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CORTE DI APPELLO DI OMMISSIS
RICORSO EX ART. 702 BIS CPC
(ART. 29 D.LGS. 1.9.2011 N. 150)
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
Il signor OMMISSIS difeso e rappresentato dall’Avv. OMMISSIS ) nel presente giudizio giusta procura speciale notarile rep. n. OMMISSIS del 31.10.2012 rilasciata a mezzo di Notaio OMMISSIS di OMMISSIS ed elettivamente domiciliato in Trieste presso l’Avv………. , spiega
OPPOSIZIONE ALLA STIMA
ed in particolare formula la domanda
DETERMINAZIONE GIUDIZIALE
della indennita’ di esproprio
C O N T R O
il Consorzio OMMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. con sede legale in OMMISSIS
F A T T O
In vista della realizzazione dell’ampliamento di un nuovo comparto del P.T.I. di OMMISSIS, con nota prot. n. OMMISSIS del 22.7.2001 (doc. n. 1) il Consorzio OMMISSIS informava il ricorrente:
Con il decreto n. OMMISSIS del 11.10.2012 notificato il 17.10.2012 (doc. n. 2), il Consorzio OMMISSIS disponeva l’espropriazione della citata area in catasto al foglio OMMISSIS mappale estesa 7.930 mq., in relazione alla quale aveva offerto e determinato l’indennita’ provvisoria di esproprio nella misura di euro 91.337,39 (pari al valore unitario di euro 11,52 mq.) che il ricorrente aveva rifiutato in quanto ritenuta largamente sottostimata rispetto all’effettivo valore di mercato.
Ad oggi l’autorita’ espropriante non ha ancora comunicato la indennita’ definitiva di esproprio da determinarsi adopera della Commissione Provinciale Espropri.
Con il presente giudizio, l’opponente, nel ritenere manifestamente insufficiente l’indennita’ determinata in via provvisoria, intende contestare la mancata determinazione della indennita’ definitiva di esproprio e chiederne a codesta Corte di Appello la determinazione in sede giudiziale nella misura di legge.
M O T I V I
Si premette che l’art. 54/1 d.p.r. n. 327/2001 prevede che “Decorsi trenta giorni dalla comunicazione prevista dall’articolo 27 comma 2, il proprietario espropriato, il promotore dell’espropriazione o il terzo che ne abbia interesse può impugnare innanzi all’autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell’indennità, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità. Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall’articolo 29 del decreto legislativo 1 settembre 2011 n. 150”.
E’ noto che l’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 ha abrogato i successivi commi 2, 3 4 dell’indicato art. 54 ed ha previsto:
Allo stato dunque, il procedimento di esproprio di cui trattasi e’ connotato, dalla determinazione e dalla offerta della sola indennita’ provvisoria di esproprio (quantificata in euro 91.337,99), dalla intervenuta emissione in data 11.10.2012 del decreto di esproprio n. OMMISSIS e dalla perdurante mancanza della indennita’ definitiva di esproprio non ancora determinata dalla commissione provinciale espropri.
Con il presente giudizio, l’opponente intende spiegare l’opposizione alla stima ed in particolare (stante la perdurante mancanza della indennita’ definitiva di esproprio non ancora determinata dalla commissione provinciale espropri) intende formulare la domanda di determinazione giudiziale della indennita’ di esproprio.
In sostanza, l’assetto normativo di cui sopra ha recepito il principio gia’ stabilito a suo tempo dalla nota sentenza n. 67/1990 (doc. n. 9) con cui la Corte Costituzionale (sotto il previgente art. 19 legge n. 865/1971) aveva stabilito che il proprietario – a cui sia stato notificato il decreto di esproprio – puo’ comunque chiedere la determinazione giudiziale della indennita’ di esproprio, pur in mancanza della determinazione in sede amministrativa della indennita’ definitiva, la quale dunque non si pone piu’ quale condizione di azionabilita’ del relativo diritto.
Come e’ noto, con l’art. 2 commi 89 e 90 della legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale ed ha ora previsto (tra l’altro):
E’ noto infatti che la Corte di Cassazione (con principio del tutto analogo a quello stabilito in materia di piani p.e.e.p.) ha stabilito che tutti i terreni espropriati per la realizzazione dei piani industriali e produttivi hanno per cio’ stesso natura edificabile, a prescindere dalla destinazione specifica e dalla utilizzazione concreta degli stessi nell’ambito delle previsioni del piano.
