Per maggiori chiarimenti consulta L’INDICE GENERALE
CORTE DI APPELLO DI OMISSIS
RICORSO
(ART. 54/1 D.P.R. N. 327/2001 ED ART. 29 D.LGS. n. 150/2011)
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
DOMANDA DI DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
DELLA INDENNITA’ DI ESPROPRIO
OMISSIS rappresentata e difesa nel presente giudizio giusta procura in calce all’iniziale dall’Avv. OMISSIS che opera quale procuratore antistatario c.f. OMISSIS ed elettivamente domiciliata in OMISSIS presso l’Avv. OMISSIS , spiega
C O N T R O
il presente ricorso per la
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
proposto ai sensi dell’art. 54/1 d.p.r. n. 327/2001 e dell’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 nella forma della domanda di
DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
della indennita’ di esproprio dei terreni siti in OMISSIS (Na) in catasto al foglio OMISSIS particella OMISSIS della superficie di 427 mq. e particella OMISSIS della superficie di 1.455 mq. acquisiti dal Comune di OMISSIS e concessi in diritto di superficie all’Iacp di OMISSIS con decreto di esproprio n. OMISSIS del 6.3.2017 notificato il 31.3.2017 (doc. n. 1) per la realizzazione di 29 alloggi in localita’ OMISSIS in OMISSIS.
ISTANZA DI RIUNIONE
Si chiede che il presente giudizio sia riunito o comunque trattato congiuntamente con l’altro giudizio che sarà proposto dalla ricorrente (contestualmente al presente) in riassunzione ai sensi dell’art. 392 c.p.c. a seguito della decisione della Corte di Cassazione del 15.6.2018 n. 15790 in relazione al decreto di esproprio di cui alla determinazione dirigenziale n. OMISSIS del 29.5.2013 con cui l’Iacp di OMISSIS ha acquisito gli stessi terreni siti in OMISSIS () in catasto al foglio OMISSIS particella OMISSIS della superficie di 427 mq. e particella OMISSIS della superficie di 1.455 mq. ora espropriati dal Comune di OMISSIS con il decreto di esproprio n. OMISSIS del 6.3.2017 per la realizzazione degli stessi 29 alloggi in localita’ OMISSISin OMISSIS.
Poiché si tratta della stessa proprietaria, degli stessi identici terreni espropriati e della stessa opera pubblica (edilizia residenziale pubblica), sussistono sufficienti elementi ai fini della connessione oggettiva e soggettiva perche’ sia disposta la riunione dei due giudizi.
F A T T O
La ricorrente era proprietaria in ragione di 1/2 dei seguenti terreni siti in OMISSIS distinti in catasto al foglio OMISSIS :
In vista della realizzazione di 29 alloggi in localita’ OMISSISin OMISSIS, l’Iacp della Provincia di OMISSIS emetteva l’indicato decreto con il quale espropriava le citate particelle.
Con l’indicato decreto di esproprio, l’Iacp della Provincia di OMISSIS dava altresi’ atto:
Con note prot. n. OMISSIS entrambe del 18.7.2013 (doc. n. 4), l’Iacp informava la ricorrente che in data 5.9.2013 avrebbe proceduto alla esecuzione del decreto di esproprio ed alla immissione nel possesso dei terreni ablati, come da relativo successivo verbale (doc. n. 5).
Con un primo giudizio iscritto al r.g.n. 3892/2013 dinanzi a codesta corte territoriale, la ricorrente spiegava in relazione al citato esproprio la relativa opposizione alla stima, proposta nella forma della determinazione giudiziale, stante la mancata determinazione della stima definitiva.
Con ordinanza n. OMISSIS del 29.10.2015, codesta corte distrettuale dichiarava inammissibile l’opposizione ritenendo a tal fine necessaria anche la previa determinazione in sede amministrativa della stima definitiva ad opera della commissione provinciale esproprio (ovvero della terna dei tecnici).
Avverso tale decisione, la ricorrente spiegava ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione la quale, con ordinanza n. OMISSIS del 15.6.2018 (doc. n. 3) accoglieva il gravame affermando il principio che il giudizio di opposizione alla stima è legittimamente proposto in presenza del solo decreto di esproprio ed anche in mancanza della stima definitiva.
Con la precisazione che in tal caso l’opposizione puo’ essere proposta nel termine di prescrizione decennale dal decreto di esproprio e che il termine di decadenza di trenta giorni inizia a decorrere solo dalla notifica della stima definitiva (se questa sia successiva alla notifica del decreto di esproprio) o dalla notifica del decreto di esproprio (se questa sia successiva alla notifica della stima definitiva).
