Conclusioni: Parzialmente inammissibile
Non-violazione dell'articolo 6 - Diritto ad un processo equo, Articolo 6 Procedimento civile Articolo 6-1 - Processo equo, Danno patrimoniale - domanda respinta Danno morale - risarcimento
QUARTA SEZIONE
CAUSA SCHIPANI ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 38369/09)
SENTENZA
STRASBURGO
21 luglio 2015
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nel causa Schipani ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo, quarta sezione, riunendosi in una camera composta di:
Päivi Hirvelä, presidentessa,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek,
Yonko Grozev, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, greffière di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 giugno 2015,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 38369/09) diretta contro la Repubblica italiana e di cui quindici cittadini di questo Stato ("i richiedenti") hanno investito la Corte il 6 luglio 2009 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. I richiedenti sono stati rappresentati da OMISSIS, avocate a Cosenza. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, il Sig. G.M. Pellegrini.
3. I richiedenti adducono che il procedimento civile che hanno condotto non è stato equo, e che sono state vittime di un trattamento discriminatorio e di un attentato al loro diritto al rispetto dei loro beni.
4. Il 16 aprile 2014, la richiesta è stata comunicata al Governo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. L'elenco dei richiedenti figura qui accluso.
6. I richiedenti sono dei medici che si erano iscritti ai corsi di specializzazione prima dell'anno universitario 1991/1992.
7. Il 20 luglio 1996, citarono il presidente del Consiglio dei ministri a comparire dinnanzi al tribunale di Roma per ottenere il risarcimento dei danni che stimavano avere subito in ragione di un'inerzia dello stato italiano nella trasposizione in dritta interno delle direttive comunitari no 363 del 16 giugno 1975 e no 82 del 26 gennaio 1976.
8. Sostenevano che, ai termini di queste direttive, i medici avevano diritto, durante il periodo di formazione professionale, ad una rimunerazione adeguata e che gli Stati membri dovevano incorporare nel loro sistema morale i principi enunciati nelle direttive in questione in un termine che scade il 31 dicembre 1982. Indicavano che l'Italia non aveva soddisfatto a questo obbligo che col decreto legislativo no 257 del 8 agosto 1991. Secondo essi, questo contemplava che, a partire dall'anno universitario 1991/1992, ogni medico ammesso a seguire dei corsi di specializzazione aveva diritto ad una borsa di cui l'importo sarebbe stato, per l'anno 1991, di 21 500 000 lire italiane, ITL- circa 11 103 euro (EUR)), e che il diploma ottenuto alla conclusione di questo cursus dava diritto ai punti nella cornice dei concorsi riservati ai medici.
9. Secondo i richiedenti, la trasposizione tardiva in dritto interno dei principi enunciati nelle direttive suddette li avevano privati, prima di 1991, dei diritti riconosciuti dalle disposizioni comunitarie. Chiedevano quindi 21 500 000 ITL ciascuno per ogni anno di specializzazione seguito prima del 1991, più una somma a fissare in equità per il danno che avrebbe derivato della no-attribuzione dei punti nella cornice dei concorsi riservati ai medici.
10. Con un giudizio del 21 febbraio 2000 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 1 marzo 2000, il tribunale di Roma respinse la domanda dei richiedenti.
11. Il tribunale osservava che la Corte di giustizia delle Comunità europee (CJCE) aveva stimato che lo stato era tenuto di risarcire gli individui che avrebbero subito un danno che deriva del mancata osservanza degli obblighi comunitari tra che raffigurava il dovere di trasporre in dritto interno le direttive dell'unione europea (UE).
12. Sempre secondo il tribunale, il CJCE, sentenza del 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari) aveva indicato che la direttiva no 363 del 16 giugno 1975 era sufficientemente chiara nella misura in cui avrebbe stabilito il diritto del medico iscrive in una determinazione che dispensa dei corsi di specializzazione di percepire una rimunerazione. Lo stato avrebbe avuto però ogni latitudine nella determinazione dell'importo di questa, nella determinazione dell'organo competente per versarle e nella determinazione delle condizioni per beneficiare ne, in particolare trattandosi delle modalità della formazione. Quindi, i richiedenti non sarebbero stati titolari di un diritto pieno ed assoluto, diritto soggettivo, ma di un semplice interesse legittimo, interessato legittimo, cioè di una posizione individuale protetta in modo indiretta e subordinata al rispetto dell'interesse generale (vedere, per esempio, Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no 38433/09, § 25, CEDH 2012. Per il tribunale, questa constatazione non bastava tuttavia per allontanare la domanda dei richiedenti, perché la Corte di cassazione avrebbe ammesso oramai che gli interessi legittimi potevano dare adito a risarcimento (vedere, in particolare, la sentenza delle sezioni riunite no 500 del 1999.
