal comune), esso deve ritenersi comunque privo di efficacia atteso che, per effetto del citato art. 16 della legge n. 1150/1942, in data 22.6.2009 il piano particolareggiato di cui trattasi ha perso efficacia a seguito dell’infruttuoso decorso del termine di 10 anni  decorrenti dalla sua approvazione (intervenuta in data 22.6.2009). Il comune dunque non puo’ legittimamente formulare domande che siano fondate o comunque riconducibili ad un piano particolareggiato che e’ ormai priva di efficacia.

 

In ogni caso, la caducazione dell’accordo del 23.11.2000 e’ parimenti imposta anche dall’art. 28 della legge n. 2359/1865 vigente “ratione temporis”, secondo il quale

 

“L’accettazione della indennità offerta dall’espropriante e gli accordi amichevoli che siansi conchiusi fra questo ed i proprietari od enfiteuti dei beni da espropriarsi, prima che sia approvato il piano di esecuzione, si considereranno dipendenti dalla condizione che il piano venendo approvato, i beni ceduti siano compresi nella espropriazione”.

 

Appare superfluo precisare che la espressione “accordi amichevoli” si riferisce necessariamente ad ipotesi diverse dall’accordo sulla indennita’ di esproprio posto che “l’accettazione della indennita’” risulta quale ipotesi ulteriore e distinta gia’ prevista e individuata dalla prima parte del citato art. 28.

 

Per l’effetto, la conclusione inevitabile e’ che i terreni oggetto di causa, sui quali e’ stata realizzata l’opera pubblica di cui trattasi, risultano tuttora occupati “sine titulo”. A tale situazione patologica ed  anomala  la societa’ ha inteso  porre rimedio chiedendo  al comune l’acquisizione delle aree illecitamente occupate con il pagamento delle somme risarcitorie ed indennitarie previste dall’art. 42 d.p.r. n. 327/2001.

 

 

  • QUANTO ALL’ASSERITA ESTRANEITA’ DELL’ACCORDO AL PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO

 

Deve ritenersi infondata la tesi dell’appellante secondo cui l’accordo del 23.11.2000 configurerebbe semplicemente un atto d’obbligo, diffuso in materia urbanistico – edilizia, che non avrebbe correlazione con il procedimento di esproprio.

Tale interpretazione risulta smentita allorquando si consideri quanto segue.

 

Con nota prot. n. OMISSISI del 28.12.1999 (doc. n. 5 fascicolo primo grado), il comune informava i proprietari  interessati (la societa’ ricorrente nonche’ i signori OMISSISI):

 

  • che con deliberazioni di c.c. n. OMISSISI del 12.10.1998 e n. OMISSISI del 21.1.1999 era stato adottato il piano particolareggiato relativo all’intervento di cui trattasi;

 

  • che con deliberazione di c.c. n. OMISSISI del 29.4.1999 era stato definitivamente approvato il piano particolareggiato indicato;

 

  • che, ai sensi della legge n. 1150/1942, dal giorno 22.6.1999 (data di pubblicazione del provvedimento sul Bollettino Ufficiale della Regione), era divenuto operante ed efficace il piano particolareggiato;

 

  • che i proprietari delle aree comprese nei comparti interessati dall’intervento erano invitati a dichiarare, entro il termine di giorni trenta, l’intenzione a partecipare o meno alla realizzazione di quanto previsto nel piano particolareggiato;

 

  • che infine, decorso inutilmente il termine indicato, il comune avrebbe potuto procedere alla espropriazione dell’intero comparto ed indire la gara per la edificazione o la trasformazione del comparto stesso.

 

All’invito  rispondeva soltanto la OMISSIS. con lettera del 25.1.2000 (doc. n. 5 allegato alla seconda memoria illustrativa del 20.1.2014 fascicolo primo grado) con cui manifestava la volonta’ di aderire alla iniziativa comunale.

