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TRIBUNALE DI OMISSIS
R I C O R S O
(EX ART. 702 BIS C.P.C.)
rappresentati e difesi nel presente giudizio dall’Avv. OMISSIS che opera quale procuratore antistatario c.f. OMISSIS giusta procura speciale rep. n. OMISSIS del 19.11.2028 per Notaio OMISSIS ed elettivamente domiciliati nel suo citato domicilio digitale di p.e.c., spiegano il presente ricorso
C O N T R O
la Città OMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. con sede legale in OMISSIS e
PER LA CONDANNA
della stessa alla restituzione del terreno di loro proprietà sita in Comune di OMISSIS in catasto al foglio a mappale OMISSIS sub OMISSIS (s.e.o.) occupata senza titolo per la realizzazione di opera stradale, al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento del risarcimento di tutti i danni prodotti dalla occupazione illecita e/o in subordine a decidere se intenda o meno procedere alla emissione del decreto di esproprio sanante previsto dall’art. 42 bis d.p.r. 327/2001 e con la conseguente regolamentazione economica ivi prevista.
F A T T O
I ricorrenti sono comproprietari, in forza dell’atto di divisione e vendita rep. n. OMISSIS del 6.5.1988 per Notaio OMISSIS in OMISSIS (doc. n. 1), del terreno sito in Comune di OMISSIS in catasto al foglio OMISSIS mappale OMISSIS sub OMISSIS (s.e.o.) destinato a cortile e legato da vincolo pertinenziale ai fabbricati sullo stesso edificati.
Nel mese di settembre 1983, l’allora Provincia di OMISSIS ha eseguito i lavori di ampliamento della strada provinciale n. OMISSIS di OMISSIS. In tale occasione, i lavori di realizzazione dell’opera stradale hanno occupato ed invaso senza alcun provvedimento abilitativo, e dunque in via di fatto ed in maniera usurpativa, una parte del terreno indicato in precedenza. In particolare, si tratta di una superficie di circa 306 mq., compresa in una fascia estesa lungo il confine della proprietà antistante il nuovo tracciato stradale, al di sotto della quale è stato altresì collocato un tratto di rete fognaria.
Non ostante la copiosa corrispondenza scambiata nel corso degli anni (dal 26.4.1987 al 28.3.2018, tuttavia le parti non sono riuscite a comporre bonariamente la controversia (doc. n. 2).
Tra le tante, si richiama l’attenzione:
Tanto premesso, esaurita senza successo la fase della mediazione obbligatoria vertendo la controversia in materia di diritti reali (doc. n. 3), i comproprietari si vedono ora costretti a chiedere a codesto giudice che la Città Metropolitana di OMISSIS sia condannata alla restituzione dell’area di loro proprietà, al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento del risarcimento di tutti i danni prodotti dalla occupazione illecita e senza titolo.
M O T I V I
E’ noto che ai fini del riparto della giurisdizione, occorre verificare le modalità di esercizio e la natura ultima del comportamento posto in essere dalla p.a..
In sintesi, la giurisprudenza granitica della Corte di Cassazione ha stabilito che spetta alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto l’occupazione cosiddetta “usurpativa”. Questa è connotata da un comportamento meramente materiale posto in essere in assenza della dichiarazione di pubblica utilità e degli altri atti espropriativi e che si risolve in una occupazione (invasione) in via di fatto della proprietà privata e nella irreversibile trasformazione della stessa a seguito della realizzazione dell’opera pubblica.
“Secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte di legittimità, infatti, nel sistema normativo conseguente alla L. 21 luglio 2000, n. 205, la tutela giurisdizionale risarcitoria contro l’agire illegittimo della P.A. spetta al giudice ordinario quante volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l’azione della P.A. non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perchè a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto. In particolare, nel settore delle occupazioni illegittime, sono ascrivibili alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione “usurpativa” (giacchè la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto)… Cass. sez. un. 13 giugno 2006 n. 13659; v. anche Sez. un. 23 gennaio 2012 n. 832″ (Cass. sezioni unite, n. 15119 del 2013, in motivazione)”
(Cass. SS.UU. 26.3.2019 n. 8415)
“Appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la cognizione dei “comportamenti” posti in essere in carenza di potere, ovvero “in via di mero fatto“, a seguito della sentenza n. 191/06 della Corte costituzionale.