Con decreto n. OMISSIS del 6.3.2017 notificato in data 31.3.2017 (evidentemente emesso in sostituzione dell’iniziale decreto di esproprio già adottato dall’Iacp di OMISSIS), il Comune di OMISSIS, premesso
espropriava, per la realizzazione di 29 alloggi in localita’ OMISSISin OMISSIS, gli stessi terreni siti in OMISSIS (Na) in catasto al foglio OMISSIS particella OMISSIS della superficie di 427 mq. e particella OMISSIS della superficie di 1.455 mq. già espropriati dall’Iacp di OMISSIS con la determinazione dirigenziale n. 113 del 29.5.2013 notificato in data 24.7.2013.
In relazione al citato nuovo decreto di esproprio, la ricorrente propone la presente opposizione alla stima, che chiede sia riunita a quella (relativa la primo decreto di esproprio) che sarà contestualmente proposta in riassunzione ai sensi dell’art. 392 c.p.c. a seguito della ordinanza n. 15790 del 15.6.2018 della Corte di Cassazione.
Si premette ancora che solo per scrupolo difensivo, il presente giudizoo viene spiegato anche nei confronti del dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di OMISSIS, il quale infatti figura ora quale autorita’ espropriante ai sensi dell’art. 6 d.p.r. n. 327/2001 (cfr. decreto di esproprio n. OMISSIS del 6.3.2017 pag. 2) ed ora quale beneficiario del diritto di superficie (cfr. decreto di esproprio n. OMISSIS del 6.3.2017 pag. 4).
M O T I V I
Come risulta da quanto premesso in punto di fatto, nella fattispecie il procedimento espropriativo e’ connotato dalla presenza del decreto di esproprio e dalla mancanza della indennita’ definitiva, non ancora determinate in sede amministrativa dalla commissione provinciale espropri (né dalla terna dei tecnici).
Alla luce della pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione (e soprattutto dell’ordinanza n. OMISSIS emessa dal giudice di legittimità in esito al ricorso proposto dalla ricorrente avverso la decisione n. OMISSIS di codesta corte territoriale), tale circostanza consente al proprietario espropriato di proporre l’opposizione alla stima nella forma della domanda di determinazione giudiziale della indennita’ di esproprio.
La corretta interpretazione dell’art. 54/1 d.p.r. n. 327/2001 e dell’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 consente di affermare, ai fini della ammissibilita’ e della tempestivita’ dell’opposizione alla stima:
Tale interpretazione appare coerente, oltre che costituzionalmente orientata, dal momento che consente al proprietario che sia stato gia’ raggiunto dal decreto di occupazione (o di esproprio) di rivolgersi immediatamente al Giudice per chiedergli la “determinazione giudiziale della indennita’”. Invece, ogni altra diversa interpretazione (ipoteticamente fondata sulla necessita’ anche della previa determinazione della indennita’ definitiva) non riesce ad evitare conseguenze paradossali per effetto delle quali l’esercizio della difesa dei diritti indennitari del proprietario, benche’ gia’ danneggiato per aver perso il possesso con la emissione del decreto di occupazione (o la proprieta’ con la emissione del decreto di esproprio), risulterebbe “sine die” condizionato nell’”an” e nel “quando” alla discrezionale (se non arbitraria) iniziativa dell’autorita’ amministrazione (dapprima) nel richiedere la determinazione della indennita’ definitiva di esproprio alla commissione provinciale e (successivamente) nella notifica al proprietario della relazione estimativa.
Corre infine l’obbligo di segnalare che la interpretazione sostenuta da questa difesa trova ampia conferma nella pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione (formatasi in gran parte in relazione a decisioni emesse da codesta corte distrettuale).
Con la citata giurisprudenza, la Corte di Cassazione (richiamando espressamente il principio stabilito sotto il previgente quadro normativo dalla nota sentenza n 67/1990 della Corte Costituzionale in materia di ammissibilità dell’opposizione alla indennità di esproprio) ha stabilito che una volta disposta la espropriazione, il proprietario può rivolgersi direttamente al giudice per chiedere la determinazione giudiziale della indennità di esproprio, anche in mancanza della stima delle relative indennità definitive.
E’ appena il caso di precisare che la Corte di Cassazione ha anche espressamente affermata l’inefficacia e l’inammissibilità del rimedio suggerito da codesta corte territoriale (consistente nel giudizio da proporre dinanzi al g.a.) per superare il silenzio inadempimento tenuto dalla commissione provinciale espropri sulla istanza di determinazione della indennità definitiva.