 

Con nota prot. n. OMISSISI del 4.10.2000 (doc. n. 6 fascicolo primo grado), il comune partecipava alla ricorrente, ed agli altri soggetti gia’ indicati in precedenza,  che le aree di cui sopra figuravano comprese tra quelle da espropriare in vista della realizzazione dell’opera pubblica di cui trattasi in localita’ Posterna (cosi’ testualmente “Con riferimento all’avviso di deposito in data 5 ottobre 2000 relativo all’oggetto, comunico che nell’elenco delle ditte espropriande risulta compresa anche la ditta OMISSIS. relativamente alle aree site nel comune di OMISSIS e distinte in catasto come appresso indicato…”).

 

Infine, si rivela dirimente lo stesso accordo del 23.11.2000 il cui art. 6) prevedeva testualmente quanto segue:

 

“L’amministrazione comunale, nel caso in cui la societa’ OMISSIS. non rispetti gli adempimenti previsti nei precedenti articoli entro il termine di un anno dalla data di comunicazione per la presentazione del progetto procedera’ come segue:

 

  • si procedera’ in base a quanto stabilito dall’art. 23 della legge 1150/’42 all’espropriazione dell’area sulla quale dovra’ essere realizzato il fabbricato residenziale per una volumetria massima di mc. 15.000 in quanto la societa’   ha dimostrato di non voler realizzare e rispettare quanto previsto ed approvato nel piano attuativo;
  • […]”.

 

Sulla scorta di quanto premesso,  risulta incontrovertibilmente dimostrato:

  • che la societa’ OMISSIS. ha ritenuto di aderire alla iniziativa del comune per il semplice fatto di essere uno dei soggetti interessati al comparto del parcheggio OMISSISI, destinatari della espropriazione dei relativi terreni;
  • che solo e proprio perche’ ha aderito all’iniziativa pubblica, la societa’ ricorrente ha evitato l’esproprio delle aree  di sua proprieta’ destinate ad ospitare il costruendo edificio;
  • che la parte restante dei terreni della OMISSIS. e’ stata regolarmente inserita dal comune nel piano particellare di esproprio secondo le previsioni della legge n. 865/1971.

 

Asserire dunque, come ha fatto il comune, che l’accordo del 23.11.2000 si collochi al di fuori del procedimento di esproprio, non appare affatto attendibile perche’ smentito dai documenti in atti.

 

 

  • QUANTO ALLA ASSERITA NATURA CORRISPETTIVA DELLA VOLUMETRIA DI 15.000 MC.

 

Sul punto, si rimanda per brevita’ a quanto gia’ prospettato con la memoria di costituzione del 29.7.2014 (cfr. punto 2.4 pagg. 8/10) che deve ritenersi integralmente confermato in questa sede.

 

 

  • QUANTO ALL’ASSERITO DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELLA OMISSIS.

 

Infine, l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo alla societa’  OMISSIS. si rivela manifestamente strumentale ed infondata  laddove si consideri:

 

  • che l’obbligo sottoscritto dalla societa’ a cedere “irrevocabilmente” al comune le aree destinate alla realizzazione del parcheggio pubblico era stato assunto nell’ambito dell’accordo bonario del 23.11.2000 che pero’, alla luce di quanto gia’ premesso non puo’ essere utilmente evocato dal comune poiche’ esso:
  • e’ stato ritenuto illecito (e dunque nullo) in via definitiva dalla Corte di Cassazione (con la sentenza n. 5751/2014 del 5.2.2014) e per quanto di competenza dalla Corte di Appello di Firenze quale giudice del rinvio (con la sentenza  2579/2014 del 16.7.2014) all’esito del relativo  giudizio esperito in sede penale;
  • deve ritenersi comunque inefficace (in subordine) per infruttuoso decorso del termine decennale (22.6.2009) previsto sia ai fini della efficacia della pubblica utilita’ (qualora si ritenesse che l’accordo sia stato assunto all’interno del procedimento di esproprio) sia ai fini  della efficacia dei piani particolareggiati  (qualora invece si ritenesse che l’accordo in materia di urbanistico – edilizia sia semplicemente accessivo al piano particolareggiato);

 

  • che nessuna validita’ e nessuna vigenza possono essere legittimamente ricondotte al citato accordo del 23.11.2000;

