Conclusione Eccezione preliminare respinta, incompetenza in quanto all'art. 6,; eccezione preliminare respinta, non-esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto all'art. 7,; violazione dell'art. 7; eccezione preliminare unita al merito, non-esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto all'art. 6,; eccezione preliminare respinta, Non-esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto all'art. 6,; violazione dell'art. 6; danno morale - risarcimento
GRANDE CAMERA
CAUSA SCOPPOLA C. Italia (No 2)
(Richiesta no 10249/03)
SENTENZA
STRASBURGO
17 settembre 2009
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Scoppola c. Italia (no 2),
La Corte europea dei diritti dell'uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Nicolas Bratza, Peer Lorenzen, Francesca Tulkens, Josep Casadevall, Ireneu Cabral Barreto, Rait Maruste, Alvina Gyulumyan, Danutė Jo�ienė, Ján Šikuta, Dragoljub Popović, Marco Villiger, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, András Sajó, Mirjana Lazarova Trajkovska, giudici, Vitaliano Esposito, giudice ad hoc,
e da Michael O'Boyle, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 7 gennaio e l’8 luglio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 10249/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. F. S. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 24 marzo 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da N. P., A. M e G. P., avvocati a Roma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare che la sua condanna allìergastolo aveva infranto gli articoli 6 e 7 della Convenzione.
4. La richiesta è stata assegnata alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell'ordinamento della Corte). Il 13 maggio 2008, è stata dichiarata parzialmente ammissibile da una camera di suddetta sezione, composta dai giudici di cui segue il nome,: Francesca Tulkens, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Danutë Jo�ienė, Dragoljub Popović, Andrįs Sajó e Vitaliano Esposito, così come di Sally Dollé, cancelliera di sezione. Il 2 settembre 2008, la camera si è disfatta a profitto della Grande Camera. Il richiedente non si oppose allo scioglimento; dopo avere formulato simile opposizione, il Governo l'ha ritirata (articoli 30 della Convenzione e 72 dell'ordinamento).
5. La composizione della Grande Camera è stata definita conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell'ordinamento. In seguito all'astensione di Vladimiro Zagrebelsky, giudice eletto a titolo dell'Italia, il Governo ha designato Vitaliano Esposito per riunirsi in qualità di giudice ad hoc (articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 dell'ordinamento).
6. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato un esposto sul merito della causa.
7. Un'udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, il 7 gennaio 2009 (articolo 59 § 3 dell'ordinamento).
Sono comparsi:
-per il Governo il
Sig. N. Lettieri, magistrato, co-agente aggiuntoe,
-per il richiedente
Sig. N. P., avvocato, la Sig.ra A. M, avvocato, consigliere, la
Sig.ra G. P., avvocato, consigliere,.
La Corte ha sentito i Sigg. P. e Lettieri e la Sig.ra M nelle loro dichiarazioni, così come nelle loro risposte alle domandedella Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
8. Il richiedente, nato nel 1940, è attualmente detenuto nel penitenziario di Parma.
9. Il 2 settembre 1999, al termine di una lite coi suoi due figli, il richiedente ha ucciso sua moglie e ha ferito uno dei suoi figli. Fu arrestato il 3 settembre.
10. Al termine dell'inchiesta, la procura di Roma chiese il rinvio del richiedente in giudizio per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti inflitti ai membri della sua famiglia e porto d’ arma proibita.
11. All'udienza del 18 febbraio 2000 dinnanzi al giudice dell'udienza preliminare (giudice dell'udienza preliminare-qui di seguito "il GUP") di Roma, il richiedente chiese di essere giudicato secondo il procedimento secondo rito abbreviato, un passo semplificato che provoca, in caso di condanna, una riduzione della pena. Come in vigore in questa data, l'articolo 442 § 2 del codice di procedimento penale ("il CPP") contemplava che, se il crimine commesso dall'imputato richiedeva l’ergastolo, l'interessato doveva essere condannato ad una pena di detenzione di trent' anni (paragrafo 29 qui di seguito)
12. Il GUP accettò di applicare il procedimento secondo rito abbreviato. Altre udienze ebbero luogo il 22 settembre e il 24 novembre 2000. Questa ultima udienza cominciò alle 10 h 19.
13. Il 24 novembre 2000, il GUP emise un verdetto di colpevolezza contro il richiedente. Constatò che l'interessato doveva essere condannato all’ergastolo; però, in ragione dell'adozione del procedimento a rito abbreviato, fissò la pena a trent' anni di detenzione.
14. Il 12 gennaio 2001, la procura generale presso la corte di appello di Roma ricorse in cassazione contro il giudizio del GUP di Roma del 24 novembre 2000. Affermò che il GUP avrebbe dovuto applicare l'articolo 7 del decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000, entrato in vigore il giorno stesso della pronunzia del giudizio di condanna. Dopo le modifiche introdotte dal Parlamento, questo decreto-legge era stato convertito nella legge no 4 del 19 gennaio 2001.
15. La procura osservò in particolare che l'articolo 7 precitato aveva modificato l'articolo 442 del CPP e contemplava che in caso di procedimento con rito abbreviato la reclusione all’ "ergastolo" doveva sostituire la reclusione all’ "ergastolo con isolamento diurno" quando c'era "concorso di violazioni" (concorso di reati) o "reato continuo" (reato continuato-paragrafo 31 qui di seguito). La mancata applicazione di questo testo da parte del GUP si analizzava in "un errore di dritto manifesto" (evidente errore di diritto).
16. Il 5 e il 22 febbraio 2001, il richiedente interpose appello. A titolo principale, chiese di essere prosciolto per mancanza dell’ elemento intenzionale nella sua condotta o per difetto di discernimento e di volontà (incapacità di intendere e di volere) al momento della commissione delle violazioni. A titolo accessorio, sollecitò una riduzione della pena.
17. Siccome c'erano due ricorsi dinnanzi a due giurisdizioni di grado differente, il ricorso in cassazione della procura fu trasformato in appello e la corte d’assise d ‘appello di Roma fu dichiarata competente per il seguito del procedimento (articolo 580 del CPP).
18. L'udienza in camera del consiglio dinnanzi alla corte d’assise d’ appello di Roma si tenne il 10 gennaio 2002. Il richiedente non era presente e fu giudicato in contumacia. Adduce che, in ragione delle sue difficoltà a camminare, aveva chiesto di essere condotto nella sala dell’ udienza tramite un'ambulanza o un altro veicolo adattato; essendo stata respinta questa richiesta dalla direzione del penitenziario, sarebbe stato privato della possibilità di partecipare al processo d’appello.
19. Con una sentenza del 10 gennaio 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 23 gennaio 2002, la corte d’assise d’appello condannò il richiedente all’ergastolo.
20. Osservò che prima dell'entrata in vigore del decreto-legge no 341 del 2000, l'articolo 442 § 2 del CPP era interpretati nel senso che l’ergastolo avrebbe dovuto essere sostituito da una pena di trent'anni di prigione, e questo a prescindere dalla possibilità di applicare l'isolamento diurno conformemente ad un concorso di reato. Seguendo questo approccio, il GUP aveva fissato la pena rispetto al reato più grave, senza dedicarsi alla questione di sapere se bisognasse ordinare l'isolamento diurno in ragione della constatazione di colpevolezza pronunciata per gli altri capi di accusa contro il richiedente.
21. Ora il decreto-legge no 341 del 2000 era entrato in vigore il giorno stesso della pronunzia del giudizio del GUP. Siccome si trattava di una regola di procedimento, si trovava ad applicare ad ogni processo in corso, secondo il principio tempus regit actum. La corte di appello ricordò peraltro che ai termini dell'articolo 8 di suddetto decreto-legge, il richiedente avrebbe potuto togliere la sua istanza di adozione del procedimento a rito abbreviato e avrebbe potuto farsi giudicare secondo il procedimento ordinario. Non avendo fatto il richiedente una simile scelta, la decisione di prima istanza avrebbe dovuto tenere conto della regolamentazione delle pene sopraggiunte nel frattempo.
22. Il 18 febbraio 2002, il richiedente ricorse in cassazione. Addusse, in primo luogo, che il processo d’appello doveva essere dichiarato nullo e non avvenuto perché non aveva avuto la possibilità di partecipare, in quanto imputato, all'udienza del 10 gennaio 2002. Nel secondo e terzo mezzo del suo ricorso, il richiedente affermò che i giudici del merito non avevano motivato debitamente l'esistenza del dolo trattandosi del reato di omicidio, né l'esistenza in lui discernimento e di volontà al momento della commissione dei fatti delittuosi. Infine, contestò una circostanza aggravante considerata a suo carico, di avere agito per ragioni futili, e si lamentò del rifiuto di concedergli delle circostanze attenuanti.
23. Il 31 luglio 2002, il richiedente presentò dei nuovi mezzi di ricorso. Addusse che avrebbe dovuto essere effettuata una nuova perizia che mirava a determinare il suo stato psichico al momento della commissione dei reati e sviluppò dei nuovi argomenti sulla questione delle circostanze aggravanti ed attenuanti. Sostenne infine che la pena giudicata applicabile al suo caso, ergastolo con isolamento, era eccessiva.
24. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 20 gennaio 2003, la Corte di cassazione respinse il ricorso del richiedente.
25. Il 18 luglio 2003, il richiedente introdusse un ricorso straordinario per errore di fatto (articolo 625 bis del CPP). Addusse, in primo luogo, che l'affermazione delle giurisdizioni interne secondo la quale avrebbe potuto essere condotto all'udienza d’appello con un mezzo di trasporto ordinario, e non richiedeva un'ambulanza, era il risultato di una lettura erronea dei documenti della pratica. In più, la sua assenza a questa udienza in qualità di imputato si analizzava in una violazione dell'articolo 6 della Convenzione. Il richiedente addusse anche che la sua condanna all’ergastolo in seguito alle modifiche introdotte dal decreto-legge no 341 del 2000, e dunque tramite una disposizione penale retroattiva, si analizzava in una violazione dell'articolo 7 della Convenzione e dei principi del processo equo. Stimò che la rinuncia alle garanzie procedurali che aveva fatto chiedendo il procedimento con rito abbreviato non era stata compensata dalla riduzione di pena promessa dallo stato al momento di questa scelta. Infine, considerò che l’ergastolo era una pena disumana e degradante e dunque contraria all'articolo 3 della Convenzione.
26. Con una sentenza del 14 maggio 2004 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 ottobre 2004, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso straordinario del richiedente inammissibile. Osservò che l'interessato non denunciava degli errori di fatto commessi dalle giurisdizioni interne ma intendeva, essenzialmente , rimettere in questione la valutazione dei punti di diritto emanati dalla Corte di cassazione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. Il procedimento con rito abbreviato
27. Il procedimento con rito abbreviato è regolato dagli articoli 438 e 441 a 443 del CPP. Si basa sull'ipotesi che la causa può essere decisa in stato (pronto stato degli atti) all'epoca dell'udienza preliminare. La richiesta può essere fatta, oralmente o per iscritto, finché le conclusioni non sono state presentate all'udienza preliminare. In caso di adozione del procedimento con rito abbreviato, l'udienza ha luogo in camera del consiglio ed è consacrata alle arringhe delle parti. In principio, le parti devono basarsi sui documenti che figurano nella pratica della procura, anche se, in via eccezionale, delle prove orali possono essere ammesse. Se il giudice decide di condannare l'imputato, la pena inflitta viene ridotta di uno terzo (articolo 442 § 2). Le disposizioni interne pertinenti sono descritte nella sentenza Hermi c. Italia ([GC], no 18114/02, §§ 27-28, CEDH 2006 -...).
28. La Corte ha dato anche un'idea delle disposizioni che regolano il procedimento con rito abbreviato nella sua sentenza Fera c. Italia (no 45057/98, 21 aprile 2005,). All'epoca dei fatti interessati dalla richiesta Fera, il procedimento con abbreviato non era ammesso per i crimini che provocano l’ergastolo. Difatti, con la sentenza no 176 del 23 aprile 1991, la Corte costituzionale aveva annullato la disposizione del CPP che contemplava questa possibilità , perché questa andava al di là della delegazione di poteri che il Parlamento aveva dato al Governo per l'adozione del nuovo CPP.
B. Le modifiche dell'articolo 442 del CPP con la legge no 479 del 16 dicembre 1999
29. Con la legge no 479 del 16 dicembre 1999, entrata in vigore il 2 gennaio 2000, il Parlamento ha reintrodotto la possibilità di fare beneficiare del procedimento con rito abbreviato all'imputato che incorre in una condanna all'ergastolo. L'articolo 30 di questa legge è formulato così:
Articolo 30
"Le seguenti modifiche sono introdotte all'articolo 442 del CPP:
(...)
b) al paragrafo 2, dopo la prima frase viene aggiunta [la seconda ed ultima frase] seguente: "L’ergastolo viene sostituita da una detenzione di trent' anni. "
C. Il decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000
30. Il decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000, entrato in vigore lo stesso giorno e convertito nella legge no 4 del 19 gennaio 2001, mira a dare un'interpretazione autentica della seconda frase del paragrafo 2 dell'articolo 442 del CPP. Ha introdotto anche un terzo paragrafo a questa disposizione.
31. In suddetto decreto-legge figurano, sotto il capitolo intitolato "Interpretazione autentica dell'articolo 442 § 2 del CPP e disposizioni in materia di procedimento con rito abbreviato nei processi per i reati puniti con l’ergastolo", gli articoli 7 e 8, così formulati:
Articolo 7
"1. All'articolo 442, paragrafo 2, [seconda e] ultima frase, del CPP, la porzione della frase "pena di all’ergastolo " deve essere interpretata come facente riferimento all’ergastolo senza isolamento diurno.
2. All'articolo 442, paragrafo 2, del CPP viene aggiunta, alla fine, la seguente frase: "La pena all’ergastolo con isolamento diurno, nell'ipotesi di un concorso di reato o di un reato continuo, è sostituita dall’ergastolo. "
Articolo 8
"1. Nella cornice dei procedimenti penali pendenti in data dell’ entrata in vigore del presente decreto-legge, quando può essere fatta o quando è stata fatta applicazione dell’ergastolo con isolamento diurno, se il procedimento con rito abbreviato è stato chiesto, l'imputato può togliere la sua richiesta entro trenta giorni a contare dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. In questa ipotesi, i perseguimenti riprendono secondo il procedimento ordinario nello stato in cui si trovavano nel momento in cui la richiesta è stata fatta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti possono essere utilizzati nei limiti stabiliti dall'articolo 511 del CPP.