Fra le numerose pronunce, primaria importanza riveste nel presente giudizio quella emessa dalla Corte di Cassazione proprio in esito al ricorso proposto dalla ricorrente (n. 15790/2018):
“La tesi sostenuta dalla corte territoriale contrasta nettamente con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il termine di decadenza di trenta giorni per proporre l’opposizione alla stima – nel sistema introdotto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 nonchè in quello attuale, regolato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 3, – opera solo in relazione al caso di stima definitiva dell’indennità, sicchè, ove tanto non sia non sia avvenuto, l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità resta proponibile finchè non decorra il termine di prescrizione decennale, a far tempo dall’emanazione del provvedimento (Cass., 6 marzo 2017, n. 5517; Cass., 27 aprile 2017, n. 10446; Cass., 19 luglio 2017, n. 17863).
Tale orientamento, al quale il Collegio intende dare continuità, si fonda soprattutto sul rilievo che all’espropriato è attribuita una duplice azione per chiedere la determinazione della giusta indennità di espropriazione: l’opposizione alla stima, nel caso in cui l’indennità definitiva sia stata calcolata dalla Commissione provinciale; l’azione per la determinazione giudiziale del giusto indennizzo, nel caso in cui sia stata soltanto offerta dall’espropriante l’indennità provvisoria, come si è verificato nella fattispecie, nel qual caso non è possibile ritenere che l’azione possa esser proposta dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione della stima, dal momento che la stima non è avvenuta e, in conseguenza, non possono venire in rilievo termini e comunicazioni che ne presuppongono l’esistenza.
Mette altresì conto di ribadire che l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità di esproprio è espressamente prevista dalla norma contenuta nel citato D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 in aggiunta a quella di opposizione alla stima, come attestato dalle parole “e comunque”: tale previsione, come già rilevato (cfr. la citata Cass. n. 10446 del 2017), costituisce la codificazione del principio secondo cui, una volta emanato il provvedimento ablativo, sorge contestualmente, ed è per ciò stesso immediatamente azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo previsto dall’art. 42 Cost., che va determinato con riferimento alle caratteristiche del bene alla data del provvedimento, senza essere subordinato alla liquidazione in sede amministrativa.
Deve infine aggiungersi che la tesi fondata sull’esperibilità dei rimedi avverso il silenzio o l’inerzia della pubblica amministrazione confligge con il costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, 29 febbraio 2016, n. 857; id., 20 settembre 2006, n. 5500; TAR Campania, 27 maggio 2009, n. 2971; TAR Campobasso, 2 luglio 2008, n. 655; TAR Puglia, Lecce, 24 marzo 2006, n. 1727), secondo cui il ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod. proc. amm., può essere esperito soltanto per posizioni di interesse legittimo conoscibili dal giudice amministrativo, e non già quando vengano fatte valere posizioni di diritto soggettivo. In proposito deve evidenziarsi come il Consiglio di Stato abbia perspicuamente posto in evidenza le paradossali conseguenze della tesi sostenuta dalla corte partenopea, nel senso che, in caso di accoglimento della domanda circoscritta all’inerzia della pubblica amministrazione, la conseguenziale nomina di un commissario “ad acta” per la determinazione della stima comporterebbe una sorta di corto circuito, essendo gli atti del commissario impugnabili davanti al giudice amministrativo, in netto contrasto con la giurisdizione attribuita, in materia di indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, al giudice ordinario (Cons. Stato, 14 marzo 2016, n. 987)”
(Cass. 15.6.2018 n. 15790)
“Il primo motivo, con cui si deduce la violazione del d.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 è fondato. Diversamente dall’assunto sposato dal giudice distrettuale – dell’avviso di ritenere inammissibile la domanda avanti a sè perchè proposta prima della stima definitiva, e non consentito al proprietario dell’immobile espropriato di chiedere comunque la determinazione giudiziale dell’indennità, residuando a suo favore il solo rimedio della messa in mora dell’amministrazione o dell’impugnazione del silenzio innanzi al GA – questa Corte ha già, condivisibilmente, affermato (Cass. n. 10720 del 2016; n. 22844 del 2016; n. 5517 e 5518 del 2017; n. 10446 del 2017) che, ove si proceda all’esproprio nei modi previsti dal D.P.R. n. 327 del 2001 ed insieme al decreto si comunichi la misura dell’indennità provvisoria, i soggetti che ne siano destinatari possano adire fin da subito la Corte d’Appello ai sensi del menzionato D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 onde sentir dichiarare giudizialmente l’indennità loro dovuta per il provvedimento patito, senza dunque dover attenderne la determinazione in via definitiva.
