QUARTA SEZIONE
CASO DI CREDITO EUROPEO LEASING IFN S.A. contro ROMANIA
(Applicazione n. 38072/11)
GIUDICE
(Meriti)
Art. 1 P1 - Godimento pacifico del possesso - Sequestro nell'ambito di un procedimento penale a carico di terzi - Durata (superiore a otto anni) - Notevole valore dei beni - Mancata possibilità di impugnare efficacemente il sequestro in un procedimento di cui la società richiedente non era parte - Onere eccessivo
STRASBURGO
21 luglio 2020
Questa sentenza diverrà definitiva nelle circostanze previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può essere soggetta a revisione editoriale.
Nel caso di Credit Europe Leasing Ifn S.A. contro la Romania,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (Quarta Sezione), che si riunisce come Sezione composta da:
Yonko Grozev, Presidente,
Iulia Antoanella Motoc,
Branko Lubarda,
Carlo Ranzoni,
Georges Ravarani,
Jolien Schukking,
Péter Paczolay, giudici,
e Hasan Bak?rc?, vice cancelliere di sezione,
Considerando:
la domanda contro la Romania presentata alla Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione") da una società commerciale rumena, Credit Europe Leasing Ifn S.A. ("la società richiedente"), il 17 giugno 2011;
la decisione di notificare al Governo rumeno ("il Governo") le denunce relative agli articoli 6 § 1, 7 e 13 della Convenzione e all'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione e di dichiarare irricevibile il resto del ricorso;
le osservazioni delle parti;
dopo aver deliberato in privato il 23 giugno 2020,
Emette la seguente sentenza, che è stata adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. La società ricorrente lamentava che il suo diritto di accesso al tribunale era stato violato e che il sequestro eccessivamente lungo dei suoi beni aveva costituito una sanzione e una violazione del suo diritto al pacifico godimento dei beni in assenza di un effettivo ricorso interno.
I FATTI
2. La società ricorrente ha sede a Bucarest ed era rappresentata dal sig. A. Mor?rescu, un avvocato che esercitava a Bucarest. Con lettera del 23 luglio 2019, egli ha notificato al Tribunale che la società richiedente aveva cambiato la propria ragione sociale in Credit Europe Asset Management S.A. Il 21 agosto 2019 il Tribunale ha comunicato alle parti che avrebbe continuato a trattare la domanda sotto il nome di Credit Europe Leasing Ifn S.A. contro la Romania.
3. Il Governo era rappresentato dal suo agente, da ultimo la signora S.-M. Teodoroiu, del Ministero degli Affari Esteri.
4. I fatti del caso, così come presentati dalle parti, possono essere riassunti come segue.
CONTRATTI DI LOCAZIONE CONCLUSI DALLA SOCIETÀ RICHIEDENTE
Il camion
5. Il 6 luglio 2005 è stato stipulato un contratto di locazione finanziaria tra la società richiedente, in qualità di finanziatore, e la società S.C., in qualità di utente, rappresentata dal suo amministratore, il sig. H.A. In base a tale contratto, un camion acquistato dalla società richiedente è stato affittato alla S.C. in cambio di un canone mensile e dell'impegno da parte della S.C. ad acquistarlo alla fine del contratto.
6. Il 13 settembre 2006 il camion è stato venduto da S.C. alla società statale di distribuzione della stampa R.
I chioschi
7. In data 8 settembre 2006 è stato stipulato un contratto di locazione finanziaria tra la società richiedente in qualità di finanziatore e S.C. in qualità di utente, rappresentata dal sig. H.A. In base a tale contratto, 213 chioschi metallici di proprietà della società richiedente sono stati affittati a S.C. per ottantaquattro mesi in cambio di un affitto mensile e dell'impegno da parte di S.C. ad acquistare i chioschi alla fine di tale periodo. Il valore dei chioschi è stato fissato a 856.250 euro (EUR) al netto delle imposte.
8. Il 27 ottobre 2006, il 15 febbraio e il 23 aprile 2008 sono stati conclusi tra le stesse parti altri tre contratti simili per lo stesso periodo, rispettivamente per 500 chioschi metallici (per un valore di 2.500.000 euro tasse escluse), 100 chioschi metallici (per un valore di 600.000 euro tasse escluse) e venti chioschi metallici (per un valore di 122.000 euro tasse escluse).
9. Questi contratti di locazione finanziaria prevedevano che la società richiedente pagasse il prezzo dei chioschi al fornitore, la società T., e ne cedesse l'uso all'utente (società S.C.) per l'intero periodo in cui quest'ultimo rispettava l'obbligo di pagare l'affitto. I contratti prevedevano inoltre che, alla fine del periodo di locazione, e solo se l'utente avesse adempiuto a tutti gli obblighi contrattuali, la società richiedente avrebbe trasferito ad essa la proprietà dei beni.
I furgoni
10. In data 22 ottobre 2007 è stato stipulato un contratto di locazione finanziaria tra la società richiedente in qualità di finanziatore e S.C. in qualità di utente, rappresentata dal sig. H.A. In base a tale contratto, sei furgoni di proprietà della società richiedente sono stati affittati a S.C. per sessanta mesi in cambio di un canone mensile e dell'impegno da parte di S.C. ad acquistare i furgoni al termine di tale periodo.
RISOLUZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE
11. Il 9 novembre 2009, a causa del mancato adempimento da parte di S.C. dei propri obblighi, la società ricorrente ha comunicato che i suddetti contratti erano stati risolti e che il camion, i chioschi e i furgoni dovevano essere restituiti.
12. Nel novembre e dicembre 2009 S.C. ha venduto una serie di chioschi, compresi i chioschi oggetto dei suddetti contratti di locazione, alla società E. Alcuni di questi chioschi sono stati poi venduti da E. ad un'altra società.
13. Tra agosto e ottobre 2010 quarantanove dei suddetti chioschi sono stati venduti dalla società richiedente anche ad altre società commerciali.
INDAGINI PENALI E SEQUESTRO DEI BENI DELLA SOCIETÀ RICHIEDENTE
14. Il 17 giugno 2010 un'indagine penale in corso - avviata dalla Direzione Investigazione Criminalità Organizzata e Terrorismo (di seguito, "DIICOT") della Procura della Repubblica presso l'Alta Corte di Cassazione e di Giustizia e che coinvolge numerose persone fisiche e società commerciali - è stata estesa al sig. H.A., amministratore di S.C. (cfr. i precedenti paragrafi 5, 7 e 10). Egli è stato accusato di frode e riciclaggio di denaro nel contesto della privatizzazione della società statale di distribuzione della stampa R. (cfr. paragrafo 6). Secondo i pubblici ministeri, tra il gennaio 2004 e il dicembre 2009 i sospetti avevano formato un gruppo criminale organizzato e causato milioni di euro di perdite al bilancio della società statale. Nel luglio 2010 l'indagine è stata estesa all'evasione fiscale.
15. Secondo una decisione emessa dal DIICOT il 22 giugno 2010, diverse società commerciali, tra cui T. (cfr. paragrafo 9) e altre società in cui il sig. H.A. era socio o amministratore, sono state incluse nel procedimento in qualità di parti responsabili ai sensi del diritto civile per i danni causati dai reati oggetto di indagine. Con la stessa decisione, il Pubblico Ministero ha rilevato che i proventi dei reati oggetto di indagine non erano ancora stati recuperati e ha disposto il sequestro di tutti i beni mobili e immobili di proprietà di tali società e del sig. H.A., ai sensi dell'art. 25 della Legge n. 656/2002 sulla prevenzione e sanzione del riciclaggio, dell'art. 13 della Legge n. 39/2003 sulla lotta alla criminalità organizzata e dell'art. 163 dell'ex Codice di Procedura Penale (di seguito "il vecchio PCC" - cfr., rispettivamente, i successivi paragrafi 37, 38 e 33). Nell'esecuzione di tale decisione, il 24 e 25 giugno 2010 sono stati sequestrati, in data 24 e 25 giugno 2010, alcuni furgoni e altri veicoli utilizzati per la distribuzione della carta stampata in locali appartenenti ad una delle società commerciali elencate nella decisione. Il verbale redatto in tale occasione dalla polizia menzionava, tra gli oggetti sequestrati, i sei furgoni appartenenti alla società richiedente (cfr. paragrafo 10).
