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CORTE DI APPELLO DI OMISSIS
R.G.N. OMISSIS – CONS. REL. DOTT. OMISSIS
NOTE CONCLUSIVE
OMISSIS
C O N T R O
Comune di OMISSIS
F A T T O
Quanto agli elementi in punto di fatto, si rimanda per brevità a quanto già rappresentato nel ricorso introduttivo del presente giudizio che qui deve intendersi integralmente riportato e confermato.
Nel corso del giudizio, è stata espletata la c.t.u. con acquisizione della relazione peritale, delle osservazioni delle parti e della replica del c.t.u..
All’udienza del 14.11.2019, la causa è stata trattenuta in decisione, riservandosi il Collegio di verificare l’eventuale necessità di chiarimenti da richiedere al c.t.u. e/o di un supplemento istruttorio.
M O T I V I
Ai fini di un esatto inquadramento della fattispecie, si premette preliminarmente le coordinate normative alle luce delle quali deve essere accertata la giurisdizione sono rappresentate:
(“Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”)
(“Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge:
[…]
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che l’emissione del decreto di esproprio sanante (che riconduce l’attivitàamministrativa nell’alveo della legalita’) (da un lato) e la conseguente natura pacificamente indennitaria delle somme previste dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 riconosciuta tale dalla nota sentenza n. 71/2015 della Corte Costituzionale (dall’altro lato), rappresentano argomenti fermi ed insuperabili che devolvono alla giurisdizione ordinaria la controversia in materia di opposizione alla stima in relazione al decreto di esproprio sanante emesso ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (qual è quella oggetto del presente giudizio).
La stessa Corte di Cassazione ha chiarito infatti che, se è legittimo il provvedimento di acquisizione sanante, l’indennizzo ivi liquidato non potràche avere natura indennitaria, con il conseguente radicamento della controversia sul “quantum” in capo al giudice ordinario:
“Ora, è ben vero che, nella fattispecie espropriativa di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, l’illecita o illegittima utilizzazione dell’immobile per scopi di interesse pubblico costituisce solo un presupposto dell’acquisizione del bene, sicchè, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l’indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la controversia sulla sua determinazione e corresponsione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53 e dell’art. 133, lett. g, c.p.a. (Cass., Sez. Un., n. 22096 del 29/10/2015)…”
(Cass. SS.UU. 30.5.2018 n. 13702)
“Alla luce dell’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, che trova il suo presupposto nella sentenza n. 71/2015 della Corte Costituzionale, è corretta la qualificazione indennitaria del petitum che ha indotto il T.A.R. siciliano a proporre il presente regolamento d’ufficio. Nella fattispecie espropriativa di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, l’illecita o illegittima utilizzazione dell’immobile per scopi di interesse pubblico costituisce solo un presupposto dell’acquisizione del bene, sicchè, ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l’indennizzo previsto per la perdita della proprietà non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, e la controversia sulla sua determinazione e corresponsione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53 e dell’art. 133, lett. g, c.p.a. (Cass. SS.UU. n. 22096 del 29 ottobre 2015)”
(Cass. SS.UU. 2.2.2018 n. 2583)
<…con la conseguenza che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, l'”indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale”, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all’indennizzo medesimo natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di “determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario>
(Cass. SS.UU. 29.10.2015 n. 22096)
Si aggiunga, solo per completezza di indagine che, una volta giustificata nei termini indicati la giurisdizione ordinaria, la Suprema Corte ha ulteriormente chiarito che ha pacifica natura indennitaria anche l’ulteriore voce rappresentata dall’importo del 5 % annuo sul valore venale del bene spettante “a titolo risarcitorio” (espressione affetta da evidente imprecisione lessicale) per il periodo di occupazione illecita. Con l’effetto che anche la relativa controversia, al pari di quella concernente il danno patrimoniale ed il danno non patrimoniale, appartengono alla giurisdizione ordinaria ed in particolare alla competenza funzionale della Corte di Appello (Cass. SS.UU. 25.7.2016 n. 15283 e Cass. SS.UU. 22.9.2016 n. 18567).
<Deve quindi concludersi che l’uso dell’espressione “a titolo risarcitorio” nel comma 3 dell’art. 42 bis, riferita all’interesse, sia una mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell’indennizzo, il quale essendo unitario non può che avere natura unitaria.
[…]
Una volta qualificato l’indennizzo di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, come “indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa“, ai sensi dell’art. 133, lett. g), u.p., c.p.a., si pone la questione se sia applicabile il disposto di cui al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, commi 1 e 2, per il quale sulle “controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima di cui del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 54… è competente la corte d’appello nel cui distretto si trova il bene espropriato”, ovvero se la relativa domanda sia soggetta alla disciplina ordinaria, che prevede la competenza del tribunale e il doppio grado di giurisdizione di merito: infatti nessuna norma espressa collega l’indennizzo di cui all’art. 42 bis al giudizio di opposizione alla stima di cui all’art. 54 (che ha riferimento all’ordinario procedimento espropriativo), oggetto di richiamo testuale nel D.Lgs. n. 150 del 2011, menzionato art. 29.
Evidenti esigenze di coerenza del sistema depongono per la prima soluzione, alla quale tuttavia i ricorrenti oppongono il carattere eccezionale della previsione della competenza in unico grado della corte d’appello, che deroga alla regola generale della competenza del tribunale e del doppio grado di giurisdizione di merito e osterebbe, quindi, all’interpretazione analogica o estensiva della disposizione normativa, considerata anche la peculiarità dell’istituto della c.d. acquisizione sanante, di cui all’art. 42 bis, che postula la mancanza di un legittimo ordinario procedimento espropriativo, alla quale è intesa appunto a porre rimedio.
[…]
Da tali espresse previsioni, che coprono l’intera gamma delle indennità collegate a provvedimenti espropriativi note all’epoca in cui sono entrate in vigore, è lecito trarre la conclusione – analoga a quella già tratta dalla giurisprudenza di questa Corte nell’assetto normativo precedente al D.P.R. n. 327 del 2001 (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 7191/1997) – che quella della competenza della corte d’appello in unico grado è in realtà la regola generale prevista dall’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato. L’applicazione della medesima regola anche alla determinazione dell’indennità per la c.d. occupazione sanante, di cui all’art. 42 bis, cit., consegue, dunque, alla interpretazione estensiva del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, il quale non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva>
[così testualmente Cass. SS.UU. 25.7.2016 n. 15283 citata) e Cass. SS.UU. 22.9.2016 n. 18567].
Nello stesso senso depone anche la pacifica giurisprudenza amministrativa secondo cui nella nuova configurazione normativa dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale per la perdita del diritto di proprietàall’esito del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto ha natura non risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione delle relative indennità sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario (ex multis C.d.S. A.P. 9.2.2016 n. 2), al pari di quelle relative all’accertamento della natura edificabile o meni dei fondi, del momento storico della stima e di ogni altro danno subito dal proprietario, ivi compreso anche quello relativo al periodo di occupazione illecita
[C.d.S. 14.4.2017 n. 1778; C.G.A. 21.3.2018 n. 165; C.d.S. 5.6.2017 n. 2682; C.d.S. 29.9.2017 n. 4550; C.d.S. 1.3.2017 n. 941; C.d.S. 12.5.2016 n. 1910; C.d.S. 13.4.2016 n. 1455; C.d.S. 13.4.2016 n. 1465; C.G.A. per la Regione Sicilia 13.4.2016 n. 83; C.d.S. 4.12.2015 n. 5530; C.d.S. 19.10.2015 n. 4777; Tar Calabria Reggio Calabria 5.6.2017 n. 520; Tar Emilia Romagna Bologna 19.3.2018 n. 250; Tar Sicilia Palermo 23.5.2017 n. 2583; Tar Basilicata 14.5.2016 n. 474; Tar Basilicata 14.5.2016 n. 465; Tar Toscana 5.5.2016 n. 778; Tar Lazio Roma 27.4.2016 n. 4795; Tar Liguria 20.4.2016 n. 385; Tar Calabria Catanzaro 20.4.2016 n. 808; Tar Veneto 8.4.2016 n. 361; Tar Lazio Roma 4.4.2016 n. 4041; Tar Campania Napoli 31.3.2016 n. 1640; Tar Liguria 26.2.2016 n. 207; Tar Lazio Roma 22.12.2015 n. 14414; Tar Calabria Catanzaro 18.12.2015 n. 1933; Tar Campania Napoli 7.7.2015 n. 3625; Tar Emila Romagna 29.6.2015 n. 203; Tar Toscana 11.6.2015 n. 890; Tar Campania Napoli 12.5.2015 n. 2621).