[…]
In particolare, nell’ipotesi del c.d. sconfinamento, che ricorre allorchè l’opera di pubblica utilità sia stata realizzata in un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai presupposti provvedimenti amministrativi di approvazione del progetto, la dichiarazione di pubblica utilità pur emessa, è riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, e la occupazione e/o trasformazione del terreno non può che ritenersi di mero fatto o in carenza assoluta di poteri autoritativi della P.A., configurando un comportamento illecito (comune) a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (c.d. occupazione usurpativa) e non diverso da quello di un privato che leda diritti dei terzi. Al quale conseguentemente l’interessato può reagire davanti al giudice ordinario, sia invocando la tutela restitutoria sia, attraverso un’abdicazione implicita al diritto dominicale, optando per il risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2058 c.c. (Cass. sez. un. nn. 7442/08, 3723/07 e 27192/06)”
(Cass. SS.UU. 27.12.2018 n. 33539)
“Il potere ablativo della pubblica amministrazione non può tuttavia ritenersi esistente neppure in astratto quando manchi del tutto la dichiarazione di pubblica utilità. Sicchè si riconosce che è nullo, per carenza assoluta di attribuzione, il decreto di espropriazione adottato in mancanza di dichiarazione di pubblica utilità o in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità radicalmente nulla (Cons. Stato, sez. 4, 28 febbraio 2012, n. 1133); e che in tal caso le conseguenti controversie siano devolute alla giurisdizione ordinaria. In particolare si ritiene che “la fattispecie, qualificabile come “occupazione usurpativa”, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita da un comportamento di fatto dell’amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno sconfinamento, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, da aree legittimamente occupate” (Cass., sez. un., 19 febbraio 2007, n. 3723, m. 594296)”
(Cass. SS.UU. 23.1.2017 n. 1642)
Per l’effetto, allo stato risulta che l’ente convenuto continua tuttora ad occupare senza titolo il terreno di cui trattasi per effetto della realizzazione dell’opera stradale, benchè la proprietà del bene sia ancora formalmente in capo ai ricorrenti.
Appare opportuno premettere sin d’ora che l’eventuale eccezione di usucapione si rivelerebbe infondata in fatto, prima ancora che in diritto.
Eccezione di cui l’ente già si avvalso dal momento con la nota prot. n. OMISSIS del 3.4.2017 indicata in punto di fatto.
E’ noto che la giurisprudenza pacifica ha escluso che le amministrazioni che occupino senza titolo la proprietà privata possano invocare l’istituto dell’usucapione per paralizzare le azioni dei proprietari. Cio’ in forza di una pluralita’ di argomenti tra cui:
La corte di Cassazione ha escluso che la p.a. possa invocare l’acquisto del bene illecitamente occupato per usucapione ventennale, poiché in tal modo la p.a. potrebbe trarre un vantaggio da un proprio illecito, reintroducendo sotto mentite spoglie (e per di più a titolo gratuito) l’acquisto per ”accessione inertita”, con ciò ponendosi in aperta violazione con gli indirizzi tracciati dalla C.e.d.u..
In ogni caso, la p.a. che eccepisse l’intervenuta usucapione, avrebbe l’onere di fornire la prova degli elementi necessari a configurare il relativo titolo di acquisto, non essendo a tal fine sufficiente la sola detenzione del bene ed in mancanza di un idoneo titolo di interversione nel possesso. In particolare, è necessario che la p.a. fornisca la prova della trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem” (art. 1141/2 c.c.) e cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario possessore. Con la precisazione che devono ritenersi non idonei ed utili a tal fine nè il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.
“Come da questa Corte di legittimità affermato “In tema di occupazione illegittima, premesso che la condotta illecita della P.A. incidente sul diritto di proprietà non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto), l’acquisizione del fondo, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p. u., decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -, occorre l’allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem“, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti nè il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene. (Nella specie, la P.A. aveva invocato a fondamento dell’”animus possidendi” un titolo convenzionale ad effetti obbligatori come la promessa di donazione, cui peraltro non era seguita la formalizzazione della donazione, titolo cui poteva al più riconnettersi un effetto traslativo della detenzione che non autorizzava l’alterazione dello stato di fatto, con conseguente insussistenza del possesso utile ai fini dell’usucapione) (Cass. n. 10289 del 27/04/2018).
L’affermato principio in discontinuità applicativa di altro e precedente che voleva che la P.A. responsabile di un’occupazione illegittima potesse efficacemente eccepire l’usucapione ventennale allo scopo di fare cessare l’illecito permanente e di acquisire senza oneri la proprietà del bene in ragione della cd. retroattività reale propria dell’usucapione (Cass. 19294/2006, Cass. n. 3153/1998), si fa carico di più recenti sviluppi normativi della materia e della giurisprudenza sui primi affermatasi.
Come quindi ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa l’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42 bis cit., in quanto definisce un illecito permanente non vale ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, nel conseguito effetto, altrimenti, di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Cons. di Stato, sez. IV, nn. 3838/2017, n. 329/2016, 3988/2015).
A tale affermazione, di stretto legame con le previsioni convenzionali ed i principi propri della giurisprudenza di Strasburgo, si coniuga il rilievo della capacità di diritto privato della p.A. destinato ad essere declinato nel senso dell’assoggettamento della stessa alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dal diritto comune là dove la p.A. sia autrice di un illecito e, ancora, nel senso della tipicità dei modi con cui la pubblica Amministrazione può acquistare la proprietà dei beni nell’ambito del procedimento espropriativo.