16. Il 29 ottobre 2010 il DIICOT ha disposto il sequestro di tutti i chioschi in possesso di N. (ex società R., si vedano i precedenti paragrafi 6 e 14), società di cui il sig. H.A. e altri imputati avevano azioni. Il provvedimento, basato sull'articolo 163 del vecchio PCC in combinato disposto con gli articoli 241, 25, comma 1 e 25, comma 6, della legge n. 656/2002 (cfr. rispettivamente i successivi paragrafi 33 e 37), è stato adottato al fine di ottenere una successiva confisca speciale giustificata dalla necessità di recuperare i proventi di reato e di garantire il pagamento dell'ammenda applicata.
17. In data 1° novembre 2010, nell'esecuzione della suddetta decisione, sono stati sequestrati circa 1.483 chioschi in locali di proprietà di N. AcSecondo un rapporto redatto in quell'occasione dalla polizia alla presenza dell'amministratore e di un dipendente rappresentante di N., il valore dei beni sequestrati era di 2.859.000 euro. L'amministratore di N. è stato nominato custode dei beni sequestrati. Egli è stato avvertito che i beni sequestrati non potevano essere alterati, distrutti o destinati ad altri scopi, come previsto dall'art. 244 del Codice Penale. I rappresentanti di N. hanno firmato il verbale senza obiezioni.
RECLAMI DELLA SOCIETÀ RICHIEDENTE CONTRO IL SEQUESTRO
18. Il 23 novembre 2010 la società ricorrente ha presentato un reclamo al pubblico ministero gerarchicamente superiore contro la decisione del DIICOT del 29 ottobre 2010 (cfr. paragrafo 16). Essa ha spiegato che alcuni dei chioschi sequestrati da tale decisione erano di sua proprietà e ha presentato come prova copie dei contratti di acquisto e dei contratti di locazione finanziaria. Ha sostenuto che il sequestro era stato illegittimo in quanto non era parte dell'indagine penale e ha chiesto la revoca del provvedimento per quanto riguarda i chioschi di sua proprietà.
19. Il 14 dicembre 2010 il procuratore capo del DIICOT ha respinto la denuncia in quanto infondata, ritenendo che il quadro giuridico che disciplina i reati oggetto dell'indagine e le misure preventive applicate consentisse il sequestro dei beni da parte di terzi ai fini di una successiva confisca speciale. E' stato inoltre rilevato che il sequestro di beni appartenenti a terzi è stato innescato dalla natura del reato di riciclaggio. Nelle specifiche circostanze del caso, la Procura ha spiegato che il provvedimento era giustificato per diversi motivi: i proventi del reato non erano stati recuperati, gli imputati erano soci di N. e vi era il rischio che i beni ad essa appartenenti fossero alienati, inoltre, l'imputato aveva messo in atto un circuito fittizio di denaro e beni, in particolare i chioschi in questione, secondo il quale N. era diventato il beneficiario finale dei contratti di locazione in quanto entrambe le società - N. e S.C. - erano controllate dallo stesso imputato.
20. Il 17 febbraio 2011 la denuncia presentata dalla società ricorrente al Tribunale della Contea di Bucarest contro la decisione del DIICOT del 29 ottobre 2010 (cfr. paragrafo 16) è stata respinta in quanto inammissibile. Il tribunale ha ritenuto che l'articolo 168 del vecchio PCC, come interpretato dalla decisione n. 71/2007 dell'Alta Corte di Cassazione e di Giustizia (si vedano i successivi paragrafi 33 e 34), prevedeva che qualsiasi reclamo ai sensi di tale disposizione dovesse essere deciso dal pubblico ministero se l'indagine penale era ancora pendente, e dal tribunale se il processo era iniziato nel caso. Il tribunale ha pertanto concluso che la presente denuncia era inammissibile in quanto si riferiva a un caso in cui l'indagine era ancora pendente e che non era stato portato dinanzi ai tribunali. La decisione era definitiva.
21. Il 24 febbraio 2011 la società richiedente ha presentato una petizione al DIICOT chiedendo, in qualità di proprietaria di 827 chioschi sequestrati, di essere nominata custode di tali chioschi.
22. Il 6 febbraio 2012 la società richiedente ha presentato un reclamo al DIICOT chiedendo la revoca del sequestro applicato ai suoi sei furgoni (si vedano i paragrafi 10 e 16 dell'ammenda di cui sopra).
23. Il 12 settembre 2012 la società ricorrente, rappresentata da un avvocato, ha presentato una nuova richiesta al DIICOT per l'annullamento della decisione di sequestro del 29 ottobre 2010 (cfr. paragrafo 16). Essa ha chiarito di essere proprietaria di 779 dei 1.483 chioschi sequestrati con la decisione impugnata. Essa ha sostenuto che il mantenimento del provvedimento violava il suo diritto di proprietà, come garantito dalla Costituzione e dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione. Ha inoltre sostenuto che il sequestro era stato illegittimo in quanto l'articolo 163 §§ 2 e 3 del vecchio CCP (cfr. paragrafo 33 infra) prevedeva il sequestro dei beni solo da parte dell'indagato o dell'imputato e nessuna delle situazioni elencate nell'articolo 118 del Codice penale (cfr. paragrafo 38 infra) era applicabile nel suo caso. A suo parere, il provvedimento era anche inutile, poiché lo scopo di questo tipo di misure era quello di impedire all'indagato, all'imputato o al responsabile di diritto civile di vendere i propri beni o di fallire. Tuttavia, la decisione di sequestro non faceva riferimento ad alcun fatto specifico che richiedesse l'adozione di un tale provvedimento in relazione a beni appartenenti a una terza parte del procedimento penale, come la stessa. Infine, la società ricorrente ha sostenuto che il sequestro dei suoi beni le aveva impedito di utilizzare i suoi beni e le aveva causato una perdita di 387.352 EUR al netto delle imposte, calcolata da un esperto finanziario.
24. Il 14 maggio 2015 la società ricorrente ha ribadito i suoi reclami in relazione al sequestro dei 779 chioschi, dei sei furgoni e di un camion, chiedendo la revoca della misura e il risarcimento delle perdite finora subite. Essa ha presentato una richiesta analoga il 19 gennaio 2016.
25. La società richiedente non ha ricevuto alcuna risposta alle suddette richieste.
LA REVOCA DEL SEQUESTRO
26. Il 16 marzo 2018, su richiesta della società N., in qualità diIn qualità di proprietario di tutti i beni sequestrati (cfr. paragrafo 16), il DIICOT ha deciso di revocare il sequestro per quanto riguarda 1.390 chioschi. Il pubblico ministero ha osservato che in precedenti procedimenti giudiziari tutti i contratti di vendita conclusi da S.C. relativi ai chioschi (cfr. paragrafo 12) erano stati annullati e i beni restituiti a N., pertanto le ragioni su cui si basava il provvedimento di sequestro non erano più valide. Tale decisione è stata comunicata a N.
27. Il 21 novembre 2018 la società ricorrente ha presentato una nuova domanda per la revoca del sequestro e la restituzione dei 779 chioschi, dei sei furgoni e di un camion. Essa ha inoltre chiesto il risarcimento dei danni subiti a causa del sequestro.
28. Tale richiesta è stata parzialmente accolta dal DIICOT con decisione adottata il 6 marzo 2019. La decisione affermava che il 16 marzo 2018 il sequestro era già stato revocato per quanto riguarda 1.390 chioschi, a seguito di una richiesta presentata dalla parte lesa, N. (cfr. paragrafo 26). Tuttavia, tale decisione non aveva identificato i chioschi interessati e quindi, ad oggi, vi erano ancora novantatré chioschi formalmente sequestrati. Pertanto, poiché i motivi della revoca della misura si applicavano a tutti i chioschi, si è deciso di revocare la misura per quanto riguarda i restanti novantatre chioschi e di respingere la richiesta della società richiedente di considerare i restanti chioschi come privi di oggetto. Per quanto riguarda i sei furgoni, osservando che la società richiedente aveva notificato a S.C. la risoluzione del contratto di locazione, il pubblico ministero ha ritenuto che essi fossero rimasti di proprietà della società richiedente e ha deciso di revocare il sequestro, ordinandone la restituzione alla società richiedente. Poiché vi erano prove che indicavano che l'autocarro era stato venduto (cfr. paragrafo 6) e poi subaffittato da S.C., il procuratore ha ritenuto che fossero necessarie ulteriori verifiche e ha deciso di esaminare la richiesta relativa all'autocarro separatamente in una decisione futura. Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento per le perdite subite dalla società richiedente, il procuratore ha deciso che tale richiesta non era di competenza dell'ufficio del procuratore.