Con la sentenza n. 7987 del 7.4.2011 la Corte di Cassazione ha stabilito che
“Proprio per il carattere generale ed astratto della previsione che ha compreso nell’intera zona D2 in cui rientra il terreno in disamina, le “aree destinate ad insediamenti industriali della zona ASI del Dittaino”, la stessa non puo’ assumere la qualifica di vincolo preordinato all’esproprio;….
Si deve aggiungere che la destinazione da parte del P.R.G. della zona in esame agli insediamenti industriali, gia’ sufficiente a conferire al terreno (…), “le possibilità legali di edificazione” richieste dall’art. 5 bis, ha trovato conferma proprio nello strumento consortile che l’ha ribadita, percio’ confermandone la vocazione edificatoria ed escludendo che la valutazione dell’area possa essere compiuta con il criterio tabellare relativo ai suoli agricoli di cui alla legge n. 865/1971 art. 16”.
“Proprio in tale ottica la Corte Costituzionale (sent. 179/1999) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3298/2000) hanno precisato che l’attribuzione da parte degli strumenti urbanistici al terreno di una vocazione edificatoria (sia pure specifica) ricorre quando esso sia destinato a ricevere non soltanto costruzioni edilizie in senso stretto, ma anche attrezzature e servizi realizzabili (non in astratto, ma) per volonta’ dello strumento urbanistico pure ad iniziativa libera privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento. E sempre nella medesima prospettiva questa Corte, anche a sezioni unite ha attribuito natura edificatoria ai fondi inclusi in un PIP, ovvero in zone destinate ad attivita’ industriali (c.d. zone D di cui al D.M. n. 1444 del 1968)… (Cass. 18680/2005; 10265/2004; 16710/2003)”.
Con la sentenza n. 23965 del 25.11.2010 la Corte di Cassazione ha testualmente chiarito che con riferimento alle aree comprese nei piani P.I.P., la destinazione edificatoria risulta attribuita proprio in conseguenza della loro inclusione nell’ambito del piano industriale.
“Proprio in tale ottica la Corte Costituzionale (sent. 179/1999) e la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3298/2000) hanno precisato che l’attribuzione da parte degli strumenti urbanistici al terreno di una vocazione edificatoria (sia pure specifica) ricorre quando esso sia destinato a ricevere non soltanto costruzioni edilizie in senso stretto, ma anche attrezzature e servizi realizzabili (non in astratto, ma) per volonta’ dello strumento urbanistico pure ad iniziativa libera privata o promiscua… (Cass. 18680/2005; 10265/2004; 16710/2003)” (Cass. 27.4.2011 n. 9390).
Ad ulteriore conferma del citato pacifico indirizzo, si segnalano:
Infine e solo per completezza e scrupolo difensivo, e’ opportuno notare che anche la giurisprudenza di legittimita’ meno recente era ferma nell’affermazione dello stesso principio:
E’ appena il caso di precisare che, proprio alla luce della giurisprudenza evocata in precedenza, sarebbe destinata all’insuccesso ogni eventuale eccezione con cui il convenuto tentasse di sostenere la natura non edificabile dell’area espropriata facendo leva sulla circostanza che la stessa, pur compresa nel piano P.I.P., sarebbe ipoteticamente destinata ad ospitare non interventi di edificazione (fabbricati produttivi) ma bensi’ opere destinate servizi, viabilita’, parcheggi, infrastrutture, verde ecc…. Una siffatta eventuale obiezione sarebbe infatti destinata ad essere superata da un elementare ma fondamentale principio di estimo secondo cui tutte le aree comprese all’interno dello stesso piano e/o comprensorio dotato di edificabilita’ legale (destinato ad uso produttivo, residenziale, di servizi, commerciale, di culto, ecc.) concorrono equamente alla determinazione dell’indice medio di edificabilita’ territoriale del piano, a prescindere se le singole aree siano destinate specificamente ad ospitare interventi di edificazione (fabbricati) oppure opere destinate servizi, viabilita’, parcheggi, infrastrutture, verde ecc… In altri termini, cio’ che rileva ai fini dell’edificabilita’ legale e della conseguente indennita’ di esproprio non e’ l’indice di edificabilita’ fondiario (quello cioe’ relativo al singolo fondo) ma l’indice medio di edificabilita’ territoriale (che tiene conto cioe’ di tutte le diverse tipologie di interventi previste dal piano).