(Cass. 6.6.2018 n. 14464)
“Questa Corte (Cass. n. 4880 del 2011, ripresa da Cass. n. 21731 del 2016) ha già, condivisibilmente, chiarito che mentre il termine ex art. 54, comma 1, di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della relazione di stima, di cui al D.P.R. 327, art. 27, comma 2, è solo dilatorio, imponendo a tutti di agire per la determinazione giudiziale dell’indennità almeno un mese dopo la comunicazione del deposito della relazione di stima, il potere di agire fino al termine stabilito a pena di decadenza di cui all’art. 54, comma 2, decorre dalla notificazione del decreto di esproprio o della relazione di stima se successiva all’atto ablatorio; precisando che tale secondo termine sostanzialmente riproduce quello di cui alla L. n. 865 del 1971,art. 19 e rientra quindi tra quelli perentori di cui all’art. 152 c.p.c. (Cass. n. 442 del 2016).
Dalla sequenza procedimentale anzidetta consegue che il termine di decadenza inizia il suo decorso solo allorchè siano compiute tutte le formalità previste per la messa a conoscenza delle parti dell’avvenuta determinazione amministrativa dell’indennità (cfr. Cass. n. 21731 del 2016, in tema di L. n. 865 del 1971, art. 19): segua questa (2^ ipotesi) o preceda (1^ ipotesi, c.d. patologica, introdotta nel regime precedente dalla giurisprudenza di legittimità) l’adozione del decreto ablativo.
Nella specie, poichè, come si legge nell’impugnata sentenza, la relazione di stima non è stata notificata (da parte dell’espropriato, che a ciò fosse stato interessato), il termine di decadenza non ha iniziato il suo decorso, dovendo, al riguardo, aggiungersi che la circostanza che la relazione sia stata depositata (com’è incontroverso) in Comune in data 21.1.2010 (irrilevante essendo l’articolazione interna dell’autorità espropriante), pur evidenziando la conoscenza della relazione stessa da parte dell’odierno ricorrente, non può considerarsi idonea a perfezionare la fattispecie alla quale la legge ancora la decorrenza del termine per l’opposizione: e ciò tanto nel caso in cui opponente sia l’espropriato, quanto in quello meno frequente e ricorrente nella fattispecie, in cui sia lo stesso espropriante (Cass. n. 1622 e 21731/2016 cit; cfr. pure n. 14452/2014), tanto più che nell’ipotesi in cui la stima sia avvenuta ad opera della commissione dei tecnici, di cui fa parte quello nominato dalla parte espropriata, tutte le parti del procedimento possono, di fatto, conoscerla, prima del relativo deposito presso l’espropriante (così Cass. n. 4880 del 2011)”
(Cass. 18.4.2018 n. 9566)
(conformi in termini Cass. 14.6.2018 n. 15705; Cass. 22.3.2018 n. 7145; Cass. 5.3.20118 n. 5104; Cass. 8.2.2018 n. 3074; Cass. 3.11.2017 n. 26248; Cass. 31.10.2017 n. 26009; Cass. 7.9.2017 n. 20911; Cass. 27.4.2017 n. 10446; Cass. 19.7.2017 n. 17863; Cass. 6.3.2017 n. 5517; Cass. 6.3.2017 n. 5518; Cass. 10.2.2017 n. 3606; Cass. 9.11.2016 n. 22844; Cass. 24.5.2016 n. 10720).
Infine, corre l’obbligo di spendere qualche ulteriore considerazione sulla inefficacia del rimedio suggerito da codesta territoriale secondo la quale, in mancanza della stima definitiva, il proprietario potrebbe formulare la relativa istanza alla commissione provinciale espropri, attendere la formazione del silenzio inadempimento sulla stessa ed impugnare il silenzio dinanzi al g.a. chiedendo la nomina del commissario ad acta che determini la indennità definitiva.
Il rimedio indicato non e’ ne’ ammissibile ne’ effettivo ne’ praticabile in concreto per evidente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, posto infatti che il ricorso avverso il silenzio inadempimento della p.a. e’ configurabile solo allorquando il ricorrente sia titolare di interessi legittimi, mentre nella fattispecie trattasi di diritti soggettivi perfetti connessi alla determinazione della indennita’ di esproprio, la cui materia e’ riservata alla giurisdizione del giudice ordinario.
Tale conclusione è stata affermata con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione già anticipata in precedenza.
Ai fini di un esatto inquadramento della fattispecie, si riporta di seguito il quadro normativo.
L’art. 53 d.p.r. n. 327/2001 prevede:
“1. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo.