In difetto di alcuna espressa previsione di norma dall’esercizio illegittimo di poteri di imperio, la P.a. non può ricavare un utile, divenendo proprietaria del bene, senza erogare alcunchè al privato spogliato”
(Cass. 20.11.2019 n. 30195)
“E’ infatti necessario, quale che sia la forma di manifestazione della condotta illecita della P.A. incidente sul diritto di proprietà, il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario – possessore, non essendo sufficienti nè il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso, che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. n. 10298/2018)”
(Cass. 29.5.2019 n. 14657)
“La giurisprudenza amministrativa ha affermato che l’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42 bis cit., costituisce illecito permanente e non è idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, rischiandosi altrimenti di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Cons. di Stato, sez. 4, nn. 3838/2017, n. 329/2016, 3988/2015). Quest’affermazione, certamente condivisibile, è confermata – e non contraddetta – sia dal rilievo della capacità di diritto privato della P.A., il cui corollario è la soggezione della stessa alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dal diritto comune quando essa sia responsabile di illeciti, sia dalla tipicità dei modi con cui la P.A. può acquistare la proprietà dei beni nell’ambito del procedimento espropriativo. E sarebbe incongruo, in mancanza di alcun espresso referente normativo, che dall’esercizio illegittimo di poteri di imperio essa possa ricavare un utile, divenendo proprietaria del bene, senza erogare alcunchè al privato spogliato.
La medesima giurisprudenza amministrativa ha precisato che l’usucapione ventennale (cui si fa cenno incidentalmente in Cass. n. 22929/2017 e sez. un. n. 735/2015) sarebbe ancora possibile in limiti assai ristretti, cioè a condizione che sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta, che la P.A. deduca e dimostri in quale momento sia intervenuta in suo favore l’interversione del possesso e che si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. n. 327 del 2001, ex art. 2935 c.c., avendo solo l’art. 43 (e poi 42 bis) sancito – secondo il Consiglio di Stato – il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva (v. Cons. di Stato, ad. pl., n. 2/2016; sez. 4, nn. 494 e 3730/2017).
In questa sede interessa precisare che, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità, decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -, occorre l’allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile ad usucapionem, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore (Cass. n. 7271/2003), non essendo sufficienti nè il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. n. 14593/2011, 21252/2007, 4701/1999)”
(Cass. 27.4.2018 n. 10289)
La completezza di indagine impone di aggiungere che la giurisprudenza amministrativa ha comunque precisato che, anche laddove si volesse ammettere astrattamente la configurabilità dell’usucapione in capo all’ente occupante, tuttavia, ciò sarebbe possibile solo computando il periodo ventennale con decorrenza dall’entrata in vigore del d.p.r. 327/2001 (30.6.2003). Infatti, sino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, risultava radicalmente preclusa, per il proprietario colpito da occupazione acquisitiva, la possibilità di esperire l’azione restitutoria, poiché l’occupazione acquisitiva era qualificata come una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica”. Azione il cui esercizio si è reso possibile solo dopo l’entrata in vigore del citato d.p.r. 327/2001. Ed ecco allora che ai sensi dell’art 2935 c.c. (secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il “dies a quo” di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che decorrere dall’entrata in vigore del d.p.r. n. 327/2001 (posto che, come e’ noto, il previgente art. 43 aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva).
Il che implica ovviamente che, anche sotto tale profilo, ad oggi il termine ventennale non e’ ancora maturato (30.6.2023)
(cfr. ex multis T.a.r. Campania sez. V 22.11.2016 n. 5415; C.d.S. sezione IV 6.2.2017 n. 494; C.d.S. Sezione IV 29.2.2016 n. 840; C.d.S. Sezione IV 2.2.2016 n. 389; C.d.S. Sezione IV 3.7.2014 n. 3346; C.d.S. IV 14.5.2015 n. 2420; T.a.r. Lazio Latina 17.2.2017 n. 104; T.a.r. Calabria Catanzaro 12.12.2016 n. 1273).
Risolutiva appare la nota sentenza n. 2/2016 del C.d.S. A.P.:
“In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza:
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il “….giorno in cui il diritto può essere fatto valere“;
(C.d.S. A.P. n. 2/2016)
Del resto, pacifica è la giurisprudenza amministrativa in materia:
“In ordine a tale circostanza, il Collegio rileva che, nelle more della discussione del ricorso, vi è effettivamente stata, come da ultimo osservato da parte dei ricorrenti, una serie di pronunce di questo Consiglio: il riferimento è a Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3346; 26 agosto 2015, n. 3988; 1 settembre 2015, n. 4096; 30 novembre 2015, n. 5414; 28 gennaio 2016, n. 329 e, da ultimo, Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2.
Siffatte pronunce – cui si opera integrale richiamo ai sensi dell’art. 88, comma 1, lett. d), c.p.a. – hanno fortemente ridotto lo spazio applicativo dell’istituto dell’usucapione nell’ambito di occupazioni illegittime di beni immobili privati da parte dell’Amministrazione.
Si è, infatti, ivi sostenuto, con dovizia di argomentazioni, anzitutto che il possesso dell’Amministrazione non sarebbe ad usucapionem, in quanto ab initio ottenuto con violenza (lato sensu intesa), naturaliter insita nell’emanazione di un atto imperativo ed autoritativo quale il decreto di occupazione d’urgenza; in secondo luogo, si è argomentato che la doverosa esegesi secundum constitutionem delle norme dettate in materia debba armonizzarsi con la C.E.D.U, parametro interposto di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost., e, dunque, imponga di riconoscere che l’ablazione autoritativa del diritto di proprietà non possa predicarsi “al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante“.
