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Silenzio della Pubblica Amministrazione sull’Istanza di Acquisizione ex Art. 42 bis DPR 327/2001: Diritti e Tutela del Proprietario

Obblighi dell’Amministrazione e Rimedi Esperibili in Caso di Inerzia sulla Domanda di Acquisizione Sanante

Il Ruolo del Commissario ad Acta e la Giurisprudenza su Espropriazione Illegittima e Silenzio Inadempimento

Per maggiori chiarimenti consulta L’INDICE GENERALE

TRIBUNALE  AMMINISTRATIVO  REGIONALE  DELLA  OMISSIS

 

R I C O R S O

(EX ART. 31 ED ART. 117 D.LGS. N. 104/2010)

 

 

  • OMISSIS;

 

difesi e rappresentati nel presente giudizio rispettivamente giusta procura speciale rep. n. OMISSIS del 21.11.2014 per Notaio OMISSIS in OMISSIS  (doc. n. 1) e procura speciale n. OMISSIS del 10.11.2014 per Notaio OMISSIS  (doc. n. 2) dall’Avv. OMISSIS che agisce quale procuratore antistatario ed elettivamente domiciliati in Palermo presso l’Avv. OMISSIS

C O N T R O

 

IRSAP Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attivita’ Produttive in persona del legale rappresentante p.t. (subentrato a Consorzio ASI di OMISSIS

 

 PER L’ANNULLAMENTO DEL SILENZIO

 

(previo  accertamento in capo all’istituto  del relativo obbligo di pronunciarsi nonche’ previo accertamento della illegittimita’ del silenzio stesso) formatosi sulla  istanza del 10.6.2015 ricevuta dell’istituto resistente in data 1.7.2015  (doc. n. 3) con la quale  i ricorrenti  chiedevano  di procedere all’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001 ed alla conseguente regolamentazione economica, delle aree di proprieta’ degli stessi   tuttora illegittimamente occupate e trasformate a seguito degli interventi di viabilita’ nella zona industriale di OMISSIS.

 

PER LA CONDANNA

 

dell’ IRSAP Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attivita’ Produttive

 

  • a pronunciarsi sulla istanza medesima entro un termine non superiore a trenta giorni;

 

  • a valutare e decidere se intenda procedere o meno ad acquisire con decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non retroattivamente al patrimonio indisponibile i terreni indicati occupati “sine titulo”, previa cessazione immediata dell’occupazione medesima;

 

  • in caso affermativo, a valutare e decidere se intenda o meno procedere (in alternativa alla emissione del decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001) a concludere un accordo bonario con i proprietari;

 

nonche’, in caso di ulteriore persistente inadempimento dell’amministrazione,

 

PER LA NOMINA DEL COMMISSARIO AD ACTA

 

perche’ provveda e si pronunci sulla menzionata domanda.

 

F A T T O

 

I ricorrenti sono proprietari di un fondo edificabile sito in OMISSIS in contrada OMISSIS distinto in catasto al foglio OMISSIS part. OMISSIS esteso complessivamente 3.400 mq..

 

Con decreto n. OMISSIS del 23.6.1982 (doc. n. 4), il Prefetto della Provincia di OMISSIS autorizzava il Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione di OMISSIS ad occupare parzialmente in via temporanea e d’urgenza – e comunque per una durata di anni cinque – il fondo indicato per una superficie pari a 970 mq., in esecuzione dei lavori relativi alla viabilita’ e della zona industriale.

 

Con atto prot. n. OMISSIS notificato in data 9.8.1982 (doc. n. 5), il consorzio avvertiva i proprietari che in data 31.8.1982 si sarebbe immesso nel possesso della parte del fondo di cui trattasi.

 

I lavori venivano eseguiti in pendenza dell’occupazione legittima (il cui termine finale era stato prorogato per effetto dei relativi interventi normativi), senza che fosse stato   emesso il decreto di esproprio.

Con l’ultimazione dei lavori, veniva consolidandosi un nuovo assetto del fondo per effetto del quale:

 

  • la superficie occupata pari a 957 mq. risultava materialmente ed irreversibilmente trasformata per effetto della esecuzione dell’opera pubblica;
  • la residua superficie del fondo non occupata pari a 2.443 risultava inutilizzabile e/o comunque danneggiata e deprezzata a causa e per effetto della suddivisione in due parti in senso longitudinale.

 

Con un primo iniziale giudizio iscritto al r.g.n. OMISSIS, i ricorrenti chiesero al Tribunale di OMISSIS il risarcimento dei danni a seguito della occupazione appropriativa indicata nei termini di cui sopra.

 

Esperita la c.t.u., con sentenza n. OMISSIS  (doc. n. 6), il Tribunale di OMISSIS dichiaro’ il difetto di competenza territoriale in favore del Tribunale di OMISSIS  a, quale foro erariale.

 

Con successivo giudizio introdotto e pendente dinanzi a codesto TAR con ricorso n. OMISSIS, i ricorrenti hanno richiesto al Consorzio ASI di OMISSIS il risarcimento dei danni derivanti dalla illecita occupazione determinatasi e protrattasi sulle aree di loro proprieta’.

 

A seguito del mutamento di orientamento giurisprudenziale in punto di risarcibilita’ del diritto di proprieta’ leso da occupazione illecita ed ancora non trasferito in capo all’amministrazione, si impone ad oggi una diversa impostazione del giudizio che deve preliminarmente condurre, anche forzatamente, l’amministrazione a pronunciarsi in ordine all’acquisto della proprieta’ dell’area illecitamente occupata.

 

Aggiungasi infine che nella fattispecie, nelle more, al Consorzio ASI di OMISSIS e’ subentrato a seguito della legge Regione OMISSIS n. OMISSIS /2012 l’istituto resistente che pertanto risulta essere l’attuale legittimato passivo.

 

M O T I V I

 

  • I N D I C E

 

Ai fini di una piu’ chiara esposizione,  si indicano di seguito gli argomenti cosi’  che saranno trattati con il presente ricorso:

 

  • premessa: quanto alla eventuale eccezione di usucapione

 

  • la giustificazione normativa del silenzio (punto 1.1);
  • la configurazione dell’obbligo in capo all’amministrazione silenziosa ed inerte di pronunciare sulla istanza del privato (punto 1.2);
  • la individuazione del contenuto dell’obbligo di provvedere (punto 1.3);
  • 42 bis d.p.r. n. 327/2001: analisi della fattispecie (punto 2);
  • superamento della figura tradizionale dell’accessione invertita (punto 2.1);
  • la natura permanente dell’illecito e conseguenti implicazioni ai fini della prescrizione (punto 2.2);
  • gli obblighi gravanti sull’amministrazione ed i rimedi esperibili (punto 2.3);
  • il soggetto destinatario dell’art. 42 bis (punto 2.4);
  • la condanna formulabile in relazione alla domanda risarcitoria (punto 2.5);
  • l’applicabilita’ dell’art. 42 ai “fatti anteriori” (punto 2.6).

 

 

  • PREMESSA

 

  • QUANTO ALLA EVENTUALE E PREVEDIBILE ECCEZIONE DI USUCAPIONE

 

Al fine di sgombrare immediatamente il campo da falsi equivoci ingenerabili dalla prevedibile eccezione di usucapione ad opera dell’istituto resistente, appare utile anticipare sin d’ora che tale eccezione sarebbe destinata all’insuccesso.

E cio’, sia perche’ non e’ neppure maturato il periodo di venti anni di possesso necessario a tal fine, sia perche’ la giurisprudenza del C.D.S. e’ orientata a negare attendibilita’ al rilievo.