La tesi citata gode ovviamente del conforto della giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “ai fini della determinazione dell’indennita’ di espropriazione, va considerato edificabile un terreno inserito dallo strumento generale in zona destinata a insediamenti industriali, non essendo necessaria una specifica destinazione conferita da uno strumento attuativo, e restando irrilevante che, all’interno della zona, il terreno ossa essere destinato a servizi (nella specie, ad opere di viabilita’ interna), in virtu’ di prescrizioni di carattere preespropriativo, apportandosi in tal caso la valutazione alle aree comprese nella zona” (Cass. 20.9.2006 n. 20408; conformi Cass. 3.4.2009 n. 8121; Cass. SS.UU. n. 125/2001, nonche’ n. 19501/2005; n. 15519/2001; n. 1113/1999).
Sul punto, non puo’ sottacersi la nota sentenza n. 11729 del 14.5.2010 con cui la Corte di Cassazione SS.UU. ha testualmente stabilito che
<Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’edificabilita’ del fondo deve necessariamente essere commisurata ad indici “medi” di fabbricabilita’ riferiti (o riferibili) all’intera zona omogenea, al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato, nel senso che, ove non si ritenga di stimare il terreno ricorrendo a criteri comparativi basati sul valore di aree omogenee, l’adozione del metodo analitico – ricostruttivo comporta che l’accertamento dei volumi realizzabili sull’area non possa basarsi sull’indice fondiario di edificabilita’ (che e’ riferito alle singole aree specificamente destinate all’edificazione privata) e che, invece, postulando l’esercizio concreto dello ius aedificandi che l’area sia urbanizzata e, che si tenga conto dell’incidenza degli spazi all’uopo riservati ad infrastrutture e servizi a carattere generale, si debba prescindere come dal fatto che l’area sia (eventualmente) destinata ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità, parcheggi) non potendo l’edificabilita’ essere vanificata dalla utilizzatalita’ non strettamente residenziale, cosi’ dalla maggiore o minore fabbricabilita’ che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni di piano attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture, di guisa che tutti i terreni espropriati in uno stesso ambito zonale vengano a percepire la stessa indennita’, calcolata su una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialita’ edificatoria “media” di tutto il comprensorio, ovvero dietro applicazione di un indice di fabbricabilita’ (territoriale che sia frutto del rapporto tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato” (Cass. sez. 1^ 29 novembre 2006 n. 25363; Cass. sez. un. 21 marzo 2001 n. 125; Cass. sez. 1^ 16 maggio 2006 n. 11477; Cass. sez. 1^ 16 giugno 2006 n. 13958)>.
Conforme anche Cass. n. 14755 del 18.6.2010 secondo cui “…allorquando il valore venale di un fondo debba determinarsi in base al suo valore di trasformazione (cosidetto metodo analitico – ricostruttivo), deve essere recepito l’indice che individua la densita’ territoriale della zona (e non quello relativo alla densità fondiaria), soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale di spazi pubblici gravanti sul fondo espropriato; e trattandosi di un terreno incluso in un piano di zona l’edificabilita’ deve commisurarsi ad indici medi di fabbricabilita’, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi e spazi liberi (Cass. 2349/2004; n. 555/2004; 0555/2004 ; n. 25/2001)”.
Infine, sia consentito aggiungere che l’unico momento storico di riferimento ai fini dell’accertamento dell’edificabilita’ legale e della determinazione della indennita’ di esproprio e’ rappresentato dalla data di emissione del decreto di esproprio.
Tale conclusione e’ imposta dall’art. 37/3 d.p.r. n. 327/2001 il quale prevede testualmente che “Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione…”.
E’ noto pero’ che la norma ha recepito il principio a suo tempo gia’ stabilito dalla interpretazione correttiva della Corte Costituzionale resa con la sentenza 16.12.1993 n. 442, la quale aveva stabilito che ai fini dell’accertamento della edificabilita’ legale occorresse assumere e valutare le possibilita’ legali ed effettive di edificazione esistenti al momento del verificarsi della vicenda ablativa, anziche’ quelle vigenti al tempo di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, del quale ovviamente non e’ consentito tener conto ai fini della stima (ex multis Cass. 21 febbraio 2001 n. 2474).
E’ appena il caso di precisare che il valore unitario di euro 11,52 mq. finora determinato ed offerto dall’amministrazione espropriante a titolo di indennita’ provvisoria di esproprio non appare affatto idoneo a rappresentare l’effettivo valore di mercato dell’area produttiva, che notoriamente si attesta su valori di gran lunga piu’ elevati.