Con il ricorso introduttivo, la società ricorrente ha rassegnato le seguenti conclusioni che di seguito si riportano testualmente:
“Tanto premesso, la società in premessa
R I C O R R E
a codesta Corte di Appello affinchè, in relazione al decreto di esproprio sanante n. OMISSIS del 1.6.2016 emesso ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 con il quale il Comune di OMISSIS ha acquisito non retroattivamente le aree site in località e distinte in catasto al foglio n. OMISSIS particelle OMISSIS (40 mq.), OMISSIS (1.408 mq.), OMISSIS (10 mq.) e OMISSIS 756 mq.) per una superficie complessiva di mq. 2.214 (s.e.o.), voglia:
Con la memoria di costituzione, il Comune di OMISSIS, strumentalizzando la circostanza che nella prima alinea della lettera b) è stata omessa la indicazione numerica del valore unitario della indennità di esproprio rivendicata, ha ritenuto di eccepire la nullità del ricorso per violazione dell’art. 164/4 c.p.c. per incertezza assoluta del petitum.
Si tratta di una eccezione chiaramente infondata.
Appare opportuno riportare il testo delle norme del codice di rito che, a dire del comune, la società avrebbe violato:
“La citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell’art. 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4 dello stesso articolo” (art. 164/4 c.p.c.).
“L’atto di citazione deve contenere:
[…]
Ora, si richiama l’attenzione sulla circostanza che il ricorso introduttivo ha trattato diffusamente (al di là delle questioni di rito nel primo e nel secondo motivo) i seguenti argomenti:
Orbene, alla luce dei citati argomenti trattati, sostenere che la mancata indicazione nelle conclusioni del dato numerico rappresentativo del valore unitario di mercato di mercato possa costituire motivo di nullità del ricorso per incertezza assoluta del petitum appare davvero provocatorio e dilatorio.
È sufficiente infatti replicare:
Tanto basta sul punto.
È noto che la valutazione della destinazione urbanistica delle aree e la determinazione della relativa indennità di esproprio devono essere fatte assumendo a riferimento un preciso momento storico che è rappresentato dalla data del decreto di esproprio sanante.
Ciò si desume coerentemente dalla stessa legge la quale prevede infatti:
La chiara formulazione normativa fissa dunque nella data del decreto di esproprio da un lato il momento del trasferimento della proprietà del bene occupato in capo all’autorità amministrativa utilizzatrice e dall’altro lato il radicamento in capo al privato del diritto ad ottenere le relative indennità espropriative.
È dunque con riferimento a tale preciso momento storico che devono essere effettuati l’accertamento in ordine alla edificabilità o meno dei terreni ed il calcolo della determinazione del valore di mercato.
Emerge immediatamente che le citate norme hanno finito per recepire, attribuendone ora fonte e veste normativa, il principio già affermato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 442/1993 (emessa a conclusione di una lunga e coerente evoluzione giurisprudenziale) secondo cui “L’art. 42, comma terzo Costituzione esige che l’indennizzo espropriativo – per non risultare astratto – sia quantificato tendenzialmente tenendo conto delle caratteristiche del bene espropriato nel momento in cui il proprietario ne è privato, e non già delle pregresse, ma non più attuali caratteristiche del bene stesso…”.
Sul punto si registra la la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione:
“…di conseguenza è stata cassata per violazione di legge, in relazione al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 32 e 37, la sentenza di merito che, per stabilire l’indennità di espropriazione, operi la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione con riferimento al momento del vincolo preordinato all’esproprio, anzichè al momento dell’emanazione del decreto di esproprio, pur essendo sopravvenuta, nelle more, una variante urbanistica (Sez. 1, 20/02/2018, n. 4100)”
(cass. 23.10.2019 n. 27079)
“…il comune, nell’esporre la censura, ha dato conferma di quanto l’impugnata sentenza ha accertato, vale a dire del fatto che all’epoca del decreto ablativo (gennaio 2008) – che è quella alla quale, per costante giurisprudenza, va correlata la ricognizione legale del suolo (v. Cass. n. 8837-15, Cass. n. 5979-05, Cass. n. 4130-03) – i terreni di cui si tratta rientravano in zona dello strumento urbanistico comunale destinata a “insediamenti produttivi artigianali”
(Cass. 28.2.2018 n. 4723)
“Le conclusioni cui è pervenuta la corte territoriale in relazione alla ricognizione giuridica delle aree sono conformi al consolidato orientamento di questa Corte, in quanto si fondano sulla necessità di individuare la natura dei terreni con riferimento alla data di emanazione del decreto di esproprio (Cass., 6 settembre 2006, n. 19128; Cass., 14 febbraio 2006, n. 3146, Cass., 4 luglio 2003, n. 10570)… La tesi sostenuta dal Comune, secondo cui la presenza di un vincolo asseritamente preordinato all’esproprio imporrebbe di tener conto unicamente della natura da attribuirsi all’area con riferimento al momento anteriore all’apposizione del vincolo stesso, confligge con il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass., 15 marzo 1999, n. 2272; Cass., 16 febbraio 2001, n. 2276; Cass., 21 marzo 2003, n. 4130, Cass., 18 marzo 2005, n. 5979)” (Cass. 30.4.2015 n. 8837)
“…tale atto, infatti, (n.d.r. Il decreto di esproprio) segnando la conclusione della vicenda ablatoria, ed al tempo stesso il momento dell’acquisto dell’immobile da parte del beneficiario, costituisce il dato temporale di riferimento imprescindibile anche ai fini della determinazione dell’indennità dovuta all’espropriato, la quale, in mancanza di una disciplina specifica, deve pertanto aver luogo non solo sulla base del valore del bene accertato alla relativa data, ma anche alla stregua dei criteri di liquidazione all’epoca vigenti (cfr. Cass., Sez. 1, 17 dicembre 1980, n. 6523; 12 luglio 1979, n. 4034)”
(Cass.5.3.2015 n. 4488).
(conformi ex multis Cass. 26.7.2012 n. 13286; Cass. 5.7.2012 n. 11274; Cass. 6.4.2012 n. 5631Cass. 3.2.2012 n. 1594; Cass.19.10.2011 n. 21637; Cass. 27.6.2011 n. 14127; Cass. 19.10.2011 n. 21637; Cass. 16.9.2011 n. 18964; Cass. 1.9.2011 n. 17988; Cass. 8.10.2009 n. 21395).
Alla luce di quanto sopra, si rivela inconsistente l’eccezione del comune secondo cui (cfr. pag. 13 e pag. 15 della memoria di costituzione), poichè al momento della stima iniziale in sede di progetto i valori immobiliari erano superiori a quelli al momento del decreto di esproprio, la domanda della società ricorrente sarebbe inammissibile perché affetta da carenza di interesse.
Ma è troppo facile replicare che il proprietario non è libero di scegliere il momento storico economicamente più favorevole per la determinazione della indennità di esproprio. Infatti, la necessità che l’indennità di esproprio sia determinata con riferimento alla data del decreto di esproprio scaturisce da una precisa previsione di legge, alla quale le parti non possono derogare.
4.1) (in via principale) quanto all’ipotesi della “zona bianca”
Dal certificato di destinazione urbanistica del 9.9.2013 (doc. n. 10) (che, benchè non aggiornato, appare tuttavia comunque attendibile perchè non sono sopraggiunte modifiche agli strumenti urbanistici), risulta che le aree espropriate erano comprese nel piano attuativo approvato dal consiglio comunale con deliberazione n. 82 del 29.4.1999 e che però il piano stesso è allo stato decaduto per la parte non attuata.