 

  • quanto al mancato compimento del periodo ventennale

 

La dimostrazione che nella fattispecie non si e’ neppure compiuto il periodo ventennale di possesso in capo al comune (necessario per l’usucapione) e’ piuttosto agevole allorquando si consideri:

 

  • che in 31.8.1982 e’ intervenuta l’occupazione d’urgenza avente durata di cinque anni;

 

  • che detto termine (che sarebbe venuto naturalmente a cadere il 31.8.1987) e’ stato:
  1. dapprima prorogato di un anno dall’art. 1/5 bis d.l. 22.12.1984 n. 901 (e cosi’ differito al 28.9.1990);
  2. successivamente prorogato di due anni dall’art. 14/2 d.l. 29.12.1987 n. 534 (e cosi’ differito al 31.8.1990);

 

  • che dunque in data 31.8.1990 e’ venuto a spirare il termine finale di occupazione temporanea;

 

  • che pero’ con il giudizio risarcitorio sopra indicato introdotto nell’anno 1991 con rgn 148 dinanzi al Tribunale di OMISSIS i ricorrenti hanno interrotto il decorso del termine della prescrizione acquisitiva iniziato semmai dal 1.9.1990;

 

  • che infine nuova ed ulteriore interruzione si e’ avuta a seguito del giudizio incardinato nell’anno 2012 dinanzi a codesto TAR e tuttora pendente con il n. OMISSIS.

 

Ad oggi pertanto non puo’ dirsi compiuta alcuna usucapione.

 

 

  • quanto a ragioni ostative di natura sistematica

 

Restano insuperabili i motivi che la prevalente giurisprudenza ha opposto all’ingresso nell’ordinamento dell’evocato istituto acquisitivo ed in particolare:

 

  • sia perche’ esso si pone in diretto contrasto e violazione con i principi stabiliti in materia di proprieta’ sia dalla Convenzione Europea sia soprattutto dalla giurisprudenza della Corte Europea;

 

  • sia perche’ (laddove si volesse ritenere l’usucapione astrattamente configurabile) la decorrenza del relativo termine ventennale dovrebbe essere coerentemente ancorata all’entrata in vigore del d.p.r. n. 327/2001 (30.6.2003).

 

Tale secondo profilo, ha chiarito il C.d.S.,  si giustifica facilmente allorquando si consideri che  sino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, risultava radicalmente preclusa, per il proprietario colpito da  occupazione acquisitiva, la possibilita’ di esperire l’azione restitutoria, poiche’  l’occupazione acquisitiva  era qualificata come una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica”.

 

In tale contesto dunque, posto che secondo art. 2935 c.c. la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere“, il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l’art. 43 ivi contenuto, come e’ noto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva). Il che implica ovviamente che ad oggi  il termine ventennale non e’ ancora maturato (30.6.2023).

 

Dirimente e risolutiva in proposito si rivela la sentenza del  C.d.S. IV 3.7.2014 n. 3346 di cui si riporta il passaggio piu’ significativo:

 

“Ritiene il Collegio (con ciò manifestando condivisione alle eccezioni formulate da parte appellata nelle proprie memorie) per il vero, assai discutibile la teorizzata usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione: e ciò sia alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis Cassazione civ. sez. II, 7 dicembre 2012, n. 22174) laddove si è sostenuta la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, quanto soprattutto in relazione alla assai dubbia compatibilità con l’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.”).

 

La costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (seconda sezione, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia, n. 31524/96; terza Sezione, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02), ha più volte affermato la non conformità alla Convenzione (in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1) dell’istituto della cosiddetta “espropriazione indiretta o larvata” (censurando quindi la possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e da quello autoritativo del procedimento espropriativo ed in particolare ogni fenomeno di creazione pretoria di acquisto della proprietà mediante fatto illecito).

[…]

Predicare quindi che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001) possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata.

 

E, per soprammercato. non onerose per l’Amministrazione, dal momento che la c.d. retroattività reale dell’usucapione estinguerebbe anche ogni pretesa risarcitoria (ex multis Cassazione civ. sez III, 8 settembre 2006, n.19294; id. sez. II 24 febbraio 2009, n.4434;T.A.R. Basilicata 2 gennaio 2008, n.4; T.A.R. Puglia – Lecce sez I, 8 luglio 2004, n.4916).

[…]

Quantomeno sino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum, qualificando l’occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria “fattispecie ablatoria seppur atipica” (Corte Costituzionale 23 maggio 1995, n.188, Corte Costituzionale 30 aprile 1999, n.148, Cassazione civile sez I, 6 giugno 2000, n.7583).

 

Ne consegue che, a tutto concedere, (alla stregua dell’art 2935 c.c. – secondo cui la prescrizione decorre “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (l’art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva) il che implica che il termine ventennale non sarebbe neppure ad oggi maturato”.

Orbene, i principi indicati  sono stati di nuovo ribaditi con la recente sentenza 14.5.2015 n. 2420 (emessa su appello proposto da questa difesa) con la quale il C.d.S.  ha affermato testualmente:

 

“Deve inoltre essere esclusa l’intervenuta usucapione delle aree illegittimamente acquisite da Roma Capitale a cui questa si è richiamata nei propri scritti difensivi, volendo in questa sede la Sezione ribadire il proprio orientamento contrario all’applicazione di tale istituto nelle fattispecie di espropriazione illegittima, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi (v. sent. 3 luglio 2014 n. 3346)”.

 

 

  • QUANTO ALLA DOMANDA IN MATERIA DI SILENZIO

 

Con il presente giudizio, i ricorrenti intendono ottenere la condanna dell’amministrazione a riscontrare la istanza di emissione del decreto di esproprio sanante ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.

 

1.1) violazione e falsa applicazione:

  • Dell’art. 2 della legge n. 241/1990
  • Dell’art. 42 bis d.p.r. N. 327/2001
  • Dell’art. 3 (uguaglianza), dall’art. 97 (imparzialita’ e buon andamento) e dell’art. 41 (proprieta’) della costituzione
  • Dell’art. 2 d.p.r. N. 327/2001
  • Dei principi sanciti dalla cedu

 

Ritiene questa difesa che la istanza  con la quale il  proprietario  del bene illecitamente occupato “sine titulo” abbia  chiesto all’amministrazione di pronunciarsi se intenda acquisire lo stesso non retroattivamente al patrimonio indisponibile ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001  comporta, da un lato, l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi espressamente sulla istanza medesima e, dall’altro lato, in caso di inerzia la conseguente formazione del silenzio inadempimento.

Tale conclusione scaturisce dall’infruttuoso  decorso del termine di trenta giorni ed e’ prevista e giustificata normativamente  dall’art. 2/2 legge n. 241/1990 come modificato ed integrato dalla legge 18.6.2009 n. 69 art. 7 commi 1 (con riferimento alle  amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali) e 3 (con riferimento alle  regioni ed agli enti locali) (C.d.S. 23.10.2012 n. 5413).

Si segnala peraltro che non sembra risulti adottato dall’IRSAP alcun regolamento in punto di accesso che possa aver previsto un termine diverso.

Il silenzio serbato dall’amministrazione sulla citata istanza comporta pacificamente:

 

  • la violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 (posto che – alla luce di quanto gia’ prospettato in precedenza – sussiste l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulla istanza);

 

  • la violazione dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (posto che – alla luce delle medesime argomentazioni gia’ prospettate in precedenza – sussiste l’obbligo dell’amministrazione di attivarsi e di  far cessare la occupazione illecita senza titolo);

 

  • la violazione dell’art. 3 costituzione (posto che il “vulnus” al principio di uguaglianza e’ inferto dalla discriminazione arbitrariamente tracciata dall’amministrazione tra  soggetti destinatari del procedimento di esproprio definito ordinariamente  e soggetti  colpiti invece da occupazione “sine titulo”);

 

  • la violazione dall’art. 97 costituzione (posto che la violazione dei principi di imparzialita’ e buon andamento risulta inferta dal mancato esercizio pur doveroso ad opera dell’amministrazione delle opzioni astrattamente ipotizzabili per rimediare e porre fine alla occupazione “sine titulo”);

 

  • la violazione dell’art. 41 della costituzione (posto che il soggetto colpito dalla occupazione “sine titulo” ha un oggettivo e pressante interesse a conoscere quale sia la sorte della sua proprieta’);

 

  • la violazione dell’art. 2 d.p.r. n. 327/2001 (posto che l’occupazione “sine titulo” rappresenta una lesione cosi’ grave e manifesta  dei  principi di correttezza, economicita’ e speditezza dell’azione amministrativa tale da non richiedere neppure ulteriori approfondimenti);

 

  • la violazione infine dei principi sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali (posto che la realizzazione dell’opera pubblica caratterizzante l’occupazione “sine titulo” – in quanto integrante un illecito – non puo’ comportare il trasferimento della proprieta’ in capo alla p.a. la quale e’ chiamata a decidere se restituire il bene illecitamente occupato ovvero ad acquisirlo nelle forme previste dalla legge).