 

  • che dunque non corrisponde al vero l’affermazione secondo cui la societa’ OMISSIS. avrebbe abdicato:
  • sia al diritto di proprieta’ (ipotesi questa peraltro esclusa dalla piu’ recente giurisprudenza amministrativa e di legittimita’ in materia di occupazione appropriativa);
  • sia all’indennita’ di esproprio (argomento questo che smentisce e contraddice la diversa tesi sostenuta dalla stesso comune secondo cui l’accordo bonario del 23.11.2000 sarebbe estraneo al procedimento espropriativo, la cui esistenza infatti non puo’ essere ora smentita ed ora ammessa dal comune in funzione della convenienza dei singoli argomenti difensivi);

 

  • che in particolare la tesi dell’asserita abdicazione definitiva ad opera della societa’ OMISSIS. del diritto di proprieta’ delle aree occupate e’ smentita  dalla intensa corrispondenza inviata dallo stesso comune, dall’esame della quale emerge “per tabulas” che invece il comune  ha sempre espressamente presupposto che la proprieta’ fosse rimasta in capo alla societa’ e che per il trasferimento della stessa in capo all’ente fosse necessario procedere alla sottoscrizione del  contratto definitivo di cessione delle aree:
  • con nota prot. n. OMISSISI del 22.5.2009 avente ad oggetto “…accordo preliminare per la cessione delle aree ai fini della realizzazione del parcheggio Mobilita’ Alternativa – 1 stralcio”, il comune scriveva testualmente quanto segue: “Con riferimento al contratto preliminare – accordo bonario sottoscritto in data 23.11.2000 ed alla vostra nota riportata in oggetto,…, vi invitiamo ad intervenire all’incontro presso gli uffici tecnici sito in OMISSISI per il giorno 3 giugno alle ore 15.30 per definire tempi e modalita’ relative alla cessione definitiva al Comune di OMISSIS delle seguenti porzioni di terreno…” (doc. n. 8 fascicolo primo grado);
  • con nota prot. n. OMISSISI del 16.11.2009, il comune ribadiva che “…per quanto concerne i rapporti sinallagmatici sottesi allo schema di accordo del 23.11.2000 stipulati tra la OMISSISI ed il Comune, non vi e’ alcuna causa ostativa che impedisca la cessione definitiva dei terreni in esso indicati…” (doc. n. 10 fascicolo primo grado);
  • con nota prot. n. OMISSISI del  11.2012 avente ad oggetto “Comparto di Via  OMISSISI – Cessione definitiva aree”,  il Comune di OMISSIS, dopo aver premesso che “in data 23.11.2000 la societa’ OMISSIS. sottoscriveva schema di accordo bonario per la cessione dei terreni della societa’ OMISSISI necessari per la realizzazione del piano attuativo di ristrutturazione urbanistica di iniziativa pubblica 1 stralcio del progetto di mobilita’ alternativa”, ribadiva ancora “la necessita’ di formalizzare la cessione definitiva dei terreni di proprieta’ OMISSIS….” ed a tal fine addirittura  trasmetteva in allegato alla nota medesima la “…copia dello schema di contratto per la cessione definitiva delle aree, per consentire un esame da parte delle due ditte interessate…”, precisando in ultimo che “Alla scadenza del termine, sara’ fissata la data per la stipulazione che potra’ avvenire presso l’ufficio del Segretario Generale del Comune di OMISSIS in orario da definire” (doc. n. 11 fascicolo primo grado);
  • infine con successiva nota prot. n. OMISSISI del 7 marzo 2013, il comune testualmente scriveva quanto segue: “Cio’ premesso… si invita e diffida ad ogni effetto di legge la S.V. a presentarsi il giorno 25 marzo 2013 alle ore 10.00 presso la residenza municipale in OMISSIS in Piazza del Comune n. 1 ufficio del Segretario Generale per formalizzare la stipula della cessione definitiva delle aree descritte nell’accordo bonario del 23.11.2000” (doc. n. 13 fascicolo primo grado).