29. Tale decisione è stata comunicata alla società richiedente e ricevuta presso il suo ufficio il 13 marzo 2019.
30. Il 4 aprile 2019 la società ricorrente ha contestato le decisioni del 16 marzo 2018 e del 6 marzo 2019 (cfr. paragrafi 26 e 28) dinanzi al procuratore capo del DIICOT. Essa ha sostenuto che la revoca del sequestro era stata una mera formalità in quanto i beni in questione non erano in suo possesso, non erano stati identificati e non le erano stati restituiti in presenza delle autorità. Ha inoltre chiesto che i novantatre chioschi e i sei furgoni fossero identificati, che il loro ammortamento dovuto all'uso fosse valutato dal pubblico ministero e che il possesso dei beni fosse ripristinato in presenza delle autorità. Ha inoltre contestato la decisione del procuratore per quanto riguarda il camion, che, a suo parere, si trovava nella stessa situazione dei chioschi e dei furgoni. Ha chiesto che il sequestro sia revocato, che il camion sia identificato e che il possesso del camion sia ripristinato sotto il controllo delle autorità. Inoltre, ha sostenuto che il pubblico ministero aveva erroneamente respinto la sua denuncia contro il sequestro dei 779 chioschi, poiché la decisione del 16 marzo 2018 aveva ordinato la revoca del sequestro a favore di N. e non era stata nemmeno comunicata alla società ricorrente. Quest'ultima ha anche contestato il rigetto della sua domanda di risarcimento. A tale riguardo, essa ha sostenuto che i beni sequestrati erano stati utilizzati a favore di N. e ha ritenuto che i benefici generati dal loro utilizzo dovessero esserle restituiti in quanto legittimi proprietari. In conclusione, la società ricorrente ha chiesto l'annullamento delle decisioni del 16 marzo 2018 e del 6 marzo 2019, la revoca del sequestro dei 779 chioschi, dei sei furgoni e di un camion, la loro identificazione e valutazione e il ripristino del possesso in presenza delle autorità.
31. Con decisione adottata il 3 maggio 2019, il procuratore capo del DIICOT ha respinto la denuncia della società richiedente in quanto infondata, mantenendo le argomentazioni della decisione del 6 marzo 2019 (cfr. paragrafo 28) e osservando che nessuno dei chioschi è stato attualmente sequestrato. Non è stata fatta menzione della richiesta della società richiedente di identificare, valutare e ripristinare il possesso dei beni sequestrati. Tale decisione è stata comunicata alla società richiedente il 10 maggio 2019.
32. Al momento delle ultime informazioni a disposizione della Corte (11 novembre 2019), l'indagine penale era ancora in corso presso il DIICOT.
QUADRO GIURIDICO E PRASSI PERTINENTE
DISPOSIZIONI PERTINENTI IN MATERIA DI SEQUESTRO
33. Le disposizioni in materia del vecchio PCC, in vigore tra il 30 aprile 1997 e il 31 gennaio 2014, si leggono come segue al momento in questione:
Articolo 163 - Misure preventive (M?surile asigur?torii)
"(1) Le misure preventive sono adottate durante il procedimento penale dal pubblico ministero o dal tribunale e consistono nel congelamento, mediante sequestro, di beni mobili e immobili al fine di ottenere una confisca speciale, di recuperare i danni causati da un reato, nonché di garantire il pagamento di una multa.
(2) Misure preventive volte al recupero dei danni [causati da un reato] possono essere adottate per i beni appartenenti all'indagato, all'imputato o al responsabile civile, fino al valore massimo del danno.
(3) Le misure preventive volte a garantire il pagamento di una multa possono essere adottate solo per i beni appartenenti all'indagato o all'imputato".
Art. 165 - Procedura di sequestro
"(1) L'organismo responsabile dell'esecuzione del sequestro identifica e valuta i beni sequestrati e può, se necessario, ricorrere a periti.
...
(7) I beni sequestrati sono conservati fino alla revoca del sequestro.
...
(9) In caso di rischio di alienazione, gli altri beni mobili sequestrati (diversi dal denaro, dai metalli preziosi o dagli oggetti deperibili) devono essere sigillati o portati via e può essere nominato un depositario".
Art. 168 - Reclami contro le misure preventive
"(1) L'indagato, l'imputato, la parte responsabile ai sensi del diritto civile e qualsiasi altra persona interessata può presentare una denuncia al pubblico ministero o al tribunale, in qualsiasi fase del procedimento penale".
34. Le disposizioni dell'articolo 168 del vecchio PCC sono state chiarite in un ricorso per motivi di diritto dall'Alta Corte di Cassazione e di Giustizia, che ha stabilito (con decisione n. 71/2007) che un sequestro può essere contestato davanti al pubblico ministero solo durante le indagini in corso, e davanti ai tribunali una volta che le indagini sono state concluse e il caso è stato mandato in giudizio.
35. Il 1° febbraio 2014 è entrato in vigore un nuovo Codice di procedura penale ("nuovo PCC"), contenente le seguenti nuove disposizioni in materia di misure preventive:
Art. 250 - Reclami contro le misure preventive
"(1) L'indagato, l'imputato e qualsiasi altra persona interessata può presentare una denuncia al tribunale competente a decidere nel merito contro la decisione del pubblico ministero di adottare una misura preventiva entro tre giorni dalla sua notifica o dalla data della sua esecuzione".
DISPOSIZIONI PERTINENTI IN MATERIA DI CONFISCA
36. Le disposizioni rilevanti della Legge n. 656/2002 sulla prevenzione e sanzione del riciclaggio, in vigore alla data di riferimento, sono le seguenti:
Articolo 241
"L'adozione di misure preventive è obbligatoria nei casi riguardanti il riciclaggio di denaro o il finanziamento del terrorismo".
Articolo 25
"(1) Nei casi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo si applicano le disposizioni in materia di confisca previste dall'articolo 118 del codice penale. ...
(6) Per garantire la confisca, è obbligatoria l'applicazione delle misure preventive previste dal codice di procedura penale".
37. L'art. 13 della Legge n. 39/2003 sulla lotta alla criminalità organizzata, in vigore al momento, ha previsto disposizioni analoghe a quelle della citata Legge n. 656/2002 per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 118 del Codice Penale alla confisca disposta per il reato di associazione per delinquere.
38. Il codice penale in vigore alla data di riferimento ha previsto quanto segue:
Art. 118 - Confisca speciale
"(1) Sono soggetti a speciale confisca:
(a) i beni prodotti attraverso la commissione di un reato;
(b) i beni che sono stati utilizzati, in qualsiasi modo, per la commissione di un reato, se appartengono all'autore del reato o ad un'altra persona che conosceva lo scopo del loro uso;
...
(e) i beni acquisiti con la commissione di un reato, se non sono restituiti alla persona offesa e se non sono utilizzati per risarcire la persona offesa;".
DISPOSIZIONI PERTINENTI IN MATERIA DI RISARCIMENTO
39. L'articolo 504 del vecchio PCC prevedeva il diritto al risarcimento per coloro che erano stati assolti dopo una condanna definitiva e per coloro che erano stati illegittimamente privati della libertà personale durante il procedimento penale. L'articolo 504 § 3 prevedeva che l'illegittima privazione della libertà personale dovesse essere stabilita con decisione del pubblico ministero o del tribunale. Il nuovo PCC, in vigore dopo il 1° febbraio 2014, contiene disposizioni analoghe negli articoli 538 e 539 sul diritto al risarcimento dei danni per errore giudiziario e detenzione illegale. In base a queste disposizioni, chi riceve una condanna definitiva ha il diritto di essere risarcito per qualsiasi danno subito se la condanna è stata annullata e se è stata pronunciata una decisione definitiva di assoluzione a causa di un fatto nuovo o scoperto di recente che dimostra che la condanna è il risultato di un errore giudiziario. Lo stesso diritto spetta a una persona detenuta illegalmente nel corso di un procedimento penale.