 

Con la iniziale istanza e con il presente giudizio, il proprietario ha inteso sollecitare  l’amministrazione ad esercitare il  potere ablatorio codificato dall’art. 42 bis del d.p.r. n.  327/2001 in quanto:

 

  • per un verso, la legalita’ dell’azione amministrativa viene, in certo modo, “recuperata” dalla creazione di un nuovo ed autonomo “titulus adquirendi” di natura provvedimentale, munito della necessaria base legale e frutto della doverosa e rigorosa ponderazione comparativa degli interessi in gioco, complessivamente protesa alla salvaguardia di quello pubblico concretamente preminente (cosi’ superando la logica, stigmatizzata in sede CEDU, dell’occupazione acquisitiva che consentiva l’acquisto in virtu’ di un mero comportamento di fatto, per di piu’ concretante fattispecie di illecito);

 

  • per altro verso, si garantisce al privato una tutela piena e satisfattiva (in prospettiva dichiaratamente “indennitaria” e non piu’ “risarcitoria” come ancora autorizzava a ritenere la formulazione del previgente art. 43 e come sembra orientare la motivazione della sentenza n. 71 del 30.4.2015 della Corte Costituzionale) tesa al conseguimento dell’integrale valore del bene.

 

Il problema si pone, dunque, proprio ed essenzialmente a causa della  inerzia o addirittura del silenzio dell’ente espropriante: inerzia e silenzio che  appaiono in grado di condizionare lo spettro delle tutele a disposizione del privato, di fatto conservandone lo “status” non sempre gradito (ed anzi addirittura prospetticamente suscettibile di  frustrare le forme di tutela risarcitoria) di proprietario dei beni.

 

In tale contesto, la nota  pronuncia del Consiglio di Stato del 16.3.2012 n. 1514 ha tracciato le linee guida della fattispecie argomentando  nel senso:

 

  1. che al privato e’ preclusa (in assenza di adozione del provvedimento acquisitivo) la tutela risarcitoria, in quanto anche l’irreversibile trasformazione delle aree non determina la perdita del diritto di proprieta’;

 

  1. nondimeno – ed ecco la novita’ della pronuncia – neppure puo’ darsi luogo (quando, ovviamente, richiesta) alla tutela restitutoria: la quale, in tesi, eliderebbe di per se’ ed automaticamente il potere discrezionale di acquisizione sanante ex art. 42 bis;

 

  1. di conseguenza, la domanda (comunque formulata) e’ ritenuta accoglibile (avuto riguardo al cosiddetto principio di atipicita’ scolpito dall’art. 34 c.p.a.) nei soli sensi dalla condanna all’obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis, restando impregiudicata la scelta discrezionale tra acquisizione sanante (unita al ristoro per la perdita della proprieta’ e per il periodo di occupazione illegittima) e restituzione (preceduta dalla “restitutio in integrum” e dal ristoro del solo periodo di occupazione illegittima).

 

Dunque, da un lato, l’accoglimento della mera azione risarcitoria si scontra con il mancato trasferimento della proprieta’, d’altro lato, l’art. 42 bis avrebbe inequivocabilmente attribuito alla p.a. il potere discrezionale, valutati gli interessi in conflitto, di pervenire o meno al provvedimento di acquisizione. E siffatto potere (peraltro doveroso nell’ “an” giusta il principio generale scolpito all’art. 2 della legge n. 241/1990, in quanto preordinato alla salvaguardia, in prospettiva comparativa, di rilevanti interessi delle controparti private) non potrebbe essere preventivamente intaccato o limitato da un vincolo giurisdizionale che accolga la domanda restitutoria (ne’ da una condanna a provvedere “tout court” all’adozione del provvedimento acquisitivo, la quale  infatti lederebbe e pregiudicherebbe la discrezionalita’ della p.a. di scegliere, valutati gli interessi in conflitto, tra acquisizione e restituzione del bene).

 

Alla luce delle  esposte coordinate dogmatiche, va da se’ che – una volta ritenuta la “doverosita’” di attivazione del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis –  la strutturazione della tutela del privato nei sensi della condanna a provvedere, nelle forme del rito avverso il silenzio, e’ allo stato non solo  auspicabile ma anche necessaria. Il risultato — condanna generica a provvedere — offre  apprezzabili conseguenze sia per il privato, sia per la stessa p.a. poiche’:

 

  • dal punto di vista del privato, vi sono palesi vantaggi sui tempi di definizione della vicenda (non essendo anzitutto da escludere che la p.a., sollecitata dall’istanza, decida senz’altro di provvedere ed in ogni caso, di fronte all’inerzia, si potra’ ottenere quel risultato della condanna generica a provvedere attraverso il rito “acceleratorio” del silenzio, in luogo delle lungaggini di una ordinaria azione risarcitoria);

 

  • per la stessa p.a., non e’ certo trascurabile che l’indotto accorciamento dei tempi evitera’ un aggravamento degli oneri risarcitori per l’occupazione illegittima, interrotta dalla eventuale opzione restitutoria (che fa venir meno l’occupazione stessa) o dal provvedimento di acquisizione (che ne fa venir meno l’illegittimita’);

 

  • in ogni caso, nell’ottica europea, si toglierebbe la giurisprudenza dal disagio di non poter accogliere direttamente le azioni restitutorie o di dover affermare che il giudice non puo’ elidere il potere amministrativo di decidere o meno l’acquisizione del bene.

 

Ecco allora che, nel quadro prospettato, il complesso delle argomentazioni, brevemente  indicate, autorizza a formula una prima conclusione secondo la quale e’ certamente individuabile un obbligo normativo in capo all’amministrazione di pronunciarsi sulla istanza del privato testo a sollecitare l’esercizio del potere ablatorio previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.

 

  • QUANTO ALL’OBBLIGO DI PRONUNCIARSI SULLA ISTANZA DI EMISSIONE DEL DECRETO SANANTE ED ALLA FORMAZIONE DEL CONSEGUENTE SILENZIO IMPUGNABILE

 

Il proprietario del bene illecitamente occupato “sine titulo” ben puo’ chiedere all’amministrazione di pronunciarsi, corrispondendo le somme dovute previste rispettivamente per le due diverse ipotesi.

 

Cio’ premesso, si ritiene (come gia’ anticipato) che il  silenzio serbato dall’amministrazione sulla  istanza con la quale il privato abbia chiesto all’ente di decidere se intenda acquisire il bene occupato “sine titulo”  non retroattivamente  ex art. 42 bis ovvero se intenda restituirlo, previo ripristino dello stato dei luoghi, comporti:

  • la violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990;
  • la violazione dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001;
  • la violazione dei principi discendenti dall’art. 3 (uguaglianza), dall’art. 97 (imparzialita’ e buon andamento) e dell’art. 41 (proprieta’) della costituzione;
  • la violazione dell’art. 2 d.p.r. n. 327/2001 contenente i principi di correttezza, economicita’ e speditezza dell’azione amministrativa;
  • nonche’ la violazione dei principi sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali.

 

Va percio’ subito precisato che in capo all’amministrazione e’ configurabile  un vero e proprio obbligo di pronunciarsi sulla istanza con la quale il  privato abbia chiesto l’emissione del decreto di esproprio sanante previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (conformi ex multi C.d.S. Sezione IV 16.6.2015 n. 2999; C.d.S. 25.5.2015 n. 2591; C.d.S. 14.5.2015 n. 2420; C.d.S. Sezione IV 12.2.2015 n. 741 e C.d.S. Sezione V 29.1.2015 n. 437).