In subordine, si è comunque aggiunto che, posto che l’interruzione dell’usucapione può aversi solo con la perdita ultrannuale del possesso ovvero con la proposizione di apposita domanda giudiziale e che, sino all’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, “risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum, qualificando l’occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica”, allora “a tutto concedere (alla stregua dell’art 2935 c.c. – secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l’art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva)”.
L’applicazione di queste coordinate esegetiche – da cui il Collegio non intende discostarsi – al caso di specie rende infondata l’eccezione di usucapione…
In assenza di forme legali di acquisizione della proprietà in capo al Comune (e non potendo certo evocarsi l’acquisizione del diritto di proprietà a seguito dell’irreversibile trasformazione del bene, in considerazione dell’abbandono della teorica della cosiddetta “occupazione acquisitiva” o “accessione invertita”), il Collegio non può, pertanto, che constatare e dichiarare il perdurante diritto di proprietà dei signori P. sul terreno de quo”
(C.d.S. IV 1.8.2017 n. 3838)
“…c) con la sentenza 9 febbraio 2016, n. 2, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha espressamente affermato che “…5.3. In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c...
[…]
(C.d.S. IV 27.7.2017 n. 3730)
(conformi C.d.S. IV 3.11.2017 n. 5084; T.a.r. Calabria Reggio Calabria 22.9.2017 n. 805; T.a.r. Basilicata 7.11.2017 n. 195; T.a.r. Basilicata 24.5.2017 n. 383; T.a.r. Puglia Bari 9.2.2017 n. 120)
E’ ben noto che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato e’ in se’ un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’
(C.d.S. sezione IV 6.2.2017 n. 494; C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559, conformi ex multis C.d.S. V 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. IV 26.3.2013 n. 1710; C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; C.d.S. 27 gennaio 2012 n. 427C.d.S. IV 29.8.2012 n. 4650; C.d.S. IV 16.3.2012 n. 1514; C.d.S. IV 29.8.2011 n. 4833; C.d.S. IV 2.12.2011 n. 6375; C.d.S. sezione IV 2.11.2011 n. 5844; C.d.S. IV 28.1.2011 n. 676; T.a.r. Calabria Catanzaro 11.1.2017 n. 37; T.a.r. Campania Napoli sezione V 3.3.2017 n. 1252; Tar Campania Napoli sezione V 22.11.2016 n. 5415 citata; Tar Campania Salerno 14.11.2016 n. 2473 citata; T.a.r Calabria Catanzaro 18.11.2016 n. 2245; T.a.r. Calabria Reggio Calabria 19.9.2016 n. 921; T.a.r. Lazio Roma 8.11.2016 n. 11044; T.a.r. Campania Napoli sezione V 2.8.22016 n. 3997).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione (conformandosi all’indirizzo gia’ seguito dal C.d.S.) ha affermato che, anche alla luce della costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un bene privato da parte dell’amministrazione configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprieta’ in capo all’amministrazione, ma la responsabilita’ di questa per i danni prodotti dalla occupazione illecita. In particolare, con riferimento alla fattispecie dell’occupazione usurpativa, ne è stata affermata la natura di illecito permanente. Illecito che viene a cessare solo per effetto della restituzione al proprietario del bene occupato senza titolo, della emissione del decreto di esproprio sanante previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 ovvero di un accordo di cessione bonaria.
(Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735; Cass. sezione I 10.4.2013 n. 8694).
La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che è irrilevante la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto) della condotta illecita della P.A. incidente sul diritto di proprietà e fonte di responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c.. In passato, effettivamente, è stata affermata l’ontologica distinzione istituzionalmente corrente tra occupazione appropriativa ed occupazione usurpativa, rispettivamente caratterizzate, l’una, dall’irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio e, l’altra, dalla trasformazione in assenza, originaria o sopravvenuta, di dichiarazione di pubblica utilità (Cass. 13.6.2014 n. 13515). Tuttavia, tale distinzione, che già non si legittimava in ambito sovranazionale in ragione del fatto che l’espropriazione indiretta, a cui entrambe le fattispecie mettono capo, si pone in violazione del principio di legalità, perchè non è consentito all’amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da azioni illegali, è divenuta oggi del tutto desueta (Cass. 7.10.2016 n. 20234), a seguito della rimeditazione cui la figura dell’occupazione appropriativa è stata sottoposta dalle SS. UU. (Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735). Essendo venuta meno per effetto della giurisprudenza demolitoria della C.e.d.u. la possibilità di affermare in via interpretativa che da una attività illecita della P.A. possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato, diviene applicabile lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.. Dunque la riduzione dell’occupazione appropriativa al rango di illecito aquiliano di diritto comune rende superata la distinzione di essa dall’occupazione usurpativa, giacchè in entrambi i casi ci si trova in presenza di una condotta illecita della P.A. che spoglia il privato della proprietà di un bene in esecuzione di una condotta materiale che, indipendentemente dall’esistenza o meno di una pregressa dichiarazione di pubblica utilità, non determina alcun trasferimento della proprietà in capo all’amministrazione, ma genera solo una responsabilità risarcitoria di questa per i danni procurati.