Peraltro, tale valore risulta in linea anche con quello desunto dalla stima condotta con il criterio sintetico – diretto comparativo, laddove (per il secondo semestre anno 2009) sul valore unitario stimato dei fabbricati industriali (euro 600,00/670,00 circa mq.) pubblicato dall’osservatorio del mercato immobiliare gestito dall’Agenzia del Territorio (doc. n. 6), l’incidenza del valore del terreno e’ pari all’incirca al 20/30 %.
A tal fine, puo’ farsi riferimento al criterio di stima cosiddetto sintetico – diretto (che e’ una figura appartenente al piu’ ampio criterio sintetico – comparativo) che rappresenta un metodo notoriamente seguito nella prassi estimativa, in particolare dagli uffici dell’agenzia delle entrate e spesso anche in sede giudiziaria. Esso consiste nel desumere il valore di mercato dell’area calcolando la misura percentuale del valore della stessa in relazione al valore di mercato del fabbricato edificabile sulla stessa. Il valore di mercato del fabbricato e’ notoriamente pubblicato dall’Agenzia del Territorio Osservatorio del Mercato Immobiliare (O.M.I.). Come e’ noto, le quotazioni determinate dall’O.M.I. rappresentano valori medi risultanti da dati statistici rappresentativi della microzona redatti dall’Agenzia del Territorio sulla base di atti pubblici, di atti privati, di atti provenienti da societa’, di perizie e stime giudiziarie, di accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, ecc.. Si tratta pertanto di valori oggettivamente attendibili (perche’ rappresentano i valori medi per le singole destinazioni residenziali, produttive, commerciali, terziario, ecc.) riscontrabili (perche’ pubblicati sul sito dall’Agenzia del Territorio e comunque accessibile a tutti) e non soggettivi (perche’ provenienti dalla Agenzia del Territorio che e’ soggetto terzo istituzionalmente deputato a tale funzione).
Ebbene, nella fattispecie dalla quotazione o.m.i. risulta che, nel periodo primo semestre 2012, il valore di mercato dei fabbricati ad uso produttivo nella microzona indicata del Comune di OMMISSIS ammonta ad un valore compreso da euro 210,00 ad euro 230,00 mq..
Cio’ posto, si ritiene che la misura percentuale della incidenza del valore del terreno in relazione al valore del fabbricato produttivo possa essere desunta (oltre che da dati di comune esperienza che quantificano tale misura in circa il 30 %) anche da una espressa previsione di legge che ha determinato tale misura, sia pure ai soli fini fiscali (con la precisazione immediata perco’ che – come accade sovente – la legge finisce per recepire principi giurisprudenziali e risultati provenienti da una consolidata e condivisa prassi giudiziaria ed amministrativa oltre che di autorevole dottrina estimativa).
In particolare, si tratta dell’art. 36/7 d.l. n. 333/2006 il quale prevede che “ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali e’ assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza, il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, e’ quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso. Per fabbricati industriali si intendono quelli destinati alla produzione o trasformazione di beni”.
Orbene, nella fattispecie sono dunque conosciuti e disponibili tutti gli elementi per poter desumere il valore dell’area espropriata, atteso:
Pertanto, utilizzando il valore di mercato medio del fabbricato di euro 220,00 mq. (evitando picchi in eccesso ed in difetto prodotti dall’uso dei valori massimi o minimi), il valore unitario della sola area espropriata ammonterebbe ad euro 66,00 mq. circa (220,00 X 30 % = 66,00).
Con l’art. 2 commi 89 e 90 della sopraggiunta legge 24.12.2007 n. 244, il legislatore ha colmato il vuoto normativo prodotto dalla citata sentenza costituzionale n. 348/2007 ed ha ora previsto (tra l’altro):
4.1) quanto alla (ipotetica) risudizione del 25 % per interventi di riforma – economico – sociale
Nella determinazione della indennita’ provvisoria di esproprio, il consorzio legittimamente non ha applicato la riduzione del 25 % per interventi di riforma economico sociale.
Tuttavia, esigenze difensive e di completezza di indagine, consigliano di affrontare comunque la questione prospettata.
Cio’ premesso, si tratta di accertare se l’espropriazione per l’allocazione di iniziative produttive nell’agglomerato industriale del Comune di OMMISSIS sia o meno suscettibile di essere inquadrata nelle espropriazioni finalizzate all’attuazione di interventi di riforma economica sociale e per l’effetto se la relativa indennita’ di esproprio debba o meno scontare la riduzione del 25 % in applicazione dell’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007.
Sul punto specifico, si rende necessario precisare quanto segue.