 

Illuminanti si rivelano  in proposito i motivi ed i principi  affermati dalla nota sentenza del C.d.S. 8.10.2012 n. 5207:

 

“…sarebbe priva di pregio l’eventuale eccezione con cui l’amministrazione sostenesse che  l’istanza presentata dal proprietario ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001   sarebbe in tal senso manifestamente infondata, posto che la norma indicata  attribuirebbe all’amministrazione una facolta’ e non gia’ un obbligo di provvedere. Con la conseguenza quindi  che a fronte del silenzio asseritamente legittimo serbato dalla stessa amministrazione,  il susseguente ricorso  dovrebbe essere dichiarato inammissibile. E cio’, anche in quanto  il proprietario, ancora titolare del diritto dominicale,  vanterebbe solo  un diritto soggettivo pieno alla restituzione del bene stesso, nel mentre in capo all’amministrazione  non sussisterebbe alcun obbligo di provvedere proprio perche’ non dovrebbe essere esercitata alcuna potesta’ pubblica cui e’ correlata una posizione di interesse legittimo del proprietario alla restituzione delle aree  illegittimamente detenute, in relazione alla scelta di acquisire le aree stesse ovvero di restituirle.

 

Una siffatta eccezione rivelerebbe tutti i propri limiti laddove si consideri che, al contrario,  e’ perfettamente configurabile  un vero e proprio obbligo di provvedere posto a carico dell’amministrazione, desumibile non soltanto dalle puntuali disposizioni di legge gia’ evocate in precedenza, ma anche dalla stessa peculiarita’ della fattispecie, nella quale evidenti ragioni di giustizia ed equita’ imporrebbero l’adozione di provvedimenti o, comunque, lo svolgimento di un’attivita’ amministrativa alla stregua dei principi (buon andamento ed imparzialita’) imposti in via generale dall’art. 97 costituzione, considerato che il proprietario  null’altro pretende dall’amministrazione  se non  l’attivazione di un procedimento volto a definire la sorte dei beni rimasti sempre di sua  proprieta’, ma tuttora illecitamente occupati “sine titulo” e  mai restituiti ed anzi irreversibilmente trasformati dall’amministrazione.

[…]

 

A questo riguardo va pertanto precisato che, se al provvedimento finale di tale procedimento deve comunque attribuirsi natura discrezionale, cio’ – per l’appunto – non esclude la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione  stessa di rispondere all’istanza presentata al tal fine  dal privato. Senza sottacere che dall’avvio del procedimento non discende ovviamente l’adozione di un provvedimento avente un contenuto necessariamente vincolato in senso favorevole alla posizione del privato medesimo”.

[…]

 

“…l’art. 42 bis ha  aggiuntivamente introdotto nell’ordinamento – con effetto espressamente esteso anche alle fattispecie in essere antecedentemente alla sua entrata in vigore (vedi comma 8 dell’art. 42 bis) – una facolta’ di valutazione della fattispecie da parte dell’amministrazione  correlata all’eventuale acquisizione in via di sanatoria della proprieta’ sulle aree tuttora da essa occupate <contra ius> che fonda in capo al proprietario una incontestabile posizione di interesse legittimo (ulteriore e distinta rispetto a quella  di diritto soggettivo alla restituzione del bene),  per certo  autonomamente tutelabile anche mediante il rito processuale deputato alla rimozione del silenzio illegittimamente serbato al riguardo dall’amministrazione”.

 

 

Peraltro, e’ superfluo notare che pacifica risulta la giurisprudenza in materia:

 

“Così esposti i termini della questione, ritiene il Collegio di dover aderire al primo dei surriferiti orientamenti (favorevole all’esperibilità del rimedio ex artt. 31 e 117 c.p.a.) e di non potere, invece, condividere le pur pregevoli argomentazioni del secondo. Ciò, per la decisiva ragione che l’obbligo coercibile va individuato non già nell’obbligo della P.A. di adottare il provvedimento ex art. 42-bis cit., ma in quello di dare una risposta al privato interessato, a prescindere dal contenuto della stessa, in aderenza all’oggetto del giudizio sul silenzio inadempimento…

In altre parole, nella fattispecie in esame la P.A. è tenuta a valutare gli interessi in conflitto e, in esito a detta valutazione, a decidere se emanare un provvedimento avente il contenuto (acquisitivo e risarcitorio) indicato dall’art. 42-bis del d.lgs. n. 327/2001, ovvero un atto di diniego di emissione di un tale provvedimento, a cui non può, poi, che conseguire la concreta restituzione dell’immobile (v. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, n. 2148/2013, cit.): l’adozione di una tale decisione, quale che ne sia il contenuto, costituisce, ad avviso del Collegio, oggetto di un obbligo coercibile (giustiziabile sulla base degli artt. 31 e 117 c.p.a.), alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale (v., da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 18 novembre 2013, n. 9826), secondo cui a carico della P.A. si configura un obbligo di provvedere ogni volta che esigenze di giustizia sostanziale impongano l’emanazione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (cfr. art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia. Resta, invece, incoercibile la potestà della P.A. di optare per l’acquisizione ex art. 42-bis cit., ovvero per il diniego dell’acquisizione stessa e la conseguente necessaria restituzione del bene al privato, quale frutto di una scelta discrezionale per cui opera la già riferita preclusione ex art. 31 comma 3 c.p.a.. In questo senso depone anche l’espressione contenuta nel comma 1 dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, per la quale la P.A. “può” disporre che il bene sia acquisito: espressione che, per il Collegio, non sta a significare l’inesistenza di qualunque obbligo coercibile a carico della P.A. – come ritiene il secondo orientamento giurisprudenziale sopra riportato – ma solo che tale obbligo non si estende alla predeterminazione del contenuto del provvedimento che l’Amministrazione è, in ogni caso, tenuta ad adottare” (Tar Lazio Latina 5.6.2014 n. 410).

 

“Ne consegue che, nel caso di specie, l’adozione di un provvedimento espresso ai sensi del richiamato art. 42 bis si poneva come doveroso e, per l’effetto, il silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza presentata dal ricorrente si appalesa illegittimo” (Tar Lazio Roma sezione I 21.2.2014 n. 2153).

 

“Per quanto sin qui considerato, emerge con evidenza  che l’amministrazione sia tenuta a concludere il procedimento…

 

Pertanto, pur dovendosi  escludersi che nella fattispecie si verta in alcuna delle ipotesi  introdotte  nell’art. 2 comma 5 della legge  n. 241 del 1990 dall’art. 3 comma 6 bis del d.l.   14 marzo 2005 n. 35 convertito con modificazioni nella legge  14 maggio 2005 n. 80 (nella parte in cui e previsto che <il giudice amministrativo puo’ conoscere della fondatezza dell’istanza>), tuttavia e’ indubitabile che il giudice amministrativo possa e debba limitarsi a dichiarare l’illegittimita’ del silenzio serbato dall’amministrazione ordinando alla stessa di provvedere espressamente” (Tar Lazio sezione II bis 15.4.2013 n. 3774).

 

(conformi Tar Campania Sezione Salerno 26.5.2014 n. 1016; Tar Sicilia Catania sezione II 23.12.2013 n. 3168;  Tar Campania Napoli sezione V 1.3.2013 n. 1200; Tar  Campania Napoli sez. V 11 gennaio 2012 n. 86; Tar Campania Salerno n. 1395/2010; Tar Campania Napoli sezione V n. 2875/2009; C.G.A. Regione Siciliana n. 486/2009).

 

 

  • QUANTO AL CONTENUTO DELL’OBBLIGO DI PROVVEDERE

 

Alla luce di quanto premesso, si  puo’ dunque affermare che nei casi contemplati dall’art. 42 bis, primo e secondo comma  d.p.r. n. 327/2001, l’amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione <sine titulo> e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’. Trasferimento che puo’ dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell’amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi) della proprieta’.

 

Senonche’, l’affermazione secondo cui l’amministrazione abbia semplicemente l’obbligo “civilistico” di procedere alla restituzione dell’immobile in favore del proprietario, previa riduzione in pristino, non tiene conto della piu’ complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie e, in primo luogo, delle previsioni contenute nel medesimo art. 42 bis.