Tale conclusione risulta peraltro espressamente prevista anche dall’art. 26/4 della legge Regione Umbria n. 11/2005 (“Fatto salvo quanto disposto dal comma 5, decorsi i termini stabiliti ai sensi dei commi 2 e 3, il piano attuativo decade automaticamente per la parte non attuata…”) (doc. n. 11).
Infine, l’art. 103 della n.t.a. del p.r.g. approvato con delibera consiliare n. 105 del 17.10.2008 pubblicato sul b.u.r. il 30.12.2008 (doc. n. 12) prevede testualmente:
Il citato quadro normativo autorizza ad affermare che, per effetto della sopraggiunta inefficacia del piano attuativo, alla data del decreto di esproprio del 1.6.2016, le aree espropriate fossero prive di disciplina urbanistica ed in tal caso esse rappresenterebbero le cosiddette “zone bianche”.
Per effetto dunque della sopravvenuta inefficacia del vincolo a contenuto espropriativo previsto direttamente dagli strumenti urbanistici (art. 2 della previgente legge n. 1187/1968 ed ora art. 9 d.p.r. n. 327/2001 quantunque non applicabile alla fattispecie “ratione temporis”), la determinazione dell’indennità di esproprio non rende applicabile la disciplina della legge 28.1.1977 n. 10 art. 4 u.c. (che ha carattere di norma transitoria e con finalità meramente cautelari di salvaguardia), ma impone di tener conto delle possibilità di edificazione, secondo il criterio suppletivo dell’edificabilità “di fatto”, applicabile alle zone bianche.
In particolare, il criterio fattuale di valutazione deve necessariamente valorizzare elementi di confronto con aree limitrofe, o appartenenti alla stessa zona cui l’area espropriata è funzionale, con l’effetto che il giudice che determini il valore del fondo espropriato commisurandolo a quello delle aree limitrofe non fa altro che accertare le potenzialità effettive di edificazione dell’area venutasi a trovare priva di disciplina urbanistica.
Ciò comporta la necessità che, ai fini della determinazione della indennità di esproprio, occorre far ricorso al criterio della edificabilità di fatto il quale, come è noto, fa leva sull’indice medio di edificabilità territoriale delle aree circostanti e sul valore di mercato delle stesse e tende a valorizzare la presenza di opere di urbanizzazione primarie e secondarie (presenza di strade e collegamenti, linee elettriche e telefoniche, rete idrica e fognante, ecc.) e la presenza di elementi di antropizzazione (insediamenti e strutture residenziali, commerciali, di servizi privati e pubblici, di culto, ecc.) che caratterizzano il tessuto urbano nel quale le aree occupate si trovano.
“…risulta applicato in maniera corretta il principio secondo cui, a seguito della decadenza del vincolo di inedificabilità(trattasi di aree comprese nel Piano regolatore Generale in zona B1 con destinazione funzionale a parco per il gioco e lo sport), deve ricorrersi al criterio suppletivo dell’edificabilità di fatto, valevole per le cc.dd. <zone bianche>.
Sull’indennizzo per l’esproprio delle stesse, ai fini della valutazione del terreno per la determinazione dell’indennit àdi espropriazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene i suoli che abbiano ricevuto specifica destinazione a servizi pubblici da un atto di pianificazione urbanistica, qualora il vincolo di inedificabilità che questa comporta divenga inefficace per decorso di un quinquennio…agli effetti dell’accertamento del valore del fondo ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, va applicato il criterio dell’edificabilità di fatto (Cass. 30.4.2008 n. 10936), che enuclea il trattamento indennitario attraverso l’accertamento del valore delle aree circostanti ed omogenee, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico (Cass. 12/10/2007, n. 21434)…
La corte territoriale, considerata l’edificabilità di fatto dell’area espropriata sulla base di detto criterio, ha considerato il valore delle aree circonvicine destinate a edilizia residenziale, ed ha poi applicato un correttivo, tenendo conto delle obiettive condizioni del terreno che, a causa delle presenza di ampi specchi d’acqua (le “cave”, per l’appunto), rendono difficoltosa l’edificazione, richiedendosi un potenziamento delle fondazioni. La scelta del metodo di valutazione appare, quindi, conforme alla regola della edificabilità di fatto, mutuata dalle linee generali della disciplina urbanistica, non senza trascurare le specifiche caratteristiche dei terreni (Cass. 28 dicembre 2004 n. 24064)”
(Cass. 19.11.2014 n. 24648)
“Soccorre, in proposito, il principio, già affermato da questa Corte, che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità, secondo cui, ai fini della determinazione dell’indennità, il regime urbanistico, nel senso dell’edificabilità o inedificabilità, di un’area al momento del decreto di esproprio, è definibile, nell’ipotesi in cui l’originario vincolo di inedificabilità sia scaduto per decorso del termine quinquennale, tenendo conto della reiterazione del vincolo, che può dare diritto ad una speciale indennità, tuttavia distinta da quella di esproprio, restando inapplicabile il criterio dell’edificabilità di fatto, riservato all’ipotesi in cui al momento del concludersi della vicenda ablatoria persista, riguardo alla stessa area, una situazione di carenza di pianificazione (Cass., 29 ottobre 2014, n. 22992; Cass., 29 dicembre 2004, n. 24099)”
(Cass. 25.9.2015 n. 19072)
“È invece inammissibile il terzo motivo, con cui la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 rilevando che erroneamente la Corte di merito ha fatto riferimento al criterio dell’edificabilità di fatto, il quale trova applicazione soltanto in via suppletiva, in mancanza di una classificazione del suolo da parte della pianificazione urbanistica.
Ai fini dell’individuazione del criterio da adottare per la determinazione dell’indennità di espropriazione, la sentenza impugnata si è attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla disciplina dettata dall’ art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, secondo cui l’accertamento dell’edificabilità del suolo espropriato dev’essere condotto con esclusivo riguardo alla classificazione risultante dagli strumenti urbanistici, indipendentemente da ogni valutazione circa l’edificabilità di fatto, la quale rileva soltanto in via suppletiva, in mancanza di pianificazione urbanistica, ovvero in via complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato delle aree legalmente edificabili (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 14 febbraio 2012, n. 2062; 22 agosto 2011, n. 17442; 5 agosto 2005, n. 16519)”
(Cass. 21.9.2015 n. 18560)
“…deve rilevarsi, a tale proposito, che risulta applicato in maniera corretta il principio secondo cui, a seguito della decadenza del vincolo di inedificabilità (trattasi di aree comprese nel Piano regolatore Generale in zona B1 con destinazione funzionale a parco per il gioco e lo sport), deve ricorrersi al criterio suppletivo dell’edificabilità di fatto, valevole per le cc.dd. “zone bianche“
(Cass. 15.5.2015 n. 10016)
“…la cosiddetto edificabilità “di fatto” rileva esclusivamente in via suppletiva – in carenza di strumenti urbanistici – ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo (Cass., Sez. Un. 23 aprile 2001, n. 172)”
(Cass. 13.5.2015 n. 9775; conforme Cass. 1.4.2015 n. 6610)
In applicazione dei principi stabiliti dalla citata giurisprudenza, si rende necessario individuare l’indice medio di edificabilità territoriale della zona omogenea alla quale appartengono i terreni espropriati. Secondo le previsioni del p.r.g., esse sono comprese nella zona territoriale omogenea “A” Centro Storico di OMISSIS, di cui al d.m. 2.4.1968 n. 1444.
Ciò premesso, si segnala che, con deliberazione consiliare n. 33/1994 (doc. n. 13), il Comune di OMISSIS ha previsto per l’indicata zona territoriale omogenea A un indice medio di edificabilità territoriale pari a 2,92 mc./mq..
Si ritiene dunque che tale debba essere l’indice di riferimento espressivo della edificabilità“di fatto” delle aree espropriate.
4.2) (in subordine) quanto alla edificabilità legale
Come già chiarito in punto di fatto, con la perizia prot. n. 3488 del 9.6.2014 redatta su commissione del Comune di OMISSIS, l’Agenzia del Territorio ha redatto la stima dei terreni espropriati.