(Cass. 29.5.2019 n. 14657)
In conclusione, nelle ipotesi di occupazioni illegittime sia “ab origine” (occupazioni “usurpative”) sia divenute tali successivamente (accessioni invertite o occupazione acquisitive), l’amministrazione puo’ legittimamente acquisire la proprieta’ del bene privato occupato senza titolo solo attivando il procedimento espropriativo semplificato, che si conclude con il provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis, oltre che a mezzo dello strumento negoziale (Cass. 28.1.2013 n. 1804) (conformi in termini Cass. SS.UU. 13.1.2014 n. 442; Cass. I 13.3.2013 n. 6216; Cass. I 14.1.2013 n. 705).
Dai citati principi posti a premessa dell’indagine, la giurisprudenza univoca ha tratto una prima conclusione che ha ravvisato la natura permanente nell’illecito consistente nell’occupazione “sine titulo”. Il che ha consentito di affermare, quale conseguenza logica coerente, che – poiche’ la condotta permanente si rinnova di momento in momento – non sono soggetti a prescrizione i diritti reipersecutori e risarcitori del proprietario del bene occupato “sine titulo”
(Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735 gia’ citata; conformi Cass. 27.4.2015 n. 8466 e C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808).
Del resto, una volta esclusa ogni possibilita’ di evocare la figura dell’accessione invertita, la protrazione oltre i termini previsti dal procedimento e la “permanenza” dell’occupazione “sine titulo” in difetto di decreto di esproprio impediscono la decorrenza del termine per l’esercizio dei relativi diritti risarcitori
(C.d.S. IV 3.11.2017 n. 5084; T.a.r. Basilicata 7.11.2017 n. 195; T.a.r. Basilicata 24.5.2017 n. 383; T.a.r. Puglia Bari 9.2.2017 n. 120; T.a.r. Calabria Catanzaro 11.1.2017 n. 37; Tar Campania Napoli sezione V 22.11.2016 n. 5415 citata; T.a.r. Calabria Reggio Calabria 19.9.2016 n. 921; C.d.S. n. 2679/2013 citata; C.d.S. sezione IV 2.8.2011 n. 4590; Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216; C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sez. IV 28 gennaio 2011 n. 676; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo sezione II 19.4.2013 n. 848).
E’ inoltre doveroso aggiungere, come del resto chiarito anche dalla giurisprudenza amministrativa (aderendo alle argomentazioni svolte in piu’ occasioni dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che la natura permanente dell’occupazione resta impregiudicata sia che trattasi di occupazione usurpativa realizzata in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilita’ (qual e’ il caso oggetto del presente giudizio), sia che trattasi di occupazione appropriativa
(T.a.r. Sicilia Catania 13.4.2017 n. 813; C.d.S. A.P. 9.2.2016 n. 2 gia’ citata; C.d.S. IV 12.11.2015 n. 5172; T.a.r. Basilicata 7.11.2017 n. 699; Cass. SS.UU. 7.12.2016 n. 25044; Cass. SS.UU. 16.12.2013 n. 27994; Cass. SS.UU. 28.1.2013 n. 1804; Cass. SS.UU. 13.1.2014 n. 442; Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735 gia’ citata; conformi C.d.S. sezione V 10.5.2013 n. 2559; C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; Tar Calabria Reggio Calabria 19.12.2012 n. 732; Tar Piemonte sezione I 30.8.2012 n. 985; C.d.S. sezione IV 2.11.2011 n. 5844; T.a.r. Lazio Roma 8.11.2016 n. 11044 citata).
Alla luce di quanto premesso, si deve dunque affermare che nel caso di occupazione illecita, l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione “sine titulo” e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, attraverso uno dei rimedi all’uopo accordati dall’ordinamento. Rimedi consistenti o nella restituzione dell’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato (atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’) o nell’acquisizione della proprieta’ del bene occupato per effetto di un atto tipico formale (e cioe’ il decreto di esproprio sanante previsto dall’art. 42 bis ovvero l’atto di cessione volontaria) (C.d.S. sezione IV 24.10.2016 n. 4416; T.a.r. Sicilia Catania sezione II 22.11.2016 n. 3039; T.a.r. Calabria Catanzaro 12.12.2016 n. 1273).
Senonche’, l’affermazione secondo cui l’amministrazione abbia semplicemente l’obbligo “civilistico” di procedere alla restituzione dell’immobile in favore del proprietario, previa riduzione in pristino, non tiene conto della piu’ complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie e, in primo luogo, delle previsioni contenute nel medesimo art. 42 bis.
Se e’ vero, infatti, che l’amministrazione ha l’obbligo, in base al diritto civile, di procedere alla restituzione del bene e di risarcire il danno, e’ anche vero che la stessa, ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, dispone del potere, in base al diritto amministrativo, di procedere all’acquisizione del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico, previa valutazione degli interessi in conflitto.
In buona sostanza, nei casi come quello in esame, si pone per l’amministrazione un’alternativa fra l’adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio (disciplinato dal diritto civile) e l’esercizio di una potesta’ autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone (disciplinata dalla norma in esame assicurata dal diritto amministrativo).