2. Quando, in ragione di un ricorso del pubblico ministero, è possibile applicare le disposizioni che figurano all'articolo 7, l'imputato può togliere la richiesta di cui è questione al capoverso 1 entro trenta giorni a contare dal momento in cui ha avuto cognizione del ricorso del pubblico ministero o, se questo è stato fatto prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, entro trenta giorni a contare da questa ultima data. Viene fatta applicazione delle disposizioni della seconda e terza frase del capoverso 1. "
D. L'articolo 2 del codice penale
32. L'articolo 2 del codice penale ("il CP") del 1930, intitolato "Successione delle leggi penali", si legge come segue:
"1. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge in vigore nel momento in cui è stato commesso, non era costitutivo di reato.
2. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non è costitutivo di reato; se c'è stata condanna, la sua esecuzione ed i suoi effetti penali cessano.
3. Se la legge in vigore nel momento in cui il reato è stato commesso e queste [leggi] posteriori sono differenti, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato, salvo se c'è stata pronunzia di un giudizio definitivo.
4. Le disposizioni di questi [due] capoversi che precedono non si applicano quando si tratta di leggi eccezionali e temporanee.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di decadimento [decadenza] e di non-conversione di un decreto-legge e nell'ipotesi di un decreto-legge convertito in legge con modifiche. "
E. La pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale
33. Il decreto reale no 1252 del 7 giugno 1923 contempla che la Gazzetta ufficiale (Gazzetta ufficiale) viene pubblicata dal ministero di Giustizia. L'articolo 2 di questo testo si legge come segue:
"La pubblicazione avrà luogo tutti i giorni lavorativi nel corso del pomeriggio (nelle ora pomeridiane). "
34. Con la sentenza no 132 del 19 maggio 1976, la Corte costituzionale ha precisato che la pubblicazione di una legge sulla Gazzetta ufficiale era il "momento essenziale e decisivo" dei passi che miravano a fare conoscere un testo legislativo. Peraltro, l'espressione "pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale" presupponeva che questo ultimo fosse messo in circolazione e dunque accessibile al pubblico. La Corte costituzionale ha stimato in particolare che il termine "pubblicazione delle leggi "sulla" Gazzetta ufficiale poteva significare solamente perciò pubblicazione "della" Gazzetta ufficiale : a difetto si andrebbe contro il procedimento stesso della pubblicazione degli atti legislativi che, anche da un punto di vista storico, ha per scopo di creare una situazione obiettiva che permetta infatti ad ogni individuo di conoscere gli atti in questione (“situazione oggettiva di effettiva conoscibilità , da parte di tutti, degli atti medesimi. ")
III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
A. Il Patto delle Nazioni Unite relativo ai diritti civili e politici
35. L'articolo 15 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato dall'assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 2200 A (XXI) del 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976, è formulato così:
"1. Nessuno sarà condannato per azioni od omissioni che non costituivano un atto delittuoso secondo il diritto nazionale o internazionale nel momento in cui sono state commesse. Parimenti, non sarà inflitta nessuna pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso. Se, dopo questo reato, la legge contempla l'applicazione di una pena più leggera, il delinquente deve beneficiarne.
2. Niente nel presente articolo si oppone al giudizio o alla condanna di ogni individuo in ragione di atti od omissioni che, nel momento in cui sono stati commessi, erano ritenuti per criminali, secondo i principi generali di diritto riconosciuto dall'insieme delle nazioni. "
B. La Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo
36. L'articolo 9 della Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo, adottata il 22 novembre 1969 alla Conferenza specializzata interamericana sui diritti dell'uomo ed entrata in vigore il 18 luglio 1978, si legge come segue:
"Nessuno può essere condannato per un'azione od omissione che non costituiva, nel momento in cui ha avuto luogo, un reato secondo il diritto applicabile. Parimenti, non può essere inflitta nessuna pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso. Se dopo la data del reato viene decretata una pena più leggera dalla legge, questa retroagirà a favore del delinquente. "
C. La Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea e la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee
37. All'epoca del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, la Commissione europea, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell'unione europea ha proclamato la Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea. L'articolo 49 di questo testo, intitolato "Principi di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene", è redatto nel seguente modo:
"1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato secondo il diritto nazionale o il diritto internazionale. Parimenti, non viene inflitta nessuna pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso. Se, dopo questo reato, la legge contempla una pena più leggera, questa deve essere applicata.
2. Il presente articolo non reca offesa al giudizio ed alla punizione di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, nel momento in cui è stata commessa, era criminale secondo i principi generali riconosciuti dall'insieme delle nazioni.
3. L'intensità delle pene non deve essere sproporzionata rispetto al reato. "
38. Nella causa Berlusconi ed altri, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha stimato che il principio dell'applicazione retroattiva della pena più leggera faceva parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (vedere la sentenza del 3 maggio 2005 resa nelle cause unite C-387/02, C-391/02 e C-403/02,). I passaggi pertinenti di questa sentenza (§§ 66-69) si leggono così:
"66. Astrazione fatta dell'applicabilità dell'articolo 6 delle prime direttiva società a difetto di pubblicità dei conti annui, conviene osservare che, in virtù dell'articolo 2 del codice penale italiano che decreta il principio dell'applicazione retroattiva della pena più leggera, i nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile italiano dovrebbero essere applicati anche se sono entrati in vigore solo dopo che gli atti all'origine dei perseguimenti impegnati nelle cause al principale sono stati commessi.
67. A questo riguardo, c'è luogo di ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce il rispetto. A questo effetto, questa ultima si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri così come alle indicazioni fornite dagli strumenti internazionali concernenti la protezione dei diritti dell'uomo ai quali gli Stati membri hanno cooperato o aderito (vedere, in particolare, sentenze del 12 giugno 2003, Schmidberger, C-112/00, Rec. p. I-5659, punto 71 e giurisprudenza citata, e del 10 luglio 2003, Booker Aquaculture et Hydro Seafood, C-20/00 e C-64/00, Rec. p. I-7411, punto 65 e giurisprudenza citata).
68. Ora, il principio dell'applicazione retroattiva della pena più leggera fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
69. Ne deriva che questo principio deve essere considerato come facente parte dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve rispettare quando applica il diritto nazionale adottato per mettere in opera il diritto comunitario e, nell'occorrenza, più in particolare, le direttive sul diritto delle società . "
39. I principi affermati dalla Corte di giustizia sono stati ripresi da una sentenza della Camera criminale della Corte di cassazione francese resa il 19 settembre 2007 (rigetto di ricorso no 06-85899). I passaggi pertinenti di questa sentenza si leggono come segue:
" allora (...)ed ad ogni modo che i principi generali del diritto comunitario premiano il diritto nazionale; che, in una sentenza in data del 3 maggio 2005, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ricordato che il principio dell'applicazione retroattiva della pena più leggera fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che ne deriva che questo principio deve essere considerato come facente parte dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve rispettare quando applica il diritto nazionale adottato per mettere in opera il diritto comunitario (punti 68 e 69 della sentenza del 3 maggio 2005); che nello specifico, di conseguenza, è in violazione di questo principio superiore alla legge nazionale che la corte di Parigi ha pronunciato una condanna contro [l'imputato] sul fondamento di una legge nazionale adottata per mettere in opera il diritto comunitario e che ha allontanato illegalmente il principio della retroattività della legge penale più dolce;
allora (…) che l'articolo 15 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici dispone senza contemplare nessuna eccezione che se, dopo la commissione di un reato, la legge contempla l'applicazione di una pena più leggera, il delinquente deve beneficiarne; che questo testo premia la legge nazionale in virtù dell'articolo 55 della Costituzione del 4 ottobre 1958; che ne segue che la corte di Parigi non poteva allontanare la nuova legge più dolce per il solo motivo che questa legge aveva escluso espressamente ogni carattere retroattivo in violazione del principio posto dal testo sopracitato. (...). "
D. Lo statuto della Corte penale internazionale
40. Ai termini dell'articolo 24 § 2 dello statuto della Corte penale internazionale,
"Se il diritto applicabile ad una causa viene modificato prima del giudizio definitivo, è il diritto più favorevole alla persona che è oggetto di un'inchiesta, di perseguimenti o di una condanna che si applica. "
E. La giurisprudenza del Tribunale penale internazionale incaricato di perseguire le persone presunte responsabili di reati gravi del diritto internazionale umanitario commesso sul territorio dell'ex-Iugoslavia dal 1991 ("il TPIY")
41. Con una sentenza del 4 febbraio 2005, resa nella causa Dragan Nikolic, no IT-94-2-a, la camera d’appello del TPIY ha stimato che il principio dell'applicabilità della legge penale più dolce (lex mitior) si trova ad applicare al suo statuto. Le parti pertinenti di questa sentenza (§§ 79-86) si leggono come segue:
"79. La Camera di prima istanza ha da prima esaminato se il principio del lex mitior fosse applicabile nella ex-Iugoslavia, se facesse parte del diritto del Tribunale internazionale e se si potesse applicare nello specifico.
80. Nel giudizio che porta alla condanna, la controversia porta sulla seguente conclusione: il principio della lex mitior si applica solamente alle cause in cui il reato è stato commesso e la pena è stata inflitta nella cornice di un stesso sistema di diritto, e non si applica al Tribunale internazionale nella misura in cui si inserisce in un altro sistema di diritto diverso da quello in cui il crimine è stato commesso. La Camera di appello fa notare che la questione dell'applicabilità di questo principio non è una questione di sistema di diritto, ma è legata a quella di sapere se, in materia di pena, delle leggi penali differenti possono essere applicate al Tribunale internazionale.
81. Sembra che il principio del lex mitior significhi che se la regola di diritto applicabile al reato commesso dall'imputato è stata rivista, è la legge più dolce che si applica. La regola di diritto applicabile deve avere imperativamente forza obbligatoria; è questo un elemento inerente a questo principio. Gli imputati possono beneficiare di una pena più leggera solo se la regola di diritto ha forza obbligatoria poiché hanno un interesse giuridico protetto solo se la forchetta delle pene deve essere applicata a loro. Quindi, il principio del lex mitior è applicabile solamente se la regola di diritto che lega il Tribunale internazionale è sostituita ulteriormente da un'altra più favorevole che ha anche forza obbligatoria.
82. Il Tribunale internazionale è legato manifestamente dal suo Statuto ed dal suo Ordinamento e può dunque pronunciare una pena di detenzione che può andare fino all’ergastolo, come viene detto all'articolo 101 A, dell'Ordinamento ed all'articolo 24 1) dello Statuto. La Camera di appello fa notare che nessuna modifica è stata portata alle regole che governano la determinazione delle pene da parte del Tribunale internazionale.
83. Nell'ex-Iugoslavia, il ricorrente sarebbe stato condannato solamente ad una pena di detenzione di una durata determinata. La Camera di appello ricorda che dalla creazione del Tribunale internazionale, un imputato tradotto dinnanzi a lui incorre in una pena che può andare fino all’ergastolo.
84. La Camera di appello ricorda che ha concluso al primato del Tribunale internazionale e ha stimato precedentemente che questo non era legato dalle regole di diritto o dalla griglia delle pene applicate nella ex-Iugoslavia. È tenuto solamente a prenderle in conto. Autorizzare l'applicazione del principio della lex mitior al Tribunale internazionale in seguito ad una revisione delle leggi dell'ex-Iugoslavia implicherebbe che gli Stati dell'ex-Iugoslavia potrebbero rimettere in causa il potere di valutazione che viene riconosciuto ai giudici del Tribunale internazionale in materia di pena. Adottando una nuova legge nazionale che riduce le pene massime contemplate per i crimini riguardati negli articoli 2 a 5 dello Statuto, degli Stati potrebbero impedire al Tribunale di infliggere le pene che si impongono ai loro cittadini, il che non quadrerebbe col primato del Tribunale internazionale consacrato dall'articolo 9 2) dello Statuto e dalla missione generale che gli è affidata.
85. In breve, il principio della lex mitior, se viene interpretato correttamente, si applca allo Statuto del Tribunale internazionale. Perciò, se i poteri conferiti dallo Statuto in materia di pena venissero modificati, il Tribunale internazionale sarebbe tenuto allora ad applicare la pena meno severa. Per ciò che riguarda l'articolo 24 1) dello Statuto che dispone che "la Camera di prima istanza ha ricorso alla griglia generale delle pene di detenzione applicata dai tribunali dell'ex-Iugoslavia", deve essere interpretato secondo gli stessi principi del resto dello Statuto di cui fa parte integrante. Così interpretato, questo articolo rinvia all'insieme delle leggi applicabili nella ex-Iugoslavia all'epoca dei fatti, astrazione fatta dei cambiamenti intervenuti ulteriormente.
86. Per questi motivi, il quinto mezzo di appello viene respinto. "
IN DIRITTO
I. OGGETTO DELLA CONTROVERSIA E QUESTIONI PRELIMINARI SOLLEVATE DAL GOVERNO
A. Sulla questione di sapere se la Corte può esaminare anche la causa sotto l'angolo dell'articolo 6 della Convenzione
1. La questione sollevata dal Governo
42. A titolo preliminare, il Governo contesta la decisione del 13 maggio 2008 con la quale la seconda sezione della Corte ha dichiarato ammissibile il motivo di appello derivato dall'articolo 6 della Convenzione. Osserva che, precedentemente, nella sua decisione parziale dell’ 8 settembre 2005, la terza sezione della Corte aveva tra l’altro respinto un motivo di appello simile a quello esaminato sotto l'angolo di questa disposizione. Nelle sue parti pertinenti, il ragionamento della terza sezione si legge come segue:
"Il richiedente adduce poi una doppia violazione dell'articolo 6 della Convenzione. [Egli] sostiene che il procedimento è stato iniquo perché è stato condannato secondo il procedimento con rito abbreviato ed in contumacia.
Per ciò che riguarda il primo ramo del motivo di appello, nota che la scelta del procedimento con rito abbreviato aveva compreso la rinuncia a certi diritti garantiti dall'articolo 6. Aggiunge che la sua rinuncia non è stata volontaria, ma è stata solamente la conseguenza di un accordo concluso in vista di una riduzione della pena. Secondo lui, lo stato convenuto-condannato a più riprese dalla Corte europea per durata eccessiva di procedimento-avrebbe instaurato un sistema che mira a ricompensare gli imputati che rinunciano alle garanzie fondamentali piuttosto che procedere ad una riorganizzazione della giustizia.
La Corte nota che è il richiedente stesso che ha chiesto l'applicazione del procedimento con rito abbreviato. Se è vero che la scelta del procedimento con rito abbreviato renda più fragili le garanzie procedurali, non da meno il richiedente può rinunciare alle garanzie del procedimento ordinario purché la sua rinuncia non sia equivoca e le questioni di interesse pubblico non si oppongano a simile rinuncia (Kwiatkowska c. Italia (dec.), no 52868/99, 30 novembre 2000).
