Conclusione Non-violazione di P1-1
TERZA SEZIONE
CAUSA SGATTONI C. ITALIA
,
( Richiesta no 77132/01)
SENTENZA
STRASBURGO
6 ottobre 2005
DEFINITIVO
15/02/2006
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Sgattoni c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
SIGG. B.M. Zupancic, presidente,
J. Hedigan, la Sig.ra Sig. Tsatsa-Nikolovska,
Sigg. V. Zagrebelsky, E. Myjer, Davide Thór Björgvinsson, la Sig.ra I. Ziemele, giudici,
e del Sig. V. Berger, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 settembre 2005,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 77132/01) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. F. S. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 24 marzo 2000 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da A. S., avvocato a Grottammare, Ascoli Piceno. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia, il suo coagente, il Sig. F. Crisafulli, ed il suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 18 marzo 2004, la Corte, prima sezione, ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e decise di comunicare al Governo le lagnanze tratte dagli articoli 6 § 1 della Convenzione, 8 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1937 e ha risieduto a Grottammare, Ascoli Piceno.
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato il 26 luglio 1991, il tribunale di Ascoli Piceno dichiarò il fallimento della società B. S.r.l. ("la società") di cui il richiedente era amministratore unico.
6. Il 5 agosto 1991, la società, nella persona del richiedente, fece opposizione dinnanzi allo stesso tribunale. Stimò che il tribunale non era territorialmente competente per decidere della causa; sul merito, osservò non essere in situazione di insolvenza.
7. Con un giudizio del 17 ottobre 1996, il tribunale di Ascoli Piceno respinse la domanda della società. Confermò la sua competenza territoriale nella causa ed osservò che, disponendo il creditore della società di titoli esecutivi, l'indebitamento di questa era provato.
8. Il 22 marzo 1997, certi beni immobili appartenenti al richiedente furono venduti alle aste.
9. Il 28 novembre 1997, la società interpose appello dinnanzi alla corte di appello di Ancona.
10. Con una sentenza depositata il 21 settembre 2000, la corte di appello accolse a questa domanda e dichiarò l'incompetenza territoriale del tribunale di Ascoli Piceno.
11. Con una decisione del 29 novembre 2000, il tribunale di Ascoli Piceno trasmise la pratica al tribunale di Fermo.
12. Il 31 dicembre 2000, il termine di durata della società, fissato nell'atto di costituzione di questa, scadde.
13. Il 29 gennaio 2001, l'assemblea della società, considerando la scadenza di suddetto termine, nominò il richiedente liquidatore al senso dell'articolo 2449 del codice civile.
14. Nel frattempo, con una decisione del 22 gennaio 2001, il tribunale di Ascoli Piceno precisò che, con la sentenza depositata il 21 settembre 2000, la corte di appello di Ancona aveva revocato il giudizio che dichiarava il fallimento della società, ed ordinò la restituzione a quest’ultima dei beni facenti parte del fallimento.
15. Il 14 marzo 2001, il tribunale di Fermo dichiarò d’ufficio il fallimento della società. Un'udienza fu fissata all’11 luglio 2001.
16. Il 10 aprile 2001, la società fece opposizione.
17. Il 3 luglio 2001, il tribunale di Fermo dichiarò esecutivo il passivo del fallimento. Il 20 settembre 2001, la società fece opposizione a questa decisione. Questa domanda fu respinta da un giudizio del tribunale di Fermo depositato il 2 dicembre 2003.
18. Nel frattempo, la società aveva introdotto una domanda di concordato dinnanzi al tribunale di Fermo il 3 ottobre 2001. Con una decisione del 10 aprile 2002, il tribunale dichiarò questa domanda inammissibile.
19. Con un giudizio depositato il 10 ottobre 2002, il tribunale di Fermo respinse l'opposizione della società introdotta il 10 aprile 2001 contro il giudizio dichiarante il fallimento d’ufficio.