L’art. 133/1 d.lgs. n. 104/2010 prevede:
“f) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;
L’art. 31 d.lgs. n. 104/2010 prevede:
“1. Decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
L’art. 117 d.lgs. n. 104/2010 prevede:
“1. Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all’ articolo 31, comma 2.
Cio’ premesso, e’ appena il caso di precisare che, in conformita’ ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza C.d.S., e’ inammissibile il ricorso proposto al fine di accertare il silenzio formatosi sull’istanza presentata all’amministrazione allorche’ il giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto giuridico sottostante, ovvero si tratti comunque di posizioni di diritto soggettivo, anche laddove sia riscontrabile un’ipotesi di giurisdizione esclusiva.
In particolare, la domanda che (nella nota interpretazione prospettata da codesta corte territoriale) il proprietario espropriato avrebbe potuto azionare dinanzi al g.a. (consistente nella richiesta di condanna della commissione provinciale espropri a procedere alla determinazione della indennita’ definitiva di espropri) attiene appunto al procedimento di determinazione dell’indennita’ definitiva di esproprio, rispetto al quale pero’ l’art. 53 comma 2 del D.P.R. n. 327 del 2001 (nonche’ l’art. 133 comma 1 lett. f) e g) del d.lgs. n. 104/2010, mantengono ferma la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi peraltro di profili che ineriscono pacificamente a diritti soggettivi perfetti.
Appare subito evidente infatti che e’ manifestamente inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso suggerito da codesta corte territoriale quale rimedio per superare il silenzio tenuto dalla commissione provinciale sulla istanza di determinazione della indennita’ definitiva. Il ricorso accordato dall’ordinamento contro il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza del privato (di cui all’art. 31 c.p.a.) non e’ esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto sostanziale: situazione, questa, che ricorre certamente nel caso in esame in cui la materia del contendere e’ costituita dal silenzio dell’amministrazione sull’istanza del privato espropriato intesa ad ottenere la liquidazione dell’indennita’ di espropriazione.
Percio’, deve ritenersi esclusa l’azionabilita’ del rimedio previsto dall’art. 117 del c.p.a. allorche’ la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo sulle quali il giudice non abbia giurisdizione esclusiva, e la cui cognizione spetta al g.o.. Del resto, e’ noto che, in materia di procedure espropriative, le questioni relative alla determinazione ed alla misura dell’indennita’ di esproprio sono rimaste devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, attenendo le stesse a posizioni di diritto soggettivo (art. 133 comma 1 lettera g del c.p.a.). Ed invero, l’istituto del silenzio rifiuto trova la sua giustificazione laddove la realizzazione dell’interesse sostanziale del ricorrente sia subordinata alla valutazione della compatibilita’ con l’interesse pubblico e di conseguenza richieda la collaborazione dell’amministrazione cui, istituzionalmente, compete tale valutazione. Quando invece si e’ in presenza di diritti soggettivi e, quindi, si fanno valere interessi non correlati al potere dell’amministrazione, la procedura del silenzio si rivela inutile ed inammissibile, ben potendo il soggetto ottenere una tutela piu’ diretta ed immediata tramite un’azione di accertamento, senza la necessaria intermediazione di un provvedimento formale, dinanzi al giudice munito di giurisdizione”.
E’ davvero granitica la giurisprudenza amministrativa in materia:
(C.G.A. 15.5.2014 n. 293)
(C.d.S. V 26.2.2010 n. 1146).
(C.d.S. 1.2.2012 n. 501)
(Cons. Stato Sez. V 09-10-2007 n. 5284)
(conformi T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III 10-12-2013 n. 2411; T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 24-05-2013 n. 697; T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter 14-12-2012 n. 10403; T.A.R. Emilia Romagna Bologna Sez. I 23-10-2012 n. 631; T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter 18-11-2011 n. 9011; T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis 18-10-2010 n. 32853; T.A.R. Lazio Latina Sez. I 13-02-2014 n. 128; T.A.R. Sicilia Catania Sez. II 7-12-2010 n. 4621).
Appare addirittura superfluo precisare che le aree di cui trattasi sono dotate della edificabilità legale, posto infatti che le stesse sono state espropriate per la realizzazione del piano di edilizia residenziale pubblica.