40. Gli artt. 998 e 999 dell'ex Codice Civile, in vigore fino al 30 settembre 2011, prevedevano che chiunque avesse subito un danno potesse chiedere il risarcimento intentando un'azione civile contro la persona che lo avesse causato intenzionalmente o per negligenza. Per l'ammissione dell'azione, l'interessato doveva provare in giudizio che l'imputato aveva commesso un atto illecito con responsabilità civile, che l'attore aveva subito un danno e che esisteva un nesso causale tra l'atto illecito e il danno subito. Analoghe disposizioni sono state inserite nell'art. 1349 del nuovo Codice Civile, in vigore dopo il 1° ottobre 2011.
PRASSI RILEVANTE DEI TRIBUNALI NAZIONALI
41. Il Governo ha presentato numerose sentenze adottate dai tribunali nazionali nei casi in cui terzi coinvolti nell'indagine penale hanno contestato il sequestro dei loro beni disposto dal pubblico ministero durante le indagini. Tutte queste sentenze sono state adottate nei casi in cui l'indagine penale era terminata e gli imputati erano stati rinviati a giudizio, o nei casi riguardanti misure ordinate dopo l'entrata in vigore del nuovo PCC.
42. In una sentenza del 21 settembre 2016 il tribunale nazionale ha esaminato nel merito e respinto come infondata una denuncia presentata da una terza parte dell'inchiesta contro il sequestro ordinato dal procuratore il 1° febbraio 2011, prima dell'entrata in vigore del nuovo PCC. Da questa sentenza risulta che l'indagine penale era terminata e che l'imputato era stato mandato in giudizio al momento della presentazione della denuncia.
43. Il Governo ha inoltre presentato una sentenza adottata dall'Alta Corte di Cassazione e di Giustizia il 30 gennaio 2014 relativa a una richiesta di risarcimento per i danni subiti a seguito di presunte detenzioni illegali, indagini abusive e diverse misure preventive o di altro tipo adottate durante le indagini contro l'attore. Il ricorrente in questo caso (un ex funzionario della dogana ed ex membro del Parlamento) era stato posto in custodia cautelare per diversi mesi durante l'indagine penale e poi condannato da un tribunale. Successivamente, la sua condanna è stata annullata, l'indagine penale è stata riaperta e le accuse contro di lui sono cadute. Nel complesso, il procedimento contro di lui è durato undici anni e si è concluso con la decisione del procuratore di chiudere l'indagine in quanto non aveva commesso alcun reato. Ai sensi degli articoli 504 e 505 dell'ex PCC relativi al diritto al risarcimento dei danni per l'illegittima condanna e la privazione della libertà personale (cfr. paragrafo 39) e delle disposizioni generali in materia di responsabilità civile di cui agli articoli 998 e 999 dell'ex Codice civile (cfr. paragrafo 40), il tribunale ha concesso all'attore il risarcimento dei danni non pecuniari. Il tribunale ha stabilito che l'attore è stato dapprima detenuto in custodia cautelare, ma che successivamente non è stato portato davanti a un tribunale e ha fatto cadere le accuse contro di lui. Questo è stato considerato dal tribunale come un errore giudiziario che ha dato diritto al risarcimento. Il tribunale ha concesso un risarcimento per una serie di misure adottate dal pubblico ministero durante le indagini e per la loro durata eccessiva. Tali misure comprendevano la detenzione preventiva e il sequestro dell'auto del querelante.
44. Il Governo ha inoltre fatto riferimento alla sentenza n. 20 del 19 gennaio 2016, con la quale la Corte Costituzionale ha ritenuto che le disposizioni del PCC relative alle misure preventive disposte dagli organi penali e, più specificamente, alla revoca delle misure preventive, dovessero essere integrate dalle disposizioni del Codice di Procedura Civile. La Corte costituzionale ha spiegato che l'articolo 957 § 1 del Codice di procedura civile prevedeva la possibilità di chiedere la revoca del sequestro qualora il debitore fornisse una garanzia reale o personale sufficiente. Di conseguenza, in materia penale, un indagato o un imputato i cui beni sono stati sequestrati poteva, durante il procedimento penale, chiedere la revoca del provvedimento se offriva una garanzia sufficiente, effettuava un deposito che coprisse l'intero valore del debito o pagava l'intero debito.
LA LEGGE
PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
45. La società ricorrente ha denunciato un'interferenza nei suoi diritti di proprietà in contrasto con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione, che recita come segue:
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al pacifico godimento dei suoi beni. Nessuno può essere privato dei suoi beni se non nell'interesse pubblico e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni che precedono non pregiudicano tuttavia in alcun modo il diritto di uno Stato di far rispettare le leggi che ritiene necessarie per controllare l'uso dei beni in conformità all'interesse generale o per garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni".
46. Basandosi sugli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, la società richiedente ha inoltre lamentato l'eccessiva durata di tale ingerenza e la mancanza di un rimedio efficace al riguardo.
47. Essendo il padrone della caratterizzazione da dare in diritto ai fatti del caso (si veda, ad esempio, Radomilja e altri contro la Croazia [GC], n. 37685/10, §§ 114 e 126, 20 marzo 2018) e tenendo conto dei requisiti procedurali inerenti all'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda la giurisprudenza citata al successivo paragrafo 78), la Corte ritiene opportuno esaminare le denunce sollevate ai sensi degli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione come parte della denuncia ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda, mutatis mutandis, Forminster Enterprises Limited c. Repubblica Ceca, n. 38238/04, § 59, 9 ottobre 2008).
Ammissibilità
Abuso del diritto di ricorso
a) Obiezione del governo
48. Il governo ha sottolineato che il 16 marzo 2018 e il 6 marzo 2019 le autorità hanno adottato due decisioni di revoca delle misure di sequestro oggetto del presente ricorso (cfr. paragrafi 26 e 28). A loro avviso, il fatto che la società richiedente non abbia informato il Tribunale delle suddette decisioni - che aveva ristabilito i suoi diritti di proprietà sui beni oggetto della controversia - costituisce un abuso del diritto di ricorso. Inoltre, anche dopo che il Governo aveva informato il 20 marzo 2019 la Corte delle suddette decisioni e che tale corrispondenza era stata inoltrata alla società ricorrente il 2 aprile 2019, quest'ultima non aveva ancora presentato alcuna spiegazione sufficiente per il suo silenzio sulla questione.
49. Basandosi sul ragionamento della Corte nelle cause Constantinescu e altri contro la Romania ((dec.) n. 33605/03 del 16 giugno 2009), Cir c. Romania ((dec.) n. 52330/07 del 26 gennaio 2010) e Jian contro la Romania ((dec.) n. 46640/99, 30 marzo 2004), il governo ha ritenuto che la società richiedente non avesse informato la Corte di un fatto essenziale e che pertanto la domanda dovesse essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'articolo 35, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione.
b) La risposta della società richiedente
50. La società richiedente ha sostenuto di non essere mai stata informata della decisione del 16 marzo 2018. Il 13 marzo 2019, quando le era stata notificata la decisione del 6 marzo 2019 (cfr. paragrafo 29), la notifica del presente ricorso alla Corte era già stata data al governo; quest'ultimo aveva presentato le sue osservazioni sull'ammissibilità e sul merito l'11 giugno 2019. Successivamente, il 23 luglio 2019, in conformità alla procedura ed entro il termine concesso dalla Corte, essa aveva inviato le proprie osservazioni in risposta, comprese le osservazioni relative alle due suddette decisioni delle autorità nazionali.
51. Pertanto, a suo parere, non vi è stato alcun abuso del diritto di ricorso.
c) Valutazione della Corte
52. La Corte ribadisce che, ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione, una domanda può essere respinta come abuso del diritto di domanda individuale se, tra le altre ragioni, è stata consapevolmente basata su fatti non veri. Anche informazioni incomplete e quindi fuorvianti possono costituire un abuso del diritto di domanda, soprattutto se le informazioni riguardano il nucleo stesso del caso e non viene fornita una spiegazione sufficiente per la mancata divulgazione di tali informazioni (cfr. Gross v. Switzerland [GC], n. 67810/10, § 28, CEDU 2014, con ulteriori riferimenti).