In altri termini, l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalita’, e’ chiamata a decidere in via preliminare se esercitare o non esercitare la potesta’ amministrativa di acquisizione che l’ordinamento le attribuisce e, solo nel caso in cui tale decisione abbia avuto esito negativo, essa e’ tenuta, come qualsiasi soggetto di diritto comune, alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno.
La valutazione degli interessi in conflitto di cui all’art. 42 bis primo comma d.p.r. n. 327/2001 e’, percio’, necessariamente prodromica rispetto alla concreta opzione fra acquisizione autoritativa e restituzione “civilistica” e deve essere obbligatoriamente compiuta dall’amministrazione in tutti i casi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dal primo e dal secondo comma della disposizione indicata.
A fronte di una situazione quale quella in esame, l’amministrazione e’, quindi, tenuta in primo luogo a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere amministrativo discrezionale che l’ordinamento le riconosce (esercizio che ben puo’ concretizzarsi nella decisione di non acquisire l’immobile in via autoritativa), e solo in seconda battuta, qualora cioe’ l’esito di tale valutazione discrezionale si traduca nella decisione di non acquisire il bene, essa dovra’ considerarsi effettivamente tenuta alla restituzione dell’immobile secondo gli ordinari canoni civilistici.
In sostanza, la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico (scaturente dal comportamento “iure privatorum” dell’amministrazione) il quale e’ una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale (T.a.r. Campania Napoli sezione V 8.2.2017 n. 774; Tar Sicilia Catania sezione II 7.12.2012 n. 2874; T.a.r. Calabria Catanzaro 8.11.2016 n. 2114).
Sulla scorta di quanto finora prospettato, la giurisprudenza ha tracciato le coordinate che disciplinano la materia.
In particolare, dopo aver premesso:
la giurisprudenza ha tratto coerentemente la conclusione che, in mancanza della perdita della proprieta’ del bene occupato senza titolo, il privato non puo’ fondatamente chiedere che il giudice condanni direttamente l’amministrazione al relativo risarcimento dei danni, proprio per la evidente considerazione che non si e’ ancora verificato l’evento produttivo del danno (cioe’ la perdita della proprieta’ del bene illecitamente occupato).
In tal caso, il giudice non puo’ nemmeno condannare direttamente l’amministrazione ad adottare il decreto di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis, atteso che cosi’ facendo egli si sostituirebbe illegittimamente all’amministrazione nella valutazione dei contrapposti interessi in conflitto, invadendo la relativa sfera di competenza intangibile ed avocando a se’ l’esercizio di una discrezionalita’ che invece la legge ha inteso riservare in via esclusiva alla sola amministrazione.
In tal caso, invece, il giudice può condannare l’amministrazione alla restituzione del bene occupato, ma la stessa (prima che si formi il giudicato sulla citata sentenza) resta titolare della potestà di procedere alla acquisizione sanante prevista dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.
In sostanza, in ipotesi di occupazione “usurpativa”, il giudice può certamente condannare l’amministrazione a restituire il bene occupato, previa demolizione dell’opera pubblica e ripristino dello stato dei luoghi e con il pagamento del risarcimento del solo risarcimento del danno per il periodo di occupazione illecita. Ma nel contempo, amministrazione resta titolare del potere di esercitare ogni piu’ ampia valutazione in ordine alla attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo occupato, in alternativa alla restituzione dello stesso al proprietario
(C.d.S. A.P. n. 15/2011; Tar Sicilia Palermo sezione III 27.2.2013 n. 434; Tar Sicilia Catania sezione II 4.6.2013 n. 1684; Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Abruzzo 21.2.2013 n. 276; Tar Sicilia Catania sezione Ii 1.2.2013 n. 385; Tar Campania Salerno sezione II 11.1.2013 n. 58; Tar Lombardia Milano sezione IV 4.12.2012 n. 2910; Tar Calabria Catanzaro sezione II 3.8.2012 n. 857; Tar Sicilia Catania sezione II 3.5.2013 n. 1310; Tar Sicilia Palermo sezione III 24.5.2013 n. 1160; Tar Sicilia Catania sezione II 21.5.2013 n. 1465; Tar Lombardia Milano sezione III 29.4.2013 n. 1105; Tar Sicilia Palermo sezione II 19.4.2013 n. 848; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Campania Napoli sezione V 1.3.2013 n. 1192; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485; Tar Sicilia Catania sezione II 17.1.2013 n. 106; Tar Sicilia Catania sezione II 1.3.2013 n. 645).
Ai fini della quantificazione del risarcimento del danno da occupazione illecita, appaiono applicabili nella fattispecie i principi stabiliti in materia dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui il parametro del 5 % del valore venale del terreno occupato per ogni anno di occupazione illecita rappresenta, in difetto della prova rigorosa dell’ammontare del danno, un criterio forfettario che, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., appare suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale, fatto proprio dal legislatore con l’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.