E’ noto infatti che la giurisprudenza della C.E.D.U. ha ammesso che l’indennita’ di esproprio possa anche non coincidere con il pieno di valore di mercato allorquando l’espropriato soddisfi due condizioni:
Emerge infatti con tutta evidenza che il legislatore nazionale, nel tentativo di arginare i maggiori costi scaturenti dall’obbligo di determinare l’indennita’ di esproprio nella misura di mercato dei terreni, ha ritenuto di poter introdurre un temperamento gia’ noto da tempo alla giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.
Tuttavia, non puo’ sfuggire che la stessa CEDU ha ritenuto di poter applicare la citata riduzione casi del tutto eccezionali ed infrequenti tra cui a titolo meramente esemplificativo si indicano:
– i “mutamenti radicali del sistema costituzionale di un paese quali la transizione della monarchia alla repubblica” (caso ex-roi de Grèce et autres c. Grèce sentenza 23 novembre 2000);
– il quadro di riforma generale dell’enfiteusi in Inghilterra (caso James e altri contro Regno Unito);
– la nazionalizzazione di societa’ di costruzioni aeronautica e navale prevista dal programma economico, politico e sociale del partito che aveva vinto le elezioni (caso Lithgow e altri vs Regno Unito).
Com’e’ evidente, si tratta di casi eccezionali ed episodici che non hanno ragionevole attinenza diretta con le espropriazioni “ordinarie”, qual e’ certamente quella oggetto del presente procedimento (intervento finalizzato alla costruzione della nuova questura).
Nelle fattispecie, appare con immediata evidenza che difettano entrambe le citate condizioni:
Una indagine piu’ seria ed attenta non può prescindere dalla rigorosa impostazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale, com’è noto, ha introdotto il concetto di “riforma economico – sociale” in un quadro di circostanze derogatorie assolutamente eccezionali al principio generale del valore venale del bene espropriato (passaggio dalla monarchia alla repubblica, riunificazione delle due Germanie, passaggio dal comunismo al regime di libero mercato e le altre ipotesi indicate in precedenza).
Orbene, la Corte Europea ha sempre distinto gli espropri appartenenti alle suddette riforme economico – sociali (oggettivamente connotati da una amplissima incisivita’ sull’ordinamento e/o sul gran numero indifferenziato e non predeterminabile dei destinatari) dagli espropri cosiddetti “isolati” (oggettivamente connotati dall’assenza di incisivita’ sull’ordinamento e/o dal ridotto numero di destinatari, spesso direttamente determinabili ed addirittura individuabili). Ebbene, per gli espropri cosiddetti isolati, la CEDU ha sistematicamente seguito la regola dell’applicazione del valore venale di mercato del bene espropriato.
Cio’ deve indurre l’interprete a tenere sempre presente la distinzione (da una parte) tra opere pubbliche “singole ed isolate” progettate e approvate per ordinarie esigenze di pubblica utilita’ e (dall’altra parte) opere pubbliche funzionali a riforme generali dell’ordinamento per scopi di sviluppo e giustizia sociale incidenti su una pluralità indistinta ed indeterminabile di cittadini in situazioni eccezionali (quale, ad esempio, e’ stata a suo tempo la riforma agraria di cui alla legge 841/1950, con i relativi espropri generalizzati dei latifondi).
Appare dunque oggettivamente difficile riscontrare oggi “riforme economico – sociali” nella accezione fatta propria dalla Corte Europea, caratterizzate cioe’ dai connotati della generalità, dell’eccezionalita’, della incisiva innovativita’ del contenuto normativo o della eversivita’ dell’assetto economico – sociale.
Cio’ deve condurre l’interprete a ritenere che la previsione introdotta nell’articolo 37 d.p.r. n. 327/2001 dall’art. 2/89 della legge n. 244/2007 e’ destinata a rivelarsi una pedissequa ripetizione dei concetti espressi in via generale dalla Corte Europea, destinata a rimanere sul piano potenziale di astratta regolamentazione di eventuali future riforme di quel tipo.
La interpretazione contraria tesa ad applicare la riduzione del 25 % non appare tuttavia condivisibile posto che ad esempio anche gli espropri per la realizzazione di opere pubbliche in materia di sanità, di istruzione, di giustizia, di sicurezza, di trasporti sono suscettibili astrattamente di essere ricompresi nella piu’ ampia attuazione uniforme sul territorio nazionale.