53. Nel caso di specie, il fatto che la società richiedente abbia atteso il proprio turno per rispondere alle osservazioni del Governo al fine di presentare informazioni sulle due decisioni in questione non può essere considerato come un tentativo di nascondere alla Corte informazioni essenziali. In ogni caso, la Corte osserva che il nucleo della denuncia della società richiedente è l'assenza di garanzie procedurali per una decisione che interferisce con i suoi diritti di proprietà e la durata eccessivamente lunga di tale interferenza, che era già durata più di otto anni e otto mesi al momento in cui è stata informata della sua cessazione (cfr. paragrafo 63). Inoltre, la società richiedente ha sostenuto che le due decisioni in questione non avevano posto fine all'interferenza denunciata Inoltre, la società richiedente ha sostenuto che le due decisioni in questione non avevano posto fine all'interferenza denunciata (cfr. paragrafo 67).
54. La Corte osserva inoltre che il presente caso differisce da quelli presentati dal governo (cfr. paragrafo 49). Più specificamente, due di questi casi riguardano le denunce di mancata esecuzione di decisioni nazionali in cui i ricorrenti non hanno informato la Corte che le decisioni in questione erano state effettivamente eseguite (cfr. Costantinescu e altri e Cir, decisioni citate in precedenza), mentre il caso di Jian (decisione citata in precedenza) riguardava l'uso da parte del ricorrente di un documento falso al fine di ingannare deliberatamente la Corte, presentando un'immagine distorta della parte più grave della sua domanda.
55. Alla luce di quanto sopra e non avendo riscontrato alcun intento fraudolento da parte della società richiedente, la Corte respinge l'obiezione del Governo secondo cui vi sarebbe stato un abuso del diritto di ricorso.
Esaurimento dei rimedi interni e perdita dello status di vittima
56. Il Governo ha sostenuto che la società ricorrente non aveva esaurito i mezzi di ricorso nazionali disponibili in relazione alle sue denunce ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione. Tale mancanza, a loro avviso, aveva anche causato la perdita dello status di vittima della società richiedente (si vedano, in particolare, le argomentazioni del Governo riassunte nei successivi paragrafi 60-62).
57. La Corte ritiene che, nelle particolari circostanze del caso, le obiezioni del Governo siano così strettamente legate al merito della denuncia della società richiedente ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione che dovrebbero essere riunite nel merito.
Altri motivi di irricevibilità
58. La Corte rileva che tale reclamo non è né manifestamente infondato né inammissibile per qualsiasi altro motivo elencato all'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Essa deve pertanto essere dichiarata ammissibile.
Meriti
Osservazioni delle parti
a) Il governo
59. Il governo ha sostenuto che il sequestro dei beni della società richiedente era legittimo. Ha sottolineato che era discutibile che nella fattispecie vi fosse stata un'interferenza con i beni della società richiedente. Una volta adottato il provvedimento, i beni in questione - beni mobili trovati in possesso di N., alcuni dei quali erano stati addirittura venduti a terzi (cfr. paragrafo 12) - sembravano appartenere a N. Il provvedimento aveva perseguito lo scopo legittimo di garantire i proventi di reato in attesa del procedimento penale, il cui fine ultimo era la loro confisca. Il governo ha sostenuto che il sequestro era stato proporzionato allo scopo perseguito anche nell'ambito dell'indagine penale condotta nel presente caso e in considerazione del fatto che il diritto nazionale prevedeva l'obbligo di adottare misure preventive per ottenere una successiva confisca speciale (cfr. punto 37).
60. Il governo ha inoltre sostenuto che il sequestro dei beni della società richiedente era stato accompagnato da sufficienti garanzie procedurali. Più specificamente, essi hanno sostenuto in primo luogo che la società richiedente avrebbe potuto presentare un ricorso in tribunale per danni non pecuniari ai sensi dell'articolo 504 del vecchio CCP, o degli articoli 538 e 539 del nuovo CCP a partire dal 1° febbraio 2014 (cfr. il precedente paragrafo 39). In base a tali disposizioni di legge, coloro che avevano subito un errore giudiziario avevano il diritto di chiedere il risarcimento dei danni subiti, anche in caso di presunto pignoramento sproporzionato dei loro beni, come indicato nell'esempio di giurisprudenza di cui al precedente punto 43. In secondo luogo, il governo ha sostenuto che la società ricorrente aveva anche la possibilità di chiedere la revoca del sequestro ai sensi dell'articolo 957 § 1 del codice di procedura civile (cfr. paragrafo 44). In terzo luogo, facendo riferimento ad esempi di giurisprudenza dei tribunali nazionali (cfr. paragrafo 41), essi hanno sostenuto che la società richiedente avrebbe potuto chiedere un risarcimento a N. o agli imputati nel procedimento penale.
61. Il Governo ha inoltre sottolineato che il nuovo CCP ha incluso nell'articolo 250 disposizioni che consentono a terzi nel procedimento penale di contestare le misure adottate durante le indagini dinanzi ai tribunali (cfr. paragrafo 35 sopra).
62. Inoltre, a partire dal 6 marzo 2019 il sequestro è stato revocato per tutti i beni appartenenti alla società richiedente (cfr. paragrafo 28). Pertanto, secondo il Governo, i fatti su cui si basava la presente denuncia non esistevano più e le loro conseguenze - che avrebbero potuto causare una possibile violazione della Convenzione - erano state cancellate. In tali circostanze, e in considerazione del fatto che la società richiedente non aveva presentato alle autorità nazionali una richiesta di risarcimento per eventuali danni aggiuntivi, esse hanno sostenuto che aveva perso il suo status di vittima.
b) La ricorrente
63. La società ricorrente ha sostenuto di non essere stata parte del procedimento penale e che non vi erano né sospetti né prove che i beni sequestrati fossero proventi di reato. Il sequestro dei suoi beni era pertanto illegale e ingiustificato. Data la sua durata eccessiva, il sequestro è stato inoltre sproporzionato. A questo proposito, la società richiedente ha sostenuto che la sua richiesta di essere nominata custode dei beni sequestrati era rimasta senza risposta (cfr. paragrafi 21 e 25), impedendole di utilizzare i suoi beni, mentre gli stessi beni erano rimasti sotto la custodia di N., che ne aveva tratto profitto.
64. La società richiedente ha inoltre sostenuto di non disporre di sufficienti garanzie procedurali contro il sequestro dei suoi beni, in quanto il quadro giuridico nazionale non prevedeva la possibilità di impugnare le decisioni del pubblico ministero del 22 giugno e del 29 ottobre 2010 dinanzi ai tribunali (cfr. paragrafi 15, 16, 33 e 34).
65. In risposta alle accuse del governo di non aver esaurito i rimedi nazionali e di aver perso lo status di vittima (cfr. paragrafi 60-62), il governo ha spiegato che, nelle circostanze specifiche del suo caso, non esistevano rimedi efficaci nel sistema giuridico nazionale. Essa ha sostenuto che le disposizioni dell'articolo 504 del vecchio PCC (cfr. paragrafo 39) si applicavano solo alle persone che erano state condannate ingiustamente o detenute illegalmente. Ha sottolineato che la decisione dell'Alta Corte di Cassazione e di Giustizia del 30 gennaio 2014 su cui il Governo aveva basato le proprie argomentazioni (cfr. paragrafo 43) riguardava una richiesta di risarcimento per detenzione illegale, alla quale la richiesta di risarcimento per il presunto sequestro illegale era stata associata. Per quanto riguarda la seconda contestazione del Governo relativa alla possibilità di chiedere un risarcimento a N. o agli imputati nel procedimento penale, la società ricorrente ha sostenuto che non esisteva alcuna disposizione di legge che consentisse di risarcire un terzo nel procedimento penale per i danni causati da una misura preventiva eccessivamente lunga ordinata dal pubblico ministero mentre l'indagine era ancora in corso. Inoltre, la possibilità di chiedere la revoca del sequestro ai sensi dell'articolo 957 § 1 del codice di procedura civile (cfr. punto 44) era disponibile solo per un indagato o un imputato e solo dopo aver offerto una garanzia. Questa strada non era quindi stata aperta ad essa.