 

Dunque appare incontestabile non solo che la societa’ OMISSIS. non abbia mai abdicato al proprio diritto di proprieta’ delle aree di cui trattasi, ma che (al contrario), proprio per tutelare il diritto dominicale ed il correlativo diritto risarcitorio/indennitario in relazione alle aree colpite dalla relativa occupazione illecita appropriativa, sia stata costretta a richiedere la emissione del decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 e ad impugnare il relativo silenzio (oggetto del presente giudizio).

 

 

8) QUANTO AL SILENZIO (OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO)

violazione e falsa applicazione:

  • Dell’ 2 della legge n. 241/1990;
  • Dell’art. 42 bis d.p.r. N. 327/2001;
  • DEll’art. 3 COST. (uguaglianza);
  • dEll’art. 97 COST. (imparzialita’ e buon andamento);
  • dell’art. 41 COST. (proprieta’);
  • Dell’art. 2 d.p.r. N. 327/2001;
  • DeLL’ART. 1 PROTOCOLLO ADDIZIONALE 1 ALLA CEDU

 

Nel merito della controversia, la sentenza impugnata si sottrae alle censure mosse dal comune appellante e deve essere confermata.

 

  • quanto alla giustificazione normativa in ordine alla configurazione del silenzio

 

E’ noto che esiste un preciso quadro normativo dal quale e’ possibile trarre tutti gli elementi necessari sia alla individuazione in capo all’amministrazione dell’obbligo (e non solo della mera facolta’) di provvedere sulla istanza dei proprietari di emissione del decreto sanante sia alla conseguente formazione del relativo silenzio, in caso di inerzia sulla stessa.

 

A tal fine, si richiama l’attenzione sulla circostanza:

 

  1. che l’art. 2 della legge n. 241/1990 nel suo testo risultante a seguito della modifica apportata dall’art. 7 della legge 18.6.2009 n. 69, prevede:

 

  • (primo comma) che “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso…”;

 

  • (secondo comma) che “Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”;

 

  1. che l’art. 7/3 della legge 18.6.2009 n. 69 prevede:

 

  • che “In sede di prima attuazione della presente legge, gli atti o i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’ articolo 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, come da ultimo sostituito dal comma 1, lettera b), del presente articolo, sono adottati entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le disposizioni regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti, cessano di avere effetto a decorrere dalla scadenza del termine indicato al primo periodo. Continuano ad applicarsi le disposizioni regolamentari, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini non superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti. La disposizione di cui al comma 2 del citato articolo 2 della legge n. 241 del 1990 si applica dallo scadere del termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le regioni e gli enti locali si adeguano ai termini di cui ai commi 3 e 4 del citato articolo 2 della legge n. 241 del 1990 entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

 

E’ sufficiente richiamare in materia i noti principi stabiliti da codesto Consiglio di Stato:

 

“Ciò posto, osserva il Collegio che l’art. 2 della L. n. 241 del 1990, che racchiude uno dei principi fondamentali dell’ordinamento in tema di azione amministrativa, sancisce l’obbligo per l’amministrazione di concludere ogni procedimento con provvedimento espresso entro un termine certo, che è quello generale fissato dal comma 3 (attualmente ridotto da 90 a 30 giorni dall’art, 7 della L. n. 69 del 2009) o quello indicato da specifiche disposizioni di legge” (Consigli Stato sezione V 23.10.2012 n. 5413);

 

“…ogni procedimento avviato ad istanza di parte deve concludersi con un provvedimento esplicito adottato nei termini di legge (art. 2, legge n. 241/1990)…”  (Consiglio Stato sezione V 8.9.2011 n. 5058; conforme Consiglio Stato sezione VI 1.12.2010 n. 8371).

