Conclusione Violazione degli art. 8, P1-3, e 13; Danno morale - constatazione di violazione che basta; Rimborso parziale onere e spese - procedimento della Convenzione
TERZA SEZIONE
CAUSA VITIELLO C. ITALIA
( Richiesta no 77962/01)
SENTENZA
STRASBURGO
23 marzo 2006
DEFINITIVO
03/07/2006
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Vitiello c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta di:
SIGG.. B.M. Zupančič, presidente,
L. Caflisch, la Sig.ra Sig. Tsatsa-Nikolovska,
Sigg.. V. Zagrebelsky, E. Myjer, Davide Thór Björgvinsson, la Sig.ra I. Ziemele, giudici,
e del Sig. V. Berger, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 gennaio e 2 marzo 2006,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, data:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 77962/01) diretta contro la Repubblica italiana e di cui due cittadini di questo Stato, Sigg.. B. V. e G. V. ("i richiedenti"), hanno investito la Corte il 6 settembre 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. I richiedenti sono rappresentati da Me G. B., avvocato a Benevento. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. Ivo Maria Braguglia, il suo coagente, il Sig. Francesco Crisafulli, ed il suo coagente aggiunge, il Sig. Nicola Lettieri.
3. I richiedenti adducevano la violazione degli articoli 8 e 10 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1, 2 del Protocollo no 4, 6 § 1 e 13 della Convenzione e 3 del Protocollo no 1.
4. La richiesta è stata assegnata alla prima sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell'ordinamento). In seno a questa, la camera incaricata di esaminare la causa (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all'articolo 26 § 1 dell'ordinamento.
5. Con una decisione del 13 maggio 2004, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e ha deciso di comunicare le lagnanze derivate degli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1, 2 del Protocollo no 4, 13 della Convenzione e 3 del Protocollo no 1 al Governo. Avvalendosi dell'articolo 29 § 3, ha deciso che venissero esaminati l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
6. Il 1 novembre 2004, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni, articolo 25 § 1 dell'ordinamento. La presente richiesta è stata assegnata alla terza sezione così ricomposta (articolo 52 § 1).
7. Tanto i richiedenti che il Governo hnnoa depositato delle osservazioni scritte sul fondo della causa, articolo 59 § 1 dell'ordinamento.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
8. Con un giudizio depositato il 27 novembre 1996, il tribunale di Benevento dichiarò il fallimento del società V.B.G. e dei richiedenti in quanto soci di questa.
9. Il 3 dicembre 1996, il curatore del fallimento redasse l'inventario dei beni dei richiedenti.
10. Tra il 26 gennaio 1998 ed l’ 8 novembre 1999, sei udienze ebbero luogo per verificare il passivo del fallimento. A questa ultima data, il giudice delegato ("il giudice") dichiarò il passivo del fallimento esecutivo.
11. Il 17 novembre 1999, il curatore chiese al giudice di potere aprire un conto corrente relativo al fallimento. Il 22 novembre 1999, il giudice fece diritto a questa domanda.
12. Il 6 dicembre 1999, il curatore chiese al giudice di potere prelevare una somma sul conto in questione.
13. Il 14 dicembre 1999, il giudice autorizzò un pagamento in favore del curatore.
14. L’11 maggio 2000, 7 agosto 2000 e 4 settembre 2001, il curatore chiese al giudice di potere prelevare una somma del conto del fallimento. Il giudice diede rispettivamente la sua autorizzazione il 13 maggio 2000, 15 settembre 2000 e 15 settembre 2001.
15. Ad una data non precisata, i richiedenti introdussero una domanda per restringere il procedimento con un concordato.
16. Secondo le informazione fornite dai richiedenti, il procedimento era pendente al 18 novembre 2005.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
17. La legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, dispone tra altri:
Articolo 26
"Le decisioni del giudice delegato possono essere oggetto di ricorso dinnanzi al tribunale entro tre giorni della data di adozione, da parte del curatore, del fallito, del comitato dei creditori e di ogni altra persona interessata.
Il tribunale decide in camera del consiglio tramite atto motivato.
Il ricorso non sospende l'esecuzione della decisione attaccata. "
Articolo 36
"Gli atti di amministrazione del curatore possono essere oggetto di ricorso dinnanzi al giudice delegato da parte del fallito e di ogni altra persona interessata; il giudice delibera tramite decisione motivata.