Ora il richiedente era probabilmente in grado di conoscere le conseguenze derivanti della sua richiesta di applicazione del procedimento con rito abbreviato e ha rinunciato senza equivoco ai diritti garantiti dal procedimento ordinario. La possibilità di beneficiare di una riduzione di pena non potrebbe portare la Corte a concludere che il richiedente è stato costretto a chiedere l'applicazione del procedimento abbreviato. Del resto, l'articolo 8 del decreto-legge del 2000 gli aveva accordato nello specifico la possibilità di ritornare sulla sua decisione di rinunciare al procedimento ordinario. Infine, nessuno motivo di interesse pubblico si opponeva a simile rinuncia.
La Corte arriva dunque alla conclusione che questo ramo del motivo di appello non è fondato. (...). "
43. Allo stesso tempo, la terza sezione aveva deciso di portare il motivo di appello derivato dalla condanna del richiedente all’ergastolo a cognizione del Governo, ponendogli una domanda in quanto al rispetto dei principi garantiti dall'articolo 7 della Convenzione ("Il richiedente si è visto infliggere, in violazione dell'articolo 7 della Convenzione, una pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso? "). Il dispositivo della decisione parziale dell’ 8 settembre 2005 si legge come segue:
"Per questi motivi, la Corte, all'unanimità ,
Rinvia l'esame del motivo di appello del richiedente derivato dall'articolo 7 della Convenzione;
Dichiara la richiesta inammissibile per il surplus."
44. Però, nella sua decisione finale sull'ammissibilità del 13 maggio 2008, la seconda sezione ha precisato:
"La Corte nota innanzitutto che le lamentele del richiedente non riguardano esclusivamente la violazione addotta del principio nulla poena sine lege, come consacrato dall'articolo 7 della Convenzione, ma anche la questione di sapere se le disposizioni introdotte dal decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000 hanno recato offesa ai principi del processo equo come garantiti dall'articolo 6 § 1 della Convenzione. (...)
La Corte stima, alla luce dell'insieme degli argomenti delle parti, che questi motivi di appello pongono delle serie questioni di fatto e di diritto che non possono essere decise a questo stadio dell'esame della richiesta, ma necessitano un esame al merito; ne segue che questi motivi di appello non potrebbero essere dichiarati manifestamente mal fondati, ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Nessun altro motivo di inammissibilità è stato rilevato. "
45. Secondo il Governo, le due decisioni precitate sono in contraddizione una con l'altra: il motivo di appello derivato dall'articolo 6 e relativo al fatto che il richiedente era stato condannato secondo il procedimento abbreviato è stato allontanato da una decisione che non poteva essere oggetto di nessuno ricorso, il che si concilia male con l'intenzione della Corte di dedicarsi "alla questione di sapere se le disposizioni introdotte dal decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000 hanno recato offesa ai principi del processo equo." In più, prima della dichiarazione di ammissibilità , nessuna questione specifica riguardante il rispetto dell'articolo 6 della Convenzione era stata posta dalla cancelleria della Corte al Governo, il che aveva impedito questo ultimo dal presentare delle osservazioni dettagliate sull'ammissibilità ed il merito del motivo di appello in questione.
46. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima che il risvolto relativo all'articolo 6 della Convenzione non può essere oggetto di un esame al merito.
2. La risposta del richiedente
47. Il richiedente si oppone alla tesi del Governo. Osserva che la Corte è padrona della qualifica giuridica dei fatti e può decidere di esaminare le lamentele che le vengono sottoposte sotto l'angolo di parecchie disposizioni della Convenzione.
3. La valutazione della Corte
48. La Grande Camera ricorda innanzitutto che la superficie della sua giurisdizione nelle cause che le vengono sottoposte si trova delimitata solamente dalla decisione della camera sull'ammissibilità della richiesta (Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 23, CEDH 2003-V, ed Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 32, CEDH 2004-III). All'interno della cornice così tracciata, la Grande Camera può trattare ogni questione di fatto o di diritto che sorge durante l'istanza impegnata dinnanzi a lei (vedere, tra molte altre, Philis c. Grecia (no 1), 27 agosto 1991, § 56, serie A no 209, e Guerra ed altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44 in fine, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I).
49. Ora, nella sua decisione parziale dell’ 8 settembre 2005 sull'ammissibilità della richiesta, la terza sezione della Corte ha dichiarato inammissibili tre motivi di appello tratti dall'articolo 6 della Convenzione e relativi in particolare a:
a) l'impossibilità per il richiedente di incontrare il suo avvocato nei locali contemplati a questo fine;
b) la circostanza che il richiedente non aveva potuto partecipare all'udienza di appello;
c) l'affermazione del richiedente secondo la quale la sua scelta del procedimento abbreviato che provocava una rinuncia a certi diritti procedurali, non era stata volontaria.
50. La Grande Camera osserva che nessuno di questi motivi di appello è stato dichiarato ammissibile in seguito e che i timori del Governo sono a questo riguardo privi di fondamento. Questi aspetti del diritto del richiedente ad un processo equo non fanno parte dunque della "causa" che le viene sottoposta.
51. Conviene però notare che la decisione parziale dell’ 8 settembre 2005 menzionava anche un quarto motivo di appello derivato dall'articolo 6, concernente la condanna del richiedente all’ergastolo . La terza sezione della Corte aveva stimato che questo motivo di appello "si confonde[va] con quello che prevede l'articolo 7 della Convenzione e dove[va] dunque essere esaminato sotto l'angolo di questo ultimo."
52. Allo stadio della comunicazione della richiesta, le parti sono state dunque invitate a presentare delle osservazioni sulla questione di sapere se la condanna all’ergastolo del richiedente aveva infranto l'articolo 7 della Convenzione. Ora, nelle sue osservazioni in risposta a quelle del Governo, il richiedente ha sviluppato ulteriormente i suoi argomenti relativi alla violazione dei principi del processo equo. Ha addotto in particolare che nel momento in cui aveva optato per il procedimento abbreviato, aveva concluso con lo stato un accordo con cui rinunciava ad una parte delle sue garanzie procedurali in scambio, in caso di condanna, della sostituzione della pena all’ergastolo con una condanna a trent' anni di detenzione. La mancata osservanza da pare dello stato di questo accordo era secondo lui incompatibile con l'articolo 6 della Convenzione.
53. La Corte ricorda che ai termini dell'articolo 32 della Convenzione, la sua competenza si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che le verranno sottoposte nelle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 47" e che "in caso di contestazione sul punto di sapere se la Corte è competente, la Corte decide."
54. Padrona della qualifica giuridica dei fatti della causa, la Corte non si considera come legata da quella che assegnano loro i richiedenti o i governi. In virtù del principio jura novit curia, ha esaminato d’ufficio più di un motivo di appello sotto l'angolo di un articolo o di un paragrafo non invocati dalle parti per esempio, ed anche di una clausola che la Commissione aveva dichiarato inammissibile pure considerandola sul terreno di un'altro. Un motivo di appello si distingue per i fatti che denuncia e non coi semplici mezzi o argomenti di diritto invocato (Powell e Rayner c. Regno Unito, 21 febbraio 1990, § 29, serie A no 172, e Guerra ed altri, precitata, § 44).
55. Ne segue che stimando che fosse opportuno esaminare se le disposizioni introdotte dal decreto-legge no 341 del 24 novembre 2000 avevano "recato offesa anche ai principi del processo equo come garantiti dall'articolo 6 § 1 della Convenzione", la seconda sezione della Corte si è limitata a fare uso del suo diritto di qualificare il motivo di appello del richiedente e di esaminarlo sotto l'angolo di parecchie disposizioni della Convenzione. Tale riqualificazione che ha tenuto conto, tra l’altro, dei nuovi argomenti del richiedente, non potrebbe essere considerata come arbitrarietà . In più, dato che il motivo di appello derivato dalla condanna del richiedente all’ergastolo non è mai stato allontanato, non si scontra con il principio secondo il quale la decisione di dichiarare un motivo di appello inammissibile è definitiva e non può essere oggetto di nessuno ricorso.
56. Per ciò che riguarda, infine, l'argomento del Governo secondo cui ci sarebbe stata violazione del carattere contraddittorio del procedimento dinnanzi alla Corte (paragrafo 45 sopra) conviene notare che le osservazioni del richiedente e la decisione finale sull'ammissibilità sono state comunicate al Governo. Questo ultimo ha avuto dunque, dinnanzi alla Grande Camera, l'opportunità di presentare ogni argomento che tendeva a sostenere che il motivo di appello derivato dall'articolo 6 era inammissibile o mal fondato. A questo riguardo, la Grande Camera ricorda che dopo la decisione della camera che dichiara un motivo di appello ammissibile può anche, all'occorrenza, esaminare delle questioni relative all'ammissibilità di questo, per esempio in virtù dell'articolo 35 § 4 in finei della Convenzione che abilita la Corte a "rigetta[re] ogni richiesta che considera come inammissibile ad ogni stadio del procedimento", o quando queste questioni sono state unite al merito o ancora quando presentano un interesse allo stadio dell'esame al merito (K. e T. c. Finlandia [GC], no 25702/94, §§ 140-141, CEDH 2001-VII, e Perna, precitata, §§ 23-24). Così, anche allo stadio dell'esame al merito, sotto riserva di ciò che è contemplato all'articolo 55 dell'ordinamento della Corte, la Grande Camera può ritornare sulla decisione con la quale la richiesta è stata dichiarata ammissibile quando constata che questa sarebbe dovuto essere considerata come inammissibile per una delle ragioni enumerate ai capoversi 1 a 3 dell'articolo 35 della Convenzione (Azinas, precitata, § 32).
57. Ne segue che niente si oppone al fatto che la Grande Camera esamini la causa che le viene sottoposta anche sotto l'angolo dell'articolo 6 della Convenzione. C'è luogo dunque di allontanare l'eccezione sollevata dal Governo.
B. Sulla questione di sapere se la seconda sezione della Corte potesse disfarsi al profitto della Grande Camera
58. Il Governo considera anche che l'intenzione espressa il 13 maggio 2008 dalla seconda sezione della Corte di disfarsi a profitto della Grande Camera si concilia male con l'adozione di una decisione finale sull'ammissibilità . In più, questa ultima decisione sarebbe in contraddizione con la decisione parziale e di natura tale da "pregiudicare la valutazione che la formazione suprema della Corte [potrebbe] portare sulla causa."
59. La Corte ricorda che ai termini dell'articolo 30 della Convenzione, "se la causa pendente dinnanzi ad una camera solleva una questione grave relativa all'interpretazione della Convenzione la camera può, finché non ha reso la sua sentenza, disfarsi a profitto della Grande Camera". Ora, quando ha espresso la sua intenzione di disfarsi, la seconda sezione della Corte non aveva reso alcuna sentenza nella presente richiesta. In più, non appartiene alla Grande Camera ritornare sulla questione di sapere se la causa sollevava una "questione grave relativa all'interpretazione della Convenzione." Si comprende del resto, male come la decisione di dichiarare la richiesta ammissibile potrebbe "pregiudicare a priori la valutazione" della Grande Camera. A questo riguardo, conviene ricordare che, come sottolineato più sopra, questa ultima può esaminare delle questioni relative all'ammissibilità dei motivi di appello che le vengono sottoposti (paragrafo 56 sopra). Infine, se fosse del parere che la proposta di privazione non era corretta, il Governo avrebbe potuto opporvisi in virtù dell'articolo 30 in fine della Convenzione. Ora, dopo avere formulato tale opposizione, il Governo l'ha tolta di sua spontanea volontà (paragrafo 4 in fine sopra).
60. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che le decisioni della seconda sezione di dichiarare la richiesta ammissibile e di disfarsi a favore della Grande Camera sono state adottate conformemente alla Convenzione ed al suo ordinamento e non pregiudicano per niente l'esame ulteriore della causa.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE
61. Il richiedente stima che la sua condanna alla’ergastolo ha violato l'articolo 7 della Convenzione.
Questa disposizione si legge così:
"1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato secondo il diritto nazionale o internazionale. Parimenti non viene inflitta nessuna pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non recherà offesa al giudizio ed alla punizione di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, nel momento in cui è stata commessa, era criminale secondo i principi generali di diritto riconosciuto dalle nazioni civilizzate. "
A. L'eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne formulata dal Governo
62. Il Governo reitera l'eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne che aveva sollevato dinnanzi alla camera. Adduce che dinnanzi alla Corte di cassazione, il richiedente non ha invocato il principio di non-retroattività della legge penale, ma si è limitato ad affermare che la pena applicabile ai reati che gli venivano rimproverati non era l’ergastolo.
1. Decisione della camera
63. Nella sua decisione finale del 13 maggio 2008 sull'ammissibilità della richiesta, la seconda sezione della Corte ha respinto l'eccezione preliminare del Governo, osservando che nel suo ricorso in cassazione il richiedente aveva sostenuto che la sanzione dell’ergastolo non poteva essergli inflitta; in più, nel suo ricorso straordinario per errore di fatto, aveva addotto che questa condanna violava gli articoli 6 e 7 della Convenzione. Alla luce di queste considerazioni, la camera ha concluso che il richiedente aveva sollevato dinnanzi alla Corte di cassazione, almeno in sostanza, i motivi di appello che intendeva formulare in seguito a livello internazionale, e che aveva fatto un uso normale dei ricorsi che gli erano sembrati efficaci.
2. Argomenti delle parti
a) Il Governo
64. Il Governo osserva in primo luogo che, nella sua decisione parziale dell’ 8 settembre 2005 sull'ammissibilità della richiesta, la terza sezione, riassumendo gli argomenti del richiedente in quanto alla violazione addotta dell'articolo 7 della Convenzione, si era espressa come segue:
"Dopo avere affermato che nello specifico la procura non ha potuto neanche interporre appello perché l'articolo 443 del codice di procedimento penale dà questa possibilità solo in seguito ad una condanna da parte del giudice delle investigazioni preliminari dopo cambiamento del capo di accusa, il richiedente-che non ha presentato alcun mezzo di cassazione su questo punto nel suo ricorso contro la sentenza della corte d’assise di appello-nota che è stato condannato alla fine ad una pena che non era contemplata nel momento in cui ha accettato di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato. "
65. Secondo il Governo, si vede male come il richiedente abbia potuto sollevare "almeno in sostanza" il suo motivo di appello derivato dall'articolo 7 se non ha presentato dei mezzi di cassazione sulla questione dell’inflizione di una pena più pesante di quella contemplata nel momento in cui aveva accettato di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato. Allontanando l'eccezione di non-esaurimento, la seconda sezione avrebbe dunque contraddetto la constatazione che la terza sezione aveva fatto nella sua decisione parziale.