Nel merito, e’ quanto discutibile che un piano industriale possa essere considerato alla stregua di una eccezionale e generale riforma di carattere economico – sociale, dato il suo carattere consolidato, fisiologico e ordinario e attesa la trascurabile incidenza sul mercato immobiliare, non certo elevabile al rango di mutamento dell’assetto economico e sociale (vedi Favaretto, “funzione sociale, interventi di riforma economico-sociale e indennizzo nelle espropriazioni”).
Ma c’e’ un argomento destinato a sgombrare il campo dagli equivoci.
Ne’ puo’ sottacersi infatti che la notissima sentenza emessa in esito al caso Scordino c/o Italia (ric. n. 36813/97 del 29.3.2006), la stessa Grande Chambre della Corte Europea Diritti dell’Uomo ha affrontato e risolto con grande chiarezza i principi in questione, stabilendo in particolare che nell’ipotesi di espropriazione per la realizzazione di un piano di edilizia residenziale, il proprietario conserva integro il diritto ad avere il valore venale del bene ablato senza alcuna riduzione della indennita’ di esproprio, atteso che la realizzazione del piano P.I.P. non integra gli estremi dell’intervento di “riforme economico sociali”.
Anche nelle sentenze Stornaiuolo c/o Italia dell’8.8.2006 e Mason c/o Italia del 24 luglio 2007 la CEDU ha definito la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare come espropriazione isolata estranea a riforme economico sociali.
La conclusione e’ immediata ed inevitabile: se dunque la stessa Corte Europea ha gia’ chiarito e stabilito che le espropriazioni finalizzate alla realizzazione del piano p.e.e.p. non si inquadrano nell’ambito delle riforme economico – sociali (pur astrattamente idonea a giustificare una indennità di esproprio in misura inferiore all’effetto valore di mercato), allora a maggior ragione deve essere parimenti esclusa dalla stessa categoria anche l’esproprio per la realizzazione dell’ampliamento di un nuovo comparto del piano industriale in OMMISSIS.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione maturata in materia ha definitivamente stabilito che la espropriazione di aree disposta per la realizzazione dei piani di insediamenti produttivi (al pari dei piani P.E.E.P.) non integra gli estremi della riforma economico sociale di cui all’art. 2/89 legge n. 244/2007 e che pertanto la relativa indennita’ di esproprio sfugge alla riduzione del 25 % ivi prevista.
La citata sentenza n. 8445/2012 della Corte di Cassazione si rivela dirimente e particolarmente utile perche’ definisce in termini espressi, diretti e chiari gli elementi necessari ad integrare gli interventi di riforma economico – sociale.
Si riporta di seguito il passo testuale della motivazione (punti 4, 5 e 6).
“4. Il motivo è manifestamente infondato. Il giudizio per la determinazione dell’indennità di espropriazione, infatti, non è un procedimento espropriativo o una fase di esso, perchè è un procedimento giurisdizionale, autonomo rispetto a quello amministrativo e puramente eventuale. Del resto, è lo stesso testo unico a indicare, nel titolo secondo, quali sono le fasi del procedimento espropriativo, e tra queste non figura ovviamente l’opposizione alla stima, disciplinata invece nel titolo quarto.
Sul punto di diritto la corte si è già pronunciata a sezioni unite (sentenza 28 febbraio 2008 n. 5265), affermando il principio che, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, convertito, con modifiche, nella L. 8 agosto 1992, n. 359 e al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, da parte della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, lo “jus superveniens” costituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, lett. a), si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso, come confermato dalla norma intertemporale di cui alla cit. L. n. 244, art. 2, comma 90.
La giurisprudenza delle sezioni semplici si è uniformata a tale insegnamento, nonostante l’isolata diversa pronuncia di Cass. 12 settembre 2008 n. 28431 richiamata dalla società ricorrente. Nel senso indicato dalle sezioni unite può ricordarsi, per tutte, la successiva Cass. 28 novembre 2008 n. 28431.
L’assunto non è fondato.
L’espropriazione in questione è destinata alla realizzazione di un piano di insediamenti produttivi. Tali piani, a norma della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 27, hanno valore di piano particolareggiato d’esecuzione ai sensi della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, e le aree comprese nel piano sono espropriate dai comuni o loro consorzi secondo quanto previsto, in origine, dalla medesima legge in materia di espropriazione per pubblica utilità, e dalla successiva normativa ordinaria. In altre parole, I PIANI D’INSEDIAMENTI PRODUTTIVI SONO DEGLI ORDINARI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO, DAI QUALI ESULA OGNI CONNOTAZIONE DI RIFORMA, ECONOMICO SOCIALE O DI ALTRO GENERE, tale da giustificare la pretesa che possa trovare applicazione la previsione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, seconda parte, nel testo di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89.