66. La società ricorrente ha inoltre sostenuto che, anche dopo l'entrata in vigore del nuovo PCC, che prevedeva la possibilità di presentare una denuncia contro l'ordinanza di sequestro in tribunale, tale possibilità non le era stata offerta in quanto tale denuncia doveva essere presentata entro tre giorni dall'adozione della misura contestata (cfr. paragrafo 35). La Commissione ha sottolineato che il governo non aveva sostenuto le sue argomentazioni con esempi di giurisprudenza nazionale pertinenti alla situazione in questione nel caso in esame.
67. La società ricorrente ha inoltre sostenuto che il sequestro era stato effettivamente revocato con la decisione del 6 marzo 2019 - l'unica decisione di cui era stata informata (cfr. punti 28 e 29) - ma non per quanto riguarda il suo autocarro. Inoltre, i beni sequestrati non erano mai stati identificati e consegnati alla società richiedente. Il suo diritto di proprietà ha quindi continuato a essere violato e ha continuato a essere una vittima ai sensi della Convenzione.
La valutazione della Corte
a) La norma applicabile
68. Dai fatti della causa, la Corte rileva che i "beni" in questione erano beni mobili sequestrati con decisione del DIICOT nel giugno e nell'ottobre 2010 (cfr. paragrafi 15 e 16). Il governo non ha contestato l'interferenza con i diritti di proprietà della società richiedente sui sette veicoli sequestrati (sei furgoni e un camion). Tuttavia, per quanto riguarda i chioschi, ha sostenuto che tali beni sembravano essere di proprietà di un'altra società, che aveva persino concluso contratti di acquisto validi nei loro confronti (cfr. paragrafi 12, 13 e 59). La Corte osserva che, conformemente ai contratti di locazione conclusi per i chioschi, la società richiedente ne è rimasta proprietaria (cfr. paragrafo 9). Inoltre, in seguito al mancato rispetto degli obblighi contrattuali da parte dell'utente, la società richiedente ha chiesto la restituzione dei chioschi (cfr. paragrafo 11). La Corte osserva inoltre che la società richiedente ha notificato al pubblico ministero i suoi diritti di proprietà sui chioschi sequestrati il 23 novembre 2010 (cfr. paragrafo 18 sopra) e che i contratti di acquisto menzionati dal governo sono stati annullati nel corso di un procedimento giudiziario (cfr. paragrafo 26 sopra). Pertanto, il sequestro denunciato può essere considerato come un'interferenza nell'esercizio del diritto della società richiedente di godere pacificamente dei suoi beni in relazione ai sette veicoli e ai 779 chioschi.
69. La Corte sottolinea inoltre che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre norme distinte: la prima norma, contenuta nel primo periodo del primo comma, ha carattere generale ed enuncia il principio del pacifico godimento dei beni; la seconda norma, contenuta nel secondo periodo del primo comma, riguarda la privazione dei beni e la sottopone a determinate condizioni; la terza norma, contenuta nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il diritto di controllare l'uso dei beni in conformità all'interesse generale o di garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni. Le tre regole non sono, tuttavia, "distinte" nel senso di non essere collegate tra loro. La seconda e la terza regola riguardano casi particolari di interferenza con il diritto al pacifico godimento della proprietà e devono quindi essere interpretate alla luce del principio generale enunciato nella prima regola (cfr., tra molte autorità, AGOSI c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, § 48, Serie A n. 108, e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no. 38433/09, § 185, ECHR 2012).
70. La Corte osserva che il sequestro dei beni disposti nel corso di un procedimento penale è, in linea di principio, una misura che costituisce una restrizione temporanea al loro utilizzo e non comporta un trasferimento di proprietà. Questa linea di ragionamento ha portato la Corte a considerare il sequestro come una misura di controllo dell'uso dei beni (cfr., mutatis mutandis, Forminster Enterprises Limited, citata, § 63, e Iordachescu c. Romania, (dicembre), n. 32889/09, §§ 37 e 38, 23 maggio 2017; cfr. anche, a contrario, Andonoski c. ex Repubblica iugoslava di Macedonia, n. 16225/08, § 30, 17 settembre 2015, e B.K.M. Lojistik Tasimacilik Ticaret Limited Sirketi c. Slovenia, n. 42079/12, § 38, 17 gennaio 2017, in cui la confisca è stata considerata come una privazione di beni a causa del suo carattere permanente, che ha comportato un trasferimento definitivo della proprietà, senza possibilità di recupero). Tuttavia, nel caso di specie, il provvedimento che ha interessato i chioschi e i furgoni della società richiedente è durato quasi nove anni e, anche dopo la sua revoca, le autorità non sono riuscite ad identificare i beni e a restituirli alla società richiedente. Inoltre, per quanto riguarda il furgone che si sostiene essere di proprietà della società richiedente, la situazione continua ad essere incerta dieci anni dopo.
71. In tali circostanze, la Corte ritiene che non sia necessario prendere una posizione chiara sulla questione della norma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 in base alla quale il caso dovrebbe essere esaminato, in quanto i principi che disciplinano la questione della giustificazione sono sostanzialmente gli stessi, coinvolgendo così la legittimità dello scopo di qualsiasi interferenza, nonché la sua proporzionalità e il mantenimento di un giusto equilibrio (cfr., mutatis mutandis, Denisova e Moiseyeva c. Russia, n. 16903/03, § 55, 1° aprile 2010).
b) Conformità con l'articolo 1 del Protocollo n. 1
(i) Se l'interferenza è stata prescritta dalla legge
72. La Corte ribadisce che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 richiede soprattutto che qualsiasi ingerenza di un'autorità pubblica nel godimento dei beni sia conforme alla legge: la seconda frase del primo paragrafo autorizza la privazione della proprietà solo "alle condizioni previste dalla legge"; il secondo paragrafo dà diritto agli Stati di controllare l'uso dei beni facendo rispettare "le leggi". Inoltre, lo Stato di diritto, che è uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insito in tutti gli articoli della Convenzione. Ne consegue che la necessità di accertare se sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale della collettività e quelle della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo diventa rilevante solo quando si è stabilito che l'interferenza contestata soddisfaceva il requisito della legalità e non era arbitraria (cfr. Beyeler c. Italia [GC], no. 33202/96, § 108, CEDU 2000-I, e Iordachescu, decisione citata, § 39, con ulteriori riferimenti).
73. Per quanto riguarda la presente causa, la Corte rileva che il sequestro dei beni della società ricorrente è stato disposto ai sensi degli articoli 241 e 25 della legge n. 656/2002 sulla prevenzione e sanzione della frode, dell'evasione fiscale e del riciclaggio di denaro, dell'articolo 13 della legge n. 39/2003 sulla lotta alla criminalità organizzata e dell'articolo 163 del vecchio PCC (cfr. i precedenti paragrafi 15, 16, 37, 38 e 33). In base al quadro normativo sopra citato, l'adozione di misure preventive quali il sequestro era obbligatoria per i reati oggetto di indagine nel caso di specie (cfr. supra, paragrafo 37). La Corte osserva inoltre che il sequestro era giustificato dalla necessità di ottenere la successiva confisca speciale per recuperare i proventi di reato e garantire il pagamento dell'ammenda applicata (cfr. paragrafi 15 e 16). Le disposizioni sulla confisca speciale di cui all'articolo 118, lettere a) ed e), del codice penale al momento rilevante, ha consentito la confisca dei beni prodotti o acquisiti con la commissione di un reato, ovvero dei proventi di reato, senza specificare se si trattasse solo di beni appartenenti all'autore del reato (si veda il precedente paragrafo 38). Tuttavia, su questo punto la Corte ritiene, come più volte ribadito, che non sia suo compito sostituirsi ai tribunali nazionali e che spetti principalmente alle autorità nazionali, in particolare ai tribunali, interpretare e applicare il diritto nazionale (cfr., tra le altre autorità, Pine Valley Developments Ltd e altri c. Irlanda, 29 novembre 1991, § 52, Serie A n. 222; e S.C. Antares Transport S.A. e S.C. Transroby S.R.L. c. Romania, n. 27227/08, § 42, 15 dicembre 2015).