 

 

  • quanto alla giurisprudenza in ordine all’obbligo di provvedere

 

E’ noto che, in materia di silenzio, la pacifica giurisprudenza ha stabilito una serie di principi, ormai comunemente condivisi, i quali hanno chiarito in particolare che il silenzio serbato dall’amministrazione sulla istanza volta ad ottenere la emissione del decreto di esproprio sanante ovvero in alternativa la restituzione dei fondi illecitamente occupati, comporta pacificamente:

 

  • la violazione dell’ 2 della legge n. 241/1990 (posto che sussiste l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulla istanza);

 

  • la violazione dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (posto che sussiste l’obbligo dell’amministrazione di attivarsi e di far cessare la occupazione illecita senza titolo);

 

  • la  violazione dell’art. 3 costituzione (posto che il “vulnus” al principio di uguaglianza e’ inferto dalla discriminazione arbitrariamente tracciata dall’amministrazione tra  soggetti destinatari del procedimento di esproprio definito ordinariamente  e soggetti  colpiti invece da occupazione “sine titulo”);

 

  • la violazione dall’art. 97 costituzione (posto che la violazione dei principi di imparzialita’ e buon andamento risulta inferta dal mancato esercizio pur doveroso ad opera dell’amministrazione delle opzioni astrattamente ipotizzabili per rimediare e porre fine alla occupazione “sine titulo”);

 

  • la violazione dell’art. 41 della costituzione (posto che il soggetto colpito dalla occupazione “sine titulo” ha un oggettivo e pressante interesse a conoscere quale sia la sorte della sua proprieta’);

 

  • la violazione dell’art. 2 d.p.r. n. 327/2001 (posto che l’occupazione “sine titulo” rappresenta una lesione cosi’ grave e manifesta  dei  principi di correttezza, economicita’ e speditezza dell’azione amministrativa tale da non richiedere neppure ulteriori approfondimenti);

 

  • la violazione infine dei principi sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali (posto che la realizzazione dell’opera pubblica caratterizzante l’occupazione “sine titulo” – in quanto integrante un illecito permanente – non puo’ comportare il trasferimento della proprieta’ in capo alla p.a. la quale e’ chiamata a decidere se restituire il bene illecitamente occupato ovvero ad acquisirlo nelle forme previste dalla legge).

 

Il giudice di prime cure ha fatto corretta applicazione dei noti principi stabiliti   in materia di silenzio dalla giurisprudenza amministrativa:

 

  • Tuttavia, il Tar ha errato laddove ha ritenuto insussistente un obbligo di provvedere.

Infatti, l’occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l’Amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità.

<Il privato può dunque legittimamente domandare o l’emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino. Nell’attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno infatti l’obbligo giuridico di far venir meno — in ogni caso — l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”, oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell’area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative> (Cons. St., sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1713).

Nel caso di specie è pacifico che il Comune stia utilizzando senza titolo beni presenti su terreni di proprietà altrui. L’amministrazione ha quindi l’obbligo di restituire i beni illecitamente occupati, oppure, di acquisirli al proprio patrimonio ritenendo sussistenti le condizioni per procedere ex art. 42 bis.

[…]

Fermo restando quindi il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla Amministrazione sulla possibilità di procedere ex art. 42 bis, non v’è dubbio che l’esercizio di tale potestà non possa protrarsi indefinitamente nel tempo, altrimenti l’inerzia dell’Amministrazione si tradurrebbe in un illecito permanente.

Seppure, quindi, l’art. 42 bis non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il privato possa sollecitare l’Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che l’Amministrazione abbia l’obbligo di provvedere al riguardo, essendo l’eventuale inerzia dell’Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo.

Infatti, per la P.A. l’obbligo giuridico di provvedere, positivizzato in via generale dall’ art. 2 della L. n. 241 del 1990, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, derivandone che il silenzio – rifiuto è un istituto riconducibile a inadempienza dell’Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento (cfr.: Cons. St., Sez. IV, 22.6.2006 n. 3883; Id, 4.9.1985 n. 333 e 6.2.1995 n. 51; Sez. V 6.6.1996 n. 681 e 15.9.1997 n. 980; Sez. VI, 11.11.2008). Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo è rinvenibile anche al di là di un’espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento ovvero tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (ex plurimis: Cons. St., sez VI, 14.10.1992 n. 762)” (Cons. Stato sezione IV 15.9.2014 n. 4696);

 

  • “…viene qui in rilievo la giurisprudenza amministrativa per la quale, in via generale, “l’obbligo giuridico di provvedere – ai sensi dell’ 2 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della L. 18 giugno 2009, n. 69 – sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487)” (Consiglio Stato sezione IV 17.10.2012 n. 5347);

 

  • “In linea di massima, infatti, l’obbligo giuridico di provvedere – ai sensi dell’ 2 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della L. 18 giugno 2009, n. 69 – sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487)” (Consiglio Stato sezione IV 27.4.2012 n. 2468).