Contro questa decisione, è possibile introdurre un ricorso, nei tre giorni, dinnanzi al tribunale. Questo delibera tramite atto motivato dopo avere sentito il curatore ed il richiedente. "
Articolo 42
"Il giudizio che dichiara il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di suddetto giudizio. (...) "
Articolo 48
"La corrispondenza indirizzata al fallito deve essere rimessa al curatore che ha il diritto di tenere quella relativa agli interessi patrimoniali. Il fallito può prendere cognizione della corrispondenza. Il curatore deve mantenere il segreto sul contenuto dalla corrispondenza che non riguarda suddetti interessi. "
Articolo 49
Il fallito "non può lasciare il suo luogo di residenza senza autorizzazione del giudice commissario e deve presentarsi a detto giudice, al curatore o al comitato dei creditori ogni volta che è convocato, salvo i casi in cui, a causa di un impedimento legittimo, il giudice l'autorizza a comparire tramite un rappresentante.
Il giudice può fare portare il fallito con la polizia se questo ultimo non ubbidisce alla convocazione. "
Articolo 50
"Un registro pubblico è tenuto presso la cancelleria di ogni tribunale nel quale sono registrati i nomi dei falliti. I nomi dei falliti sono cancellati dal registro a seguito di un giudizio del tribunale. Il fallito è sottoposto alle incapacità previste dalla legge finché il suo nome sia cancellato del registro. "
Articolo 119
"La chiusura del procedimento di fallimento è dichiarata da una decisione motivata del tribunale
Questa decisione può essere attaccata dinnanzi alla corte di appello nei quindici giorni seguenti la sua affissione al tribunale "
Articolo 143
"La riabilitazione può essere accordata al fallito:
1) avendo pagato integralmente i crediti ammessi al fallimento, ivi compreso l'interesse e le spese;
2) avendo eseguito regolarmente il concordato di fallimento, quando il tribunale lo considero degno (meritevole) di questo beneficio, tenuto conto delle cause e delle circostanze del fallimento, delle condizioni del concordato così come della sua percentuale. La riabilitazione non può essere accordata nel caso in cui la percentuale per i creditori chirografari è inferiore al venticinque per cento ;
3) avendo dato prova di buona condotta effettiva e costante durante almeno cinque anni dopo la chiusura del fallimento. "
18. L'articolo 2, capoverso 1, lettera ha, del decreto del presidente della Repubblica no 223 del 20 marzo 1967, modificato dalla legge no 15 del 16 gennaio 1992, contempla essenzialmente la sospensione dell'esercizio dei diritti elettorali del fallito durante la durata del procedimento di fallimento e, in ogni caso, per un periodo non superiore a cinque anni a partire dalla dichiarazione di fallimento.
19. Il decreto legge (decreto legislativo) no 5 del 9 gennaio 2006, ricadente sulla riforma della legge sul fallimento, disponi tra altri:
"Articolo 45-Sostituzione dell'articolo 48 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942
L'articolo 48 della legge sul fallimento è sostituito dall'articolo che segue:
"Articolo 48, corrispondenza indirizzata al fallito,: L'imprenditore dichiarato fallito, così come gli amministratori o i liquidatori di società o di istituti che sono stati oggetto di un procedimento di fallimento sono tenuti a rimettere ogni corrispondenza, compresa quell'elettronica, concernente gli interessi patrimoniali (rapporti) facenti parti del fallimento, al curatore. "
Articolo 46-Sostituzione dell'articolo 49 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942
L'articolo 49 della legge sul fallimento è sostituito dall'articolo che segue:
"Articolo 49, Obblighi del fallito,: L'imprenditore dichiarato fallito, così come gli amministratori o i liquidatori di società o di istituti che sono stati oggetto di un procedimento di fallimento sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della loro residenza o domicilio.
Se delle informazioni o delle delucidazioni si rivelano necessarie per la gestione del procedimento, gli individui suddetti devono presentarsi al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori.
In caso di impedimento, il giudice può autorizzare l'imprenditore o il rappresentante legale della società o degli istituti che sono oggetto del fallimento a comparire col verso di un mandatario. "
Articolo 47-Abrogazione dell'articolo 50 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942
L'articolo 50 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942 è abrogato.
Articolo 152 - Norme abolitive in materia di limitazioni personali del fallito
Le norme che seguono sono abrogate:
a) articolo 2, capoverso 1, lettera a, del decreto del presidente della Repubblica no 223 del 20 marzo 1967;
(...) "
20. Secondo la dottrina, l'istituzione del fallimento trova le sue origini nel Basso Medioevo (XIIIe secolo) epoca alla quale il commerciante, cioè, in senso lato, il commerciante, l'imprenditore, il banchiere, era al centro di una nuova classe sociale. In questo contesto, dove talvolta l'interesse pubblico coincideva con quello della classe commerciale, il fallimento era destinato ad imporre al commerciante insolvibile dei rimedi forti. Così, il fallito era oggetto di sanzioni penali, come il bando, la sentenza e, talvolta, la tortura o la pena di morte, o civili come l'iscrizione del suo nome in un registro, l'applicazione di marchi infamanti, come il porto di un basco verde, la perdita di nazionalità e di altre incapacità (A. Jorio, La crisi di impresa, il fallimento, ed. Giuffré, 2000, p. 364; S. Bonfatti e P. F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, ed. Cedam, 2004, pp. 1-2-72-73, e L. Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, ed. G. Giappichelli Torino, 2004, p. 122).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA, 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4
21. Invocando gli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1 e 2 del Protocollo no 4, i richiedenti si lamentano rispettivamente della violazione del diritto al rispetto della loro corrispondenza, dei loro beni e così come della limitazione della loro libertà di circolazione, in particolare in ragione della durata del procedimento.