A tal fine, l’Agenzia del Territorio indicava (cfr. pag. 5):
Si aggiunga che la relazione del 28.9.1998 di stima delle aree allegata al citato piano attuativo (doc. n. 14), prevedeva testualmente quanto segue (cfr. pag. 5):
“Gli immobili si trovano in pieno centro storico nella zona delimitata, tra l’altro, da Via OMISSIS, Via OMISSIS, Piazza OMISSIS e Via OMISSIS a ridosso della zona commerciale più importante del centro storico. Nella Variante del piano regolatore approvato con d.p.g.r. 11.4.1988 n. OMISSIS, gli immobili ricadono in zona A1 <zona di rilevante importanza storica, artistica monumentale, ambientale> per la quale, con delibera del c.c. n. OMISSIS è prevista una densità edilizia media pari a mc./mq. 2,92 calcolata in base ai dettami del d.m. 2.4.1968 n. 1444”.
Orbene, della superficie complessiva di 13.335 mq. prevista dal piano attuativo, 11.348 mq. sono stati destinati ad interventi pubblici e 1.987 mq. sono stati destinati ad interventi privati (quest’ultimi soli risultati poi costruiti abusivamente a seguito del relativo giudizio penale).
Per l’effetto, laddove si ritenesse che l’accertamento della natura delle aree debba essere effettuato sulla base degli strumenti urbanistici in conformità ai quali è stata espressa la capacità edificatoria con la volumetria realizzata, in tal caso le aree risulterebbe comunque dotate della edificabilità legale.
Fermo restando quanto premesso, tuttavia, la stima redatta dall’Agenzia del Territorio non appare condivisibile perchè affetta da una molteplicità di gravi errori laddove essa:
Ecco allora che la misura dell’indennità di esproprio determinata dall’Agenzia del Territorio risulta palesemente inattendibile a causa dei citati errori e dunque gravemente sottostimata rispetto all’effettivo valore di mercato.
Sia nell’ipotesi in cui l’edificabilità (di fatto) fosse desunta da quella delle aree circonvicine già edificate ed urbanizzate (secondo la tesi della ricorrente), sia nella diversa ipotesi in cui l’edificabilità (legale) fosse desunta dal piano attuativo del p.r.g. (secondo la tesi del comune), resta in ogni caso ferma la necessità che la capacità edificatoria sia espressione dell’indice medio di edficabilità territoriale e/o comprensoriale (e non invece dell’indice fondiario).
Ciò in ossequio al noto principio secondo il quale tutte le aree comprese in un stesso contesto territoriale costituente un microsistema urbano (nell’ipotesi della edificabilità di fatto) ovvero in uno stesso comprensorio (nell’ipotesi della edificabiltà legale), in quanto concorrono alla realizzazione del medesimo progetto edilizio, sono tutte considerate edificabili nella stessa misura, a prescindere se siano in concreto destinate alla edificabilita’, alla viabilita’, a servizi, a spazi verde, ecc.. È dunque questo il significato dell’indice medio di edificabilità territoriale.
La tesi gode del conforto della giurisprudenza pacifica di legittimità(maturata soprattutto con riferimento ai comparti in materia di edilizia residenziale pubblica e di piani produttivi).
Nell’ipotesi in cui fosse ravvisata l’edificabilità di fatto delle aree espropriate, la giurisprudenza è stata già indicata in precedenza (cfr. punto 4.1), alla quale per brevità si rimanda.
Nell’ipotesi invece in cui fosse ravvisata l’edificabilità legale, la pacifica giurisprudenza di legittimità ha imposto l’uso dell’indice medio di edificabilità territoriale per la valutazione di tutti i terreni ricadenti nel comprensorio:
“Questa Corte ha, infatti, chiarito che, nella determinazione dell’indennità di espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.), la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione va fatta tenendo presente che i volumi realizzabili non possono essere quantificati applicando senz’altro l’indice fondiario di edificabilità, il quale è riferito alle singole aree specificamente destinate alla edificazione privata dallo strumento urbanistico attuativo, ma, poichè ai fini dell’esercizio concreto dello ius aedificandi è necessario che l’area sia urbanizzata, occorre tener conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale; il che può anche essere espresso ricorrendo a indici medi di edificabilità riferiti all’intera zona omogenea. Ne consegue che tutti i terreni espropriati in ambito p.e.e.p. (e identiche considerazioni valgono in relazione ai fondi inclusi nei p.i.p.: n.d.r.) percepiscono la stessa indennità, calcolata su una valutazione del fondo da formulare sulla potenzialità edificatoria media di tutto il comprensorio, vale a dire dietro applicazione di un indice di fabbricabilità (territoriale) che sia frutto del rapporto fra spazi destinati agli insediamenti residenziali e spazi liberi o, comunque, non suscettibili di edificazione per il privato…”
(Cass. 14.6.2018 n. 15579)
“…nella determinazione dell’indennità di espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione va fatta tenendo presente che i volumi realizzabili non possono essere quantificati applicando senz’altro l’indice fondiario di edificabilità, il quale è riferito alle singole aree specificamente destinate alla edificazione privata dallo strumento urbanistico attuativo, ma, poichè ai fini dell’esercizio concreto dello “ius aedificandi” è necessario che l’area sia urbanizzata, occorre tener conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale; il che può anche essere espresso ricorrendo a indici medi di edificabilità riferiti all’intera zona omogenea”
(Cass. 24.5.2018 n. 12969)
“Il fatto stesso, quindi, che un terreno sia compreso nel P.I.P. è di per sè elemento giustificativo del carattere edificatorio legale del terreno medesimo, sia pur nei limiti che il piano consente in base ai previsti indici di fabbricabilità territoriale, che definiscono il complessivo carico di edificazione che può gravare su di una zona territoriale omogenea, al lordo degli spazi pubblici, che in conformità delle disposizioni del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 emanato in esecuzione della L. n. 765 del 1967, art. 17 ogni tipo di strumento urbanistico deve prevedere. Proprio in considerazione di tali rilievi, la giurisprudenza è costante nel ritenere irrilevante che nel contesto di un piano di tal fatta (PIP o PEEP) un suolo possa essere, in concreto, destinato ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità di PRG), in quanto l’edificabilità dell’area va, appunto, commisurata ai predetti indici medi di fabbricabilità, ed a prescindere dalla distribuzione delle strutture nell’ambito dei singoli lotti”
(Cass. 19.4.2018 n. 9764)
“In sostanza, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione dei suoli edificatori, l’adozione del metodo analitico-ricostruttivo comporta che l’accertamento dei volumi realizzabili sull’area non possa basarsi sull’indice fondiario di edificabilità, bensì su quello che individua la densità territoriale della zona, soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale degli spazi all’uopo riservati ad infrastrutture e servizi a carattere generale, e deve tener conto anche delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area (Cass. 11477/2006; Cass. 9891/2007; Cass. 7288/2013)”
(Cass. 28.2.2018 n. 4711)
“Riferisce il ricorrente che il valore venale del bene è stato determinato dal CTU, e dalla sentenza che su di esso si è basata, per la determinazione dell’indennità di espropriazione sulla scorta del metodo analitico che ha tenuto conto dell’indice di fabbricabilità fondiario. Il criterio, che attiene al profilo, di diritto, relativo all’individuazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione, incorre nella censura che gli viene rivolta, avendo questa Corte già affermato (cfr. Cass. n. 9891 del 2007; n. 7288 del 2013, e vedi, pure, per l’omologo caso del PEEP Cass. n. 22421 del 2008; n. 14939 del 2010), che la valutazione va fatta tenendo presente che i volumi realizzabili non possono essere quantificati applicando l’indice fondiario di edificabilità – che è invece riferito alla singola area e definisce il volume massimo consentito su di essa (Cass. n. 21011/2006; n. 5874/2004; n. 16710/2003; Cons. St. n. 1402/1999) – ma, occorre tener conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale; il che può anche essere espresso ricorrendo a indici medi di edificabilità riferiti all’intera zona omogenea al netto degli spazi riservati a standards (Cass. n. 16710/2003 e success.), nonchè delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area (Cass. n. 7288/2013; n. 12771/2007)”
(Cass. 20.5.2016 n. 10521)
(conformi Cass. 25.2.2015 n. 3807; Cass. SS.UU. 14.5.2010 n. 11729; Cass. 18.6.2010 n. 14755; Cass. 21.6.2010 n. 14939 e Cass. 28.5.2010 n. 13087).