E’ nota sul punto la giurisprudenza assolutamente pacifica con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito:
“3.3. Ancorchè per suo tramite si alleghi pure una pretesa violazione di legge, perchè il decidente avrebbe incongruamente richiamato ed applicato alla specie, il principio presente nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il fatto stesso che un terreno sia compreso nel P.E.E.P. è di per sè elemento giustificativo del legale carattere edificatorio del terreno medesimo…
Così riguardata la censura si risolve in una critica alla CTU e al fatto che il giudice di merito abbia inteso uniformare il proprio giudizio alle sue risultanze, sicchè, seppur non è superfluo ricordare, come più volte fatto (Cass., Sez. 1, 22/04/1998, n. 4091), che ai fini della determinazione del valore di mercato del terreno espropriato, per la liquidazione della relativa indennità, mentre deve tenersi conto dei vincoli e dei limiti di conformazione e di densità edilizia stabiliti, indipendentemente dall’espropriazione, dagli strumenti urbanistici in via generale, non deve invece essere presa in considerazione l’incidenza negativa esercitata dai vincoli specifici di destinazione preordinati all’espropriazione – conseguendo da ciò che nel caso di area ricompresa in un PEEP il valore del bene debba essere determinato in base all’attitudine edificatoria preesistente al piano, prescindendo da qualsiasi incidenza derivante dalle prescrizioni del piano medesimo […].
4.1. Con il terzo motivo del proprio ricorso il Comune di Formia si duole della statuizione riguardo alla domanda da esso proposta nei confronti della Cooperativa superficiaria delle aree espropriate, intesa alla manleva di quanto, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda degli attori, esso fosse stato obbligato a pagare a costoro, e ne reclama perciò la cassazione nella parte in cui, ritenendo la domanda ammissibile, ne ha tuttavia ravvisato l’infondatezza nel merito.
4.2. Il motivo – che non incorre in alcuna delle preclusioni opposte dalla controricorrente atteso che in base alla sua illustrazione che si intende denunciare la violazione della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, comma 12, – non merita tuttavia condivisione, quantunque la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.
4.3. Ed invero va rilevato che, pronunciandosi nel merito della predetta domanda e giudicandola infondata, il decidente ha proceduto al suo scrutinio in aperta violazione del comando reiteratamente impartito da questa Corte circa i limiti oggettivi del giudizio di opposizione alla stima previsto in materia di espropriazione. E’, come è noto, opinione di questa Corte – a cui il collegio intende uniformarsi – che “il giudizio di opposizione alla stima delle indennità di espropriazione (e di occupazione temporanea), devoluto alla competenza in unico grado della corte di appello, introduce un ordinario processo di cognizione rigorosamente circoscritto alle questioni relative all’ammontare di dette indennità nei rapporti tra espropriante ed espropriati, al quale è necessariamente estranea ogni tipologia di rapporto diverso, quanto ai soggetti, al titolo o all’oggetto, quale è quello relativo all’obbligazione di garanzia che il soggetto concessionario del diritto di superficie sulle aree espropriate assume, sulla base di una apposita convenzione, nei confronti del comune espropriante riguardo all’obbligazione indennitaria verso l’espropriato” (Cass., Sez. 1, 23/10/2008, n. 25622).
Ne discende perciò che l’impugnata decisione, sebbene abbia concluso per il rigetto della domanda, lo abbia fatto sulla base di un argomento che non si conforma al diritto vivente, onde, pur dovendosi rigettare il formulato motivo di ricorso, la motivazione di essa merita sicura emenda, nel senso del riprodotto principio di diritto e dichiarando dunque inammissibile la proposta domanda.
5.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale da essi proposto, gli intimati lamentano che, nel determinare in corrispondenza delle risultanze sul punto della CTU il valore dei beni ablati applicando l’indice di fabbricabilità territoriale pari ad 1,00 mc/mq in luogo dell’indice fondiario di 1,68 mc/mq, il decidente era incorso nella violazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 3, convertito con modificazioni in L. 8 agosto 1992, n. 359, essendo evidente che ove la superficie residenziale netta fosse stata calcolata applicando il secondo indice l’indennità dovuta sarebbe risultata ben superiore rispetto a quella liquidata.
5.2. Il motivo non è fondato.
E’ invero salda convinzione di questa Corte – che il decidente ha fatto mostra di non ignorare richiamandosi esattamente ad essa che “nella determinazione dell’indennità di espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione va fatta tenendo presente che i volumi realizzabili non possono essere quantificati applicando senz’altro l’indice fondiario di edificabilità, il quale è riferito alle singole aree specificamente destinate alla edificazione privata dallo strumento urbanistico attuativo, ma, poichè ai fini dell’esercizio concreto dello “ius aedificandi” è necessario che l’area sia urbanizzata, occorre tener conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale; il che può anche essere espresso ricorrendo a indici medi di edificabilità riferiti all’intera zona omogenea. Ne consegue che tutti i terreni espropriati in ambito p.e.e.p. percepiscono la stessa indennità, calcolata su una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialità edificatoria media di tutto il comprensorio, vale a dire dietro applicazione di un indice di fabbricabilità (territoriale) che sia frutto del rapporto fra spazi destinati agli insediamenti residenziali e spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato, mentre l’indice fondiario trova piena applicazione ove l’area da valutare sia collocata in comprensorio già totalmente urbanizzato, per il quale, dunque, non è necessario lo strumento urbanistico attuativo, anncorchè previsto dal piano regolatore generale” (Cass., sez. 1, 26/09/2016, n. 18841)”
(Cass. 25.6.2018 n. 16681) (doc. n. 6).