66. In più, gli argomenti invocati dal richiedente dinnanzi alla Corte di cassazione avevano fatto riferimento alla natura dei fatti che gli venivano rimproverati, alle modalità di commissione dei reati, alle circostanze aggravanti o attenuanti, al suo stato di salute fisica e psichica. Si trattava dunque presumibilmente di elementi totalmente privi di legame con l'applicazione "ingiusta" del decreto-legge no 341 del 2000. Ne va parimenti per ciò che riguarda il ricorso straordinario per errore di fatto introdotto dal richiedente che riguardava, essenzialmente, la pretesa illegittimità della decisione giudicandolo in contumacia in appello. Il richiedente ha trascurato invece di invocare dinnanzi all'alta giurisdizione italiana l'articolo 2 § 3 del CP, ai termini del quale, se la legge in vigore nel momento in cui il reato è stato commesso e le leggi posteriori sono differenti, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato (paragrafo 32 sopra).
b,)Il richiedente
67. Il richiedente segna il suo accordo con la decisione della camera.
3. Valutazione della Corte
a) Principi generali
68. La Corte ricorda che la regola dell'esaurimento delle vie di ricorso interne mira a predisporre per gli Stati contraenti l'occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro loro prima che queste affermazioni non le vengano sottoposte (vedere, tra molte altri, Remli c. Francia, 23 aprile 1996, § 33, Raccolta 1996-II, e Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V). Questa regola si basa sull'ipotesi, oggetto dell'articolo 13 della Convenzione -e con cui presenta delle strette affinità -, che l'ordine interno offre un ricorso effettivo in quanto alla violazione addotta (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI). Quindi, costituisce un aspetto importante del principio che vuole che il meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione rivesta un carattere accessorio rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell'uomo (Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 65, Raccolta 1996-IV).
69. La regola dell'esaurimento delle vie di ricorso interne si deve applicare con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Allo stesso tempo, obbliga, in principio, a sollevare dinnanzi alle giurisdizioni nazionali adeguate, almeno in sostanza, nelle forme e nei termini prescritti dal diritto interno, i motivi di appello che si intende formulare a livello internazionale in seguito (vedere, tra molte altre, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I, ed Azinas, precitato, § 38).
70. Però, l'obbligo derivante dall'articolo 35 si limita a quello di fare verosimilmente un uso normale dei ricorsi effettivi, sufficienti ed accessibili (Sofri ed altri c. Italia,( dec.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). In particolare, la Convenzione prescrive l'esaurimento solo dei ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, manca a loro altrimenti l'effettività e l'accessibilità voluta (Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta 1998-I). In più, secondo i "principi di diritto internazionali generalmente riconosciuti", certe circostanze particolari possono dispensare il richiedente dall'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne che si offrono a lui (Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, § 52, Raccolta 1996-VI. Tuttavia). Tuttavia il semplice fatto di nutrire dei dubbi in quanto alle prospettive di successo di un dato ricorso che non è destinato al fallimento evidentemente, non costituisce una ragione valida per giustificare la non-utilizzazione di ricorsi interni (Brusco c. Italia, (dec.), no 69789/01, CEDH 2001-IX, e Sardinas Albo c. Italia, (dec.), no 56271/00, CEDH 2004-I).
71. Infine, l'articolo 35 § 1 della Convenzione contempla una ripartizione del carico della prova. Per ciò che riguarda il Governo, quando eccepisce del non-esaurimento, deve convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile tanto in teoria che in pratica all'epoca dei fatti, cioè che era accessibile, era suscettibile di offrire al richiedente la correzione dei suoi motivi di appello e presentava delle prospettive ragionevoli di successo (Akdivar ed altri, precitata, § 68, e Sejdovic c. Italia [GC], no 56581/00, § 46, CEDH 2006-II).
b) Applicazione di questi principi al caso di specifico
72. La Corte rileva innanzitutto che, contrariamente a ciò che il Governo ha sostenuto (paragrafi 64-65 sopra) nella sua decisione parziale sull'ammissibilità della richiesta, la terza sezione non ha giudicato a priori la questione di sapere se c'era stato esaurimento delle vie di ricorso interne. Si è limitata difatti, nell'esposizione degli argomenti del richiedente sotto l'angolo dell'articolo 7 della Convenzione, a fare una breve osservazione relativa alla mancanza di mezzo di ricorso su un punto specifico. Conviene anche notare che ha in fatto deciso di portare questo motivo di appello a cognizione del Governo. Questa decisione si concilia male con la tesi del Governo secondo la quale questo motivo di appello sarebbe da respingere per mancata osservanza degli obblighi derivanti dall'articolo 35 § 1 della Convenzione.
73. In quanto alla questione di sapere se c'è stato esaurimento, la Corte osserva che, nel suo appello contro la sua condanna in prima istanza, il richiedente ha chiesto a titolo principale di essere prosciolto per mancanza di elemento intenzionale nella sua condotta o per difetto di discernimento e di volontà al momento della commissione dei reati. A titolo accessorio, ha sollecitato una riduzione della pena (paragrafo 16 sopra). Nel suo ricorso in cassazione, si è lamentato di essere stato condannato in contumacia, ha reiterato i suoi argomenti concernenti la mancanza di dolo ed il suo stato mentale, ha contestato una circostanza aggravante e chiesto la concessione delle circostanze attenuanti (paragrafi 22-23 sopra).
74. Agli occhi della Corte, il richiedente ha esposto, nelle forme previste dal diritto italiano, dei mezzi che mirano a sostenere, tra l’altro, che la pena che gli era stata inflitta era eccessiva. Non ha contestato invece, nel suo appello o nel suo ricorso in cassazione, l'applicazione presumibilmente retroattiva del decreto-legge no 341 del 2000. Il Governo lo sottolinea a buon diritto (paragrafo 66 sopra). È vero che gli argomenti che mirano a sostenere che l'applicazione a suo scapito di suddetto decreto-legge violava gli articoli 6 e 7 della Convenzione sono stati presentati dall'interessato nella cornice del suo ricorso straordinario per errore di fatto (paragrafo 25 sopra); non da meno quest’ultimo è una via di ricorso che mira ad ottenere, in via eccezionale, la riapertura di un procedimento finito con una decisione che ha acquisito forza di cosa giudicata in virtù di un errore manifesto di fatto commesso dalla Corte di cassazione. Non era di natura tale dunque da ovviare ai motivi di appello del richiedente fondati sull'incompatibilità tra le disposizioni del decreto-legge no 341 di 2000 ed i suoi diritti convenzionali (vedere, mutatis mutandis, Çinar c. Turchia, (dec.), no 28602/95, 13 novembre 2003).
75. Resta da verificare, però, se degli eventuali mezzi di appello o di cassazione che il richiedente avrebbe potuto formulare presumibilmente in quanto all'applicazione retroattiva della sanzione all’ergastolo e alle sue ripercussioni negative sull'equità del procedimento avevano delle probabilità di successo. A questo riguardo, il decreto-legge no 341 del 2000 aveva forza di legge nel sistema giuridico italiano e si supponeva che i giudici di appello e di cassazione lo applicassero ai procedimenti in corso dinnanzi ad essi. Bisogna ricordare anche che, in suddetto sistema, un individuo non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale per invitarla a verificare la costituzionalità di una legge: ha solo la facoltà d’investire, su richiesta di una delle parti o d’ ufficio, una giurisdizione che conosce del merito di una causa. Quindi, simile richiesta non si potrebbe analizzare in un ricorso di cui la Convenzione esige l'esaurimento (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989, § 34, serie A no 167, e C.I.G.L. e Cofferati c. Italia, no 46967/07, § 48, 24 febbraio 2009).
76. La Corte osserva che il Governo sostiene che il richiedente avrebbe potuto invocare l'articolo 2 § 3 del CP che consacra il principio della retroattività della legge penale più favorevole all'imputato (paragrafi 32 e 66 sopra). Tuttavia, supponendo anche che tale principio possa applicarsi alle disposizioni del CPP, conviene notare che l'articolo 2 precitato è solamente una disposizione di una legge ordinaria, contenuta in un codice adottato nel 1930. In dritto italiano, le leggi più recenti possono, in linea di massimo, derogare alle leggi anteriori. Ora, il Governo non ha addotto che tale regola non si trovasse ad applicare nello specifico e ha omesso di spiegare perché una nuova legge posteriore, come il decreto-legge no 341 del 2000, non poteva derogare legittimamente all'articolo 2 del CP. Inoltre, non ha prodotto nessuno esempio di cause in cui questa disposizione sarebbe stata invocata con successo in una situazione comparabile a quella del richiedente. Il Governo non ha stabilito neanche che era possibile ottenere la mancata applicazione del decreto-legge in questione in ragione della sua eventuale incompatibilità con la Convenzione.
77. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che il Governo non ha dimostrato che i ricorsi di cui il richiedente si sarebbe potuto avvalere per contestare l'applicazione del decreto-legge no 341 del 2000 avevano delle probabilità di successo.
78. Ne segue che l'eccezione preliminare di non-esaurimento del Governo non potrebbe essere accolta.
B. Il merito del motivo di appello
1. Argomenti delle parti
79. Il richiedente adduce che l'articolo 7 della Convenzione è stato violato per tre ragioni differenti, riassunte qui sotto.
a) Applicazione presumibilmente retroattiva della legge penale
i) Tesi del richiedente
80. Il richiedente nota innanzitutto che, secondo la giurisprudenza interna (vedere Corte di cassazione, sezioni riunite, sentenza del 6 marzo 1992 resa nella causa Merletti), l'articolo 442 del CPP che indica la pena da infliggere in caso di adozione del procedimento abbreviato è, a dispetto del sua inserimento nel CPP, una disposizione di diritto penale materiale. Difatti, a differenza delle norme esaminate dalla Grande Camera nella causa Kafkaris c. Cipro (no 21906/04, 12 febbraio 2008,) questa clausola non riguarderebbe il procedimento di esecuzione della pena ma la determinazione di questa. Dovrebbe essere considerata come una "legge penale" ai sensi dell'articolo 7 della Convenzione dunque.
81. Il richiedente sottolinea che l'ultima udienza dinnanzi al GUP di Roma è cominciata il 24 novembre 2000 alle 10 h 19 (paragrafo 12 sopra). Il GUP ha pronunciato immediatamente il suo giudizio dopo l'udienza. Lo stesso giorno, il decreto-legge no 341 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ed è entrato in vigore. La Gazzetta ufficiale è apparsa nel corso del pomeriggio (paragrafo 33 sopra). Il richiedente ne deduce che, quando il GUP ha pronunciato il suo giudizio, il decreto-legge no 341 del 2000 non era ancora in vigore e non poteva essere conosciuto.
82. Il richiedente stima quindi che è stato vittima di un'applicazione retroattiva della legge penale, poiché è stato prima condannato a trent' anni di detenzione poi, in applicazione del decreto-legge no 341 del 2000, all’ergastolo.
ii, Argomenti del Governo
83. Il Governo si oppone a questa tesi, ricordando che l'articolo 7 della Convenzione si limita a vietare ogni applicazione retroattiva del diritto penale in rapporto "al momento in cui il reato è stata commesso." Osserva che le disposizioni del CP che puniscono i reati per cui il richiedente è stato condannato non sono state modificate dopo il 2 settembre 1999, data della commissione dei crimini. Nota in particolare che questi crimini erano punibili con l’ergastolo con isolamento diurno e che la pena imposta dalle giurisdizioni nazionali non ha superato questo limite.
84. In quanto alle disposizioni del CPP, non dovrebbero essere comprese nella nozione di "pena" ai sensi dell'articolo 7. Difatti, sarebbe inadeguato permettere ad un individuo di valutare le conseguenze del crimine che potrebbe commettere calcolando anche le riduzioni di pena di cui potrebbe beneficiare in funzione delle sue scelte di procedimento. Tale approccio impedirebbe di modificare il CPP. Il principio nullum crimen sine lege riguarda solamente le disposizioni di diritto penale materiale, mentre le disposizioni di procedimento sono normalmente retroattive poiché sono regolate dal principio tempus regit actum. Concludere diversamente significherebbe accordare una riduzione di pena in seguito ad ogni abrogazione o modifica delle disposizioni del CPP. Peraltro, la circostanza che, a differenza dell'articolo 6 che si applica alla "materia penale", l'articolo 7 della Convenzione si riferisce al "reato", dimostrerebbe che questa ultima disposizione riguarda unicamente il diritto penale e non le regole di procedimento.
85. Non ci sarebbe stata, ad ogni modo, nello specifico nessuna applicazione retroattiva delle regole di procedimento a scapito del richiedente. Il Governo osserva a questo riguardo che nel momento in cui i crimini sono stati commessi, il 2 settembre 1999, la legge non contemplava la possibilità di chiedere il procedimento abbreviato quando i fatti rimproverati erano puniti dall’ergastolo. Questa possibilità è stata introdotta solo dalla legge no 479 del 16 dicembre 1999. Essendo la ragione di essere del principio consacrato dall'articolo 7 della Convenzione di fare conoscere al delinquente gli atti che impegnano la sua responsabilità penale e le pene alle quali si espone, sarebbe inaccettabile che un individuo possa prendere delle decisioni in materia di commissione di crimini avuto anche riguardo agli sviluppi posteriori a quello del reato.
b) Violazione addotta del principio di retroattività della legge penale più dolce
i) Tesi del richiedente
86. Il richiedente sostiene che l'articolo 7 della Convenzione garantisce non solo la non-retroattività della legge penale, ma anche il principio-previsto in modo esplicito dall'articolo 15 del Patto delle Nazioni Unite relative ai diritti civili e politici, dall'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea e dall'articolo 9 della Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo (paragrafi 35-37 sopra) -secondo cui, se la legge in vigore al momento della commissione del reato e le leggi posteriori sono differenti, bisogna applicare quella che è più favorevole all'imputato. Quindi, questa disposizione sarebbe violata ogni volta che i tribunali applicano una pena più pesante di quella che era prevista dalla legge in vigore in ogni momento compreso tra la commissione del reato ed la pronunzia del giudizio. Il richiedente si riferisce, su questo punto, all'opinione dissidente del giudice Popoviæ unita alla sentenza Achour c. Francia ([GC], no 67335/01, CEDH 2006 -..).
87. L'interessato sottolinea che nello specifico, il CPP, come modificato dalla legge no 479 del 1999, contemplava a partire dal 2 gennaio 2000 che, quando il procedimento abbreviato veniva adottato per i reati punibili con l’ergastolo, con o senza isolamento, questa pena era sostituita da trent' anni di detenzione. Però, il decreto-legge no 341 del 2000 ha introdotto una modifica della sanzione, sfavorevole all'imputato, imponendo l'inflizione dell’ergastolo senza isolamento. Quindi, in seguito ad un ricorso in cassazione del procuratore generale, la pena pronunciata in prima istanza è stata aggravata e trasformata in ergastolo. Questa sanzione non era prevista dalla legge in vigore nel momento in cui l'imputato ha accettato di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato.