22. Questi articoli sono formulati così:
Articolo 8 della Convenzione
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua corrispondenza.
2. Non si può avere ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto che per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e che costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui. "
Articolo 1 del Protocollo no 1
"Ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
Articolo 2 del Protocollo no 4
"1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di un Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliere liberamente la sua residenza.
2. Ogni persona è libera di lasciare qualunque paese, ivi compreso il suo.
3. L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di altre restrizioni che quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell'ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui.
23. Il Governo sostiene innanzitutto che i richiedenti hanno omesso di esaurire le vie di ricorso interne. Difatti, le lagnanze che sollevano sono legate alla durata del procedimento. I richiedenti avrebbero dovuto introdurre un ricorso dinnanzi alla corte di appello competente dunque conformemente al legge Pinto.
24. Considera inoltre che, nella sentenza no 362 del 2003, la Corte di cassazione, confermando che una decisione della corte di appello di Venezia relativa ad un ricorso, introdotto conformemente alla legge Pinto che ricade sulla durata di un procedimento di fallimento, ha affermato che "il danno morale è il risultato di una situazione di malessere del richiedente dovuto al prolungamento, al di là del termine ragionevole del procedimento, dello statuto di fallito e delle limitazioni relative riguardanti sulla libertà di circolazione, i diritti elettorali, la possibilità di esercitare delle libere professioni. La liquidazione di suddetto danno non può farsi che attraverso una valutazione equa che tenga conto, in più della durata del procedimento, della natura privata dei diritti della persona “toccati"totalmente o parzialmente.
25. Il Governo osserva infine che la durata del procedimento di fallimento è stata dovuta, tra altri, al comportamento dei richiedenti, essendo stata ritardata la vendita dei beni che facevano parte del fallimento su richiesta di questi in vista di restringere il procedimento con un concordato di fallimento.
26. I richiedenti sostengono che le osservazioni del Governo sono state presentate tardivamente, contrariamente all'articolo 38 dell'ordinamento della Corte.
27. Considerano poi che la richiesta non riguarda la durata del procedimento ma la mancanza di proporzionalità dell'ingerenza dello stato nel loro diritto al rispetto della loro corrispondenza e dei loro beni così come della loro libertà di circolazione, in particolare in ragione del procedimento.
28. La Corte rileva di avere fissato prima al 6 agosto 2004 un primo termine per la presentazione delle osservazioni del Governo. Poi, alla domanda di questo ultimo, questo termine è stato prorogato fino al 17 settembre 2004, data alla quale le osservazioni del Governo sono state mandate.
29. Rileva poi che, nella sua sentenza no 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta riconosciuto che il risarcimento morale relativo alla durata dei procedimenti di fallimento deve tenere conto, tra altri, del prolungamento delle incapacità che derivano dello statuto di fallito.
30. Peraltro, in quanto alla lagnanza derivata dall'articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte ricorda che nella causa Mascolo c. Italia (déc., no 68792/01, 16 ottobre 2003) ha stimato che la violazione del diritto di proprietà era legata "rigorosamente alla durata del procedimento di cui costituisce una conseguenza indiretta" e che era dunque "probabilmente nella cornice dello stesso rimedio previsto dalla legge Pinto che i richiedenti potevano fare valere le loro affermazioni concernenti le ripercussioni finanziarie che la lunghezza eccessiva del procedimento hanno avuto sul loro diritto di proprietà." In più, nella causa Provvedi c. Italia (déc., no 66644/01, 2 dicembre 2004) la Corte ha stimato che "l'azione fondata sulla legge Pinto è una via di ricorso che i richiedenti devono avvalersi per soddisfare non solo all'articolo 35 § 1 della Convenzione per le affermazioni concernenti l'articolo 6 § 1, ma anche per quelle relative all'articolo 1 del Protocollo no 1."
31. La Corte ricorda avere considerato che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza no 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a contare di questa data che deve essere esatto dei richiedenti che si avvalgano di questo ricorso ai fini dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere Sgattoni c). Italia, no 77132/01, sentenza del 6 ottobre 2005, § 48).