“Il fatto stesso, quindi, che un terreno sia compreso nel P.e.e.p ed in esso abbia destinazione all’edilizia economica e popolare, che del P.r.g. costituisce o attuazione o variante, è di per sè elemento giustificativo del legale carattere edificatorio del terreno stesso, sia pure nei limiti che il P.e.e.p. consente” (Cass., Sez. U., 18 novembre 1997, n. 11433).
4.2. Tale orientamento, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (che ha posto in evidenza il carattere “programmatorio e conformativo” del piano suddetto: cfr., ad es. Cass., 17 settembre 2001, n. 11621), è stato successivamente esteso, per evidente analogia dei presupposti, nonchè delle conseguenze giuridiche e concrete, al piano per gli insediamenti produttivi, la cui natura conformativi è stata ribadita in numerose pronunce (cfr., ex multis, Cass. 24 aprile 2007, n. 9891; Cass., 6 settembre 2006, n. 19128; Cass., 24 marzo 2004, n. 5874)”
(Cass. 25.10.2017 n. 25318)
(conformi ex multis Cass. SS.UU. n. 11729 del 14.5.2010; Cass. n. 13087 del 28.5.2010; Cass. n. 14939 del 21.6.2010; Cass. n. 13617 del 4.6.2010; Cass. n. 5174 del 3.3.2010; Cass.16.1.2009 n. 1026; Cass. 27.2.2009 n. 4817; Cass.16.1.2009 n. 1026; Cass. 10.1.2008 n. 330; Cass. 17.1.2007 n. 1043; Cass. 3.6.2004 n. 10555; Cass. 29.10.2008 n. 25986).
Dalla consultazioni delle quotazioni immobiliari pubblicate da BorsinoImmobiliare.it, risulta che nel periodo 2017/2018, il valore medio di un fabbricato di civile abitazione in Comune di OMISSIS in località Sarnella è compreso in un intervallo tra euro 821,00 mq. ed euro 1.026,mq. (doc. n. 7).
Facendo applicazione del criterio di stima cosiddetto sintetico – diretto (o di permuta), in base al quale il valore del terreno è rappresentato da un percentuale del valore del fabbricato, ed utilizzando una percentuale prudenziale media del 20/25 %, si può desumere che il valore unitario del terreno è compreso in un intervallo tra euro 160,00 mq. ed euro 250,00 mq. circa.
Considerando che nella fattispecie, l’indice medio di edificabilità territoriale risulta particolarmente elevato, i citati valori unitari appaiono suscettibili di aumenti.
E’ indubitabile che la fattispecie oggetto del presente giudizio sfugga all’applicazione della riduzione del 25 % prevista dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007. Infatti, con orientamento ormai granitico, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli estremi che integrano e caratterizzano gli interventi di riforma economico – sociale:
“Ad abundantiam, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica l’invocata riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, resta integrato nel caso, che non ricorre nella specie, in cui l’intervento riguardi l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate e sia attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass. 23/2/2012, n. 2774; 28/1/2016 n. 1621)”
(Cass. 27.4.2017 n. 10463)
“Peraltro ogni dibattito sul punto è superato dall’insegnamento di questa corte (Cass. 16 marzo 2012 n. 4210), per il quale il fine di riforma economico sociale connota una particolare qualità di fini di utilita’ pubblica, perseguiti in un dato momento storico, e perciò devoluta esclusivamente – non già al potere discrezionale dell’amministrazione espropriante, e neppure all’interpretazione del giudice in caso di opposizione giudiziale alla stima dell’indennità, ma – al legislatore, al quale soltanto spetta di decidere (nel rispetto dei vincoli individuati dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria) se e quando avvalersi del potere di prevedere una riduzione del tipo prefigurato dalla norma”
(Corte di Cassazione 28.5.2012 n. 8445)
(conformi Cass. 16.3.2012 n. 4210; Cass. 28.1.2011 n. 2100; Cass. 3.5.2013 n. 10384; Cass. 28.5.2013 n. 13258; Cass. 23.5.2013 n. 12757).