Peraltro ogni dibattito sul punto è superato dall’insegnamento di questa corte (Cass. 16 marzo 2012 n. 4210), per il quale il fine di riforma economico sociale connota una particolare qualità di fini di utilità pubblica, perseguiti in un dato momento storico, e perciò devoluta esclusivamente – non già al potere discrezionale dell’amministrazione espropriante, e neppure all’interpretazione del giudice in caso di opposizione giudiziale alla stima dell’indennità, ma – al legislatore, al quale soltanto spetta di decidere (nel rispetto dei vincoli individuati dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria) se e quando avvalersi del potere di prevedere una riduzione del tipo prefigurato dalla norma.”
Tanto basterebbe sul punto per spazzare via ogni perplessita’.
Tuttavia, per completezza di indagine puo’ appare utile aggiungere che la Corte di Cassazione ha altresi’ stabilito:
4.2) quanto all’aumento del 10 %
Si premette che questa difesa conosce l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui l’incremento del 10 % della indennita’ di esproprio puo’ essere accordato solo nell’ambito del procedimento amministrativo di esproprio.
Tuttavia, si ritiene che una diversa interpretazione dell’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007 possa indurre la corte territoriale a riconoscere ed accordare anche in sede giurisdizionale il beneficio dell’aumento del 10 % della indennita’ definitiva determinata dalla stessa corte territoriale:
5) QUANTO AL MAGGIOR DANNO/RIVALUTAZIONE MONETRARIA
E’ ben noto l’orientamento della giurisprudenza secondo cui in materia di credito di valuta (quale e’ certamente il credito per l’indennita’ di esproprio) spettano i soli interessi legali, a meno che il proprietario espropriato non dimostri di aver subito un maggior danno (Cass. SS.UU. 16.7.2008 n. 19499 e conformi Cass. Sez. III 28.6.2006 n. 14975; Cass. Sez. II 16.3.2006 n. 5860; Cass. Sez. III 27.10.2004 n. 20807; Cass. Sez. III 7.1.2004 n. 58 e Cass. Sez. I 22.2.2000 n. 1997).
Nella fattispecie, si ritiene di poter assolvere all’indicato onere della prova sia mediante il ricorso a presunzioni semplici (posto che il ricorrente e’ imprenditore commerciale) (doc. n. 7) sia mediante la produzione in giudizio di documentazione bancaria (doc. n. 8) idonea a dimostrare che l’opponente, costretto a rivolgersi al mercato bancario per il reperimento delle risorse finanziarie, paga tassi di interessi passivi superiori a quelli istat ed a quelli legali.
Si ritiene dunque che all’opponente spett il diritto ad avere sulla indennita’ di esproprio sia gli interessi moratori (per il maggior danno dovuto al ritardo nel pagamento) nella misura del tasso euribor semestrale medio incrementato di 1,25 punti sia gli interessi legali calcolati in via principale sulla sorte capitale interamente rivalutata ed in subordine sulla sorte capitale via via rivalutata.
Del resto, sussistono le condizioni affinche’ – in conformita’ alle indicazioni fornite dalla stessa C.E.D.U. nel noto caso Scordino – la domanda di rivalutazione monetaria possa trovare ragionevole accoglimento poiche’ essa e’ finalizzata a mantenere inalterato nel tempo il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso e’ stato espropriato. Va da se’ che tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione definitiva, al fine di mantenerlo costantemente adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla indennita’ di esproprio rivalutata vanno poi calcolati altresi’ gli interessi legali, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalita’ diverse, mirando la prima a ripristinare la situazione patrimoniale dell’espropriato quale era anteriormente al decreto di esproprio, ed avendo i secondi funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata.
E’ ovviamente superfluo premettere che, ai fini della valutazione dell’area, deve tenersi conto sia della CEDU sia degli effetti prodotti nell’ordinamento dalla nota sentenza della Corte Costituzionale sentenza del 24.10.2007 n. 348 che, avendo abrogato l’art. 5 bis commi 1 e 2 del decreto legge 11.7.1992 n. 333 nonche’, ai sensi dell’art. 27 della legge 11.3.1953 n. 87, in via consequenziale, l’art. 37 commi 1 e 2 del d.p.r. 8.6.2001 n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’), ha comportato la reviviscenza del principio generale che l’indennita’ di esproprio deve essere determinata nel valore di mercato delle aree espropriate (art. 39 della legge fondamentale n. 2359/1865 ed ora art. 37 d.p.r. n. 327/2001 come modificato ed integrato dall’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007).