 

Se e’ vero, infatti, che l’amministrazione ha l’obbligo, in base al diritto civile, di procedere alla restituzione del bene e di risarcire il danno, e’ anche vero che la stessa, ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, dispone del potere, in base al diritto amministrativo, di procedere all’acquisizione del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico, previa valutazione degli interessi in conflitto.

 

In buona sostanza, nei casi come quello in esame, si pone per l’amministrazione un’alternativa fra l’adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio (disciplinato dal diritto civile) e l’esercizio di una potesta’ autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone (disciplinata  dalla norma in esame assicurata dal diritto amministrativo).

 

La scelta che l’amministrazione deve compiere non e’, pero’, libera, come accade invece nel caso – che appare analogo da un punto di vista meramente descrittivo e funzionale – delle obbligazioni alternative.

 

Come e’ ovvio, infatti, l’art. 42 bis primo comma d.p.r. n. 327/2001, nell’affermare che l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, “puo” disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, non attribuisce all’autorita’ una semplice facolta’ (il cui esercizio e’ per definizione libero), ma le conferisce una potesta’, cioe’ l’esercizio obbligatorio di un potere funzionalizzato alla cura dell’interesse pubblico.

 

Ne consegue che l’amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all’esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all’interesse pubblico rispetto alla soluzione alternativa consistente nella restituzione dell’immobile.

 

Se, quindi, la restituzione dell’immobile e la corresponsione di quanto dovuto a titolo risarcitorio secondo la disciplina civilistica puo’ intervenire solo qualora l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, abbia ritenuto che l’esercizio della potesta’ autoritativa di acquisizione dell’immobile ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non costituisca uno strumento di migliore soddisfazione dell’interesse pubblico nella sua doverosa composizione con gli ulteriori interessi concorrenti, cio’ significa che, nei casi di cui al citato art. 42 bis primo e secondo comma, il primo dovere che incombe sull’amministrazione non e’ quello <civilistico> relativo alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, ma quello <amministrativo> relativo alla valutazione degli interessi in conflitto (valutazione dalla quale dipende il concreto esercizio della potesta’ di acquisizione del bene, ovvero la concreta restituzione dell’immobile ai sensi della disciplina di diritto comune).

 

In altri termini, l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalita’, e’ chiamata a decidere in via preliminare se esercitare o non esercitare la potesta’ amministrativa di acquisizione che l’ordinamento le attribuisce e, solo nel caso in cui tale decisione abbia avuto esito negativo, essa e’ tenuta, come qualsiasi soggetto di diritto comune, alla restituzione dell’immobile e al risarcimento del danno.

 

La valutazione degli interessi in conflitto di cui all’art. 42 bis  primo comma  d.p.r. n. 327/2001 e’, percio’, necessariamente prodromica rispetto alla concreta opzione fra acquisizione autoritativa e restituzione <civilistica> e deve essere obbligatoriamente compiuta dall’amministrazione in tutti i casi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dal primo e dal secondo comma della disposizione indicata.

 

A fronte di una situazione quale quella in esame, l’amministrazione e’, quindi, tenuta in primo luogo a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere amministrativo discrezionale che l’ordinamento le riconosce (esercizio che ben puo’ concretizzarsi nella decisione di non acquisire l’immobile in via autoritativa), e solo in seconda battuta, qualora cioe’ l’esito di tale valutazione discrezionale si traduca nella decisione di non acquisire il bene, essa dovra’ considerarsi effettivamente tenuta alla restituzione dell’immobile secondo gli ordinari canoni civilistici.

 

Nel caso in esame, quindi, risulta configurabile l’obbligo di provvedere che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato quale presupposto per l’esperimento dell’azione avverso il silenzio dell’amministrazione. Questa infatti,  ai sensi dell’art. 42 bis  primo comma  d.p.r. n. 327/2001, e’ effettivamente tenuta ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale che il proprietario ha  sollecitato con la relativa istanza  e che consiste nella scelta fra l’acquisizione autoritativa dell’immobile (secondo la disciplina di cui alla norma indicata), da una parte, e l’opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria (regolata dal diritto comune), dall’altra.

 

  • quanto all’oggetto della valutazione degli interessi in conflitto (acquisizione e non acquisizione)

 

Deve ulteriormente precisarsi, tuttavia, che l’alternativa provvedimentale che si pone per l’amministrazione allorquando essa proceda alla preliminare valutazione degli interessi in conflitto non e’ esattamente quella fra acquisizione autoritativa e concreta restituzione dell’immobile, ma piuttosto quella fra acquisizione e non acquisizione del bene.

 

Il procedimento che l’amministrazione e’ tenuta a concludere e la volonta’ provvedimentale che la stessa e’ tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non concerne invero l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione. Cio’ in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico (scaturente dal comportamento “iure privatorum” dell’amministrazione) il quale e’  una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale  (Tar Sicilia Catania sezione II 7.12.2012 n. 2874).

 

 

  • 42 BIS D.P.R. N. 327/2001: ANALISI DELLA FATTISPECIE

 

Cio’ premesso, un esatto ed esauriente inquadramento della fattispecie  rende necessario procedere ora all’esame della pluralita’ delle problematiche sottese alla fattispecie prevista e disciplinata dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.

 

  • QUANTO AL SUPERAMENTO DELLA FIGURA TRADIZIONALE DELL’ACCESSIONE INVERTITA

 

Gia’ da tempo, la giurisprudenza amministrativa e’ ormai pacifica nel ritenere superata ed espunta dall’ordinamento la figura tradizionalmente nota quale  accessione invertita.

 

“In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione Europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000 ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata, e cio’ indipendentemente dalle modalita’ – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno…  

 

La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato e’ in se’ un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione puo’ essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprieta’ in fatti o comportamenti materiali (C.d.S.  sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650; 27 gennaio 2012 n. 427)” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559).

(conformi in termini C.d.S. V 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. IV 26.3.2013 n. 1710; C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; C.d.S. IV 29.8.2012 n. 4650; C.d.S. IV 16.3.2012 n. 1514; C.d.S. IV 29.8.2011 n. 4833; C.d.S. IV 2.12.2011 n. 6375;  C.d.S. sezione IV 2.11.2011 n. 5844; C.d.S. IV 28.1.2011 n. 676;  C.d.S. 7.4.2010 n. 1983).

 

  • quanto alla giurisprudenza della Corte di Cassazione

Nell’esaminare le problematiche sottese  all’art. 42 bis e egli effetti riconducibili  alla norma, la  piu’ recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (conformandosi all’indirizzo gia’ seguito dal C.d.S.) ha affermato i seguenti principi.

 

“In conclusione, alla luce della costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all’Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni. In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell’occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell’illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. A tale ultimo riguardo, dissipando i dubbi espressi dall’ordinanza di rimessione, si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell’immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l’opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (cfr. e plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710); tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione (Cass. 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814).

 

La cessazione dell’illecito può aversi, infine, per effetto di un provvedimento di acquisizione reso dall’Amministrazione, ai sensi dell’art. 42 bis del t.u. di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, con l’avvertenza che per le occupazioni anteriori al 30 giugno 2003 l’applicabilità dell’acquisizione sanante richiede la soluzione positiva della questione, qui non rilevante, sopra indicata al punto n. 4 della motivazione.

 

Per quanto sinora detto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “l’illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente” (Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735).

 

“La disposizione in questione, pertanto, esclude che la proprieta’ possa essere perduta per effetto di una occupazione legittima seguita dalla realizzazione dell’opera pubblica ovvero per effetto di una occupazione illegittima seguita dalla richiesta di risarcimento del danno da parte del proprietario” (Cass. sezione I 10.4.2013 n. 8694).