L’art. 2 comma 89 della legge n. 244/2007 prevede che nei casi in cui sia stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non e’ stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento.
Si ritiene che la corretta interpretazione dell’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007 possa autorizzare il riconoscimento in sede giurisdizionale del beneficio dell’aumento del 10 % della indennità definitiva determinata dalla stessa corte territoriale:
E’ appena il caso di segnalare che in materia la Corte di Cassazione ha già chiarito i termini della questione:
“Anche i restanti profili vanno rigettati, in base al principio affermato da Cass. n. 12058 del 2017, al quale va data continuità, secondo cui l’aumento dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2, (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89), nella misura del 10 per cento, “va riconosciuto in via automatica dal giudice, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva), mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionando l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra”
(Cass. 27.4.2018 n. 10298)
“Le dedotte violazioni di legge, da valutarsi congiuntamente, sono fondate. Questa Corte (Cass. n. 12058 del 2017) ha già condivisibilmente affermato il principio secondo cui: “L’aumento dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2 (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89), nella misura del 10 per cento, trova applicazione indipendentemente dalla riduzione – prevista dal comma 1 – dell’indennità del 25 per cento prevista per le ipotesi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, e va riconosciuto in via automatica dal giudice, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva), mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra”
(Cass. 5.3.2018 n. 5104) (conforme Cass. 4.4.2018 n. 8336)
“Con riguardo alla censura di cui al terzo motivo, che conclama la mancata applicazione dell’aumento del 10 % stante la sproporzione superiore ai due decimi del quantum offerto rispetto al quantum accertato come dovuto per indennità, essa appare fondata come rilevato in relazione. In punto di fatto si rammenta, alla stregua di quanto già questa Corte ha rilevato (Cass. 2774/2012) che nella specie la dichiarazione di p.u. venne adottata ben dopo l’acquisizione di efficacia del D.P.R. n. 327 del 2001, che il procedimento venne definito con l’esproprio 4.1.2008, che la riscrittura dell’art. 37 del T.U. venne ad entrare in vigore l’1.1.2008. Orbene, lettera chiarissima e ratio della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90 fanno ritenere che l’espressione non può che riferirsi, al fine di indicare le ipotesi in cui si debba dare ingresso al testo dell’art. 37 riscritto al comma 89 secundum constitutionem, ai procedimenti determinativi pendenti all’1.1.2008, per i quali soltanto l’indennità può ancora essere determinata secondo lo jus superveniens, in tal senso potendosi richiamare quanto considerato da questa Corte (Cass. 14939 del 2010), fermo restando che, per i procedimenti espropriativi pur successivi ad 1.7.2003 ma definiti prima della entrata in vigore della novella, non può che darsi ingresso al criterio del valore venale pieno (rispettoso della pronunzia di Corte Cost. 348 del 2007) di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39. Di qui la cogenza nella specie della previsione di incremento perequativo del 10% che l’accertamento comparativo tra indennità offerta (Euro 22.315) ed indennità accertata come dovuta (Euro 288.884) conclama come evidente. E di qui, cassata la sentenza e non occorrendo altre valutazioni, la pronunzia ex art. 384 c.p.c. che determina l’importo dovuto nella maggior somma di Euro 317.773 (Euro 288.884 + 10%), della quale devesi ordinare il deposito in una con gli interessi legali, nelle forme di legge”
(Cass. 13.1.2014 n. 499) (conforme Cass. n. 2774/2012).
$ $ $ $ $
Tanto premesso, la signora OMISSIS
R I C O R R E
a codesta Corte di Appello affinche’, con riferimento ai terreni siti in OMISSIS in catasto al foglio OMISSIS particella OMISSIS della superficie di 427 mq. e particella OMISSIS della superficie di 1.455 mq.. espropriati dal Comune di OMISSIS con il decreto di esproprio n. OMISSIS del 6.3.2017, voglia:
il Comune di OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. con sede legale in OMISSIS (amministrazione espropriante e beneficiario del diritto di proprietà);
l’Istituto Autonomo per le Case Popolari per la Provincia di OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. (autorita’ espropriante e beneficiaria del diritto di superficie);
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis comma 1 c.p.c.
A V V E R T E
il Comune di OMISSIS e l’Istituto Autonomo per le Case Popolari per la Provincia di OMISSIS che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.
Ai fini istruttori:
Si dichiara che il valore della presente controversia è indeterminabile e che il relativo c.u. ammonta ad euro 259,00 ridotto alla metà ai sensi dell’art. 13/3 d.p.r. n. 115/2002, trattandosi di rito sommario compreso tra quelli disciplinati dal libro IV titolo I c.p.c..
OMISSIS