88. Il richiedente considera che l'applicazione retroattiva di una disposizione che contempla una "pena più forte" non potrebbe giustificarsi con la circostanza che il legislatore italiano ha qualificato il decreto-legge no 341 del 2000 come "legge di interpretazione autentica." Concludere diversamente sarebbe incompatibile col principio della preminenza del diritto. In più, il decreto-legge in questione non avrebbe fornito nessuna interpretazione del CPP le cui disposizioni erano chiare; venivano interpretate in modo che i termini "condanna all'ergastolo" designassero ogni pena di detenzione a vita, con o senza isolamento diurno. In realtà , il legislatore sarebbe ricorso ad un sotterfugio per modificare le regole che regolano la determinazione della pena nella cornice del procedimento abbreviato. Ciò sarebbe dimostrato dalle numerose critiche di cui il decreto-legge no 341 del 2000 è stato oggetto all'epoca della sua conversione in legge.
ii, Argomenti del Governo
89. Il Governo si oppone a questa tesi. Ricorda che, a differenza dell'articolo 15 del Patto delle Nazioni Unite relative ai diritti civili e politici, l'articolo 7 della Convenzione non enuncia il diritto ad un'applicazione retroattiva della legge penale più dolce.
c) Mancanza addotta di chiarezza della legge sulla base della quale l’ergastolo è stato inflitto
i) Tesi del richiedente
90. Il richiedente osserva che se si accettasse la tesi del Governo secondo la quale l'articolo 442 del CPP, come modificato dalla legge no 479 del 1999, era una disposizione poco chiara che necessitava di un'interpretazione ufficiale, si dovrebbe concludere ad una violazione della Convenzione per difetto di chiarezza e di prevedibilità della legge penale. Ciò sarebbe provato dalla circostanza che, nel suo caso, il GUP ha interpretato questo testo nel senso che la pena ad infliggere era di trent' anni di detenzione, mentre la corte d’assise di appello, grazie all’ "interpretazione autentica" fornita dal Governo, ha stimato che bisognava applicare l’ergastolo.
ii, Argomenti del Governo
91. Il Governo stima che il decreto-legge no 341 del 2000 era una vera legge di interpretazione, cioè un testo che mira a decidere una questione controversa in diritto interno sulla quale le giurisdizioni nazionali avevano deliberato in modo differente.
2. Valutazione della Corte
a) Interpretazione dell'articolo 7 della Convenzione nella giurisprudenza della Corte
i) Principio nullum crimen, nulla poena sine lege
92. La garanzia che consacra l'articolo 7, elemento essenziale della preminenza del diritto, occupa un posto fondamentale nel sistema di protezione della Convenzione, come attesta il fatto che l'articolo 15 non vi autorizza nessuna deroga in tempo di guerra o di altro pericolo pubblico. Così come deriva del suo oggetto e del suo scopo, lo si deve interpretare e lo si deve applicare in modo da garantire una protezione effettiva contro i perseguimenti, le condanne e le sanzioni arbitrarie, (S.W. e C.R. c. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 34 e § 32 rispettivamente, serie A numeri 335-B e 335-C, e Kafkaris, precitata, § 137).
93. L'articolo 7 § 1 della Convenzione non si limita a proibire l'applicazione retroattiva del diritto penale a scapito dell'imputato. Consacra anche, in modo più generale, il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Se vieta in particolare di estendere il campo di applicazione dei reati esistenti ai fatti che, anteriormente, non costituivano dei reati, comanda inoltre di non applicare la legge penale in modo esteso a scapito dell'imputato, per esempio per analogia (vedere, tra altre, Coëme ed altri c. Belgio, numeri 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 145, CEDH 2000-VII).
94. Ne segue che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Questa condizione si trova assolta quando il giudicabile può sapere, a partire dalla formula della disposizione pertinente e, all'occorrenza, con l'aiuto dell'interpretazione che ne viene data dai tribunali, quali atti ed omissioni impegnano la sua responsabilità penale (Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, § 52, serie A no 260-ha, Achour, precitato, § 41, e Sud Fondi Srl ed altri c. Italia, no 75909/01, § 107, 20 gennaio 2009).
95. Il compito che incombe sulla Corte è di assicurarsi dunque che, nel momento in cui un imputato ha commesso l'atto che ha dato adito ai perseguimenti ed alla condanna, esisteva una disposizione legale che rendeva l'atto punibile e che la pena imposta non ha superato i limiti fissati da questa disposizione (Coëme ed altri, precitata, § 145, ed Achour, precitata, § 43).
ii) Nozione di "pena"
96. La nozione di "pena" contenuta nell'articolo 7 § 1 della Convenzione possiede, come quelle dei "diritti ed obblighi di carattere civile" e di "accusa in materia penale" che figurano all'articolo 6 § 1, una portata autonoma (vedere in particolare, per ciò riguarda i "diritti di carattere civile", X c. Francia, 31 marzo 1992, § 28, serie A no 234-C, e, per ciò riguarda le "accuse in materia penale", Demicoli c. Malta, 27 agosto 1991, § 31, serie A no 210). Per rendere efficace la protezione offerta dall'articolo 7, la Corte deve rimanere libera di andare al di là delle apparenze e di valutare lei stessa se una misura particolare si analizza al merito in una "pena" ai sensi di questa clausola (Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, § 27, serie A no 307-a).
97. La formula dell'articolo 7 § 1, secondo frase, indica che il punto di partenza di ogni valutazione dell'esistenza di una pena consiste nel determinare se la misura in questione viene imposta in seguito ad una condanna per un "reato." Altri elementi possono essere giudicati a questo riguardo pertinenti: la natura e lo scopo della misura in causa, la sua qualifica in diritto interno, i procedimenti associati alla sua adozione ed alla sua esecuzione, così come la sua gravità (Welch, precitata, § 28).
98. Nella loro giurisprudenza, la Commissione come la Corte hanno stabilito una distinzione tra un misura che costituisce in sostanza una "pena" ed una misura relativa all' "esecuzione" o all’"applicazione" della "pena." In virtù di questa distinzione, una misura che ha per scopo la rimessa di una pena o un cambiamento nel sistema di liberazione condizionale non fa parte integrante della "pena" ai sensi dell'articolo 7 (Kafkaris, precitata, § 142).
iii) Prevedibilità della legge penale
99. La nozione di "diritto" ("law") utilizzata all'articolo 7 corrisponde a quella di "legge" che figura in altri articoli della Convenzione; ingloba il diritto di origine sia legislativa che giurisprudenziale ed implica delle condizioni qualitative, tra altre quelle di accessibilità e di prevedibilità (Kokkinakis, precitata, §§ 40-41, Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29, Raccolta 1996-V, Coëme ed altri, precitato, § 145, ed E.K. c. Turchia, no 28496/95, § 51, 7 febbraio 2002).
100. In ragione anche del carattere generale delle leggi, la formula di queste non può presentare una precisione assoluta. Una delle tecniche-tipo di regolamentazione consiste nel ricorrere a categorie generali piuttosto che ad elenchi esaurienti. Perciò molte leggi si servono , per forza di cose, di formule più o meno vaghe la cui interpretazione ed applicazione dipendono dalla pratica (Cantoni, precitata, § 31, e Kokkinakis, precitata, § 40). Quindi, in qualunque sistema giuridico sia, tanto chiaro la formula di una disposizione legale possa essere, ivi compresa una disposizione di diritto penale, esiste inevitabilmente un elemento di interpretazione giudiziale. Bisognerà chiarire sempre i punti dubbi ed adattarsi ai cambiamenti della situazione. Inoltre, la certezza, sebbene altamente auspicabile, porta talvolta ad una rigidità eccessiva ; ora, il diritto deve sapersi adattare ai cambiamenti della situazione.
101. La funzione decisionale affidata alle giurisdizioni serve precisamente a dissipare i dubbi che potrebbero rimanere in quanto all'interpretazione delle norme (Kafkaris, precitata, § 141). È stabilito del resto, solidamente nella tradizione giuridica degli Stati parti alla Convenzione che la giurisprudenza, in quanto sorgente del diritto, contribuisce necessariamente all'evoluzione progressiva del diritto penale (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A no 176-a). Non si potrebbe interpretare l'articolo 7 della Convenzione come se proibisse il chiarimento graduale delle regole della responsabilità penale tramite l'interpretazione giudiziale di una causa all'altra, purché il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], numeri 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDH 2001-II).
102. La portata della nozione di prevedibilità dipende in un larga misura dal contenuto del testo di cui si tratta, dal campo che copre così come dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità di una legge non si oppone al fatto che la persona riguardata sia portata a ricorrere ai consigli illuminati per valutare, ad un grado ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono risultare da un determinato atto (Achour, precitata, § 54).
103. Nel 1978, la Commissione europea dei diritti dell'uomo ha stimato che, a differenza dell'articolo 15 § 1 in fine del Patto delle Nazioni Unite relative ai diritti civili e politici, l'articolo 7 della Convenzione non garantiva il diritto di beneficiare dell'applicazione di una pena più leggera prevista da una legge posteriore al reato (X c. Germania, no 7900/77, decisione della Commissione del 6 marzo 1978, Decisioni e Rapporti, (DR, 13, pp,). 70-72). Quindi, ha dichiarato manifestamente mal fondato il motivo di appello di un richiedente che adduceva che dopo la loro commissione, una parte dei reati messi a suo carico era stata oggetto di una depenalizzazione . Questa giurisprudenza è stata ripresa dalla Corte che ha ricordato che l'articolo 7 non contempla il diritto di vedersi applicare una legge penale più favorevole (Le Petit c. Regno Unito, (dec.), no 35574/97, 5 dicembre 2000, e Zaprianov c. Bulgaria, (dec.), no 41171/98, 6 marzo 2003).
104. Senza che la Corte sia tenuta formalmente a seguire le sue decisioni anteriori, è nell'interesse della sicurezza giuridica, della prevedibilità e dell'uguaglianza dinnanzi alla legge che non si scosti senza motivo valido dai suoi propri precedenti (vedere, per esempio, Chapman c. Regno Unito [GC], no 27238/95, § 70, CEDH 2001-I). Però, essendo la Convenzione innanzitutto un meccanismo di protezione dei diritti dell'uomo, la Corte deve tenere conto dell'evoluzione della situazione nello stato convenuto e negli Stati contraenti in generale e reagire, per esempio, al consenso suscettibile di fare chiarezza in quanto al livello di protezione da raggiungere (vedere, tra altre, Cossey c. Regno Unito, 27 settembre 1990, § 35, serie A no 184, e Stafford c. Regno Unito [GC], no 46295/99, §§ 67-68, CEDH-2002-IV). È di un'importanza cruciale che la Convenzione venga interpretata ed applicata in modo da renderne le garanzie concrete ed effettive, e non teoriche ed illusorie. Se la Corte non adottasse un approccio dinamico ed evolutivo, simile atteggiamento rischierebbe ostacolare ogni riforma o miglioramento (Stafford, precitata, § 68, e Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], no 28957/95, § 74, CEDH 2002-VI).
105. La Corte considera che un lungo lasso di tempo è trascorso dalla pronunzia del decisione X c. Germania precitata e che durante questo tempo degli sviluppi importanti si sono prodotti a livello internazionale. In particolare, oltre l'entrata in vigore della Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo il cui articolo 9 garantisce la retroattività della legge che contempla una pena più leggera decretata dopo la commissione del reato (paragrafo 36 sopra) conviene segnalare la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea. La formula dell'articolo 49 § 1 di questo testo si discosta -e ciò non può essere che deliberato (vedere, mutatis mutandis, Christine Goodwin, precitata, § 100 in fine)-da quello dell'articolo 7 della Convenzione per il fatto che precisa che "se, dopo questo reato, la legge contempla una pena più leggera, questa deve essere applicata" (paragrafo 37 sopra). Nella causa Berlusconi ed altri, la Corte di giustizia delle Comunità europee la cui giurisprudenza è stata interinata dalla Corte di cassazione francese (paragrafo 39 sopra) ha stimato che questo principio faceva parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (paragrafo 38 sopra). Infine, l'applicabilità della legge penale più dolce è stata inserita nello statuto della Corte penale internazionale e è stata affermata nella giurisprudenza della TPIY (paragrafi 40 e 41 sopra).
106. La Corte deduce ne che, dalla decisione X c. Germania, si è formato progressivamente un consenso a livello europei ed internazionale per considerare che l'applicazione della legge penale che contempla una pena più dolce, anche posteriore alla commissione del reato, sia diventata un principio fondamentale del diritto penale. È anche significativo che la legislazione dello stato riguardato riconosca questo principio dal 1930 (vedere l'articolo 2 § 3 del CP citato al paragrafo 32 sopra).
107. L'articolo 7 della Convenzione non menziona certo, espressamente l'obbligo, per gli Stati contraenti, di fare beneficiare all'imputato di un cambiamento di legislazione intervenuto dopo la commissione del reato. È precisamente sulla base di questo argomento, legato al testo della Convenzione, che la Commissione ha respinto il motivo di appello del richiedente nella causa X c. Germania. Però, tenuto conto degli sviluppi sopra menzionati, la Corte non potrebbe considerare questo argomento come determinante. Del resto, osserva che vietando di infliggere una "pena più forte di quella che era applicabile nel momento in cui il reato è stato commesso", il paragrafo 1 in fine dell'articolo 7 non esclude che una pena più leggera, prevista da una legislazione posteriore al reato, possa beneficiare all'imputato.
108. Agli occhi della Corte, è coerente col principio della preminenza del diritto di cui l'articolo 7 costituisce un elemento essenziale, di aspettarsi il fatto che il giudice del merito applichi ad ogni atto punibile la pena che il legislatore stima proporzionata. Infliggere una pena più forte per la sola ragione che era contemplata al momento della commissione del reato si analizzerebbe in un'applicazione a scapito dell'imputato delle regole che regolano la successione delle leggi penali nel tempo. Ciò equivarrebbe inoltre ad ignorare ogni cambiamento legislativo favorevole all'imputato intervenuto prima del giudizio ed a continuare ad infliggere delle pene che lo stato, e la collettività che rappresenta, considerano oramai come eccessive. La Corte nota che l'obbligo di applicare, tra parecchie leggi penali, quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato si analizza in un chiarimento delle regole in materia di successione delle leggi penali, il che soddisfa un altro elemento essenziale dell'articolo 7, ossia quello della prevedibilità delle sanzioni.
109. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che le si impone di ritornare sulla giurisprudenza stabilita dalla Commissione nella causa X c. Germania e di considerare che l'articolo 7 § 1 della Convenzione non garantisce solamente il principio di non-retroattività delle leggi penali più severe, ma anche, ed implicitamente, il principio di retroattività della legge penale più dolce. Questo principio si manifesta nella regola che vuole che, se la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di un giudizio definitivo sono differenti, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato.
c) Sulla questione di sapere se l'articolo 442 del CPP contiene delle disposizioni di diritto penale materiale
110. La Corte ricorda che le regole sulla retroattività contenute nell'articolo 7 della Convenzione si applicano solamente alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono; in compenso, in altre cause, la Corte ha stimato ragionevole l'applicazione, da parte delle giurisdizioni interne, del principio tempus regola actum per ciò che riguarda le leggi di procedimento (vedere, a proposito una nuova regoalmentazione dei termini per l'introduzione di un ricorso, Mione c. Italia, (dec.), no 7856/02, 12 febbraio 2004, e Rasnik c. Italia, (dec.), no 45989/06, 10 luglio 2007; vedere anche Martelli c. Italia, (dec.), no 20402/03, 12 aprile 2007, concernente il collocamento in opera di una legge contenente delle nuove regole in materia di valutazione delle prove, e Coëme ed altri, precitata, §§ 147-149, relativa all'applicazione immediata ai procedimenti pendenti le leggi che modificano le regole di prescrizione). Conviene determinare dunque se il testo che è stato nel presente caso oggetto delle modifiche legislative controverse, ossia l'articolo 442 § 2 del CPP, conteneva delle disposizioni di diritto penale materiale, ed in particolare delle disposizioni che influiscono sulla severità della pena ad infliggere.
111. La Corte rileva che l'articolo 442 precitato fa parte del CPP le cui disposizioni regolamentano normalmente il procedimento da seguire per perseguire e giudicare i reati. Però, la qualifica in diritto interno del testo di legge riguardato potrebbe non essere determinante. Difatti, se è vero che gli articoli 438 e 441 a 443 del CPP descrivono il campo di applicazione e le tappe procedurali del procedimento abbreviato, non meno il paragrafo 2 dell'articolo 442 è consacrato interamente alla severità della pena da infliggere quando il processo si è svolto secondo questo procedimento semplificato. In particolare, all'epoca in cui il richiedente ha commesso i reati, questa disposizione contemplava che in caso di condanna, la pena fissata dal giudice veniva ridotta di uno terzo. La legge no 479 del 1999, entrata in vigore prima dell'udienza preliminare del processo del richiedente, ha precisato poi che l’ergastolo veniva sostituito da una detenzione di trent' anni ( paragrafo 29 sopra).
112. Non vi è nessun dubbio che le sanzioni menzionate all'articolo442 § 2 del CPP sono state imposte in seguito ad una condanna per un "reato" (Welch, precitata, § 28) che erano qualificate come "penali" in diritto interno e che avevano al tempo stesso un scopo repressivo e dissuasivo. In più, costituivano la "pena" inflitta per i fatti rimproverati all'imputato, e non delle misure che hanno fatto riferimento all' "esecuzione" o all' "applicazione" di questa (Kafkaris, precitata, § 142).
113. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che l'articolo 442 § 2 del CPP è una disposizione di diritto penale materiale concernente la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il procedimento abbreviato. Ricade dunque nel campo di applicazione dell'ultima frase dell'articolo 7 § 1 della Convenzione.
d) Sulla questione di sapere se il richiedente ha beneficiato dell'applicazione della legge penale più dolce
114. Il richiedente non contesta che al momento in cui ha commesso i reati, il 2 settembre 1999, i fatti che gli sono stati rimproverati erano passibili di ergastolo con isolamento diurno e che alla luce della sentenza della Corte costituzionale no 176 del 1991 (paragrafo 28 sopra) questa circostanza impediva l'adozione del procedimento abbreviato.
115. Questo ostacolo è stato eliminato però, quattro mesi più tardi, il 2 gennaio 2000, mentre il procedimento penale diretto contro il richiedente era pendente allo stadio delle investigazioni preliminari, grazie all'entrata in vigore della legge no 479 del 1999. Come notato più sopra, l'articolo 30 di questa ha modificato l'articolo 442 del CPP, per indicare che in caso di condanna al termine di un processo tenuto secondo il procedimento abbreviato, "l’ergastolo viene sostituito da una detenzione di trent' anni" (paragrafo 29 sopra). Avuto riguardo al fatto che, su richiesta del richiedente, il GUP ha accettato poi di applicare il procedimento abbreviato (paragrafi 11 e 12 sopra) la Corte stima che l'articolo 30 della legge no 479 del 1999 si analizza in una disposizione penale posteriore che prevedeva una pena più leggera. L'articolo 7 della Convenzione, come interpretato nella presente sentenza (paragrafo 109 sopra) imponeva dunque di farne beneficiare al richiedente.
116. Tale è, peraltro, il risultato al quale è arrivato il pretore. Difatti, con un giudizio del 24 novembre 2000, il GUP di Roma ha condannato il richiedente a trent' anni di detenzione, applicandogli la riduzione di pena prevista dall'articolo 442 § 2 del CPP come modificato dalla legge no 479 del 1999 (paragrafo 13 sopra).
117. Tuttavia, questa applicazione a favore dell'imputato di una disposizione che contempla una pena più dolce, entrata in vigore dopo la commissione ei reati, è stata annullata dalla corte di appello di Roma e dalla Corte di cassazione. Queste due giurisdizioni hanno stimato che si imponeva a loro di applicare il decreto-legge no 341 del 2000 che precisava che, nell'ipotesi di un concorso di reato, se c'era luogo -come nel caso del richiedente-di infliggere l’ergastolo con isolamento diurno, questo non veniva sostituito con i trent' anni di detenzione, ma con l’ergastolo semplice (paragrafi 19-21, 24, 30 e 31 sopra).
118. La Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo la quale il decreto-legge no 341 del 2000 non era un testo contenente una nuova regolamentazione della pena applicabile nella cornice del procedimento abbreviato, ma una legge di interpretazione della legislazione anteriore (paragrafo 91 sopra). A questo riguardo, rileva che, come modificato dalla legge no 479 del 1999, l'articolo 442 § 2 del CPP non presentava nessuna ambiguità particolare; indicava chiaramente che l’ergastolo veniva sostituito con trent' anni di detenzione, e non faceva nessuna distinzione tra le condanne all'ergastolo con o senza isolamento diurno. Peraltro, il Governo non ha prodotto nessuno esempio di conflitti giurisprudenziali ai quali l'articolo 442 precitato avrebbe dato presumibilmente luogo.
119. Ne segue che il richiedente si è visto infliggere una pena più forte di quella prevista dalla legge che, tra le leggi che sono state in vigore durante il periodo compreso tra la commissione del reato ed la pronunzia del giudizio definitivo, gli era più favorevole.
e) Conclusione
120. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che lo stato convenuto non ha soddisfatto il suo obbligo di fare beneficiare il richiedente della disposizione che contempla una pena più dolce ed entrata in vigore dopo la commissione del reato.
121. Ne segue che c'è stata nella specifico violazione dell'articolo 7 § 1 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
122. La Corte ricorda la sua constatazione secondo la quale è competente per esaminare anche i fatti all'origine del motivo di appello dichiarato ammissibile sotto l'angolo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafo 57 sopra).
123. Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge come segue:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita daun tribunale che deciderà della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. "
124. Il Governo contesta questo motivo di appello.
A. L'eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne formulata dal Governo
125. Il Governo osserva che il richiedente non si è avvalso della possibilità di revocare la sua scelta di adottare il procedimento abbreviato. Questa facoltà era prevista dall'articolo 8 § 2 del decreto-legge no 341 del 2000 (paragrafo 31 sopra). Ai termini di questo testo, l'interessato beneficiava di un termine che scadeva il 21 febbraio 2001 per esercitare il suo diritto di revoca, il che gli avrebbe permesso di beneficiare di un processo ordinario accompagnato da tutte le garanzie previste dall'articolo 6 della Convenzione.
126. La Corte considera che il Governo ha sollevato nella sua eccezione delle questioni strettamente legate a quelle sollevato dal motivo di appello derivato dal richiedente dall'articolo 6 della Convenzione. Pertanto, decide di unire l'eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne al merito (vedere, mutatis mutandis e tra molte altri, Isaak c. Turchia, no 44587/98, § 78, 24 giugno 2008).
B. Il merito del motivo di appello
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
127. Il richiedente stima che le circostanze che hanno condotto alla violazione dell'articolo 7 della Convenzione hanno portato anche violazione dei principi del processo equo. Nel febbraio 2000, aveva optato per il procedimento abbreviato, rinunciando così ad un certo numero di garanzie procedurali perché, sulla base del CPP in vigore a questa epoca, sapeva che in caso di condanna sarebbe stato punito a trent' anni di detenzione e non all’ergastolo. Il CPP è stato modificato però in modo sfavorevole e la sua rinuncia non è più stata abbinata in compenso ad una riduzione di pena, essendo il solo vantaggio evitare l'isolamento diurno. Ora l'adozione del procedimento abbreviato si analizza nella conclusione di un "contratto di dritto pubblico" tra l'imputato e gli stati; una volta concluso, questo "contratto" non può essere rescisso o modificato in modo unilaterale.
128. Il richiedente osserva che al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge no 341 di 2000 e della sua conversione in legge, era detenuto in un penitenziario. Non era informato della facoltà di togliere la sua richiesta di adozione del procedimento con rito abbreviato che si riferisce dunque all'esercizio di un diritto personale dell'imputato. Questa facoltà non era menzionata per niente nel ricorso in cassazione della procura. Non essendo rotto agli arcani dei procedimenti giudiziali, il richiedente non ha avuto una possibilità reale di ritornare sulle sue scelte di procedura. Le affermazioni contenute nella sentenza Hermi c. Italia ([GC], no 18114/02, § 92, CEDH 2006 -...) secondo le quali non si potrebbe fare pesare sullo stato l'obbligo di menzionare in dettaglio, in ogni atto di procedimento, i diritti e le facoltà dell'imputato, non sarebbero pertinenti nel presente caso che riguarda l'applicazione retroattiva di una pena più forte.
b) Il Governo
129. Il Governo riconosce che, nel momento in cui il richiedente ha introdotto la sua richiesta di adozione del procedimento abbreviato, il 18 febbraio 2000, l'articolo 442 § 2 del CPP contemplava che, se la pena da infliggere era l’ergastolo, il giudice doveva ridurla a trent' anni di detenzione. In più, è possibile che al momento della pronunzia del giudizio di condanna di prima istanza, il 24 novembre 2000, il richiedente non sia stato informato dell'esistenza del decreto-legge no 341 di 2000, entrato in vigore lo stesso giorno. Però, il legislatore ha pensato a questa eventualità , poiché ha contemplato la facoltà per l'imputato di rinunciare al procedimento abbreviato e di chiedere si essere giudicato secondo il procedimento ordinario (vedere l'articolo 8 del decreto-legge no 341 del 2000 citato al paragrafo 31 sopra).
130. Questa facoltà doveva essere esercitata entro trenta giorni a partire o dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge no 341 del 2000, cioè prima del 21 febbraio 2001, o della notificazione del ricorso della procura. Il richiedente ha disposto dunque di quasi tre mesi per ritornare sulla sua decisione di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato, ma ha scelto di non avvalersi di questa possibilità . Se l'avesse fatto, il procedimento sarebbe ritornato alla fase dall'udienza preliminare ed il processo si sarebbe svolto secondo le regole ordinarie.
131. Essendo stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il decreto-legge in contenzioso doveva essere considerato come conosciuto da tutti. Come la Grande Camera ha affermato nella causa Hermi precitata, l'avvocato del richiedente aveva l'obbligo legale e professionale di informare il suo cliente a questo proposito. Peraltro, il ricorso della procura, comunicato sia al richiedente che al suo avvocato, menzionava la nuova legislazione.
2. Valutazione della Corte
132. La Corte ricorda innanzitutto che, nella cornice di dispute civili, ha molte volte affermato che se, in principio, al potere legislativo non viene impedito di regolamentare, con nuove disposizioni di portata retroattiva, dei diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo consacrato dall'articolo 6 si oppone, salvo per gli imperiosi motivi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla conclusione giudiziale della controversia (vedere, tra molte altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 49, serie A no 301-B, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Raccolta 1997-VII, Zielinski e Pradal e Gonzalez ed altri c. Francia [GC], numeri 24846/94 e 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDH 1999-VII, e Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 126, CEDH 2006 -...). La Corte considera che questi principi che costituiscono degli elementi essenziali delle nozioni di sicurezza giuridica e di protezione della fiducia legittima dei giudicabili (Unedic c. Francia, no 20153/04, § 74, 18 dicembre 2008I si trovano ad applicare, mutatis mutandis, al processo penale.
133. Nello specifico, il richiedente si lamenta che pure avendo optato per un passo semplificato -il procedimento abbreviato -è stato privato del vantaggio più importante che, secondo la legge in vigore all'epoca in cui ha fatto la sua scelta, vi era annesso, ossia la sostituzione dell’ergastolo con trent' anni di detenzione.
134. La Corte ha avuto già l'occasione di dedicarsi alle particolarità del procedimento abbreviato previsto dal CPP italiano. Ha osservato che questo passo provocava dei vantaggi innegabili per l'imputato: in caso di condanna, questo beneficia di un'importante riduzione della pena e la procura non può interporre appello dei giudizi di condanna che non modificano la qualifica giuridica della violazione (Hermi, precitata, § 78, e Hany c. Italia, (dec.), no 17543/05, 6 novembre 2007). Questo passo è abbinato però ad un indebolimento delle garanzie del procedimento offerte dal diritto interno, in particolare per ciò che riguarda la pubblicità dei dibattimenti, la possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova e di ottenere la convocazione di testimoni (Kwiatkowska c. Italia, (dec.), no 52868/99, 30 novembre 2000). Difatti, nella cornice del procedimento abbreviato, la produzione di nuove prove è in principio esclusa, dovendo essere presa la decisione dinnanzi, salvo eccezioni, sulla base degli atti contenuti nella pratica della procura (Hermi, precitata, § 87; vedere anche il paragrafo 27 sopra).
135. Le garanzie sopra menzionate costituiscono degli aspetti fondamentali del diritto ad un processo equo consacrato dall'articolo 6 della Convenzione. Né la lettera né lo spirito di questa disposizione impediscono ad una persona di rinunciarvi di spontanea volontà in modo espresso o tacito. Però, per entrare in fila di conto sotto l'angolo della Convenzione, suddetta rinuncia deve trovarsi stabilita in modo non equivoco e circondarsi di un minimo di garanzie corripsondenti alla sua importanza (Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993, § 31, serie A n° 277-ha, e Hermi, precitata, § 73). In più, non deve urtare nessun interesse pubblico importante (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A no 171-a, e Sejdovic, precitata, § 86).