 

“Peraltro per l’azione risarcitoria si e’ correttamente rilevato (Cass. 28 gennaio 2013 n. 1804) che nel nostro ordinamento non ha spazio il modo di acquisto della proprieta’ gia’ definito dalla giurisprudenza <occupazione appropriativa>, che si perfeziona per la trasformazione irreversibile delle aree occupate con la costruzione su di esse delle opere dichiarate di pubblica utilità. Tale atipica forma di acquisizione della proprieta’ privata in favore di terzi o di soggetti pubblici, va comunque oltre i limiti della Costituzione e delle norme sopranazionali e comunitarie, con la conseguenza che nelle fattispecie concrete, comunque con rispondenti alla presente causa, dovrebbe applicarsi il d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327       art. 42 bis aggiunto dal d.l. 6 luglio 2011 n. 98 art. 34 comma 1 convertito nella legge  15 luglio 2011 n. 111…” (Cass. sezione I 20.3.2013 n. 6883).

 

“E’ noto che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha censurato con vigore le forme di <espropriazione indiretta> elaborate nell’ordinamento italiano anche e soprattutto in sede giurisprudenziale (come l’accessione invertita) e le ha configurate come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto dell’uomo fondamentale, garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge  28 agosto 1997 n. 296, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell’intervenuta realizzazione di un’opera pubblica sul terreno interessato, e non potendo giammai l’acquisizione del diritto di proprieta’ conseguire a un illecito (v., tra le tante, le sentenze Carbonara & Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007)…

 

Una recente decisione di questa Corte (sezione II 14 gennaio 2013 n. 705) ha ritenuto non piu’ predicabile “il principio (da ultimo ribadito in Cass., Sez. 2, 16 gennaio 2007, n. 869, e in Cass., Sez. 1, 7 marzo 2008, n. 6195) secondo cui l’occupazione appropriativa per fini di pubblica utilita’ non seguita da espropriazione determina, comunque, l’acquisto della proprieta’, in capo alla P.A., dell’area occupata per effetto della realizzazione dell’opera pubblica … Cio’ e’ confermato dalla presenza, nel sistema del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita’ (d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327), di una norma, l’art. 42 bis, aggiunto dal  d.l. 6 luglio 2011 n. 98    art. 34 comma 1 convertito  con modificazioni dalla legge  15 luglio 2011 n. 111, il quale, anche con riguardo ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, disciplina le modalita’ attraverso le quali, a fronte di una utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, e’ possibile – con l’esercizio di un potere basato su una valutazione degli interessi in conflitto – pervenire ad una acquisizione, non retroattiva, della titolarita’ del bene al patrimonio indisponibile della P.A., sotto condizione sospensiva del pagamento, al soggetto che perde il diritto di proprieta’, di un importo a titolo di indennizzo…

 

In caso di occupazioni illegittime (ab origine o divenute tali successivamente) l’amministrazione puo’ legittimamente acquisire la proprieta’ altrui solo attivando il procedimento che si conclude con il provvedimento acquisitivo ex art. 42 bis che e’ sindacabile in sede giurisdizionale…Il trasferimento della proprieta’ privata in favore dell’amministrazione puo’ avvenire, oltre che a mezzo dello strumento negoziale…, soltanto mediante il procedimento espropriativo ordinario o quello <espropriativo semplificato> previsto dall’art. 42 bis in via eccezionale” (Cass. 28.1.2013 n. 1804).

 

(conformi in termini Cass. SS.UU. 13.1.2014 n. 442; Cass. I 13.3.2013 n. 6216; Cass. I 14.1.2013 n. 705)

 

 

  • QUANTO ALLA NATURA PERMANENTE DELL’ILLECITO E CONSEGUENTI IMPLICAZIONI AI FINI DELLA PRESCRIZIONE

 

Dai citati principi posti a premessa dell’indagine, la giurisprudenza  univoca ha tratto una prima conclusione che  ha ravvisato la natura permanente nell’illecito (occupazione “sine titulo”) sotteso alla previsione di cui all’art. 42 bis (illecito comprensivo sia della figura della occupazione appropriativa sia di quella usurpativa). Il che ha consentito di affermare, quale conseguenza logica coerente,  che – poiche’ la condotta permanente si rinnova di momento in momento –   non sono soggetti a prescrizione i diritti repersecutori e risarcitori del proprietario del bene occupato “sine titulo” (cfr. Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735 gia’ citata) (conforme Cass. 27.4.2015 n. 8466).

 

“E’ appena il caso di segnalare che  per il superamento  della ricostruzione dogmatica della prescrizione nell’illecito dell’occupazione <sine titulo> “…e’ risultata determinante la netta presa di posizione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nel censurare con estremo vigore le forme di “espropriazione indiretta” elaborate nell’ordinamento italiano anche – e soprattutto – in sede giurisprudenziale (ivi per prima l’anzidetta teoria dell’“accessione invertita”), configura le occupazioni <sine titulo> come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto dell’uomo fondamentale e imprescrittibile, garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con legge 28 agosto 1997 n. 296, senza che alcuna rilevanza possa assumere in contrario il dato fattuale dell’intervenuta realizzazione di un’opera pubblica sul terreno interessato, e non potendo giammai l’acquisizione del diritto di proprieta’ conseguire a un illecito (cfr. sul punto, ad es., le ben note sentenze 15 e 29 luglio 2004, Scordino c. Italia, nonche’ 30 maggio 2000, Carbonara & Ventura c. Italia)…” (C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808).

 

Trattandosi dunque di un illecito permanente, esso  non e’ soggetto a prescrizione  (C.d.S. n. 4808/2012 citata).

 

“Come piu’ volte chiarito da questa sezione, l’occupazione di un immobile da parte della p.a., in difetto di un provvedimento o altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprieta’, costituisce illecito permanente, cui non e’ possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell’illecito (cfr. C.d.S.  sezione IV 31 maggio 2011  n. 3294, 21 aprile 2009 n. 2420, 21 maggio 2007 n. 2582)” (C.d.S. sezione IV 16.5.2013 n. 2679). Del resto, una volta esclusa ovviamente ogni possibilita’ di evocare la figura dell’accessione invertita (per quanto gia’ prospettato al precedente punto), la protrazione oltre i termini previsti dal procedimento e la <permanenza> dell’occupazione <sine titulo> in difetto di decreto di esproprio impediscono la decorrenza del diritto al risarcimento dei danni” (C.d.S. n. 2679/2013 citata).

(C.d.S. sezione IV 2.8.2011 n. 4590; Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216; C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S.  sez. IV 28 gennaio 2011 n. 676; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia  Palermo sezione II 19.4.2013 n.  848).

E’ inoltre doveroso aggiungere  che la natura permanente dell’occupazione sia stata riconosciuta a prescindere se trattasi di occupazione appropriativa ovvero usurpativa, posto che la tradizionale distinzione ha perso ogni significato e rilevanza (cfr. Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735 gia’ citata).

 

“…la distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa (quella realizzata in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilita’)…ha perso di significato sia con riferimento alla giurisdizione (nel senso che residuano al giudice ordinario le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilita’ dell’opera) che alla decorrenza del termine di prescrizione trattandosi nei due casi di un illecito permanente come affermato dalla piu’ recente giurisprudenza amministrativa (aderendo alle argomentazioni svolte in piu’ occasioni dalla Corte Europea dei diritti umani e, di recente, C.d.S.  sez. IV 27 giugno 2007 n. 3752, 16 novembre 2007 n. 5830 e 30 novembre 2007 n. 6124)” (C.d.S. sezione IV 2.11.2011 n. 5844)

 

(conformi C.d.S. sezione V 10.5.2013 n. 2559; C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; Tar Calabria Reggio Calabria 19.12.2012 n. 732; Tar Piemonte sezione I 30.8.2012 n. 985).

 

  • QUANTO AGLI OBBLIGHI GRAVANTI SULL’AMMINISTRAZIONE ED I RIMEDI ESPERIBILI

La configurazione  della fattispecie dell’occupazione illecita “sine titulo” nei termini appena prospettati consente di individuare piu’ facilmente quali siano gli obblighi gravanti sull’amministrazione responsabile dell’occupazione e quali siano i rimedi astrattamente esperibili. Anticipando le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza, e’ stato chiarito che, fermo restando l’obbligo primario di attivarsi per far cessare la permanenza e la protrazione “sine die” dell’occupazione illecita adeguando la situazione di fatto alla situazione di diritto, l’amministrazione ha a disposizione tre rimedi  individuati:

 

  1. nella restituzione al proprietario del bene occupato, previo ripristino dell’iniziale stato dei luoghi anche con la demolizione dell’opera pubblica realizzata e con il conseguente pagamento (nella misura prevista dall’art. 42 bis) del risarcimento dei danni per il godimento e mancato possesso del ben per il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione illecita “sine titulo” e la data della restituzione;

 

  1. nell’accordo con il proprietario per la sottoscrizione del contratto di cessione bonaria del bene;

 

  1. nella emissione del decreto di esproprio o secondo il procedimento ordinario (previa rinnovazione del procedimento, se necessario) o secondo il procedimento semplificato previsto dall’art. 42 bis (cosiddetta acquisizione sanante).