 

  • “Al fine di sgombrare il campo da facili equivoci, va subito precisato che “…sarebbe priva di pregio l’eventuale eccezione con cui l’amministrazione sostenesse che  l’istanza presentata dal proprietario ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001   sarebbe in tal senso manifestamente infondata, posto che la norma indicata  attribuirebbe all’amministrazione una facolta’ e non gia’ un obbligo di provvedere. Con la conseguenza quindi  che a fronte del silenzio asseritamente legittimo serbato dalla stessa amministrazione,  il susseguente ricorso  dovrebbe essere dichiarato inammissibile. E cio’, anche in quanto  il proprietario, ancora titolare del diritto dominicale,  vanterebbe solo  un diritto soggettivo pieno alla restituzione del bene stesso, nel mentre in capo all’amministrazione  non sussisterebbe alcun obbligo di provvedere proprio perche’ non dovrebbe essere esercitata alcuna potesta’ pubblica cui e’ correlata una posizione di interesse legittimo del proprietario alla restituzione delle aree  illegittimamente detenute, in relazione alla scelta di acquisire le aree stesse ovvero di restituirle.

Una siffatta eccezione rivelerebbe tutti i propri limiti laddove si consideri che, al contrario,  e’ perfettamente configurabile  un vero e proprio obbligo di provvedere posto a suo carico dell’amministrazione, desumibile non soltanto dalle puntuali disposizioni di legge gia’ evocate in precedenza, ma anche dalla stessa peculiarita’ della fattispecie, nella quale evidenti ragioni di giustizia ed equita’ imporrebbero l’adozione di provvedimenti o, comunque, lo svolgimento di un’attivita’ amministrativa alla stregua dei principi (buon andamento ed imparzialita’) imposti in via generale dall’art. 97 costituzione, considerato che il proprietario  null’altro pretende dall’amministrazione  se non  l’attivazione di un procedimento volto a definire la sorte dei beni rimasti sempre di sua  proprieta’, ma tuttora illecitamente occupati “sine titulo” e  mai restituiti ed anzi irreversibilmente trasformati dall’amministrazione.

Al riguardo, e’ sufficiente considerare che con la istanza sulla quale si e’ formato il silenzio impugnato in questa sede, il proprietario  ha attivato una posizione giuridica di interesse legittimo   pacificamente esercitabile per effetto dell’avvenuta introduzione nel sistema del d.p.r.  n. 327/2001 del procedimento attraverso il quale l’amministrazione  puo’ ed anzi deve sanare l’utilizzazione “sine titulo” di un bene immobile altrui per scopi di interesse pubblico.

A questo riguardo va pertanto precisato che, se al provvedimento finale di tale procedimento deve comunque attribuirsi natura discrezionale, cio’ – per l’appunto – non esclude la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione  stessa di rispondere all’istanza presentata al tal fine  dal privato. Senza sottacere che dall’avvio del procedimento non discende ovviamente l’adozione di un provvedimento avente un contenuto necessariamente vincolato in senso favorevole alla posizione del privato medesimo” (Cons. Stato 8.10.2012 n. 5207) (conformi ex multis  Cons.  Stato sezione IV 2 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sezione VI 1 dicembre 2011 n. 6351).

 

 

Del resto, e’ stata la citata giurisprudenza a tracciare  i percorsi di tutela della proprieta’ privata a fronte dell’illegittimo esercizio del potere espropriativo.