Ecco allora che, proprio perché si infrange contro la legge e contro la giurisprudenza, deve ritenersi inutile e destinato all’insuccesso il tentativo del comune di giustificare l’uso dell’indice fondiario di 1,25 mc./mq., solo perché più penalizzante per il proprietario [“Fermo restando che l’applicazione del criterio fondiario, in questa specifica ipotesi, ha una sua ragionevolezza, trattandosi di area con destinazioni miste…” (cfr. pag. 18 memoria di costituzione)].
L’argomento può essere rovesciato diametralmente, laddove si consideri che proprio la presenza di destinazioni urbanistiche miste e diverse impone invece la necessità di far ricorso all’indice medio di edificabilità territoriale (pari a 2,92 mc./mq.). Infatti, diversamente (con l’indice fondiario), i singoli fondi (pur concorrendo tutti alla realizzazione della medesima opera pubblica) sarebbero esposti al rischio di valutazioni con picchi in eccesso o in difetto in funzione della previsione casuale delle specifiche destinazioni riservate ad ognuno di essi.
In applicazione dei criteri indicati, si ritiene che il valore unitario di mercato delle aree espropriate possa essere ragionevolmente determinato nella misura unitaria media di euro 350,95 mq. (s.e.o.).
A tal fine, si produce la relazione estimativa col la quale il Geom. OMISSIS (doc. n. 15) in applicazione sia del criterio sintetico – comparativo sia di quello sintetico – diretto (o cosiddetto di permuta, fondato sulla misura della incidenza percentuale del valore di dell’area sul valore dei fabbricati edificabili) ha calcolato l’indennità di esproprio rispettivamente nella misura di euro 715.662,00 e di euro 838.336,00.
6.2) quanto al danno non patrimoniale (10% ex art. 42 bis primo comma)
L’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 prevede che in ogni caso al proprietario espropriato spetta altresì anche l’indennità per il “pregiudizio non patrimoniale” che è predeterminato nella misura del 10 % del valore venale del bene (primo comma).
Rappresenta una chiara violazione dei diritti indennitari della ricorrente la circostanza che il decreto di esproprio abbia negato tale voce specifica, atteso che trattasi di indennità spettante “ex lege”, la cui attribuzione (nell’”an” e nel “quantum”) non è rimessa alla decisione discrezionale ed arbitraria dell’autorità espropriante.
A ben vedere, si tratta di un diritto espressamente previsto dalla legge che spetta automaticamente al proprietario “ope legis” ogni qual volta e solo che l’amministrazione faccia ricorso al decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.
Infatti, nella nota sentenza nr. 71/2015, la Corte costituzionale ha affermato che la somma a titolo di danno non patrimoniale, quantificata in misura pari al 10% del valore venale del bene, costituisce un importo ulteriore determinato direttamente dalla legge, in misura certa e prevedibile, per il quale il privato, in deroga alle regole ordinarie, è sollevato dall’onere della relativa prova:
“In realtà, la norma attribuisce al privato proprietario il diritto ad ottenere il ristoro del danno patrimoniale nella misura pari al valore venale del bene (così come accade per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie), oltre ad una somma a titolo di danno non patrimoniale, quantificata in misura pari al 10 per cento del valore venale del bene. Si è perciò in presenza di un importo ulteriore, non previsto per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie, DETERMINATO DIRETTAMENTE DALLA LEGGE, in misura certa e prevedibile. E deve sottolinearsi che il privato, in deroga alle regole ordinarie, è in tal caso sollevato dall’onere della relativa prova”
[…]
“…ai destinatari del provvedimento di acquisizione SPETTA SEMPRE un surplus pari proprio al 10 per cento del valore venale del bene, a titolo di ristoro del danno non patrimoniale”.
(Corte Cost. 3.4.2015 n. 71)
Principio confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione la quale ha chiarito che l’indennizzo dovuto a seguito dell’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis è unitario e ricomprensivo di tutte e tre le voci previste dalla norma: l’indennità per il danno patrimoniale, l’indennità per il danno non patrimoniale e l’indennità per il periodo di occupazione senza titolo. Ma soprattutto, ha chiarito che il diritto alle citate indennità sorge “ope legis” per il solo fatto che l’amministrazione abbia emesso il decreto di esproprio sanante:
“Ne consegue che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che avere la medesima natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53, comma 2 e dell’art. 133, lett. g), u.p., cod. proc. Amm”
(Cass. SS.UU. 21.2.2019 n. 5201)
“Al riguardo deve rilevarsi che l’art. 42 bis, al comma 1, stabilisce espressamente che l’indennizzo da corrispondere deve riguardare sia il pregiudizio patrimoniale sia il non patrimoniale e che deve essere commisurato al valore venale del bene […]. Inoltre si evidenzia nell’ordinanza sopra richiamata che il ristoro del pregiudizio non patrimoniale, AUTOMATICO E PREDETERMINATO NEL QUANTUM in una percentuale del valore venale del bene, è chiaramente misura accessoria inidonea ad incidere di per se sola sul riparto di giurisdizione”
(Cass. 9.5.2018 n. 11180)
“….perchè il ristoro del pregiudizio non patrimoniale, AUTOMATICO E PREDETERMINATO NEL QUANTUM in una percentuale del valore venale del bene, è chiaramente misura accessoria inidonea ad incidere, di per se sola, sul riparto di giurisdizione”
(Cass. SS.UU.29.10.2015 n. 22096)
“…indennizzo il diritto al quale (nella sua integralità, comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo per il periodo di occupazione) sorge solo a seguito dell’adozione del provvedimento di espropriazione c.d. sanante, che deve peraltro contenerne la liquidazione, e il versamento del quale all’espropriato condiziona sospensivamente lo stesso prodursi dell’effetto ablativo” (Cass., Sez. U, 25/07/2016, n. 15283)”
(Cass. 31.5.2018 n. 13988) (Cass. SS.UU. 25.7.2016 n. 15283)
“…a fronte dell’esercizio di tale eccezionale potere espropriativo, il privato che ha perduto la proprietà del suo immobile ha diritto ad un “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale” subito, che, proprio perchè dovuto in relazione alla perdita del diritto reale, ha natura indennitaria, e va liquidato in riferimento a tutte le componenti specificamente previste dalla legge in riferimento a tale fattispecie (valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo per il periodo di occupazione; cfr. Cass. SU n. 15283 del 2016 cit.)”
(Cass. SS.UU. 8.11.2018 n. 28573)
Fermo restando quanto prospettato, si aggiunga che è inappropriato ed inconferente il richiamo fatto dal comune alla sentenza n. 76/2013 del C.d.S. (cfr. pag. 22 della memoria di costituzione) sia perché la fattispecie ivi trattata verteva in materia di risarcimento di danno (mentre nella fattispecie si verte in materia di opposizione alla stima), sia perché in quel caso il decreto di esproprio sanante non era stato neppure emesso (mentre nella fattispecie esso è agli atti del giudizio), sia perché si tratta di pronuncia risalente superata dalla giurisprudenza di legittimità riportata in precedenza, sia infine perché l’evocata sentenza rimetteva la decisione direttamente all’amministrazione espropriante, fermo restando ovviamente il controllo del giudice sull’operato dell’amministrazione.
Tanto basta sul punto perché sia rigettate tutte le avverse argomentazioni del comune, tese a negare il diritto alla citata indennità per danno non patrimoniale facendo leva sull’asserito inadempimento della società ricorrente agli obblighi imposti dall’accordo del 23.11.2000, omettendo però di considerare che all’esito del giudizio definito dal C.d.S. con la sentenza n. 4000/2015 tutte le domande del comune sono state respinte.