20. Il 5 aprile 2003, la società interpose appello dinnanzi alla corte di appello di Ancona a questo ultimo giudizio.
21. Un'udienza fu fissata al 13 giugno 2007.
22. Ad una data non precisata, la società chiese che la data dell'udienza fosse anticipata.
23. Il 17 giugno 2003, la corte di appello anticipò l'udienza al 26 febbraio 2004.
24. Il procedimento di opposizione era ancora pendente al 23 maggio 2005.
25. Il 10 marzo 2005, il curatore depositò il conto di gestione del fallimento.
Ad una data non precisata, il giudice ordinò il deposito di suddetto conto e fissò al 3 maggio 2005 l'udienza per la presentazione delle eventuali osservazioni delle parti interessate.
26. In questa data, il conto di gestione fu approvato.
2. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
27. Il 4 aprile 2002, il richiedente, a suo nome ed in quanto liquidatore della società, introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello dell'Aquila ai sensi della legge Pinto.
28. In particolare, il richiedente si lamentò del fatto che seguito alla revoca del giudizio che dichiarava il fallimento della società e fino al 23 gennaio 2001, il tribunale di Ascoli Piceno non aveva restituito a questa i suoi beni, ivi compreso i libri della società-libri sociali. Ciò avrebbe impedito alla società di riunire la sua assemblea per prolungare il suo termine di durata e di evitare così il collocamento in liquidazione automatica. In più, questa situazione avrebbe ostacolato la possibilità di proporre un concordato extragiudiziale o di aderire al procedimento di amministrazione straordinaria, evitando così la dichiarazione di fallimento. Infine, il 24 maggio 1996, in seguito all'asta pubblica di un immobile facente parte di un campeggio, l'intera attività sarebbe stata trasferita all'acquirente.
29. Con una decisione del 4 giugno 2002, la corte di appello osservò che la durata del procedimento era ragionevole e respinse la domanda del richiedente.
30. Il 5 febbraio 2003, il richiedente, a suo nome ed in quanto liquidatore della società, ricorse in cassazione.
31. Questo procedimento era ancora pendente al 31 gennaio 2005.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
32. La legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, dispone:
Articolo 42
"Il giudizio che dichiara il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di suddetto giudizio. (...) "
Articolo 48
"La corrispondenza indirizzata al fallito deve essere rimessa al curatore che ha il diritto di trattenere quella relativa agli interessi patrimoniali. Il fallito può prendere cognizione della corrispondenza. Il curatore deve mantenere il segreto sul contenuto dalla corrispondenza che non riguarda suddetti interessi. "
33. Il codice civile dispone:
Articolo 2448
"La società per azioni si scioglie per scadenza del termine della sua durata o in seguito alla dichiarazione di fallimento. "
Articolo 2449
"Una volta sciolta la società per azioni, l'amministratore non può più intraprendere nuove operazioni.
Entro trenta giorni, si deve convocare l'assemblea per le decisioni relative alla liquidazione. Gli amministratori sono responsabili della conservazione dei beni della società fino al momento in cui suddetti beni vengono rimessi ai liquidatori. (...) "
IN DIRITTO
SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEI GLI ARTICOLI 1 DEL PROTOCOLLO NO 1, 8 DELLA CONVENZIONE, 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 13 DELLA CONVENZIONE
34. Invocando l'articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta della violazione del diritto della società al rispetto dei beni, in ragione della durata del procedimento. Inoltre, si lamenta del fatto che, in seguito alla revoca del giudizio che dichiara il fallimento della società e fino al 23 gennaio 2001, il tribunale di Ascoli Piceno non ha restituito a questa i suoi beni, ivi compreso i libri della società-libri sociali. Ciò avrebbe impedito alla società di riunire la sua assemblea per prolungare il suo termine di durata e di evitare così il collocamento in liquidazione automatica. In più, questa situazione avrebbe ostacolato la possibilità di proporre un concordato extragiudiziale o di aderire al procedimento di amministrazione straordinaria, evitando così la dichiarazione di fallimento. Infine, il 24 maggio 1996, in seguito all'asta pubblica di un immobile che fa parte di un campeggio, "l'intera attività sarebbe stata trasferita all'acquirente."
35. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta della violazione del diritto al rispetto della corrispondenza della società in ragione del fatto che, "per mesi" dopo la revoca del giudizio dichiarante il fallimento, la corrispondenza è stata indirizzata al curatore del fallimento e non direttamente alla società.
36. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta anche della durata del procedimento.
37. Infine, in una lettera mandata alla cancelleria della Corte il 24 maggio 2005, il richiedente adduce la violazione dell'articolo 13 della Convenzione, denunciando la mancanza di un ricorso effettivo in ragione dell'asta pubblica di certi beni facenti parte dell'attivo del fallimento mentre il procedimento in opposizione era pendente.
38. Il testo di questi articoli si legge come segue:
Articolo 1 del Protocollo no 1
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
Articolo 8 della Convenzione
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. "
Articolo 6 della Convenzione
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile "
Articolo 13 della Convenzione
"Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, allorché la violazione sarebbe stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
A. Sull'ammissibilità
1. L'esaurimento della via di ricorso previsto dalla legge Pinto in materia di fallimento
39. Il Governo sostiene al primo colpo che la richiesta dovrebbe essere respinta per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, essendo il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto pendente in cassazione. Ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, sentenza no 17261 del 2002, il rimedio previsto dalla legge Pinto è efficace per lamentarsi della violazione del diritto del richiedente al rispetto della corrispondenza e dei beni.
40. In più, il Governo sottolinea che, nelle cause Mascolo c. Italia, déc., no 68792/01, 16 ottobre 2003, e Provvedi c. Italia, déc., no 66644/01, 2 dicembre 2004, concernente un procedimento di sfratto di inquilino, la Corte ha affermato che la lagnanza derivata dell'articolo 1 del Protocollo no 1, in quanto all'impossibilità prolungata di disporre dei beni, era legata rigorosamente a quello tratta dall'articolo 6 § 1 della Convenzione riguardante la durata del procedimento.
41. Il richiedente considera che il rimedio previsto dalla legge Pinto riguarda unicamente il risarcimento del danno subito in ragione della durata eccessiva del procedimento e non anche di quello derivante dalla limitazione prolungata del diritto al rispetto della corrispondenza e dei beni.
42. La Corte osserva che, nella sentenza no 17261 del 2002, la Corte di cassazione ha affermato che il fallito è titolare del diritto alla durata ragionevole del procedimento, tenuto conto in particolare delle limitazioni personali alle quali è sottoposto durante tutto il procedimento, come quelle contemplate agli articoli 42, 43, 48, 49 e 50 della legge sul fallimento così come quelle previste dalla legislazione speciale.
43. La Corte stima che questa sentenza si limita ha considerare l'applicabilità della legge Pinto ai procedimenti di fallimento e non costituisce in sé una garanzia che il rimedio previsto dalla legge Pinto possa essere utilizzato efficacemente per lamentarsi delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento.
44. Allo stesso tempo, la Corte rileva che, nella sentenza no 362 del 2003 depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione, confermando che una decisione della corte di appello di Venezia relativa ad un ricorso, introdotto conformemente alla legge Pinto riguardante la durata di un procedimento di fallimento, ha affermato che la liquidazione del danno non patrimoniale è il risultato di una valutazione del giudice, che deliberando in equità che deve tenere conto di ogni circostanza del caso di specifico. Ha osservato che "la decisione attaccata ha, a buon diritto, affermato che, nel caso specifico, il danno morale è il risultato di una situazione di malessere del richiedente dovuta al prolungamento, al di là del termine ragionevole del procedimento, dello statuto di fallito e delle limitazioni ivi relative riguardanti la libertà di circolazione, i diritti elettorali, la possibilità di esercitare delle libere professioni, e che la liquidazione di suddetto danno non può attuarsi che attraverso una valutazione equa che tenga conto, in più della durata del procedimento, della natura particolare dei diritti della persona totalmente o parzialmente “toccati".