32. I richiedenti avrebbero potuto investire dunque efficacemente la corte di appello competente al senso della legge Pinto per lamentarsi delle incapacità che derivano dal loro collocamento in fallimento, in particolare in ragione della durata del procedimento.
33. La Corte stima partendo che questa parte della richiesta è inammissibile per non-esaurimento delle vie di ricorso interne e deve essere respinta conformemente all'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO NO 1
34. I richiedenti si lamentano della limitazione dei loro diritti elettorali nella misura in cui questa costituisce una misura repressiva ed anacronistica, priva di una giustificazione legittima e che mira a punire ed emarginare il fallito. Invocano l'articolo 3 del Protocollo no 1, così formulato,:
"Le Alte Parti contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, delle elezioni libere dallo scrutino segreto, nelle condizioni che garantiscono la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo. "
A. Sull'ammissibilità
35. La Corte constata che questa lagnanza non è manifestamente male fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non si urta con nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
36. Il Governo sostiene che gli Stati godono di un largo margine di valutazione per stabilire le condizioni che restringono i diritti elettorali garantiti all'articolo 3 del Protocollo no 1 e che, comunque, la limitazione in questione ha una durata di cinque anni a partire dalla dichiarazione di fallimento.
37. I richiedenti considerano che la limitazione dei diritti elettorali del fallito si fonda sull'idea che questo sia penalmente responsabile del suo fallimento. Questa misura, non avendo altro scopo che quello di sancire il fallito, appare oggi anti-democratica e rappresenta un attentato alla dignità umana del fallito.
38. La Corte ricorda che l'articolo 3 del Protocollo no 1 implica i diritti soggettivi di voto e di eleggibilità (Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, sentenza del 2 marzo 1987, serie Ano 113, pp. 22-23, § 51) e considera che questi diritti sono cruciali per l'instaurazione ed il mantenimento dei fondamenti di una vera democrazia regolata dallo stato di diritto (Hirst c. Regno Unito (no 2), GC, no 74025/01, § 58). Ricorda anche che, per importanti che siano, questi diritti non sono però assoluti. Nei loro ordini giuridici rispettivi, gli Stati contraenti restringono i diritti di voto e di eleggibilità condizioni alle quali l'articolo 3 non mette in principio ostacolo. Godono in materia di un largo margine di valutazione, ma appartiene alla Corte di deliberare in ultima istanza sull'osservazione delle esigenze del Protocollo no 1; occorre che si assicuri che suddette condizioni non riducano i diritti di cui si tratta al punto di raggiungerli nella loro sostanza stessa e di privarli del loro effettività, che inseguono un scopo legittimo e che i mezzi impiegati non si rivelano sproporzionati (vedere Gitonas ed altri c. Grecia, sentenza del 1 luglio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV, § 39, Aziz c. Cipro, sentenza del 22 giugno 2004 no 69949/01, § 25, e Hirst, precitato, § 62).
39. Nello specifico, la Corte rileva che la misura controversa è contemplata dalla legge, ossia l'articolo 2, capoverso 1, lettera a, del decreto del presidente della Repubblica no 223 del 20 marzo 1967, modificato dalla legge no 15 del 16 gennaio 1992, ch prevede essenzialmente la sospensione dei diritti elettorali del fallito durante la durata del procedimento di fallimento e, in ogni caso, per un periodo non superiora a cinque anni a partire dalla dichiarazione di fallimento.
40. Evidentemente, questa misura costituisce un'ingerenza nei diritti elettorali dei richiedenti garantiti all'articolo 3 del Protocollo no 1.
Peraltro altre incapacità personali derivano della limitazione dei diritti elettorali, come, per esempio, l'impossibilità di occupare degli impieghi civili per lo stato.
41. Inoltre, la Corte nota che l'esercizio dei diritti elettorali dei richiedenti è stato sospeso dal 27 novembre 1996 al 27 novembre 2001 e che, durante questo periodo, hanno avuto luogo gli elezioni politiche del 13 maggio 2001.
42. In quanto allo scopo perseguito da questa misura, la Corte ricorda che, contrariamente ad altre disposizioni della Convenzione, l'articolo 3 del Protocollo no 1 non precisa né limiti gli scopi che una restrizione deve mirare. Una grande varietà di scopi può trovarsi compatibile con lui dunque (vedere § 74 Hirst, precitato, e, per esempio, Podkolzina c. Lettonia, no 46726/99, § 33, CEDH 2002-II).
La Corte rileva anche che nella causa Hirst (precitato, § 74) la Grande Camera della Corte ha constatato che la restrizione del diritto di voto dei detenuti poteva passare per mirare lo scopo di prevenire il crimine, rinforzare il senso civico ed il rispetto dello stato di diritto.