Tuttavia, la completezza di indagine impone di esaminare anche nel merito la tesi avversaria.
Appare del tutto erroneo il riferimento che il Comune di OMISSIS ha fatto nel decreto di esproprio alla motivazione della sentenza n. 4000/2015 del C.d.S.. Infatti, è sufficiente notare che la evocata sentenza ha previsto che “…la condotta della società da un lato e dall’altro il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune (valutati nel quadro dei rapporti precontrattuali da eseguire secondo il principio di buona fede, richiamati dall’appellante) potranno assumere rilievo, se del caso, al solo fine della determinazione del pregiudizio medio tempore subito dal proprietario delle aree occupate senza titolo ed oggetto della successiva e sanante acquisizione”.
Mentre dunque il C.d.S. aveva ipotizzato che il comportamento complessivo delle parti potesse essere astrattamente valutato “…al solo fine della determinazione del pregiudizio medio tempore subito dal proprietario…” (cioè al solo fine della indennità per il periodo di occupazione senza titolo), il comune ha arbitrariamente esteso tale valutazione anche alla diversa indennità per il pregiudizio non patrimoniale, in ordine alla quale ha peraltro ritenuto che la società ricorrente non vantasse alcun diritto.
Si tratta di due voci indennitarie distinte e diverse previste dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 che invece il comune ha arbitrariamente confuso ed accomunato.
Infine, non può sottacersi che nessuna valenza giuridica può essere attribuita alle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 4000/2015, ai fini della determinazione delle indennità espropriative previste dall’art. 42 bis d.p.r. 327/2001, sia perché esse rappresentano “solo un mero orientamento” rivolto all’amministrazione espropriante sia perché la materia indennitaria è riservata alla giurisdizione del g.o. (cfr. il primo motivo del presente atto):
“Ne deriva l’assoluta non ingerenza del provvedimento nella sfera della discrezionalità amministrativa come pure per conseguenza va esclusa ogni incidenza della ordinanza nella determinazione di indennità e risarcimenti spettanti ai proprietari dell’area occupata perchè nel caso in cui le amministrazioni attivassero la predetta procedura espropriative le stesse evidentemente non sarebbero vincolate dalla parte della motivazione dell’ordinanza che si dedica a una verifica di criteri e quantificazioni delle possibili indennità e dei risarcimenti. L’indicazione dei criteri che secondo il C.G.A.R.S. dovrebbero essere seguiti in tale eventuale determinazione costituiscono solo un mero orientamento rivolto al Commissario ad acta per l’ausilio di cui le Amministrazioni potrebbero avvalersi sia nella prospettiva di una riapertura della trattativa con i ricorrenti che in quella della attivazione della procedura espropriativa ex art. 42 bis T.U.E. In nessun caso viene quindi, a maggior ragione, condizionata e invasa dal provvedimento impugnato la competenza dell’A.G.O. in materia”
(Cass. SS.UU. 4.10.2019 n. 24856)
applicabilita’ dell’aumento del 10 % della indennità di esproprio
L’art. 2 comma 89 della legge n. 244/2007 prevede che nei casi in cui sia stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perchè a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento.
Si tratta chiaramente di un diritto all’aumento del 10 % della indennità di esproprio diverso e distinto da quello previsto dall’art. 42 bis primo comma d.p.r. 327/2001.
Infatti, l’art. 42 bis primo comma è finalizzato ad attribuire al proprietario una indennità a titolo di “danno non patrimoniale” che ha quantificato nella misura del 10 % della indennità di esproprio (che ovviamente si aggiunge alla indennità di esproprio rappresentativa del danno patrimoniale).
Invece, l’art. 2 comma 89 e 90 legge n. 244/2007 è finalizzato ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della p.a., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi della indennità definitiva determinata dal giudice.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’aumento del 10 % della indennità di esproprio (previsto dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge n. 244/2007) spetta automaticamente a tale titolo in presenza di uno dei presupposti previsti dalla legge, anche se l’indennità complessiva così calcolata superasse il valore di mercato del bene espropriato.
Nella fattispecie, il Comune di OMISSIS ha determinato l’indennità provvisoria in euro 90.574,74 (cfr. decreto di esproprio n. 3 del 1.6.2016 pag. 7), che risulta pertanto largamente inferiore agli otto decimi di quella calcolata dal c.t.u. in euro 282.316,43.
La corretta interpretazione dell’art. 2 commi 89 e 90 legge n. 244/2007 impone il riconoscimento in sede giurisdizionale del beneficio dell’aumento del 10 % della indennità definitiva determinata dalla stessa corte territoriale:
E’ appena il caso di segnalare che in materia è pacifica la giurisprudenza della Corte di Cassazione:
“Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte <L’aumento dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2, (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89), nella misura del 10 per cento, trova applicazione indipendentemente dalla riduzione – prevista dal comma 1 – dell’indennità del 25 per cento prevista per le ipotesi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, e VA RICONOSCIUTO IN VIA AUTOMATICA DAL GIUDICE, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva), mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra> (tra le tante Cass. n. 12058/2017; Cass. n. 10298/2018). La Corte territoriale si è attenuta ai suddetti principi di diritto, secondo i quali la maggiorazione di cui trattasi va riconosciuta in automatico, pur in assenza di domanda”
(Cass. 13.8.2019 n. 21339)
“Secondo la giurisprudenza di legittimità, inoltre, l’aumento dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2, (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007) nella misura del 10%, VA RICONOSCIUTO IN VIA AUTOMATICA DAL GIUDICE, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva); l’istituto in esame, infatti, mira ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionando l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., che ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra. (Sez. 1, n. 12058 del 16/05/2017, Rv. 644204 – 01)”
(Cass. 14.6.2019 n. 16024)
“Questa Corte (Cass. 12058/2017), sia pure con riguardo alla questione dell’aumento del 10% dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2 (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89), ha affermato che esso “trova applicazione indipendentemente dalla riduzione – prevista dal comma 1 – dell’indennità del 25 per cento prevista per le ipotesi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, e VA RICONOSCIUTO IN VIA AUTOMATICA DAL GIUDICE, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva), mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra”
(Cass. 21.10.2019 n. 26781)
“Le dedotte violazioni di legge, da valutarsi congiuntamente, sono fondate. Questa Corte (Cass. n. 12058 del 2017) ha già condivisibilmente affermato il principio secondo cui: “L’aumento dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2 (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89), nella misura del 10 per cento, trova applicazione indipendentemente dalla riduzione – prevista dal comma 1 – dell’indennità del 25 per cento prevista per le ipotesi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare interventi di riforma economico – sociale, e VA RICONOSCIUTO IN VIA AUTOMATICA DAL GIUDICE, anche ove ciò comporti il superamento del tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo, allorchè emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva), mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli otto decimi di cui sopra”
(Cass. 5.3.2018 n. 5104)
“Esclusa la riduzione del 25%, la somma offerta risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, sicchè l’argomento svolto per disattendere la richiesta dell’aumento dell’indennità riferita all’area, pacificamente edificabile, risulta privo di fondamento, DOVENDO L’AUMENTO APPLICARSI AUTOMATICAMENTE DAL GIUDICE nella costanza dei presupposti indicati dalla norma, che è volta a promuovere la rapida definizione delle procedure espropriative mediante la stipulazione dell’accordo di cessione, in funzione sanzionatoria della condotta dell’espropriante tenuto a cooperare a tal fine (Cass. n. 12058 del 2017)”
(Cass. 4.4.2018 n. 8336).
Ai fini della determinazione del periodo di occupazione “sine titulo” in relazione al quale calcolare la relativa indennità prevista dall’art. 42 bis/3 d.p.r. n. 327/2001, è necessario individuare il termine finale entro il quale il comune avrebbe potuto emettere il decreto di esproprio.