45. Peraltro, in quanto alla lagnanza derivata dall'articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte ricorda che, nella causa Mascolo, precitata, ha stimato che la violazione del diritto di proprietà era legata "rigorosamente alla durata del procedimento di cui costituisce una conseguenza indiretta" e che era dunque "probabilmente nella cornice dello stesso rimedio previsto dalla legge Pinto che i richiedenti potevano fare valere le loro affermazioni concernenti le ripercussioni finanziarie che la lunghezza eccessiva del procedimento ha avuto sul loro diritto di proprietà." In più, nella causa Provvedi, precitata, la Corte ha stimato che "l'azione fondata sul legge Pinto è una via di ricorso che i richiedenti devono utilizzare per soddisfare non solo l'articolo 35 § 1 della Convenzione per le affermazioni concernenti l'articolo 6 § 1, ma anche per quelle relative all'articolo 1 del Protocollo no 1."
46. La Corte ricorda che la regola dell'esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Bisogna avere più riguardo delle circostanze della causa, controllando il rispetto. Ciò notifica in particolare che la Corte deve tenere non solo conto in modo realista dei ricorsi contemplati in teoria nel sistema giuridico della Parte contraente riguardata, ma anche del contesto giuridico in che si trovano, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 77, CEDH 1999-V.
47. Nel caso di specifico, la Corte stima che, a contare dalla sentenza della Corte di cassazione depositata il 14 gennaio 2003, la via di ricorso interno prevista dalla legge Pinto aveva acquisito un grado di certezza giuridica sufficiente non solo in teoria ma anche in pratica da potere e dovere essere utilizzata a prima vista ai fini dell'articolo 35 §1 della Convenzione, questo, fin dal giorno del deposito alla cancelleria della sentenza, Broca e Texier-Micault c. Francia, numero 27928/02 e 31694/02, § 19, 21 ottobre 2003.
48. Tuttavia, è chiaro che per certi richiedenti il termine per introdurre un ricorso conformemente alla legge Pinto poteva concludersi nei giorni seguenti suddetto deposito. Conviene fissare una data posteriore a quella del deposito della sentenza che prende in considerazione il tempo per avere cognizione di questa dunque. La Corte giudica ragionevole considerare che la sentenza in questione non possa più essere ignorata dal pubblico a partire dal 14 luglio 2003. Conclude che è a partire da questa data che deve essere esatto dai richiedenti che utilizzino questo ricorso ai fini dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Di Salute c. Italia, no 56079/00, déc., 24 giugno 2004).
49. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, la Corte stima che, nel caso specifico, all'epoca dell'introduzione del ricorso al senso della legge Pinto, il 4 aprile 2002, il richiedente non si sarebbe potuto lamentare efficacemente delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento, in particolare in ragione della durata del procedimento. Stima dunque che questa eccezione del Governo deve essere respinta.
2. Il periodo che precede il 29 gennaio 2001
50. Il Governo sostiene poi che, a partire dal momento in cui la società è fallita, il suo amministratore unico, il richiedente, ha cessato le sue funzioni di gestione e di rappresentanza di questa. La presente richiesta dovrebbe pertanto essere respinta, non avendo il richiedente interesse ad agire.
51. Il richiedente osserva essere stato nominato liquidatore il 29 gennaio 2001.
52. La Corte ricorda che, nei trenta giorni che seguono la dichiarazione di fallimento, gli amministratori di una società devono convocare l'assemblea di questa per le decisioni relative alla liquidazione, articoli 2448 e 2449 del codice civile. In più, in seguito alla nomina del liquidatore della società, l'amministratore che non rappresenta più la società fallita, smette di esistere sul piano giuridico ed il liquidatore devia il rappresentante legale di questa (vedere la sentenza della Corte di cassazione no 2878 del 1985).