 

Anche su tale punto la giurisprudenza si e’ mostrata univoca affermando i seguenti principi.

 

“Anche nell’attuale quadro normativo, l’amministrazione ha dunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione <sine titulo> e cioe’ deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto… E nella specie l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto puo’ avere luogo – come sopra rilevato – o con la riduzione in pristino del terreno e la sua restituzione in favore dei proprietari (con la spettanza in tal caso anche del risarcimento del danno derivante dal ritardo della consegna) o con la emanazione del provvedimento di acquisizione (con la spettanza in tal caso dell’indennizzo di cui all’art. 42 bis)”  (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559) (conforme C.d.S. sezione IV 26.3.2013 n. 1710).

 

“Del resto, …il venir meno della disciplina a suo tempo contenuta nell’anzidetto art. 43 del t.u. 327 del 2001 non elimina il dovere per l’amministrazione occupante <sine titulo> un immobile destinato alla realizzazione di un’opera pubblica di addivenire ad un accordo transattivo con il proprietario che determini il definitivo trasferimento della proprieta’ dell’immobile, provvedendo anche al risarcimento del danno da occupazione illegittima (così C.d.S.  sez. IV 28 gennaio 2011 n. 676). Ora, quindi, il legislatore ha apprestato in tal senso un apposito strumento per consentire la cessazione dell’illecito permanente alle amministrazioni che (…) si trovano in tale condizione: cessazione di cui va ribadita la doverosita’, essendo ben evidente, anche a fronte della dianzi dimostrata impossibilita’ di invocare la prescrizione dell’obbligazione nei riguardi del titolare dell’immobile occupato <sine titulo>, la circostanza che il trascorrere del tempo incrementa <ex se> l’ammontare del debito, con conseguente responsabilita’ erariale per gli amministratori e i funzionari che non provvedono ad estinguerlo” (C.d.S. sezione IV 19.9.2012 n. 4808).

 

“Finche’ perdura l’occupazione <sine titulo> anche di natura usurpativa,  l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o attraverso la  restituzione del suolo  ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001)” (C.d.S. 2.8.2011 n. 4590)

 

(conformi ex multis Tar Campania Salerno sezione II 17.4.2013 n. 987; Tar Lazio Latina 22.4.2013 n. 343; Tar Calabria Catanzaro sezione I 21.3.2013 n. 295; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485).

 

 

  • QUANTO AL SOGGETTO DESTINATARIO DELL’ART. 42 BIS

 

Ai fini della corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, si impone altresi’ la necessita’ di verificare il soggetto destinatario al quale la norma affida l’esercizio  del potere ivi descritto. L’esito della verifica comportera’ in via conseguenziale  anche la esatta delimitazione del perimetro e delle modalita’ di esercizio del potere stesso.

Ebbene, la giurisprudenza ha immediatamente chiarito che la norma si rivolge esclusivamente all’amministrazione che occupi “sine titulo” il bene privato, e non invece al giudice. E’ dunque  “l’autorita’ che utilizza il bene per scopi di pubblico interesse” il solo soggetto deputato a valutare se l’interesse pubblico possa essere meglio perseguito mediante la demolizione dell’opera realizzata e la restituzione del terreno occupato “sine titulo” (previo pagamento del risarcimento del danno per il periodo di mancato godimento del bene) ovvero la acquisizione sanante del bene illecitamente occupato.

 

“…la competenza sulla gestione della vicenda, con l’alternativa tra l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001  e la materiale demolizione delle opere al fine restitutorio, e’ riservata all’autorita’ che occupa sine titulo il bene” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559)

 

(conformi Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Sicilia Palermo sezione III 9.4.2013 n. 796; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Calabria Catanzaro sezione I 22.2.2013 n. 206; Tar Sicilia Palermo sezione III 13.2.2013 n. 334; Tar Sicilia Palermo sezione III 21.1.2013 n. 152; Tar Veneto sezione II 21.1.2013 n. 51; Tar Puglia Lecce sezione I 12.7.2012 n. 1242).

 

 

“L’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, che offre il rimedio della acquisizione sanante, rappresenta una  “…disposizione che individua una sfera di discrezionalita’ intangibile dalla giurisdizione amministrativa, nel senso che l’emanazione del provvedimento rimane affidata all’iniziativa e alla responsabilita’ dell’amministrazione…”

(C.d.S. sezione IV 16.5.2013 n. 2679) (C.d.S. sezione IV 9.1.2013 n. 76; C.d.S. sezione IV 8.5.2013 n. 2481; Tar Sicilia Palermo sezione III 23.5.2013 n. 1155; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220).

 

Ma cio’ non preclude affatto al giudice di valutare  la pretesa del privato, che chiede la reintegrazione dei suoi diritti lesi da un’illecita occupazione. Valutazione che il giudice puo’ e deve effettuare  alla luce della complessiva situazione in atto e dei comportamenti procedimentali e processuali delle parti in conflitto,  al fine di verificare – sotto i profili della logica, dell’imparzialita’ e del buon andamento – la sussistenza dei presupposti fattuali che potrebbero eventualmente giustificare il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione.

 

Pertanto, se l’amministrazione resta libera di adottare, o meno, il provvedimento di acquisizione, al giudice (se richiesto) resta sempre aperta la possibilita’ di procedere ad ordinare la restituzione e la rimessa in pristino (C.d.S.  sezione VI n. 6351 del 1.12.2011).

 

 

  • QUANTO ALLA CONDANNA FORMULABILE IN RELAZIONE ALLA DOMANDA RISARCITORIA

 

Sulla scorta di quanto finora prospettato, la giurisprudenza  ha tracciato i principi generali in materia.  In particolare,  dopo aver premesso:

  • che la figura tradizionalmente nota quale “occupazione appropriativa” e’ stata definitivamente espunta dall’ordinamento;
  • che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato e’ in se’ un mero fatto illecito, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprieta’ in capo all’amministrazione occupante;
  • che l’occupazione illecita si risolve in un illecito permanente in relazione al quale i diritti reipersecutori e risarcitori  del proprietario non sono soggetti a prescrizione;
  • che per l’effetto il privato colpito dall’occupazione “sine titulo” continua ad essere titolare del diritto di proprieta’ del bene illecitamente occupato;
  • che infatti non sono configurabili atti estintivi (rinunziativi o abdicativi) della proprieta’, in particolare nella proposizione della domanda di risarcimento dei danni per la (non verificatasi) perdita della proprieta’ del terreno occupato illecitamente;
  • che solo un formale atto di acquisizione (cessione bonaria, decreto di esproprio ordinario o decreto di esproprio semplificato ex art. 42 bis) e’ idoneo a produrre il trasferimento della proprieta’ in capo all’amministrazione;
  • che l’art. 42 bis e’ rivolto non al giudice, ma all’amministrazione che utilizza senza titolo il bene, alla quale e’ riservata in via esclusiva la valutazione comparativa dei contrapposti interessi (pubblico e privato) in conflitto che si risolve nella scelta definitiva tra la  restituzione  al proprietario del bene occupato ovvero la acquisizione sanante non retroattiva dello stesso, corrispondendo al proprietrario le somme indennitario e risarcitorie previste dall’art. 42 bis;

 

la giurisprudenza ha tratto  coerentemente la conclusione che, in mancanza della perdita della proprieta’, il privato non puo’ fondatamente chiedere che il giudice condanni direttamente  l’amministrazione al  relativo risarcimento dei danni, proprio per la evidente considerazione che non si e’ ancora verificato l’evento produttivo del danno intempestivamente  ed erroneamente lamentato.