Si segnala a tale proposito che con la deliberazione della g.c. n. 310 del 24.6.1999, il Comune di OMISSIS approvava il progetto esecutivo dell’opera pubblica di cui trattasi e nel contempo stabiliva i termini per le espropriazioni fissando l’inizio delle stesse entro un anno (scadente il 24.6.2000) dall’approvazione della deliberazione e la loro conclusione entro il termine di cinque anni (scadente al più tardi il 24.6.2005) dal loro inizio. Posto dunque che, come risulta dalla premessa dello stesso decreto di esproprio, le parti avevano consensualmente autorizzato l’occupazione temporanea in data 10.11.2000 e 28.11.2000 delle aree in vista della realizzazione dell’opera di cui trattasi, tale occupazione non poteva comunque protrarsi (al più tardi e nella prospettazione più penalizzante per la ricorrente) oltre il termine finale del 24.6.2005 fissato dallo stesso comune per la conclusione delle espropriazioni.
Ne consegue dunque che (quanto meno) dal 25.6.2005 l’occupazione delle aree di cui trattasi da parte del comune deve ritenersi “sine titulo” e pertanto da tale data fino a quella del 1.6.2016 del decreto di acquisizione sanante ex art. 42 bis il comune deve corrispondere la relativa indenntà nella misura del 5 % del valore di mercato delle aree per ogni anno singolo anno di occupazione abusiva.
Come già premesso in precedenza con riferimento alla indennità per il pregiudizio non patrimoniale, il Comune di OMISSIS ha fatto riferimento nel decreto di esproprio alla motivazione della sentenza n. 4000/2015 con la quale il C.d.S. ha stabilito che “…la condotta della società da un lato e dall’altro il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune (valutati nel quadro dei rapporti precontrattuali da eseguire secondo il principio di buona fede, richiamati dall’appellante) potranno assumere rilievo, se del caso, al solo fine della determinazione del pregiudizio medio tempore subito dal proprietario delle aree occupate senza titolo ed oggetto della successiva e sanante acquisizione” (cfr. pag. 7 ultimi 5 righi).
Facendo leva sulla circostanza che l’occupazione dei terreni espropriati fosse avvenuta in termini legittimi per effetto di un accordo tra il comune e la società ricorrente, il comune ha ritenuto liberamente di poter trarre la conclusione che alla società non spetti alcunchè a titolo di indennità per il periodo di occupazione senza titolo. È evidente però che, così facendo, il Comune di OMISSIS ha dilatato ed esteso illegittimamente gli effetti della citata affermazione del C.d.S. (peraltro fatta solo “incidenter tantum” e solo a titolo di ipotesi, per di più in una materia nella quale il g.a. è privo di giurisdizione), incorrendo una interpretazione manifestamente deviata ed infondata, allorquando si consideri:
Emerge dunque chiaramente che il comportamento illegittimo ed illecito del comune che non ha emesso tempestivamente il decreto di esproprio ed ha protratto nel tempo l’occupazione abusiva delle aree di cui trattasi non può tradursi paradossalmente nella negazione o riduzione del diritto del proprietario alla relativa indennita’.
Ma v’è di più.
Con la sentenza n. 4000/2015, lo stesso Consiglio di Stato ha infatti messo in evidenza i motivi di responsabilità del Comune di OMISSIS:
Si riporta di seguito il passaggio testuale della motivazione:
“Si duole poi il Comune appellante (col secondo mezzo) dell’erroneo rigetto della tesi, parimenti esposta dal ricorso incidentale, sull’obbligo di eseguire l’accordo di cessione, dovendosi tenere conto dei ripetuti e disattesi inviti ad addivenire al contratto e dell’obbligo di esecuzione in buona fede, ex artt. 1175 e1375 codice civile. Anche questa tesi non è condivisibile. Con amplissima motivazione il primo giudice, dopo aver posto in chiaro quali sono i presupposti perché sussista un accordo di pianificazione, ha illustrato le ragioni per le quali la società appellata non era tenuta alla cessione gratuita; in realtà l’accordo non poteva essere produttivo di effetti giuridici in quanto previsto in una scrittura privata, la quale quindi non avrebbe potuto trovare esecuzione nemmeno attraverso l’azione ex art. 2932 cod. civ., del contratto preliminare, il quale presuppone infatti l’esistenza un obbligo di concludere il contratto assunto nella stessa forma del contratto da concludere. Nel caso in esame manca dunque il sorgere dell’obbligazione di prestare il consenso al trasferire del diritto, in presenza della quale ampia giurisprudenza ammette il ricorso a detta azione (cfr. Cons. di Stato, a.p. n. 28/2012, in g.a. 2012, A, p. 245; Cass. civ., sez. II, n. 5160/2012).
Sotto l’ altro versante, resta fermo il dato oggettivo che il Comune, non avendo proceduto nei tempi di legge a definire il procedimento espropriativo, non poteva sottrarsi alla strada indicata dall’art. 42-bis e ciò nonostante tale disposizione preveda una facoltà (e non un obbligo) dell’amministrazione di farvi ricorso. Al riguardo questa Sezione ha già evidenziato che a monte del procedimento “de quo” sussiste pur sempre un obbligo di rimuovere la situazione di illecito civile rappresentato dall’occupazione e trasformazione senza titolo della proprietà (v. sent. n. 2126/2015). In questo senso è quindi da condividere l’assunto del TAR (p. 28 della decisione) sulla sussistenza di un “puntuale obbligo a carico dell’amministrazione di far cessare la situazione di illecito” cui corrisponde una pretesa del proprietario all’attivazione del procedimento acquisitivo, chiarendosi peraltro che tale rimozione integra una facoltà di scelta, nel senso che essa si esercita mediante l’acquisizione o, in alternativa, la restituzione ai sensi del codice civile.
Resta anche fermo che la condotta della società da un lato e dall’altro il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune (valutati nel quadro di rapporti precontrattuali da eseguire secondo il principio di buona fede, richiamato dall’appellante) potranno assumere rilievo, se del caso, al solo fine della determinazione del pregiudizio medio tempore subito dal proprietario delle aree occupate senza titolo ed oggetto della successiva e sanante acquisizione”.
Appare dunque che il primo (ed unico) responsabile dei danni prodotti alla proprietà della società ricorrente è il Comune di OMISSIS.
inapplicabilità della riduzione del 25 %
Si rende ora necessario affrontare la questione in ordine alla applicabilità o meno nella fattispecie del criterio indennitario previsto dall’art. 2 commi 89 e 90 della legge 24.12.2007 n. 244 introdotta a seguito delle note sentenze della Corte Costituzionale n. 348/2007 e n. 349/2007.
Si ritiene che la fattispecie oggetto del presente giudizio sfugga all’applicazione della riduzione del 25 % prevista dalla normativa citata, in conformità ai principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimita’. In particolare, la Corte di Cassazione ha ormai da tempo stabilito che gli estremi che integrano e caratterizzano gli interventi di riforma economico – sociale:
“La censura è infondata; secondo la giurisprudenza di questa Corte, ove il procedimento sia adottato per realizzare un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, non sussiste il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 % del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, dovendo esso riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Sez. 1, n. 1621 del 28/01/2016, Rv. 638750 – 01; Sez. 1, n. 2774 del 23/02/2012, Rv. 621306 – 01)”
(Cass. 14.6.2019 n. 16024)
“Di contro a quanto dedotto è invero giudizio già esternato da questa Corte, declinando un principio a cui il collegio intende attenersi, che “in tema di espropriazione per pubblica utilità, ove il procedimento sia adottato per realizzare un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, non sussiste il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, dovendo esso riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca” (Cass., Sez. I, 28/01/2016, n. 1621)”
(Cass. 14.5.2019 n. 128619)
“Peraltro, secondo costante orientamento di questa Corte, il P.I.P., nel quale erano compresi i terreni espropriati, non si configura come intervento di riforma economico-sociale che giustifichi la riduzione del 25% prevista dalla citata norma, dovendo esso riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass. n. 1621/2016, in relazione a un p.e.e.p.; n. 13252/2013, in relazione a un p.i.p.)”