La Corte tiene a sottolineare che il procedimento di fallimento di cui è questione dipende non dal diritto penale ma dal diritto civile. Per questo fatto, ogni nozione di dolo o di frode della persona dichiarata fallita è estraneo ai fatti dello specifico, altrimenti si cadrebbe nell'ipotesi del reato di bancarotta semplice o fraudolenta, regolamentata dagli articoli 216 e 217 della legge sul fallimento. La Corte sottolinea inoltre che la limitazione dei diritti elettorali del fallito insegue una finalità di carattere essenzialmente afflittivo, mirando solo a deprezzare e punire, il fallito in quanto individuo indegno e coperto di infamia per la sola ragione che è stato oggetto di un procedimento di fallimento civile.
43. Alla vista di queste considerazioni, la Corte stima che la misura prevista dall'articolo 2 del decreto del presidente della Repubblica no 223 del 20 marzo 1967 non ha per scopo che sminuire il fallito e costituisce un biasimo morale per questo per il solo fatto di essere insolvibile ed a prescindere da ogni colpevolezza (vedere, mutatis mutandis, Sabou e Pircalab c. Romania, no 46572/99, § 48, 28 settembre 2004). Non insegue dunque un obiettivo legittimo. Peraltro, la Corte sottolinea che, lontano da essere un privilegio, votare costituisce un diritto garantito dalla Convenzione (vedere § 75 Hirst, precitato,).
Questa conclusione dispensa la Corte di verificare nello specifico se i mezzi adoperati per raggiungere lo scopo perseguito si rivelano sproporzionati.
C'è stata dunque violazione dell'articolo 3 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA
44. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto al rispetto della vita privata nella misura in cui, in ragione dell'iscrizione del loro nome nel registro dei falliti, non possono esercitare nessuna attività professionale o commerciale. Inoltre, denunciano il fatto che, secondo l'articolo 143 della legge sul fallimento, la loro riabilitazione che mette fine alle loro incapacità personali, non può essere chiesta che dopo cinque anni dalla chiusura del procedimento di fallimento.
45. L'articolo 8 della Convenzione è formulato così:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata.
2. Non si può avere ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto che per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e che costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui. "
A. Sull'ammissibilità
46. La Corte constata che questa lagnanza non è manifestamente male fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non si urta con nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Applicabilità dell'articolo 8 della Convenzione
47. La Corte rileva che la vita privata "ingloba il diritto per l'individuo di annodare e sviluppare delle relazioni coi suoi simili, ivi compreso nel campo professionale e commerciale" (C. c. Belgio, no 21794/93 § 25, CEDH 1996-III). La Corte considera anche che l'articolo 8 della Convenzione "protegge il diritto allo sviluppo personale ed il diritto di stabilire ed intrattenere dei rapporti con altri esseri umani ed il mondo esterno" (Pretty c. Regno Unito, no 2346/02, § 61, CEDH 2002-III) e che la nozione di "vita privata" non esclude in principio le attività di natura professionale o commerciale. Del resto, dopo tutto, è nel campo del lavoro che le persone annodano un gran numero di relazioni col mondo esterno (Niemietz c. Germania, sentenza del 16 dicembre 1992, serie A no 251-B, § 29). La Corte ricorda avere notato infine recentemente che l'interdizione a occupare un gran numero di impieghi nel settore privato tocca la "vita privata" (Sidabras e Džiautas c. Lituania, numeri 55480/00 e 59330/00, § 47, sentenza del 27 luglio 2004) tenuto conto anche dell'articolo 1 § 2 della Carta sociale europea, entrata in vigore in Italia il 1 settembre 1999, ai termini della quale "In vista di garantire l'esercizio effettivo del diritto al lavoro, le Parti si avviano a proteggere in modo efficace il diritto per il lavoratore di guadagnarsi da vivere con un lavoro liberamente intrapreso."
48. Nel caso di specifico, la Corte rileva che l'iscrizione del nome dei richiedenti nel registro dei falliti comprende una serie di incapacità personali previste dalla legge, come l'impossibilità di essere nominato tutore (articolo 350 del codice civile), l'interdizione di essere nominato amministratore e curatore di una società commerciale o cooperativa (articoli 2382, 2399, 2417 e 2516 del codice civile) l'esclusione ex lege del socio di una società (articoli 2288, 2293 e 2318 del codice civile,)l'incapacità di esercitare la professione di curatore (articolo 393 del codice civile), di agente di cambio (articolo 57 della legge no 272 di 1913) di revisore dei conti (articolo 5 del decreto reale no 228 di 1937) di arbitro (articolo 812 del codice di procedimento civile). Altre incapacità sono dovute al fatto che il fallito, non godendo più pienamente dei suoi diritti civili, non può iscriversi in certi quadri professionali, come quello di avvocato, di notaio e di consiglio commerciale. Dell'avviso della Corte, queste incapacità, influenzando la possibilità dei richiedenti di sviluppare delle relazioni col mondo esterno, tengono a non dubitare alla sfera della vita privata di questi (vedere, mutatis mutandis, Sidabras e Džiautas, precitata, § 48). L'articolo 8 della Convenzione è applicabile nello specifico dunque.