 

In tal caso,  il giudice non puo’ nemmeno condannare direttamente l’amministrazione  ad adottare il decreto di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis, atteso che cosi’ facendo  egli si sostituirebbe illegittimamente all’amministrazione  nella valutazione dei contrapposti interessi in conflitto, invadendo la relativa sfera di competenza intangibile ed avocando a se’ l’esercizio di una discrezionalita’ che invece la legge ha inteso riservare in via esclusiva  alla sola amministrazione. In tal caso, invece, il giudice  – avvalendosi delle larghe maglie della trama della condanna atipica prevista dall’art. 34 c.p.a. – deve  limitarsi a  formulare  una condanna generica  per effetto della quale l’amministrazione e’ tenuta ad esercitare l’opzione tra restituzione ed acquisizione sanante. In questo secondo caso,  l’amministrazione ha a disposizione tre strumenti ravvisati nell’accordo bonario con il proprietario, nel decreto ordinario di esproprio (all’occorrenza, previo rinnovamento degli atti del relativo procedimento) e nel decreto semplificato di acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis.

 

In nessun caso, neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica e nonostante l’espressa domanda in tal senso, il giudice potrebbe  giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’amministrazione, poiche’ una tale pronuncia postula l’avvenuto trasferimento della proprieta’ del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della p.a. che se ne e’ illecitamente impossessata: esito, questo (a prescindere se la ricostruzione  in diritto sia fatta in termini di  rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero di accessione invertita) escluso categoricamente  dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

Di qui  la necessita’ di un passaggio intermedio, finalizzato all’acquisto della proprieta’ del bene da parte dell’ente espropriante (C.d.S. sezione  IV 16.11.2007 n. 5830; T.A.R. Campania Salerno sezione  II 14.1.2011 n. 43; T.A.R. Campania Napoli sezione V 5.6.2009 n. 3124).

 

Tale passaggio, allo stato della legislazione vigente, e’ costituito senz’altro dall’art. 42 bis d.p.r.  8 giugno 2001 n. 327.

 

Ed allora, affinche’ possa essere soddisfatto l’interesse primario della parte lesa, volto al risarcimento del danno da perdita del bene, il giudice puo’/deve impore all’amministrazione di rinnovare   la valutazione di attualita’ e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo occupato  adottando, all’esito di essa, un provvedimento col quale gli stessi siano alternativamente acquisiti non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale ovvero restituiti al legittimo proprietario, previo ripristino dello stato di fatto esistente al momento dell’apprensione (Tar  Campania Salerno sezione II 8.3.2013 n. 584)

 

In sostanza, il giudice deve limitarsi a condannare l’amministrazione inerte a pronunciarsi espressamente  sulla istanza proposta dal privato, lasciando alla stessa amministrazione ogni piu’ ampia valutazione in ordine alla attualita’ e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione del fondo occupato ovvero alla restituzione dello stesso al proprietario

(C.d.S.  Ad. Plen. n. 15/2011; Tar Sicilia Palermo sezione III 27.2.2013 n. 434; Tar Sicilia Catania sezione II 4.6.2013 n. 1684; Tar Campania Napoli sezione V 16.4.2013 n. 1685; Tar Abruzzo 21.2.2013 n. 276; Tar Sicilia Catania sezione Ii 1.2.2013 n. 385; Tar Campania Salerno sezione II 11.1.2013 n. 58; Tar Lombardia Milano sezione IV 4.12.2012 n. 2910; Tar Calabria Catanzaro sezione II 3.8.2012 n. 857; Tar Sicilia  Catania sezione II 3.5.2013 n. 1310; Tar Sicilia Palermo sezione III 24.5.2013 n. 1160; Tar Sicilia Catania sezione II 21.5.2013 n. 1465; Tar Lombardia Milano sezione III 29.4.2013 n. 1105; Tar Sicilia  Palermo sezione II 19.4.2013 n.  848; Tar Sicilia Catania sezione II 26.4.2013 n. 1220; Tar Sicilia Catania sezione III 26.4.2013 n. 1199; Tar Sicilia Palermo sezione III 25.3.2013 n. 676; Tar Campania Napoli sezione V 1.3.2013 n. 1192; Tar Sicilia Palermo sezione II 1.3.2013 n. 485; Tar Sicilia Catania sezione II 17.1.2013 n. 106; Tar Sicilia Catania sezione II 1.3.2013 n. 645).

 

 

  • QUANTO ALL’APPLICABILITA’ DELL’ART. 42 AI “FATTI ANTERIORI”

 

Appare addirittura superfluo precisare che l’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (stante la chiara formulazione del comma 8 della stessa norma) sia  applicabile anche a “fatti anteriori” intervenuti prima della entrata in vigore della norma stessa.

Sul punto la giurisprudenza del tutto pacifica.

L’art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l’amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni  “trovano altresi’ applicazione ai fatti anteriori…” (C.d.S. sezione VI 10.5.2013 n. 2559)

(conformi ex multis Cass. SS.UU. 19.1.2015 n. 735 gia’ citata; C.d.S. sezione IV 24.4.2013 n. 2279; C.d.S. sezione IV 19.3.2013 n. 1603;  C.d.S. sezione IV 24.1.2013 n. 429; C.d.S. sezione IV 11.9.2012 n. 4808;; C.d.S. 2.11.2011 n. 5844; C.d.S. sezione IV 2.12.2011 n. 6375; Cass. sezione I 10.4.2013 n. 8694; Cass. sezione I 13.3.2013 n. 6216).

 

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Sulla scorta dei motivi prospettati,  i ricorrenti in premessa

C H I E D O N O

  • che sia accertato e dichiarato l’illegittimita’ del silenzio formatosi sulla istanza del 10.6.2015  ricevuta all’istituto in data 1.7.2015 con la quale i ricorrenti chiedevano all’IRSAP di procedere all’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001 ed alla conseguente regolamentazione economica, delle aree di proprieta’ degli stessi gia’ occupate senza titolo per la realizzazione  delle opere di viabilta’ nella zona industriale di OMISSIS;

 

  • che sia disposto l’annullamento del silenzio formatosi sulla citata istanza;

 

  • che sia accertato e dichiarato l’obbligo  dell’IRSAP (Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attivita’ Produttive) in persona del legale rappresentante p.t. di pronunciarsi sul silenzio  formatosi sulla istanza medesima;

 

  • che l’IRSAP in persona del legale rappresentante p.t.  sia condannata a pronunciarsi, entro un termine breve prefissato, sulla istanza  indicata;

 

  • che, in caso di perdurante inottemperanza, sia disposta sin d’ora in questa sede  la nomina del commissario ad acta affinche’ si pronunci e provveda sulla menzionata istanza;

 

  • che per l’effetto l’IRSAP in persona del legale rappresentante p.t.:

 

  1. sia condannato a valutare e decidere, entro un primo termine, se intenda procedere  ex art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 alla acquisizione sanante  al patrimonio indisponibile dei terreni  di cui trattasi tuttora illecitamente occupati;

 

  1. qualora fosse esercitata la preferenza per l’acquisizione al patrimonio indisponibile dell’ente, sia sin d’ora condannata o a raggiungere e concludere, entro un secondo termine prefissato,  un accordo bonario con i comproprietari ovvero (in caso di mancato accordo) ad emettere, entro un ulteriore terzo termine, il decreto sanante ex art. 42 bis d.p.r.n. 327/2001, sempre comunque nel rispetto dei parametri metrici previsti dalla norma;

 

  • che, in caso di inottemperanza dell’amministrazione, sia parimenti disposta sin d’ora in questa sede la nomina del commissario ad acta affinche’  proceda nei termini indicati;

 

  • vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

 

Ai fini dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002, si dichiara che ammonta ad euro 300,00 il c.u. dovuto per il presente giudizio  in materia di silenzio [art. 13 comma 6 bis lett. a) d.p.r. n. 115/2002 ed art. 117 d.lgs. n. 104/2010].

 

OMISSIS

A.N.P.T.ES.
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