136. La Corte stima che chiedendo l'adozione del procedimento abbreviato, il richiedente-che era assistito da un avvocato di sua scelta, e dunque in grado di conoscere le conseguenze derivanti dalla sua richiesta-ha rinunciato senza equivoco ai suoi diritti ad un'udienza pubblica, ad ottenere la convocazione dei testimoni in giustizia, alla produzione delle nuove prove e all'interrogazione dei testimoni a carico. Non appare inoltre che la disputa abbia sollevato delle questioni di interesse pubblico che si oppongono a tale rinuncia (vedere, mutatis mutandis, Kwiatkowska, decisione precitata).
137. Però, come sottolineato più sopra, questa rinuncia ha avuto luogo in cambio di un certo numero di vantaggi tra cui figurava la non-inflizione dell’ergastolo Difatti, risultava chiaramente dal testo dell'articolo 442 del CPP, come modificato dalla legge no 479 del 1999 che in caso di condanna secondo il procedimento abbreviato, la pena da infliggere era ridotta di un terzo e l’ergastolo veniva sostituito con una detenzione di trent' anni. Sulla base di questa cornice legale, in vigore nel momento in cui ha chiesto l'adozione del passo semplificato, il richiedente poteva aspettarsi legittimamente che, grazie alla sua scelta di procedimento, la pena massima in cui sarebbe incorso fosse una detenzione di una durata non superiore ai trent' anni.
138. Questa attesa legittima del richiedente è stato tuttavia delusa dal decreto-legge no 341 del 2000 che ha precisato che, quando il giudice stimava che la pena da infliggere fosse l’ergastolo con isolamento diurno, si imponeva di applicare l’ergastolo senza isolamento. A partire dall'entrata in vigore di questo testo, il 24 novembre 2000, è stato chiaro che potevano incorrere in questa pena anche dagli imputati giudicati secondo il procedimento abbreviato. Questo cambiamento delle regole di determinazione della pena è stato applicato tuttavia non solo ai nuovi richiedenti del procedimento abbreviato, ma anche alle persone che, come il richiedente, avevano formulato istanza di adozione del passo semplificato ed erano state giudicate in prima istanza prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto-legge no 341 del 2000.
139. La Corte stima che un imputato deve potersi aspettare che lo stato agisca in buona fede e tenga debitamente conto delle scelte di procedimento operato dalla difesa, utilizzando le possibilità che gli sono offerte dalla legge. È contrario al principio della sicurezza giuridica ed alla protezione della fiducia legittima dei giudicabili che un Stato possa, in modo unilaterale, ridurre i vantaggi derivanti dalla rinuncia a certi diritti inerenti alla nozione di processo equo. Essendo fatta questa rinuncia cambio di suddetti vantaggi, non si potrebbe considerare come equo che, una volta che le autorità interne competenti hanno accettato di adottare un passo semplificato, un elemento fondamentale dell'accordo tra gli stati e l'imputato venga modificato a scapito di questo ultimo senza il suo consenso. A questo riguardo, la Corte nota che, se è vero che gli Stati contraenti non sono costretti dalla Convenzione a contemplare dei procedimenti semplificati (Hany, decisione precitata) non è da meno che, quando tali procedimenti esistono e vengono adottati, i principi del processo equo comandano di non privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi che vi sono annessi.
140. Nello specifico, l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge no 341 del 2000 dopo la fine del processo di prima istanza ha privato il richiedente di un beneficio essenziale garantito dalla legge e che era all'origine della sua scelta di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato. Ora ciò è incompatibile nei confronti dei principi che derivano dall'articolo 6 della Convenzione.
141. Resta da determinare se la facoltà , riconosciuta al richiedente dall'articolo 8 del decreto-legge no 341 del 2000, di togliere la sua istanza di adozione del procedimento abbreviato era di natura tale da ovviare al danno che ha subito.
142. La Corte nota innanzitutto che non potrebbe aderire alla tesi dell'interessato secondo la quale, in mancanza per le autorità di averlo informato a questo riguardo, non aveva avuto nessuna possibilità reale di avvalersi della facoltà in questione. Ricorda che non si potrebbe fare pesare sullo stato l'obbligo di menzionare in dettaglio, in ogni atto di procedimento, i diritti e le facoltà dell'imputato, e che appartiene al consigliere di un imputato di informare il suo cliente in quanto al seguito del procedimento a suo carico ed ai passi da iniziare per fare valere i suoi diritti (Hermi, precitata, § 92). Ora, sebbene privo di libertà , il richiedente era, all'epoca della pubblicazione del decreto-legge no 341 di 2000 e del ricorso in cassazione della procura, assistito di due consiglieri di sua scelta che, il 5 febbraio 2001, avevano interposto peraltro appello del giudizio di prima istanza (paragrafo 16 sopra). Come il Governo ha sottolineato a buon diritto, questi consiglieri avevano ricevuto una copia del ricorso della procura dove il decreto-legge in contenzioso era menzionato espressamente. Hanno avuto quindi l'opportunità di informare a questo riguardo il loro cliente e di discutere con lui della strategia adattata per rispondere alle richieste della procura. Disponevano inoltre di un lasso di tempo sufficiente, trenta giorni a partire dall'entrata in vigore della legge di conversione o dalla notificazione del ricorso della procura, per studiare la questione.
143. Tuttavia, conviene osservare che, se avesse tolto la sua istanza di adozione del procedimento abbreviato, il richiedente avrebbe ottenuto la ripresa dei perseguimenti secondo il procedimento ordinario e la ripresa del processo allo stadio dell'udienza preliminare. Avrebbe potuto beneficiare così dei diritti ai quali aveva rinunciato conformemente all'adozione del procedimento abbreviato. Non gli era però lecito costringere lo stato a rispettare l'accordo concluso precedentemente che implicava uno scambio tra rinuncia alle garanzie procedurali e riduzione di pena.
144. Agli occhi della Corte, sarebbe eccessivo esigere da un imputato che rinuncia ad un procedimento semplificato accettato dalle autorità ed che ha condotto, in prima istanza, all'ottenimento dei benefici auspicati. A questo riguardo, la Corte ricorda che, per più dei nove mesi, dal 18 febbraio al 24 novembre 2000, il richiedente ha creduto legittimamente che, grazie all'adozione del procedimento abbreviato, la pena massimale in cui sarebbe incorso era trent' anni di detenzione, e che questa attesa legittima è stata delusa da fattori che sfuggono al suo controllo, come la durata del procedimento interno e l'adozione del decreto-legge no 341 del 2000.
145. Ne segue che l'eccezione preliminare di non-esaurimento del Governo (paragrafi 125-126 sopra, non potrebbe essere accolta e che c'è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione.
IV. SUGLI ARTICOLI 46 E 41 DELLA CONVENZIONE
A. Sull'articolo 46 della Convenzione
146. Ai termini di questa disposizione:
"1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte viene trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l'esecuzione. "
147. In virtù dell'articolo 46 della Convenzione, le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive rese dalla Corte nelle controversie alle quali sono parti, essendo incaricato il Comitato dei Ministri di sorvegliare l'esecuzione di queste sentenze. Ne deriva in particolare che, quando la Corte constata una violazione, lo stato convenuto ha non solo l'obbligo giuridico di versare agli interessati la somma assegnata a titolo di soddisfazione equa prevista dall'articolo 41, ma anche di adottare le misure generali e/o, all'occorrenza, individuali necessarie. Avendo le sentenze della Corte una natura essenzialmente declaratoria, lo stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per soddisfare il suo obbligo giuridico allo sguardo dell'articolo 46 della Convenzione, per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], numeri 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII, Sejdovic, precitata, § 119, ed Aleksanyan c. Russia, no 46468/06, § 238, 22 dicembre 2008).
148. Tuttavia, eccezionalmente, per aiutare lo stato convenuto ad assolvere i suoi obblighi a titolo dell'articolo 46, la Corte ha cercato di indicare il tipo di misure che potrebbero essere prese per mettere termine alla situazione che aveva constatato (vedere, per esempio, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 194, CEDH 2004-V). In altri casi eccezionali, quando la natura stessa della violazione constatata non offre realmente alcuna scelta tra differenti tipidi misure suscettibili di ovviarvi, la Corte può decidere di indicare una sola misura individuale (Aleksanyan, precitata, § 239, ed Abbasov c. Azerbaigian, no 24271/05, § 37, 17 gennaio 2008).
149. Nel presente caso, la Corte non stima necessario indicare delle misure generali che si impongono a livello nazionale nella cornice dell'esecuzione della presente sentenza.
150. Per ciò che riguarda le misure individuali, conviene ricordare che, in numerose cause in cui aveva concluso alla violazione dell'articolo 6 della Convenzione a causa di una mancanza di indipendenza e di imparzialità del tribunale (vedere, tra altre, Gençel c. Turchia, no 53431/99, § 27, 23 ottobre 2003, e Tahir Duran c. Turchia, no 40997/98, § 23, 29 gennaio 2004) di un attentato al diritto di partecipare al processo (Somogyi c. Italia, no 67972/01, § 86, CEDH 2004-IV, e R.R. c. Italia, no 42191/02, § 76, 9 giugno 2005) o al diritto di interrogare i testimoni a carico (Bracci c. Italia, no 36822/02, § 75, 13 ottobre 2005) la Corte ha indicato nelle sentenze della camera che in principio la correzione più appropriata consisterebbe nel fare giudicare di nuovo il richiedente su richiesta di questo ed in tempo utile. La Grande Camera ha fatto suo l’approccio generale adottato nella giurisprudenza sopraccitata (Öcalan c. Turchia [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV, e Sejdovic, precitata, §§ 126-127).
151. Non da meno le misure individuali devono mirare a porre il richiedente, il più possibile, in una situazione equivalente a quella nella quale si troverebbe se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze della Convenzione (Piersack c. Belgio (articolo 50), 26 ottobre 1984, § 12, serie Ano 85). Una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l'obbligo giuridico allo sguardo dell'articolo 46 della Convenzione di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può la situazione anteriore a questa (Menteş ed altri c. Turchia (soddisfazione equa), 24 luglio 1998, § 24, Raccolta 1998-IV, Scozzari e Giunta, precitata, § 249, Maestri c. Italia [GC], no 39748/98, § 47, CEDH 2004-I, ed Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 198, CEDH 2004-II).
152. Lo stato mantiene un potere da valutazione in quanto alle modalità di esecuzione della sentenza, purché soddisfaccia l'obbligo fondamentale che gli è imposto dalla Convenzione: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà che garantisce (Assanidzé, precitata, § 202). Allo stesso tempo, poiché ratificando la Convenzione gli Stati contraenti si avviano a fare in modo che il loro diritto interno sia compatibile con questa, appartiene allo stato convenuto di eliminare, nel suo ordine giuridico interno, ogni ostacolo eventuale ad una correzione adeguata della situazione del richiedente (Maestri, precitata, § 47, ed Assanidzé, precitata, § 198).
153. Ora la Corte ha concluso nel presente caso che l'applicazione retroattiva, a scapito del richiedente, delle disposizioni del decreto-legge no 341 del 2000 ha violato i diritti garantiti dagli articoli 6 e 7 della Convenzione. In particolare, al termine di un processo giudicato iniquo dalla Corte (paragrafo 145 sopra) il richiedente si è visto imporre una pena, l’ergastolo, più forte della pena massima in cui rischiava di incorrere nel momento in cui ha chiesto ed ha ottenuto di essere giudicato secondo il procedimento abbreviato, trent' anni di detenzione.
154. Avuto riguardo alle circostanze particolari della causa ed all'occorrenza urgente di mettere fine alla violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione, la Corte stima dunque che incombe sullo stato convenuto di garantire che l’ergastolo inflitto al richiedente venga sostituito con una pena conforme ai principi enunciati nella presente sentenza, ossia una pena che non supera trent' anni di detenzione.
B. Sull'articolo 41 della Convenzione
155. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
1. Danno
156. Il richiedente richiede 250 000 euro (EUR) per danno morale. Osserva che nello specifico la sua condanna a trent' anni di detenzione è stata sostituita dalla sua condanna all’ergastolo. Questa ultima pena equivarrebbe ad una "dichiarazione di morte morale" che, inoltre, è stata pronunciata asuo carico mentre era gravemente malato.
157. Il Governo non ha sottomesso commenti su questo punto.
158. La Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale certo. Deliberando in equità e sulla base dei criteri definiti nella sua giurisprudenza, come vuole l'articolo 41 della Convenzione, gli concede 10 000 EUR a questo titolo.
2. Oneri e spese
159. Appellandosi a una nota spese del suo avvocato, il richiedente sollecita 15 623,50 EUR per gli oneri e le spese sostenuti dinnanzi alla Corte.
160. Il Governo non ha sottomesso commenti su questo punto.
161. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio degli oneri e delle spese sostenuti dal richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisca la loro realtà , la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, 25 marzo 1998, § 49, Raccolta 1998-II).
162. La Corte giudica eccessivo l'importo sollecitato per gli oneri e le spese afferenti al procedimento dinnanzi a lei e decida di concedere 10 000 EUR sotto questo capo.
3. Interessi moratori
163. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Stabilisce, all'unanimità , che è competente per esaminare la causa che le viene sottoposta anche sotto l'angolo dell'articolo 6 della Convenzione:
2. Respinge, all'unanimità , l'eccezione preliminare di non-esaurimento delle vie di ricorso interne derivata dal Governo per il fatto che il richiedente non ha sollevato dinnanzi alle giurisdizioni nazionali i suoi motivi di appello a titolo dell'articolo 7 della Convenzione;
3. Stabilisce, per undici voci contro sei, che c'è stata violazione dell'articolo 7 della Convenzione;
4. Unisce al merito, all'unanimità , l'eccezione preliminare di non-esaurimento delle vie di ricorso interne derivata dal Governo per il fatto che il richiedente non si è avvalso della possibilità di revocare la sua scelta di adottare il procedimento abbreviato e l'ha respinta;
5. Stabilisce, all'unanimità , che c'è stata violazione dell'articolo 6 della Convenzione;
6. Stabilisce,
a) all'unanimità , che incombe sullo stato convenuto garantire che l’ergastolo inflitto al richiedente venga sostituito con una pena conforme ai principi enunciati nella presente sentenza( paragrafo 154 sopra);
b) per sedici voci contro una, che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi, 10 000 EUR (dieci miglia euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
c) all'unanimità , che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi, 10 000 EUR dieci mila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
d) all'unanimità che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
7. Respinge, all'unanimità , la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese ed in inglese, poi pronunziato in udienza pubblica al Palazzo dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, il 17 settembre 2009.