2. Osservazione dell'articolo 8 della Convenzione
49. Il Governo sostiene che le incapacità che derivano dall'iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti riguardano unicamente l'esercizio delle funzioni di tutore, l'amministrazione di una società e l'interdizione di occupare certi impieghi pubblici. È in fatto augurabile che una nessuno che non sia stato riabilitato, e che dunque non sia degno (meritevole), si occupi della gestione dei beni altrui. In questo spirito, la riabilitazione è accordata dal giudice purché le informazioni raccolte dalla polizia giudiziale siano positive e che non ci siano di condanne o processi a carico del fallito.
50. I richiedenti affermano che l'iscrizione del loro nome nel registro dei falliti e gli ostacoli alla concessione della riabilitazione costituiscono delle misure sproporzionate all'obiettivo di protezione dei creditori. Difatti, suddetta iscrizione e le numerose incapacità che ne derivano trovano le loro radici nel Rinascimento, epoca alla quale la dichiarazione di fallimento aveva un carattere essenzialmente penale.
51. La Corte rileva che, per conciliarsi col paragrafo 2 dell'articolo 8, un'ingerenza nell'esercizio di un diritto garantito da questo deve "essere prevista dalla legge", ispirata da uno o dagli scopi legittimi secondo questo paragrafo e "necessaria, in una società democratica", al perseguimento di questo o questi scopi (Dudgeon c. Regno Unito, sentenza del 22 ottobre 1981, serie A no 45, § 43).
52. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, la Corte osserva che suddette incapacità costituiscono un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata dei richiedenti evidentemente, e constata che questa ingerenza è prevista dalla legge, a sapere l'articolo 50 della legge sul fallimento così come la legislazione speciale di cui una parte è stata sopra menzionata.
53. Per ciò che è dello scopo perseguito, la Corte esprime dei dubbi in quanto alla legittimità di questa legislazione speciale,avendo la maggior parte delle incapacità menzionate la natura di una sanzione a carattere morale, come il Governo ammette implicitamente.
54. Allo stesso tempo, la Corte riconosce che certe incapacità inseguono lo scopo di proteggere i diritti altrui. Ciò è il caso, per esempio, dell'esclusione ex lege del socio fallito da una società il cui lo scopo è di preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio (vedere sentenza della Corte di cassazione no 75 del 1991).
55. La Corte considera che un'analisi esauriente degli obiettivi di ogni incapacità è resa difficile dall'abbondanza della legislazione in materia speciale.
56. Ora, anche supponendo che gli obiettivi dell'articolo 50 della legge sul fallimento e della legislazione speciale ivi relativa non siano illegittimi, ancora occorre che l'ingerenza in causa sia "necessaria in una società democratica" al senso dell'articolo 8 § 2 della Convenzione.
57. La Corte nota che le incapacità in questione non sono il risultato di una decisione giudiziale, ma costituiscono una conseguenza automatica del collocamento in fallimento.
In più, a differenza di certe incapacità che hanno per scopo di proteggere i creditori del fallimento, come la limitazione del diritto al rispetto dei beni, della corrispondenza o della libertà di circolazione che cominciano con la dichiarazione di fallimento e si concludono con la chiusura del procedimento, le incapacità che derivano dell'iscrizione del nome del fallito nel registro cessano solamente una volta ottenuta la cancellazione di questa iscrizione.
58. Questo ultima ha luogo con la riabilitazione civile che, al di là delle ipotesi di pagamento integrale dei crediti e di esecuzione regolare del concordato di fallimento, non può essere chiesta che con dal fallito che ha fatto prova di una "buona condotta effettiva e costante" durante almeno cinque anni dopo la chiusura del procedimento (articolo 143 della legge sul fallimento).
59. In questa ultima ipotesi, non si tratta di proteggere i creditori del fallimento, ma piuttosto di riparare il danno portato dal fallimento al bonum publicum. Con l'espressione "buona condotta" bisogna difatti, intendere un comportamento moralmente corretto del fallito nei confronti la società (vedere La crisi di impresa, il fallimento, precitato, p. 748).
60. In quanto al caso specifico, la Corte nota che, ad una data non precisata, i richiedenti introdussero una domanda per restringere il procedimento con un concordato. Rileva che, anche in questa ultima ipotesi, la riabilitazione è accordata solamente sotto certe condizioni, legate, tra altri, al carattere di dignità dell'anziano fallito ed alle circostanze del fallimento (vedere 143 capoverso 2 l'articolo della legge sul fallimento).