La citata giurisprudenza ha chiarito che il citato criterio forfettario trova applicazione sia nell’ipotesi in venga emesso il decreto di acquisizione sanante (in tal caso, concorrendo tale somma, insieme alle altre previste dal richiamato art. 42 bis, alla determinazione delle indennita’ espropriative complessivamente dovute) sia nella diversa ipotesi in cui oggetto del giudizio sia soltanto la domanda reipersecutoria con la richiesta del relativo risarcimento del danno per il periodo di occupazione illecita (come appunto nella fattispecie).
In altri termini, il criterio forfettario in esame, in quanto diretto alla quantificazione del ristoro spettante al proprietario per il periodo di mancato uso e godimento dei terreni per il periodo di occupazione illecita, trova applicazione a prescindere dalla emissione (o meno) del decreto di acquisizione sanante.
Del resto, e’ noto che l’occupazione senza titolo della proprieta’ privata (per essere spirato infruttuosamente il termine finale della occupazione legittima ovvero per essere la stessa usurpativa fin dall’inizio) comporta per l’amministrazione occupante l’obbligo:
Si riportano di seguito i principi affermati dalla richiamata giurisprudenza amministrativa (che ha trattato la fattispecie dell’occupazione appropriativa, statisticamente più frequente):
“Permanendo l’occupazione dei suoli anche in data successiva alla scadenza dell’efficacia dei provvedimenti che l’avevano legittimata, quindi, l’occupazione dei terreni di proprietà di parte ricorrente si é indubbiamente protratta in modo illegittimo, con il conseguente suo diritto alla restituzione delle aree occupate e la loro restitutio in integrum e al risarcimento dei danni subiti a causa della indebita occupazione del suolo di sua proprietà. Per tale ragione, la domanda va accolta. Deve, quindi, riconoscersi, alla parte ricorrente il diritto alla restituzione dell’area di sua proprietà interessata dalla procedura espropriativa intrapresa dal Comune di Avellino, e non conclusa con un provvedimento di esproprio, nonché il risarcimento del danno subito per la mancata disponibilità del bene di sua proprietà per tutto il periodo di occupazione avvenuta illegittimamente, ovvero a decorrere dal giorno di scadenza della occupazione legittima: il danno risarcibile, più nello specifico, dovrà essere commisurato, applicando analogicamente quanto previsto dall’ art. 42 bis co. 3 D.P.R. n. 327 del 2001, al 5% del valore venale del terreno da quantificarsi sulla base del valore medio indicato nelle banche dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia delle Entrate del Comune di Avellino, al momento del deposito del ricorso introduttivo. (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 febbraio 2017, n.253; sez II, 2 maggio 2017, n. 708) e sarà dovuto per ogni anno di occupazione illegittima sino al momento della effettiva restituzione del suolo.
Trattandosi di debito di valore, infine, sulla somma dovuta dovranno essere corrisposti interessi legali e rivalutazione, anno per anno, sino alla data di liquidazione dell’importo così determinato”
(T.a.r. Campania Salerno II 7.11.2017 n. 1582)
“…quanto alla determinazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima (per il periodo antecedente al momento abdicativo del diritto di proprietà), questo può essere calcolato – ai sensi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., in assenza di opposizione delle parti e in difetto della prova rigorosa di diversi ulteriori profili di danno – facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis t.u. espr. (cfr. da ultimo sul punto Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2016 n. 3929; 28 gennaio 2016 n. 329; 2 novembre 2011 n. 5844), e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno”
(C.d.S. IV 7.11.2016 n. 4636)
“Ne consegue che il risarcimento del danno deve coprire il solo valore d’uso del bene, dal momento della sua illegittima occupazione sino alla data della cessazione dell’occupazione illecita.
Tale danno può quantificarsi nella sua componente patrimoniale, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con l’art. 42-bis comma 3, del D.P.R. n. 327 del 2001, suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (TAR Campania, Napoli, V, 9.8.2016, n. 4048; TAR Toscana, III, 29.11.2013, n. 1655).
In relazione non solo al quantum del 5% per danno patrimoniale ma anche al 10% per pregiudizio non patrimoniale (cui la società istante fa specifico riferimento nelle pagine 8 e 9 della memoria difensiva depositata in giudizio il 7.10.2016), il giudice di appello ha condivisibilmente ritenuto che possa farsi applicazione equitativa dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42-bis, il quale “pur fissando una disciplina speciale in tema di espropriazioni senza titolo di un bene privato, non ha inteso discostarsi dai principi civilistici in tema di risarcimento del danno …, dettando una disciplina normativa che chiaramente è volta a favorire e non a sacrificare gli interessi dei proprietari incisi” (C.G.A.R.S., 18 febbraio 2009 n. 49). Di conseguenza, il risarcimento del pregiudizio patrimoniale viene forfettariamente liquidato onnicomprensivamente ed all’attualità nel 5% annuo del “valore del terreno“, calcolato ai sensi e nelle forme indicate dallo stesso articolo 42-bis, dalla data di occupazione e fino alla restituzione dei terreni, mentre il pregiudizio non patrimoniale viene stimato equitativamente, sempre onnicomprensivamente ed all’attualità, nel 10% del valore venale (e non del pregiudizio patrimoniale cui fa riferimento la ricorrente: pagina 9 della memoria depositata in giudizio il 7.10.2016), da corrispondere non su base annua, ma una tantum (Cons. Stato, IV, 23.9.2016, n. 3929)”
(T.a.r. Toscana 16.5.2017 n. 691)
“Venendo al merito della domanda, il Collegio ritiene fondata la domanda proposta in via principale. Non essendosi il comune procurato un valido titolo di proprietà del suolo occupato, tale suolo appartiene ai ricorrenti che hanno pertanto titolo alla sua restituzione; di conseguenza deve essere ordinato al comune di Atina di restituire il suolo occupato, previa rimessione allo stato pristino.