Michael O'Boyle Jean-Paul Costa
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell'ordinamento, la seguente esposizione delle opinioni separate:
-opinione concordante del giudice Malinverni alla quale aderiscono i giudici Cabral Barreto e Å ikuta;
-opinione in parte dissidente del giudice Nicolaou alla quale aderiscono i giudici Bratza, Lorenzen, Joèiené, Villiger e Sajó.
J. - P.C.
M.O.B.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE MALINVERNI
ALLA QUALE ADERISCONO I GIUDICI CABRAL BARRETO E Å IKUTA
Aderisco a tutti gli argomenti che hanno condotto la Grande Camera a concludere ad una violazione dell'articolo 7 della Convenzione. Mi dispiace invece che la sentenza non si sia dedicata al fatto che costituisce a mio avviso la particolarità di questa causa, ossia le circostanze che hanno circondato il ricorso in cassazione del pubblico ministero.
Queste circostanze sono le seguenti: il giudizio di prima istanza è stato pronunciato il 24 novembre 2000, ossia lo stesso giorno in cui è entrato in vigore il decreto-legge no 341 (paragrafo 13 della sentenza). Secondo le affermazioni del richiedente, non contestate dal Governo, l'udienza dinnanzi al GUP di Roma è cominciata alle 10 h 19. Siccome il giudizio è stato pronunciato immediatamente dopo l'udienza (paragrafo 81), è molto verosimile che la decisione del GUP sia stata resa nel corso della mattinata del 24 novembre 2000.
Il decreto-legge no 341 è stato in quanto a lui pubblicato sulla Gazzetta ufficiale lo stesso giorno, ma nella corso del pomeriggio (paragrafo 33). Ne segue che al momento della pronunzia del giudizio di prima istanza, il decreto in questione non poteva essere conosciuto da nessuno, ed è ben noto che un testo legislativo non potrebbe esporre degli effetti anteriormente la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (paragrafo 34).
Nel suo ricorso in cassazione del 12 gennaio 2001, la procura presso la Corte di appello di Roma ha sostenuto che il GUP avrebbe dovuto applicare l'articolo 7 del decreto-legge no 341 e che questa omissione doveva essere considerata come un "errore manifesto di dritto." Ha chiesto perciò la sostituzione della pena inflitta al richiedente, o 30 anni di detenzione, con l’ergastolo ( paragrafi 14 e 15). Questa istanza, come si sa, è stata in seguito accolta dalla Corte d’assise di appello di Roma.
A mio parere, i principi di sicurezza giuridica, della preminenza del diritto e della non-retroattività della legge penale più severa impongono alle autorità di non applicare, a scapito di un imputato, una legge che non poteva essere conosciuta al momento della pronunzia del giudizio.
Quando ha chiesto l'adozione del procedimento abbreviato e fino alla fine del processo in prima istanza, il richiedente non poteva contemplare le conseguenze dell'applicazione del decreto no 341. Quindi, nelle circostanze particolari descritte sopra, la sanzione inflitta dalla giurisdizione di appello su richiesta della procura si rivela essere privata di ogni base legale ed è dunque, per questa ragione anche, contraria all'articolo 7 della Convenzione.
OPINIONE IN PARTE DISSIDENTE DEL GIUDICE NICOLAOU ALLA QUALE ADERISCONO I GIUDICI BRATZA, LORENZEN, JOČIENE, VILLIGER E SAJÓ
(Traduzione)
La Grande Camera ha concluso all'unanimità che c'era stata nella specifico violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Il ragionamento esposto nella parte della sentenza consacrata all'articolo6 § 1, che approviamo senza riserva, deve essere letto a nostro avviso anche alla luce dei principi già riconosciuti dalla Corte ed esaminati dalla maggioranza sotto l'angolo dell'articolo 7 § 1. È situandola in un contesto più generale difatti che la questione dell'equità sollevata sotto l'angolo dell'articolo 6 § 1 acquisisce la sua piena dimensione.
All'epoca in cui le violazioni sono state commesse, la pena incorsa era l’ergastolo con isolamento diurno. Per le violazioni passibili di questa pena, prevedendo il procedimento abbreviato una riduzione di pena non era allora applicabile, ma lo diventò in seguito. Il 19 febbraio 2000, il richiedente fece la scelta di questo procedimento e, con l'accordo delle autorità di perseguimento, il tribunale penale decise di applicarlo. Dopo due rinvii di udienza, la causa fu esaminata solamente il 24 novembre 2000, o alla fine di più di otto mesi, mentre il processo ed la pronunzia della pena non necessitavano un'udienza di più di una mattinata. Il decreto-legge che contempla una pena più pesante che fu pubblicato alla fine di questa stessa giornata, mirava a disfare ciò che era stato già fatto. Essendo stato gradito dalle autorità giudiziali, provocò un aumento della pena inflitta al richiedente. Tali sono le circostanze che ci hanno condotto a concludere ad una mancanza di equità .
Tuttavia, mentre l'articolo 6 § 1 risponde perfettamente ai bisogni della presente causa , la maggioranza non si è accontentata di questa situazione. Ha stimato che la causa doveva essere esaminata principalmente sotto l'angolo dell'articolo 7 § 1, considerando non solo che questa disposizione ingloba il principio della legge più favorevole -lex mitior- ma anche che lo specifico richiamava un cambiamento improvviso totale della giurisprudenza della Corte tramite una nuova interpretazione dell'articolo 7 § 1 più conforme allo spirito del tempo. Ora, secondo noi, l'articolo 7 § 1 non suscita tale interpretazione.
Sebbene esiste in apparenza un legame tematico tra il principio di legalità contenuto all'articolo 7 § 1 ed il principio della legge più favorevole, legame forse ancora rinforzato dal fatto che gli strumenti ulteriori di protezione dei diritti dell'uomo trattano insieme questi due principi, esiste tra essi una differenza cruciale. Difatti, il primo principio funziona ad un livello più elevato rispetto al secondo e fa parte integrante dello stato di diritto. Nullum crimen nulla poena sine praevia lege poenali: nessuno deve essere condannato o punito senza l'esistenza di una legge penale anteriore. Niente è più fondamentale di questo principio, al tempo stesso assoluto e discutibile che costituisce una condizione indispensabile alla libertà . Questo perché l'articolo 15 non autorizza nessuna eccezione all'articolo 7 § 1. Il principio della legge più favorevole non fa parte di questa esigenza dello stato di diritto e non può essere considerato neanche come il prolungamento o il corollario. Si tratta di un'altra forma di norma che esprime una scelta che riflette l'evoluzione di un processo sociale in opera nel diritto penale. Limita la portata del diritto penale proteggendo i vantaggi di cui beneficiano i giudicabili in caso di adozione di leggi sul merito dopo la commissione del reato ed applicabili finché la causa è pendente. In mancanza di disposizione specifica, questo principio dipende dalla politica o dalla scelta che può esercitare lo stato in materia penale nella cornice della sua competenza discrezionale.
È certo che, quando l'articolo 7 § 1 è stato adottato, il principio della legge più favorevole non ne faceva parte; nessuno ha lasciato intendere che si potesse pensare all'epoca che era inglobato nel principio nullum crimen nulla poena sine lege, spesso citato sotto questa forma abbreviata. L'articolo 7 § 1 della Convenzione, adottato nel 1950, è stato redatto sul modello dell'articolo 11 § 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottato dall'assemblea generale delle Nazioni unite nel 1948, articolo che riprende quasi parola per parola. I lavori preparatori all'articolo 7 § 1 mostrano (pagina 7, punto 5,) che la possibilità di aggiungere il principio della legge più favorevole è stata prevista poi abbandonata. È significativo che, all'epoca della preparazione della disposizione equivalente del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, il progetto di testo conteneva inizialmente solo il principio nullum crimen nulla poena sine lege, quello stesso che è garantito dall'articolo 7 § 1 della Convenzione. La proposta di includere il principio della legge più favorevole è intervenuta solamente più tardi, questo perché una terza frase è stata aggiunta:
"Se, dopo questo reato, la legge contempla l'applicazione di una pena più leggera, il delinquente deve beneficiarvi. "
L'opportunità di procedere a questa aggiunta ha suscitato delle divergenze. Il lavoro di Marc Bossuyt intitolato « A Guide to the 'Travaux préparatoires' of the International Covenant on Civil and Political Rights » contiene un conto reso interessante dalle diverse considerazioni in gioco:
"Comitato dei diritti dell'uomo, 5 sessione (1949), 6 sessione (1950), 8 sessione (1952)
A/2929, cap. VI, § 95,: è stato avanzato che la terza frase del paragrafo 1 era in contraddizione con l'ipotesi sottostante alla seconda frase, ossia che una pena deve essere quella che viene autorizzata dalla legge in vigore all'epoca in cui viene inflitta [E / CN.4/SR.159, §§ 46-48 (USA); E/CN.4/SR.324, p. 4 & p. 7 & p. 15 (GB), p. 5 (USA), P. 9 (IND)]. È stato detto anche che, qualunque sia il valore dell'obiettivo previsto dalla terza frase, non era adeguato includerlo nel Patto perché ciò sarebbe sembrato volere dire che le persone condannate sarebbero abilitate di diritto ad esigere di beneficiare di ogni modifica portata alla legge dopo la loro condanna [E/CN.4/SR.112, p. 3 (GB), P. 5 (GCA); E/CN.4/SR.324, P. 5 (USA)]. È stato affermato che gli esecutivi degli Stati parti al Patto dovevano conservare una totale latitudine per applicare i vantaggi delle ulteriori leggi a tali persone [E/CN.4/SR. 159, §§ 61-62 (USA), § 65 (GB), § 72 (RCH); E/CN.4/SR.324, p. 16 (GB)]. Contrariamente a questi pareri, è stato detto che la tendenza in diritto penale moderno era di permettere ad una persona di beneficiare delle pene più leggere previste dalle leggi posteriori al reato di cui era accusata [E/CN.4/SR.112, p. 4 (USA), P. 6 (RCH, P,). 7, SU,; E/CN.4SR.159, § 83, E, § 86 (U), § 88 (F); E/CN.4/SR.199, § 151 (GB), § 153 (F), § 156, E,; E/CN.4/SR.324, pp. 4-5 & p. 8, SU, P. 5(B, p. 9 (YU), P. 11 (RCH) & (F), p. 12 (Piazza), p. 14 (egli)]; le leggi che contemplano delle nuove pene più leggere erano spesso l'espressione concreta di un'evoluzione dell'atteggiamento della società verso il reato in questione [E/CN.4/SR.112, p. 8 (F); E/CN.4/SR.324, P. 7 (RCH)]. "
L'argomento secondo cui l'articolo 7 § 1 della Convenzione deve essere interpretato come se inglobasse il principio della legge più favorevole è stato esaminato e respinto dalla Commissione nella causa X. c. Repubblica federale di Germania (no 7900/77, decisione della Commissione del 6 marzo 1978, Decisioni e rapporti no 13, pp. 70-72). Il richiedente che era stato condannato ad una multa per violazione al codice delle imposte, fece opposizione. La multa fu confermata dopo l'abrogazione della disposizione riguardata del codice delle imposte. Il richiedente faceva valere che avrebbe dovuto beneficiare di questo emendamento ed adduceva una violazione dell'articolo 7 della Convenzione invocando in appoggio l'articolo 15 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Può essere utile notare a questo riguardo che la Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo, adottata fin dal 1969 ma entrata in vigore il 18 luglio 1978, o alcuni mesi dopo la decisione precitata, rinchiude anche una frase che consacra il principio della legge più favorevole. In una corta decisione, la Commissione ha espresso l'evidenza in questi termini:
"Tuttavia, l'articolo 7 della Convenzione non contiene nessuna disposizione simile all'articolo 15 ,paragrafo 1 in fine del Patto delle Nazioni Unite che prevede un'ipotesi differente che garantisce al delinquente il diritto di beneficiare dell'applicazione di una pena più leggera prevista da una legge posteriore al reato del resto.
Nello specifico, una parte dei fatti messi a carico del richiedente è stata, in qualche modo, oggetto di una depenalizzazione. Non è da meno che al momento in cui è stata commessa, l'azione del richiedente costituiva un reato secondo il diritto nazionale ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 1, in modo che il motivo di appello è, anche, manifestamente male fondato. "
La decisione adottata nella causa X. c. Repubblica federale della Germania è stata seguita dalla Corte, in una data abbastanza recente, nelle cause Ian Le Petit c. Regno Unito, (dec.), no 35574/97, 5 dicembre 2000, e Zaprianov c. Bulgaria, (dec.), no 41171/98, 6 marzo 2003, dove ha affermato categoricamente:
"L'articolo 7 non garantisce il diritto di vedere applicare un emendamento legislativo più favorevole adottato posteriormente ad un reato. "
La divergenza di opinione che appare nello specifico non proviene da una differenza di interpretazione dell'articolo 7 § 1 della Convenzione. Rispettiamo tutte le regole internazionali in materia consacrate dagli articoli 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), ed il punto di vista che esprimiamo a proposito dell'articolo 7 § 1, in quanto minoranza, non rimette in causa la giurisprudenza della Corte -alla quale la maggioranza si riferisce brevemente-relativa all'annullamento di decisioni anteriori, se necessarie, o alla necessità di adattarsi ai cambiamenti e di reagire all'uscita di un consenso a proposito di nuove norme perché, è sottolineato così spesso, la Convenzione è un strumento vivente che richiama un approccio dinamico ed evolutivo per rendere i diritti pratici ed effettivi e non semplicemente teorici ed illusori. Tuttavia, nessuna interpretazione giudiziale, anche che sia creativa, non è totalmente esente da costrizioni. Ciò che importa è innanzitutto di non oltrepassare i limiti fissati dalle disposizioni della Convenzione. Come la Corte ha indicato nella causa Johnston ed altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 53, serie A no 112,:
"La Convenzione ed i suoi Protocolli si devono interpretare alla luce delle condizioni di oggi (vedere, tra altre, la sentenza Marckx precitato, serie A no 31, p. 26, § 58) ma la Corte non ne potprebbe emanare, per mezzo di un'interpretazione evolutiva, un diritto che non è stato inserito alla partenza. Ne va particolarmente così quando si tratta, come qui, di un'omissione deliberata. "
Si tratta di una questione sulla quale la Corte dovrebbe mostrarsi particolarmente sensibile. Ora, e benché la presente causa non l'esiga, la maggioranza ha proceduto all'esame della causa sotto l'angolo dell'articolo 7 § 1 e, per applicare questo, l'ha riscritto per renderlo conforme a ciò che stima che avrebbe dovuto dire. Ci permettiamo di dire che ciò supera i limiti.