Il principio del valore venale era del resto gia’ previsto dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia del Diritti dell’Uomo e sistematicamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte Europea.
L’art. 1 Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. cosi’ testualmente recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suo beni.
Nessuno puo’ essere privato della sua proprieta’ se non per causa di pubblica utilita’ e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso di beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
E’ noto che l’art. 1 del Protocollo n. 1 della invocata convenzione contiene tre distinti principi:
Le tre regole non sono comunque “distinte” e cio’ comporta la necessita’ di una lettura coordinata. La seconda e la terza regola sono collegate con la particolare facolta’ di interferenza con il diritto di godere pacificamente della proprietà e dovrebbero per questo essere reinterpretate alla luce del principio generale enunciato dalla prima regola (confronta tra gli altri James e altri c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1986, Serie A n. 98-B, pp. 29-30, § 37, seguendo i termini della analisi delle Corti nel caso Sporrong e Loennhroth c. Svezia, sent. 23 settembre 1982, serie A n. 52, p.24, §61; cfr. I Monasteri Santi c. Grecia, sent. 9 dicembre 1994, serie A n. 301, p. 31, § 56; e ancora Iatridis c. Grecia n. 31107/96 § 55 ECHR 1999-Il).
E’ noto che in data 1.12.2009 e’ entrato in vigore il Trattato di Lisbona che e’ stato ratificato dallo Stato Italiano con la legge 2.8.2008 n. 130.
L’art. 1 n. 8 del Trattato di Lisbona ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunita’ Europea e pertanto l’attuale formulazione dell’indicato art. 6 ora prevede testualmente:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.
I diritti, le liberta’ e i principi della Carta sono interpretati in conformita’ delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
La citata novita’ normativa si rivela particolarmente importante poiche’ essa ha comportato una modifica (verso l’alto) della fonte di diritto a tutela della proprieta’: mentre infatti in precedenza i diritti fondamentali (e dunque anche la proprieta’) trovano la loro tutela in una convenzione internazionale (la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) la cui applicazione nell’ordinamento (secondo l’orinetamento piu’ restrittivo) era subordinata al rispetto delle condizioni previste dalla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, ora invece quegli stessi diritti fondamentali trovano tutela in un trattato internazionale (il Trattato di Lisbona) le cui previsioni sono immediatamente e direttamente applicabili nell’ordinamento, anche grazie alla cessione di parte della propria sovranita’ nazionale che ogni stato contraente ha operato sottoscrivendo il trattato.
Ecco allora che i diritti fondamentali gia’ previsti dalla c.e.d.u. in materia di tutela del diritto di proprieta’, ora fanno parte dei principi generali del Trattato sull’Unione Europea e del Trattato istitutivo della Comunita’ Europea e pertanto in quanto tali devono essere applicati direttamente nell’ordinamento nazionale, con disapplicazione delle norme interne con esse configgenti, come avviene per tutte le norme comunitarie.
E tale obbligo e’ imposto a tutti, cittadini, pubblica amministrazione e giudici.
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Tanto premesso, il signor OMMISSIS come rappresentato e difeso
R I C O R R E
a codesta Corte di Appello affinche’, con riferimento al terreno sito in OMMISSIS in catasto al foglio OMMISSIS mappale OMMISSIS esteso 7.930 mq. (s.eo.) espropriato con il decreto n. OMMISSIS del 11.10.2012, anche alla luce della sentenza n. 348 del 24.10.2007 della Corte Costituzionale e del sopraggiunto art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 24.12.2007 n. 244 (legge finanziaria anno 2008) nonche’ dell’art. 1 del Trattato di Lisbona, voglia:
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis comma 1 c.p.c.
A V V E R T E
il convenuto Consorzio per lo Sviluppo Industriale di OMMISSIS in persona del legale rappresentante p.t. con sede legale in OMMISSIS che la costituzione oltre i termini stabiliti dal giudice ai sensi del comma terzo dell’art. 702 bis c.p.c. implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.
Ai fini istruttori:
Ai fini del contributo unificato dichiara che il valore della presente controversia e’ indeterminabile e che il relativo contributo unificato ammonta ad euro OMMISSIS, corrispondente alla meta’ di quello ordinario trattando di rito sommario.
OMMISSIS