Messi da parte il caso di pagamento dei crediti, il ristabilimento delle capacità personali del fallito dipende dunque in parte da un giudizio di natura essenzialmente morale sulla dignità di questo.
61. Pure ricordando che il procedimento di fallimento di cui è questione dipende non dal diritto penale ma dal diritto civile, la Corte nota avere già constatato la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita familiare, in ragione dell'applicazione automatica ed assoluta di una pena accessoria, ossia l'interdizione di esercitare i diritti parentali, ad ogni persona che sconta una pena di prigione, senza nessuno controllo dei tribunali (vedere § 48 Sabou e Pircalab, precitato,).
Inoltre, nella causa Hirst (precitato, § 82) la Corte ha condannato la privazione del diritto di voto dei detenuti in ragione di ciò che questa misura costituiva una restrizione globale, automatica ed indifferenziata ad un diritto consacrato dalla Convenzione.
Infine, la Corte ricorda la causa P.G. c. Italia (no 22716/93) rapporto della Commissione del 26 giugno 1996, concernente il collocamento in fallimento di una società di fatto che esiste tra un padre e suoi figli, minorenne all'epoca dei fatti. La Commissione conclude alla violazione dell'articolo 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita privata del bambino. Ha stimato che il fatto che il tribunale del fallimento abbia respinto la domanda di riabilitazione introdotta da questo in ragione del solo fatto che i cinque anni dopo la chiusura del procedimento non erano trascorsi costituiva un'ingerenza sproporzionata dello stato rispetto allo scopo di proteggere i creditori del fallimento. Secondo la Commissione, il tribunale avrebbe dovuto prendere in conto le circostanze private della causa, ossia, tra altri, il fatto che il richiedente era di fatto minorenne all'epoca e che suo padre gestiva l'impresa in seguito in fallimento.
62. La Corte stima dunque che, in ragione della natura automatica dell'iscrizione del nome del fallito nel registro e nella mancanza di una valutazione e di un controllo giurisdizionale sull'applicazione delle incapacità relative, così come del lasso di tempo contemplato per l'ottenimento della riabilitazione, l'ingerenza contemplata all'articolo 50 della legge sul fallimento nel diritto al rispetto della vita privata del richiedente non è "necessaria in una società democratica" al senso dell'articolo 8 § 2 della Convenzione.
C'è stata dunque violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
63. Invocando l'articolo 13 della Convenzione, i richiedenti si lamentano di non disporre di un ricorso effettivo per lamentarsi delle incapacità patrimoniali e personali che toccano loro durante tutto il procedimento di fallimento e fino all'ottenimento della loro riabilitazione. Questo articolo è formulato così:
"Ogni persona di cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa dalle persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
A. Sull'ammissibilità
64. Secondo il Governo, i richiedenti avrebbero potuto introdurre un ricorso in opposizione al giudizio che dichiara il loro fallimento al senso dell'articolo 18 della legge sul fallimento, contestando così le incapacità patrimoniali e personali che derivano da questa. Avrebbero potuto introdurre anche un ricorso conformemente agli articoli 26 e 36 della legge sul fallimento.
65. I richiedenti sostengono che il ricorso in opposizione non costituisce un rimedio efficace per lamentarsi della limitazione prolungata delle capacità personali e patrimoniali del fallito.
66. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza costante, l'articolo 13 della Convenzione esige un ricorso interno per le sole lagnanze che si possano stimare "difendibili" allo sguardo della Convenzione. Garantisce l'esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi in sostanza dei diritti e libertà della Convenzione come si possono trovare consacrati. Questa disposizione esige un ricorso interno che abilita "l'istanza nazionale competente" a conoscere il contenuto della lagnanza fondata sulla Convenzione dunque ed ad offrire la correzione appropriata. Il ricorso deve essere "effettivo" in pratica come in diritto (vedere Soering c). Regno Unito, sentenza del 7 luglio 1989, serie Ha no 161, § 120, e Rotaru c. Romania [GC], no 28341/95, CEDH 2000-V, § 67).
67. In quanto alla parte della lagnanza concernente la limitazione prolungata del diritto al rispetto dei beni ( articolo 1 del Protocollo no 1) della corrispondenza (articolo 8 della Convenzione) e della libertà di circolazione (articolo 2 del Protocollo no 4) la Corte ricorda avere concluso alla sua inammissibilità. Pertanto, stima che, non trattandosi di lagnanze "difendibili" allo sguardo della Convenzione, questa parte della richiesta deve essere respinta in quanto manifestamente male fondata secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
68. In quanto alla parte della lagnanza che riguarda le incapacità personali che derivano dell'iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti e perdurando fino all'ottenimento della riabilitazione civile, la Corte constata che questa lagnanza non è manifestamente male fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non si urta con nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
69. La Corte osserva avere concluso alla violazione dell'articolo 8 della Convenzione in quanto al diritto al rispetto della vita privata dei richiedenti, in ragione della limitazione delle loro capacità personali che derivano dell'iscrizione del loro nome nel registro dei falliti e perdurando fino all'ottenimento della riabilitazione civile. Questa lagnanza riveste dunque indiscutibilmente un carattere "difendibile" allo sguardo della Convenzione. I richiedenti erano dunque in diritto di beneficiare di un ricorso interno effettivo al senso dell'articolo 13 della Convenzione.