(Cass. 18.7.2019 n. 19461)
“Ad abundantiam, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica l’invocata riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, resta integrato nel caso, che non ricorre nella specie, in cui l’intervento riguardi l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate e sia attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Cass. 23/2/2012, n. 2774; 28/1/2016 n. 1621)”
(Cass. 27.4.2017 n. 10463)
(conformi ex multis Cass. 13.4.2015 n. 7418; Cass. 18.3.2015 n. 5444; Cass. 25.2.2015 n. 3807; Cass. 23.5.2013 n. 12757; Cass. 23.2.2012 n. 2774; Cass. 16.3.2012 n. 4210; Cass. 28.1.2011 n. 2100; Cass. n. 13399 del 1.6.2010; Cass. n. 14939 del 21.6.2010; Cass. n. 14755 del 18.6.2010; Cass. n. 2712 del 4.2.2009).
Con la relazione estimativa preliminare del 28.5.2018, il c.t.u. affermava:
L’area pertanto ha una edificabilità, così come definita dalle disposizioni di cui all’art. 37 co. 3, 4, 5 e 6 del DPR 327/01 di mc. 16.663,20 di cui mc. 15.000 ricadenti nella zona A del comparto, nulla nella zona B e mc. 1.663,20 nella zona B1” (cfr. pagg. 8-9);
Utilizzando i citati parametri (unitamente agli altri indicati nella relazione estimativa), il c.t.u. determinava il valore di mercato delle aree in euro 282.316,43 espresso alla data del decreto di esproprio sanante del 1.6.2016.
Alla citata relazione estimativa, questa difesa muoveva le seguenti osservazioni del 28.6.2018 (alle quali per brevità si rimanda) e di cui si riportano di seguito sinteticamente i punti salienti.
Con riferimento all’accertamento della disciplina urbanistica delle aree espropriate, c.t.u. ha affermato che le previsioni urbanistiche delle stesse non sono decadute e che dunque resterebbe esclusa la configurabilità delle cosiddette “zone bianche”.
In merito, questa difesa rimanda per brevità sia al certificato di destinazione di destinazione già prodotto in allegato al ricorso introduttivo (cfr. doc. n. 10) (dal quale invece risulta testualmente che “il piano attuativo è decaduto”), sia alle motivazioni prospettate nel ricorso introduttivo (cfr. par. 4.1 pagg. 7-11) articolate anche alla luce della normativa regionale.
Si ricorda che il quesito posto dal collegio prevedeva la determinazione della indennità di esproprio calcolata valutando:
Ciò premesso, è nota la differenza tra i due indici.
L’indice medio di edificabilità territoriale è quello risultante dalla relazione tra la volumetria complessivamente realizzabile e la superficie totale di tutte le aree comprese in uno stesso comparto, a prescindere se esse siano in concreto destinate alla edificabilità, alla viabilità, a servizi, a spazi verde, ecc.. Per effetto dell’indice medio di edificabilità territoriale, tutte le aree comprese nel medesimo comparto, in quanto concorrono alla realizzazione del medesimo progetto edilizio, sono considerate legalmente edificabili nella stessa misura,
L’indice di edificabilità fondiario è invece quello rappresentativo della capacità edificatoria specifica del singolo fondo, desunto senza considerare le diverse destinazioni e capacità edificatorie delle altre aree pur comprese all’interno del medesimo progetto generale.
Il c.t.u. ha accertato nella fattispecie:
È ben noto che la giurisprudenza pacifica della Corte di Cassazione ha stabilito che ai fini della indennità di esproprio rileva esclusivamente l’indice medio di edificabilità territoriale e che invece nessuna valenza può essere riservata all’indice fondiario, in quanto trattasi di parametri giuridicamente errato (cfr. ricorso introduttivo n. 5 pagg. 12-14 al quale si rimanda).
Orbene, nel determinare il valore di mercato delle aree, il c.t.u. ha utilizzato esclusivamente l’indice di edificabilità fondiario (1,25 mc./mq.) e non invece l’indice medio di edificabilità territoriale (2,92 mc./mq.). E ciò ovviamente ha depresso notevolmente la grandezza della indennità di esproprio quantificata in misura significativamente inferiore a quella prevista dalla legge.
Con la osservazioni del 28.6.2018, questa difesa richiamava infine l’attenzione sulla circostanza, tutt’altro che secondaria, che il valore unitario delle aree espropriate determinato dal c.t.u. nella misura di euro 127,51 mq., non trova riscontro neppure nei numerosi atti assumibili a comparazione nella fattispecie. Atti comparativi che, in quanto provenienti dallo stesso Comune di OMISSIS ed afferenti ovviamente aree relative allo stesso comparto, si rivelano altamente attendibili e rappresentativi.
In particolare, si tratta:
[lire 3.282.630.000 : 1.936,27 = euro 1.695.336,91 : 4.201 mq. di proprietà della OMISSIS (di cui 2.214 mq. per parcheggio + 1.987 mq. per fabbricato) = euro 403,55 mq.) (cfr. doc. n. 5 allegato alle note tecniche preliminari redatte dal c.t.p. Dott. OMISSIS)
Ritiene questa difesa che particolarmente significativi e probatori si rivelano il secondo atto ed il terzo atto comparativo poiché con essi lo stesso Comune di OMISSIS a concordare (d’intesa con la società ricorrente con l’accordo del 23.11.2000) ed a determinare (unilateralmente con il decreto di esproprio) il valore unitario della indennità di esproprio rispettivamente in euro 403,55 mq. ed in euro 921,12 mq..
Non appare dunque ammissibile, né logicamente né tanto meno giuridicamente, che il Comune di OMISSIS possa espropriare terreni appartenenti a proprietari diversi, confinanti tra di loro, compresi nello stesso comparto ed espropriati per la realizzazione della stessa opera pubblica e pagare indennità di esproprio in misura notevolmente diversa tra di loro.
Ne consegue che deve ritenersi legittimo e coerente che l’indennità di esproprio sia determinata nella misura unitaria minimale di euro 403,55 mq. così quantificata dallo stesso Comune di OMISSIS. Si tratta della soluzione prudenziale più penalizzante per la ricorrente, posto che il valore indicato è il più basso tra quelli degli atti indicati a comparazione.
Con la replica del 24.10.2019, il c.t.u. Dott. OMISSIS (nominato in sostituzione del Dott. OMISSIS purtroppo venuto a mancare in corso di giudizio), liquidava sbrigativamente le riportate osservazioni.
In particolare, egli (per quanto interessa in ordine ai profili trattati in questa sede), ometteva di fornire riscontro al rilievo in ordine alla sussistenza della zona bianca a seguito dell’intervenuta decadenza del piano attuativo.
Ma soprattutto, con riferimento ai maggiori valori risultanti dai tre atti comparativi già acquisiti al giudizio, il c.t.u. si limitava ad osservare che “…la contestazione in merito al valore dell’area non trova spunto da elementi probatori tali da far ritenere allo scrivente necessario apportare correzioni alle valutazioni del precedente c.t.u.” (cfr. pag. 4).
Desta dunque somma sorpresa la replica del c.t.u. il quale, benchè posto di fronte a ben tre atti comparativi, con valutazioni decisamente maggiori, e tutti proveniente dallo stesso Comune di OMISSIS, ha tentato di arginare la censura con la mera conferma della misura della indennità di esproprio già determinata nella relazione peritale.
Ma è evidente che, così facendo, il c.t.u. ha finito per validare la critica mossa. Non senza rilevare che la risposta fornita è del tutto priva di motivazione, impedendo al Giudice ed alle parti di verificare e comprendere le ragioni ultime poste a fondamento della sua decisione.
Ponendo a base del calcolo il valore unitario di euro 403,55 mq. tratto dagli atti indicati a comparazione (dei quali quello indicato è il valore più basso), l’indennità di esproprio risulta essere pari ad euro 893.459,70 (euro 403,55 X 2.214 mq.).
L’indennità di esproprio di euro 893.459,70 si pone a sua volta quale base di calcolo:
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Alla luce di quanto sopra, nel confermare le conclusioni già rassegnate, si chiede:
con gli interessi legali decorrenti dalla data del decreto di esproprio (per le voci rappresentative della indennità di esproprio) e dal termine finale di ogni singolo anno di occupazione senza titolo per il relativo periodo;
OMISSIS