53. La Corte rileva poi che il richiedente non è stato nominato liquidatore della società che il 29 gennaio 2001. Rileva dunque che, per il periodo anteriore a questa data, il richiedente non aveva il potere di introdurre un ricorso dinnanzi alla Corte per conto della società. Non potendo definirsi vittima delle violazioni che adduce in quanto a questo periodo, questa parte della richiesta deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
54. Così, la Corte stima che la parte della lagnanza derivata dall'articolo 1 del Protocollo no 1 che dipende dalla mancanza addotta di restituzione dei libri della società fino al 23 gennaio 2001 così come del trasferimento di proprietà che ha avuto luogo il 24 maggio 1996, deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione, risalendo i fatti a date anteriori al 29 gennaio 2001.
3. Il periodo posteriore al 29 gennaio 2001
55. In quanto alla parte della lagnanza che riguarda la limitazione del diritto al rispetto della proprietà in ragione della durata del procedimento, in quanto al periodo posteriore al 29 gennaio 2001, la Corte constata che non è manifestamente male fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Peraltro non si urta contro nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
56. Per ciò che riguarda la lagnanza derivata dall'articolo 8 della Convenzione, secondo il Governo il richiedente, in quanto amministratore, non è stato sottoposto alla limitazione del suo diritto al rispetto della corrispondenza.
In ogni caso, il Governo stima che la limitazione del diritto al rispetto della corrispondenza del fallito contemplata dalla legge sul fallimento non è sproporzionata all'obiettivo di proteggere i creditori.
57. Il richiedente osserva che la società è stata sottoposta al controllo della corrispondenza conformemente all'articolo 48 della legge sul fallimento.
58. La Corte stima che questa parte della richiesta non è stata supportata e deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
59. In quanto alla lagnanza tratta dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, il Governo sostiene che, il procedimento in opposizione al giudizio che dichiara il fallimento introdotto dal richiedente ha provocato la durata del procedimento di fallimento. Il Governo non potrebbe essere ritenuto per responsabile di suddetta durata dunque.
60. Il richiedente si oppone a questa tesi.
61. La Corte considera che, essendo pendente il procedimento introdotto dinnanzi alla Corte di cassazione conformemente alla legge Pinto, questa parte della richiesta è prematura e deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
62. Infine, in quanto alla lagnanza derivata dell'articolo 13 della Convenzione, la Corte rileva che è stata introdotta tardivamente, dopo la comunicazione della richiesta al Governo. Stima dunque che è inammissibile.
B. Sul merito
63. Per ciò che riguarda la parte della lagnanza che riguarda la limitazione del diritto al rispetto della proprietà in ragione della durata del procedimento, in quanto al periodo posteriore al 29 gennaio 2001, la Corte considera che questo periodo è di circa quattro anni e tre mesi. Durante questo tempo, un procedimento in opposizione al giudizio dichiarante il fallimento è stato introdotto dalla società dinnanzi al tribunale di Fermo. In seguito al rigetto di questa opposizione, il 5 aprile 2003, la società interpose appello dinnanzi alla corte di appello di Ancona. Peraltro, ad una data non precisata, la società chiese che la data dell'udienza, fissata al 13 giugno 2007, fosse anticipata e, il 17 giugno 2003, la corte di appello accolse questa domanda, anticipando la data al 26 febbraio 2004.
64. Alla vista di questi elementi, la Corte stima che la durata del procedimento di fallimento non ha provocato la rottura dell'equilibrio da predisporre tra gli interessi generali al pagamento dei creditori del fallimento e l'interesse della società al rispetto dei suoi beni (vedere, mutatis mutandis, Luordo c. Italia, no 32190/96, § 70, CEDH 2003-IX).
65. Pertanto, non c'è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto alla lagnanza derivata dall'articolo 1 del Protocollo no 1 per il periodo posteriore al 29 gennaio 2001 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che non c'è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 6 ottobre 2005 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Vincent Pastore Boštjan Sig. Zupancic
Cancelliere Presidente