70. La Corte osserva che il ricorso in opposizione al giudizio che dichiara il fallimento, regolamentato dall'articolo 18 della legge sul fallimento, contempla la possibilità per il fallito di investire il tribunale nel quindici giorni seguenti la cognizione effettiva del giudizio che dichiara il suo fallimento per contestare la legittimità di questo e di ottenerne la revoca. Dell'avviso della Corte, questo ricorso non costituisce un rimedio efficace per lamentarsi della limitazione delle capacità personali dei richiedenti che perdurano dunque fino all'ottenimento della riabilitazione civile, tenuto conto in particolare del termine contemplato per la sua introduzione (vedere Neroni c). Italia, no 7503/02, § 35, 22 aprile 2004.)
71. Per di più, la Corte osserva che l'articolo 26 della legge sul fallimento contempla certo la possibilità per il fallito di introdurre un ricorso dinnanzi al tribunale. Tuttavia, questo ricorso non ha per oggetto che le decisioni del giudice delegato e non può, per questo fatto, costituire un rimedio efficace contro i prolungamenti delle incapacità del fallito, conseguenza diretta del giudizio che dichiara il fallimento o dell'iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti e non di una decisione del giudice delegato.
In quanto all'articolo 36 della legge sul fallimento, contempla la possibilità di investire il giudice delegato per lamentarsi degli atti di amministrazione del curatore. Tuttavia, la Corte osserva che questo ricorso riguarda le attività di amministrazione del patrimonio del fallito compiute dal curatore fino alla vendita dei beni e la soddisfazione dei creditori. Non può essere dunque in nessun caso di natura tale da portare rimedio ai prolungamenti delle incapacità del fallito (Bottaro, precitato, § 45, e Ceteroni e Magri c. Italia, richieste numeri 22461/93 e 22465/93, decisione della Commissione del 17 ottobre 1994).
72. Peraltro, la Corte ricorda avere constatato la violazione dell'articolo 13 della Convenzione in quanto alla mancanza in diritto nterno di un ricorso effettivo per lamentarsi del controllo prolungato della corrispondenza del fallito (vedere §§ 41-46 Bottaro, precitato,).
73. Alla vista di ciò che precede, la Corte conclude che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione.
V. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
74. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
75. I richiedenti presentano una perizia che valuta a 27 486, 92 euro (EUR) il danno materiale subito da ciascuno dei richiedenti. Questa somma corrisponde al salario minimo (pensione sociale) che questi avrebbero ricevuto a partire dalla loro dichiarazione di fallimento. Chiedono anche 500 000 EUR ciascuno per il danno morale.
76. Il Governo contesta queste pretese.
77. La Corte non vede di legame di causalità tra le violazioni constatate ed il danno materiale addotto e respinge la domanda. In quanto al danno morale, stima che, avuto riguardo a tutte le circostanze della causa, la constatazione di violazione che figura nella presente sentenza fornisce in sé una soddisfazione equa sufficiente.
B. Oneri e spese
78. I richiedenti chiedono anche 19 979,39 EUR per gli oneri e spese incorse dinnanzi alla Corte così come 3 606,71 EUR per gli oneri di perizia.
79. Il Governo oppone a queste pretese.
80. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui vengono stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la sommo di 2 000 EUR a titolo degli oneri e spese per il procedimento dinnanzi alla Corte e l'accordo ai richiedenti.
C. Interessi moratori
81. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta inammissibile in quanto alle lagnanze derivate degli articoli 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della corrispondenza, 1 del Protocollo no 1, 2 del Protocollo no 4 e, in quanto alla limitazione prolungata del diritto al rispetto dei beni, della corrispondenza e della libertà di circolazione dei richiedenti, 13 della Convenzione, ed ammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c'è stata violazione degli articoli 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita privata, 3 del Protocollo no 1 e, in quanto alle incapacità personali che derivano dall'iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti, 13 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di violazioni costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dai richiedenti;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare ad ogni richiedente, nei tre mesi a contare del giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 2 000 EUR, duemila euro, per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 23 marzo 2006 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Vincent Pastore Boštjan Sig. Zupančič
Cancelliere Président
SENTENZA VITIELLO C. ITALIA