 

I punti di partenza della questione sono del tutto perspicui:

 

  1. la cosiddetta occupazione appropriativa per trasformazione irreversibile dell’immobile, come modo di acquisto della proprieta’ a titolo originario, fondato sul principio della accessione cosiddetta invertita mutuato per analogia dall’art. 938 c.c., dopo una (fin troppo nota e travagliata) vicenda segnata dal progressivo affinamento del formante giurisprudenziale, e’ stata ormai inesorabilmente espunta dall’ordinamento, in virtu delle reiterate e decisive pronunzie della Corte Europea di Strasburgo e soprattutto da ultimo dalla notissima recente sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. 1.2015 n. 735;

 

  1. di conseguenza, ricondotta la vicenda della occupazione illegittima ad una “ordinaria” ipotesi di illecita ingerenza nella sfera dominicale altrui, al proprietario leso spetteranno (prescindendo, per un momento, dalla possibilita’ che l’ente espropriante eserciti il potere di acquisizione sanante di cui all’attuale art. 42 bis) tutte le ordinarie azioni a difesa della proprieta’ e del possesso, non potendo godere la pubblica amministrazione di uno “status” privilegiato se non in presenza di poteri esercitati in conformita’ del paradigma legale di riferimento.

 

E’ peraltro evidente che – in mancanza di un idoneo titolo giuridico che valga a trasferire la proprieta’ in capo alla pubblica amministrazione – il privato, a fronte della illecita ingerenza, resta proprietario del bene, con la conseguenza che puo’, anzitutto, attivare (a parte, ovviamente, il risarcimento del danno per il periodo di occupazione) la tutela restitutoria, previa ripristino dello “status quo ante”: al che non puo’ costituire impedimento (una volta venuta meno la possibilita’ di evocare  la occupazione acquisitiva) ne’ la avvenuta trasformazione delle aree, ne’ la realizzazione dell’opera pubblica (gia’ nota  come “trasformazione irreversibile”). Infatti,  per un verso, il limite della eccessiva onerosita’ e’ codificato  dall’art. 2058 c.c. in relazione alla tutela risarcitoria (in forma specifica) e non anche invece per quella restitutoria (che trova fondamento negli artt. 948 ss. ed e’ preordinata alla tutela reale della proprieta’) e, per altro verso, l’ulteriore limite di cui all’art. 2933 c.c. (relativo alla riduzione in pristino di quanto sia stato realizzato in violazione dell’obbligo di non fare) si riferisce solo alla ricorrenza di pregiudizi per l’intera economia nazionale e non invece a quelli “localizzati” (Cass. 23.8.2012 n. 14609).

 

Per la stessa ragione (ma al  contrario), al privato dovrebbe, in principio, ritenersi preclusa la tutela risarcitoria (naturalmente diversa da quella relativa alla mera occupazione), difettando – ai fini del riconoscimento del diritto al rivendicato controvalore venale del bene – il presupposto essenziale rappresentato dalla perdita della proprieta’.

 

Una importante conseguenza e’, allora, che le domande risarcitorie (anche quelle gia’ proposte in passato quando nessun privato aveva plausibile ragione di dubitare del regime della occupazione acquisitiva e  giunte alla attuale cognizione del giudice amministrativo – oggi attributario  della giurisdizione esclusiva in materia, giusta l’art. 34 del d. lgs. n. 80/98, trasfuso nell’art. 133 c.p.a. – per via di “translatio judicii”) dovrebbero essere coerentemente  respinte in quanto non fondate, per difetto del fatto costitutivo del diritto azionato consistente nella perdita della proprieta’.

 

In relazione a tale quadro,  puo’ ritenersi in generale sostanzialmente appagante l’eventualita’ che l’amministrazione eserciti l’autonomo potere ablatorio codificato dall’art. 42 bis del d.p.r. n.  327/2001 in quanto:

 

  1. per un verso, la legalita’ dell’azione amministrativa viene, in certo modo, “recuperata” dalla creazione di un nuovo ed autonomo “titulus adquirendi” di natura provvedimentale, munito della necessaria base legale e frutto della doverosa e rigorosa ponderazione comparativa degli interessi in gioco, complessivamente protesa alla salvaguardia di quello pubblico concretamente preminente (cosi’ superando la logica, stigmatizzata in sede CEDU, dell’occupazione acquisitiva che consentiva l’acquisto in virtu’ di un mero comportamento di fatto, per di piu’ concretante fattispecie di illecito);