74. Per la Corte la questione è strettamente correlata alla questione se sia stato raggiunto il necessario equilibrio tra i mezzi impiegati per il sequestro dei beni della società richiedente e gli obiettivi perseguiti. Il Tribunale ritiene, pertanto, che non sia necessario stabilire se il quadro normativo nazionale invocato nella presente causa possa, in astratto, costituire una base giuridica prevedibile per l'interferenza contestata e proseguirà l'esame della causa, passando alla questione se l'interferenza persegua uno scopo legittimo e se sussistano sufficienti garanzie procedurali.
ii) Perseguimento di uno scopo legittimo
75. Per quanto riguarda la legittimità dell'obiettivo perseguito dal sequestro contestato, la Corte osserva che il provvedimento si inserisce in un quadro legislativo volto ad intensificare la lotta al riciclaggio (cfr. paragrafi 37-38). Il sequestro riguardava beni ritenuti necessari dalle autorità per recuperare i proventi di reato e per garantirne la successiva confisca (cfr. paragrafi 15, 16 e 19). Pertanto, la misura di sequestro nel caso in questione è stata eseguita nell'interesse generale per garantire che l'uso dei beni in questione non andasse a vantaggio degli imputati a scapito della collettività (cfr., mutatis mutandis, Phillips c. Regno Unito, no. 41087/98, § 52, ECHR 2001-VII). In conclusione, il provvedimento perseguiva un interesse generale la cui importanza è già stata sottolineata in diverse sentenze della Corte (cfr., ad esempio, Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 30, serie A n. 281-A; Riela c. Italia, no. 52439/99, 4 settembre 2001; Grifhorst c. Francia, n. 28336/02, §§ 92-93, 26 febbraio 2009; e Michaud c. Francia, n. 12323/11, § 123, CEDU 2012).
(iii) Proporzionalità dell'interferenza
76. La questione è quindi se, nelle circostanze del caso di specie, il provvedimento sia stato proporzionato allo scopo perseguito; in altre parole, se sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e la tutela del diritto della società richiedente al pacifico godimento dei propri beni, in particolare prevedendo procedure che offrano alla società richiedente una ragionevole opportunità di sottoporre il proprio caso alle autorità competenti (cfr. AGOSI, citata, § 55, Serie A n. 108, e Arcuri c. Italia (dic.), n. 52024/99, ECHR 2001-VII).
77. Per quanto riguarda il necessario equilibrio tra i mezzi impiegati per il sequestro dei beni della società richiedente e la finalità legittima di cui sopra, il Tribunale rileva che il tenore delle argomentazioni della società richiedente al riguardo ha messo in discussione la durata del provvedimento e l'assenza di controllo giurisdizionale (cfr. supra, punti 63-67).
78. Il Tribunale ha più volte rilevato che, sebbene l'articolo 1 del Protocollo n. 1 non contenga alcun esplicito requisito procedurale, i procedimenti giudiziari relativi al diritto al pacifico godimento dei propri beni devono anche offrire all'individuo una ragionevole opportunità di sottoporre il proprio caso alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che interferiscono con i diritti garantiti da tale disposizione. Un'ingerenza nei diritti previsti dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 non può quindi avere alcuna legittimità in assenza di un procedimento in contraddittorio che rispetti il principio della parità delle armi, consentendo la discussione di aspetti importanti per l'esito del caso. Al fine di garantire che tale condizione sia soddisfatta, le procedure applicabili devono essere considerate da un punto di vista generale (cfr. G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, § 302, 28 giugno 2018).
79. Nel caso in esame, il Governo ha sostenuto che il sequestro era stato accompagnato da garanzie procedurali, in quanto la società richiedente aveva avuto varie possibilità di adire un organo indipendente, ma non le aveva utilizzate (cfr. paragrafi 60 e 61).
80. In primo luogo, la Corte osserva, per quanto riguarda la procedura prevista dall'articolo 504 del vecchio PCC (articoli 538 e 539 del nuovo PCC), che dalla formulazione (cfr. paragrafo 39) e dalla sua interpretazione da parte dei giudici nazionali olo dalla formulazione (cfr. paragrafo 39) e dalla sua interpretazione da parte dei tribunali nazionali, come dimostra l'esempio presentato dal Governo (cfr. paragrafo 43), si trattava di una strada aperta specificamente alle persone che erano state ingiustamente condannate o detenute illegalmente. Questo non era chiaramente il caso della società richiedente.
81. In secondo luogo, il governo ha sostenuto che la società richiedente aveva anche avuto la possibilità di chiedere la revoca del sequestro ai sensi dell'articolo 957 § 1 del codice di procedura civile. La Corte osserva, insieme alla società ricorrente, che la Corte costituzionale ha spiegato nella decisione presentata dal governo (cfr. paragrafo 44) che questa possibilità era aperta a un sospetto o convenuto i cui beni erano stati sequestrati e solo dopo aver offerto una garanzia sufficiente, versando un deposito che coprisse l'intero valore del debito o pagando l'intero debito. Tuttavia, la società ricorrente non era né sospettata né imputata nel procedimento penale. Anche supponendo che le disposizioni di cui sopra fossero state applicabili alla società ricorrente, che non era parte del procedimento penale, la Corte osserva che, per poter chiedere la revoca del sequestro, essa avrebbe dovuto coprire il debito causato dai reati oggetto dell'indagine. In tali circostanze, è dubbio che le disposizioni di cui sopra possano essere considerate una ragionevole opportunità per la società richiedente di impugnare il provvedimento di sequestro.
82. Il governo ha inoltre sostenuto che la società richiedente avrebbe potuto chiedere un risarcimento a N. o agli imputati nel procedimento penale. Su questo punto, la Corte osserva che tutti gli esempi presentati dal governo a sostegno di tale argomentazione (cfr. paragrafi 41 e 42) riguardano casi che si trovavano nella fase processuale, a differenza del caso in esame, in cui nessun sospetto era stato ancora portato in tribunale.
83. Nel caso in questione, il sequestro è stato ordinato dal pubblico ministero nell'ambito di un procedimento penale contro terzi. La società richiedente non era parte di tale procedimento e, in base al quadro giuridico in vigore al momento dell'adozione del sequestro, non poteva contestare il provvedimento in questione dinanzi ai tribunali (cfr. paragrafi 20, 33 e 34). È vero che nel 2014 sono entrate in vigore nuove disposizioni di diritto penale che prevedono la possibilità di impugnare misure come quella in esame dinanzi ai giudici (cfr. supra, paragrafo 35). Tuttavia, le nuove disposizioni hanno anche introdotto un termine per la presentazione di tali ricorsi (tre giorni dall'adozione del provvedimento) e il Governo non ha presentato alcun esempio di giurisprudenza nel caso in cui i tribunali nazionali avessero esaminato, dopo il 2014, i ricorsi contro i provvedimenti ordinati dai pubblici ministeri ai sensi del vecchio PCC presentati da terzi nel corso dell'indagine penale. La sentenza del 21 settembre 2016 presentata dal Governo riguarda un caso in cui l'indagine era terminata e non è quindi simile al presente caso (cfr. paragrafo 42).
84. Infine, la Corte ricorda che in situazioni relative alla confisca ha ritenuto che una richiesta di risarcimento contro l'autore del reato comportasse un'ulteriore incertezza per un proprietario in buona fede, in quanto l'autore del reato potrebbe essere dichiarato insolvente. La richiesta di risarcimento non è stata ritenuta in grado di offrire ai proprietari in buona fede sufficienti opportunità di adire le autorità nazionali competenti (cfr. B.K.M. Lojistik Tasimacilik Ticaret Limited Sirketi, citata, § 50, con ulteriori riferimenti). La natura generale dell'argomentazione addotta dal governo nel presente caso non fornisce una base sufficiente per consentire alla Corte di discostarsi dalle conclusioni di cui sopra.
85. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il governo non abbia dimostrato in che modo le suddette vie avrebbero potuto offrire un adeguato risarcimento per le rimostranze della società richiedente. Ne consegue che l'obiezione del governo di non aver esaurito i rimedi nazionali (cfr. paragrafo 56) deve essere respinta.