Va riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno derivante dalla perdita del possesso; in ordine alla sua liquidazione il Collegio, in conformità al suo consolidato orientamento, ritiene, ai fini della relativa quantificazione, di far ricorso, in assenza di prova di un danno avente una misura maggiore, al criterio forfettario di liquidazione, pari all’interesse del 5% annuo sul valore venale del terreno di cui all’articolo 42-bis, D.lg. 8 giugno 2001, n. 327”
(T.a.r. Lazio Latina 16.3.2017 n. 167)
“Nella specie:
(T.a.r. Campania Napoli V 8.9.2017 n. 4327; conforme in termini T.a.r. Campania Napoli V 24.3.2017 n. 1619)
“Quanto al danno patrimoniale derivante da illegittima occupazione occorre dire che deve ritenersi applicabile alla fattispecie il criterio di liquidazione forfettaria di cui all’ art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 – percentuale del 5% annuo del valore venale del fondo – in quanto la sottrazione del bene dal patrimonio del privato in caso d’illecita occupazione è in <re ipsa>”
(T.a.r. Emilia Romagna Bologna 28.1.2015 n. 56)
(conformi ex multis C.d.S. 27.1.2015 n. 354; C.d.S. 8.9.2015 n. 4193; T.a.r. Sicilia Palermo 5.4.2016 n. 855; T.a.r. Puglia Bari 19.5.2015 n. 745; T.a.r. Lazio Roma 20.10.2015 n. 12025; T.a.r. Lombardia Milano 29.10.2015 n. 2278; T.a.r. Lazio Roma 4.3.2015 n. 3752; T.a.r. Sicilia Palermo 5.5.2015 n. 1077; T.a.r. Emilia Romagna Parma 4.5.2015 n. 140, T.a.r. Campania Napoli 23.4.2015 n. 2346 e T.a.r. Lazio Roma 21.1.2015 n. 1019).
Per quanto attiene alla determinazione del valore di mercato dell’area occupata (che rappresenta la base di calcolo della somma risarcitoria del 5 % annuo), si produce in allegato la relazione di stima del 26.11.2017 con la quale il Geom. OMISSIS (doc. n. 4), sulla base del valore unitario di euro 55,00 mq., ha determinato il valore di mercato del terreno nella misura di euro 16.830,00.
Ciò posto, appare utile aggiungere che, qualora fosse ritenuto necessario disporre una c.t.u. per la quantificazione del danno da occupazione usurpativa, l’opzione processuale esercitata in favore del rito sommario non deve rappresentare un elemento preclusivo e/o incompatibile con la citata attività istruttoria.
Infatti, la prova della compatibilità dell’esperimento della c.t.u. quale attività istruttoria con il rito sommario è fornita direttamente dalla legge.
Si ricorda infatti che l’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 prevede espressamente che “Le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima di cui all’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo”.
Se dunque l’espletamento della c.t.u. rappresenta un passaggio pressocchè necessario per il giudizio di opposizione alla stima della indennità di esproprio e di occupazione legittima (da proporsi obbligatoriamente con il rito sommario), a maggior ragione la c.t.u. è perfettamente compatibile con il rito sommario elettivamente scelto per il presente giudizio avente ad oggetto soltanto il danno per il periodo di occupazione senza titolo (che rappresenta un “minus”).
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Alla luce di sopra, i nominativi in premessa ognuno in ragione e nella misura dei propri diritti e tutti per l’intero
R I C O R R O N O
a codesto Tribunale al quale rassegnano le seguenti
C O N C L U S I O N I
Piaccia a codesto Tribunale, con riferimento al terreno di loro proprietà sito in Comune di OMISSIS in catasto al foglio a mappale OMISSIS sub OMISSIS (s.e.o.) occupato senza titolo dalla Città Metropolitana di OMISSIS per la realizzazione di opera stradale e della sottostante rete fognaria (o opera idraulica):
Con vittoria di spese in favore del difensore antistatario.
Invitano l’ente convenuto a comparire ore di rito dinanzi al Tribunale di OMISSIS e dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168 bis e dell’art. 702 bis c.p.c. alla udienza che sarà a tal fine fissata e con invito a costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 e dell’art. 702 bis c.p.c., con espresso avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art. 38 ed all’art. 167 c.p.c..
Ai fini istruttori:
A tal fine si propongono i seguenti quesiti:
Ai fini dell’art. 13 d.p.r. n. 115/2002 si dichiarare che il valore delle presente controversia è indeterminabile e che il relativo contributo unificato ammonta ad euro 259,00 pari al 50 % dell’importo previsto per il rito ordinario.
OMISSIS