 

  1. per altro verso, si garantisce al privato una tutela piena e satisfattiva (in prospettiva dichiaratamente “indennitaria” e non piu’ “risarcitoria” come ancora autorizzava a ritenere la formulazione del previgente art. 43) tesa al conseguimento dell’integrale valore del bene, senza neppure precludergli astrattamente la possibilita’ di impugnare (se interessato soprattutto alla reintegra) il provvedimento.

 

Il problema si pone, allora, proprio ed essenzialmente per l’ipotesi di inerzia o addirittura di silenzio dell’ente espropriante: inerzia e silenzio che  appaiono in grado di condizionare lo spettro delle tutele a disposizione del privato, di fatto conservandone lo “status” non sempre gradito (ed anzi addirittura prospetticamente suscettibile di  frustrare le forme di tutela risarcitoria) di proprietario dei beni.

 

In tale contesto, con la nota  pronuncia del 16.3.2012 n. OMISSISI  codesto Consiglio di Stato ha ricomposto i termini del problema stabilendo:

 

  1. che al privato e’ preclusa (in assenza di adozione del provvedimento acquisitivo) la tutela risarcitoria, in quanto anche l’irreversibile trasformazione delle aree non determina la perdita del diritto di proprieta’;

 

  1. nondimeno – ed ecco la novita’ della pronuncia – neppure puo’ darsi luogo (quando, ovviamente, richiesta) alla tutela restitutoria la quale, in tesi, eliderebbe di per se’ ed automaticamente il potere discrezionale di acquisizione sanante ex art. 42 bis (non esistendo piu’ la cosiddetta acquisizione giudiziale consentita dal previgente art. 43 che autorizzava l’amministrazione ad invocare la limitazione della domanda alla erogazione del risarcimento del danno, nella prospettiva della futura determinazione acquisitiva);

 

  1. di conseguenza, la domanda (comunque formulata) e’ ritenuta accoglibile (avuto riguardo al cosiddetto principio di atipicita’ scolpito dall’art. 34 c.p.a.) nei soli sensi dalla condanna all’obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis, restando impregiudicata la scelta discrezionale tra acquisizione sanante (unita al ristoro per la perdita della proprieta’ e per il periodo di occupazione illegittima) e restituzione (preceduta dalla “restitutio in integrum” e dal ristoro del solo periodo di occupazione illegittima).

 

Dunque, da un lato, l’accoglimento della mera azione risarcitoria si scontra con il mancato trasferimento della proprieta’, d’altro lato, l’art. 42 bis avrebbe inequivocabilmente attribuito alla p.a. il potere discrezionale, valutati gli interessi in conflitto, di pervenire o meno al provvedimento di acquisizione, e siffatto potere (peraltro doveroso nell’ “an” giusta il principio generale scolpito all’art. 2 della legge n. 241/1990, in quanto preordinato alla salvaguardia, in prospettiva comparativa, di rilevanti interessi delle controparti private) non potrebbe essere preventivamente intaccato o limitato da un vincolo giurisdizionale che accolga la domanda restitutoria (ne’ da una condanna a provvedere “tout court” all’adozione del provvedimento acquisitivo, la quale  infatti lederebbe e pregiudicherebbe la discrezionalita’ della p.a. di scegliere, valutati gli interessi in conflitto, tra acquisizione e restituzione del bene).

 

Alla luce delle  esposte coordinate dogmatiche, va da se’ che – una volta ritenuta la “doverosita’” di attivazione del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis –  la strutturazione della tutela del privato nei sensi della condanna a provvedere, nelle forme del rito avverso il silenzio si rivela quale opzione necessaria.

 

$ $ $ $ $

 

Si insiste dunque affinche’ l’appello del Comune di OMISSIS sia dichiarato inammissibile, improcedibile e comunque respinto nel merito.

 

OMISSISI

A.N.P.T.ES.
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