86. Il governo ha inoltre sostenuto che, poiché il sequestro è stato revocato e non è stata presentata alle autorità nazionali alcuna richiesta di risarcimento, la società richiedente ha perso il suo status di vittima (cfr. paragrafo 62). Su questo punto, la Corte osserva che il sequestro è stato ordinato per la prima volta il 22 giugno 2010 (cfr. paragrafo 16) ed è stato formalmente revocato per tutti i chioschi il 6 marzo 2019 (cfr. paragrafo 28). Esso è durato quindi più di otto anni e otto mesi. Inoltre, secondo la società richiedente (cfr. paragrafi 30 e 67), anche dopo la revoca del provvedimento, le autorità non sono riuscite a identificare i beni in questione e a restituirli al legittimo proprietario. Inoltre, non è stata adottata alcuna decisione in relazione al camion, che non è stato restituito alla società ricorrente. Durante tutto questo periodo, la società richiedente è stata privata della possibilità di utilizzare i propri beni e/o di contestarne il pignoramento dinanzi ad un tribunale, e nessuna specifica disposizione di legge o esempio di giurisprudenza consente di concludere che essa avrebbe potuto ottenere un risarcimento per l'interferenza con i propri diritti di proprietà (cfr. paragrafo 85). La Corte non può quindi giungere alla conclusione che la società richiedente abbia perso il suo status di vittima; ne consegue che anche l'obiezione del Governo a questo proposito (si veda il paragrafo 56 sopra) deve essere respinta.
87. La Corte riconosce l'importanza di condurre indagini su presunti gravi reati economici, come nel caso in questione, con la dovuta diligenza al fine di garantire che i reati siano adeguatamente valutati e che il procedimento sia debitamente concluso. Tuttavia, sulla base delle considerazioni di cui sopra, e tenendo conto, in particolare, della durata del sequestro dei beni appartenenti alla società richiedente e del considerevole valore di tali beni, nonché della mancanza di possibilità di contestare efficacemente la misura imposta in un procedimento penale in cui non era parte in causa, la Corte ritiene che non sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra l'interesse generale della società e gli interessi della società richiedente, in quanto quest'ultima è stata obbligata a sostenere un onere eccessivo (cfr., mutatis mutandis, Forminster Enterprises Limited, § 77); Denisova e Moiseyeva, § 64; B. K.M. Lojistik Tasimacilik Ticaret Limited Sirketi, § 52, tutti citati sopra).
88. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione.
PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE
89. La società ricorrente lamentava che il sequestro dei suoi beni costituiva una sanzione imposta senza fondamento nel diritto nazionale. Essa si è basata sull'articolo 7 della Convenzione, il cui primo paragrafo prevede che:
"Nessuno può essere ritenuto colpevole di un reato per un atto o un'omissione che non costituiva un reato penale ai sensi del diritto nazionale o internazionale al momento in cui è stato commesso. Né può essere inflitta una pena più severa di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso".
90. Il Governo ha respinto l'idea che la misura di sequestro ordinata dal pubblico ministero nel corso dell'indagine penale nel presente caso fosse una "sanzione" e ha sostenuto che l'articolo 7 non era applicabile.
91. La Corte ribadisce che il concetto di "sanzione" di cui all'articolo 7 ha un significato autonomo. Per rendere effettiva la protezione offerta da questo articolo, la Corte deve rimanere libera di andare oltre le apparenze e valutare da sola se una particolare misura equivale in sostanza a una "sanzione" ai sensi di questa disposizione La formulazione dell'articolo 7 § 1, seconda frase, indica che il punto di partenza in ogni valutazione dell'esistenza di una "sanzione" è se la misura in questione è imposta a seguito della decisione che una persona è colpevole di un reato. Tuttavia, a questo proposito possono essere presi in considerazione anche altri fattori, quali la natura e lo scopo del provvedimento in questione, la sua caratterizzazione ai sensi del diritto nazionale, le procedure coinvolte nell'elaborazione e nell'attuazione del provvedimento e la sua severità (cfr. G.I.E.M. S.R.L. e altri, già citati, §§ 210 e 211, e Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, §§ 27 e 28, serie A n. 307-A).
92. La Corte ribadisce inoltre la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale nei casi che comportano il sequestro e la confisca dei beni dei richiedenti nell'ambito di un procedimento penale contro terzi, tali procedimenti non riguardano una "accusa penale" contro i richiedenti (cfr. Yildirim c. Italia (dic.), n. 38602/02, CEDU 2003-IV; Bowler International Unit c. Francia, n. 1946/06, § 67, 23 luglio 2009; e AEI Investment Industry S.R.L. e altri c. Romania [Comitato] (dic.), n. 17910/15 e sei altre domande, § 38, 11 febbraio 2020).
93. Nel caso in esame, la società richiedente non è mai stata accusata o dichiarata colpevole di alcun reato dai tribunali rumeni. Di conseguenza, non si può concludere che il sequestro in questione nella presente causa abbia comportato una constatazione di colpevolezza a seguito di un'accusa penale; non costituiva pertanto una "sanzione" ai sensi dell'articolo 7 della Convenzione (cfr., mutatis mutandis, le decisioni di AEI Investment Industry S.R.L. e altri, § 38, e Yildirim, citate in precedenza). Tale disposizione non è pertanto applicabile nel caso di specie.
94. Ne consegue che questo reclamo è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione, e deve essere respinto ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
95. L'articolo 41 della Convenzione prevede:
"Se la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente interessata consente solo una parziale risarcimento da effettuare, il Tribunale, se necessario, darà giusta soddisfazione alla parte lesa".
96. La società richiedente ha richiesto le seguenti somme a titolo di risarcimento del danno pecuniario:
- 2.337.000 euro, pari al valore dei 779 chioschi così come risulta da un rapporto di valutazione contabile;
- EUR 199.920 che rappresentano il valore dei sei furgoni così come risulta dalle fatture di acquisto;
- EUR 38.000 che rappresentano il valore del furgone così come risulta dalla fattura d'acquisto.
97. La società richiedente ha inoltre chiesto EUR 10.000 a titolo di risarcimento del danno morale. Ha inoltre chiesto EUR 7.500 per le spese e i costi sostenuti nel procedimento dinanzi al Tribunale e ha presentato fatture a sostegno di tale richiesta.
98. La società richiedente ha infine espresso la sua disponibilità a raggiungere un accordo con il governo convenuto.
99. Il governo ha ritenuto che la richiesta della società richiedente fosse eccessiva, ingiustificata e ha sostenuto che la constatazione di una violazione sarebbe stata un risarcimento sufficiente per qualsiasi danno subito. Ha inoltre chiesto alla Corte di rimborsare solo i costi e le spese effettivamente e necessariamente sostenute e ragionevoli quanto a quantificazione.
100. Viste le circostanze del caso, la Corte ritiene che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione non sia pronta per una decisione. Di conseguenza, essa si riserva la questione nella sua interezza e fisserà la procedura successiva, tenendo presente la possibilità di un accordo tra lo Stato convenuto e la società richiedente (articolo 75 § 1 del Regolamento della Corte - si veda, ad esempio e mutatis mutandis, G.I.E.M. S.R.L. e altri, citato, § 324). La Corte invita il Governo e la società richiedente a notificarle, entro sei mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, qualsiasi accordo che possano raggiungere.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
Si unisce al merito delle obiezioni preliminari del Governo per quanto riguarda la non esaurimento dei rimedi interni e la perdita dello status di vittima e le respinge;
2) La denuncia ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 è dichiarata ricevibile e per il resto il ricorso è irricevibile;
3. Dichiara che vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
3) La questione dell'applicazione dell'art. 41 non è pronta per la decisione;
di conseguenza,
a) si riserva la suddetta questione nella sua interezza;
b) invita il Governo e la società richiedente a notificare alla Corte, entro sei mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, le loro osservazioni scritte in merito e, in particolare, l'eventuale accordo da essi raggiunto;
c) riserva l'ulteriore procedura e delega al Presidente della Camera il potere di fissare la stessa, se necessario.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 21 luglio 2020, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Hasan Bak?rc? Yonko Grozev
Cancelliere Presidente