13. Sempre secondo il tribunale, il ritardo nella trasposizione delle direttive si analizzava in una violazione "manifesta ed incida" degli obblighi statali; di più, secondo lui, nessuna disposizione transitoria regolamentava la situazione dei medici avendo cominciato un cursus di specializzazione prima del 31 dicembre 1983, il decreto legislativo no 257 di 1991 che si applicano solamente a partire dall'anno universitario 1991/1992. Il tribunale stimava che il danno denunciato dai richiedenti risultava dalla condotta dello stato dunque e che meritava protezione.
14. Però, indicava che, per ottenere un risarcimento, i richiedenti dovevano provare che i corsi di specializzazione che avevano seguito soddisfacevano alle condizioni previste dal diritto comunitario e che i diplomi ottenuti erano stati non valutati non in modo conforme a questo ultimo nella cornice dei concorsi per medici. Concludeva che, una tale prova non essendo stata portata nello specifico, la domanda degli interessati doveva essere respinta.
15. I richiedenti interposero appello di questa decisione, sostenitore, per l'essenziale, che non toccava loro di provare l'esistenza di un danno, al motivo che questa sarebbe stata una conseguenza automatica e necessaria della condotta, ai loro occhi negligenti, dello stato, damnum in re ipsa.
16. Con una sentenza del 18 settembre 2003 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 6 ottobre 2003, la corte di appello di Roma respinse l'appello dei richiedenti.
17. Osservava che l'applicabilità immediata delle direttive comunitarie nel sistema morale nazionale era oggetto di un dibattito giurisprudenziale. Indicava che, con le sentenze rese ad alcuni giorni di intervallo, no 4915 del 1 aprile 2003 e no 7630 del 16 maggio 2003, la terza sezione della Corte di cassazione era giunta ai conclusioni opposti su questo punto. Secondo la corte di appello, le direttive invocate dai richiedenti non potevano avere di applicazione immediata, al motivo che enunciavano il principio della "rimunerazione adeguata" senza fissare ne l'importo. Sempre secondo lei, non si poteva presumere che questo importo era lo stesso che quell'indicato nel decreto legislativo no 257 del 1991 che non si applicherebbe in modo retroattiva. La corte di appello stimava che questa interpretazione era coerente con la giurisprudenza sviluppata dalla Corte di cassazione in una causa analoga (vedere no 9842 la sentenza del 2002). Concludeva che, in mancanza di una più grande precisione del diritto comunitaria, nessuna responsabilità statale non poteva essere considerata per il ritardo nella trasposizione delle direttive in causa.
18. A titolo che sovrabbonda, la corte di appello precisava che i richiedenti non avevano prodotto i documenti suscettibili di provare la durata e l'intensità dei corsi di specializzazione che avrebbero seguito.
19. I richiedenti si ricorsero in cassazione. Indicavano che non avevano chiesto il pagamento della rimunerazione prevista dalle direttive comunitarie, ma che avevano eccepito dell'omissione di trasporre queste direttive in dritte interno. In queste circostanze, non era pertinente ai loro occhi di sapere se la direttiva no 363 del 16 giugno 1975 era o no di applicazione immediata in Italia. Secondo i richiedenti, in una causa analoga che riguarda un medico che non avrebbe avuto la possibilità di frequentare un corso di specializzazione e di ricevere la rimunerazione relativa, la Corte di cassazione aveva riconosciuto l'esistenza di una responsabilità dello stato (sentenza della terza sezione) no 7630 del 16 maggio 2003, precitato).
20. I richiedenti sostenevano anche che, secondo il CJCE, lo stato era tenuto di risarcire gli individui: ha, quando una direttiva, anche no direttamente applicabile in dritto interno, conferiva dei diritti agli individui; b, quando questi diritti potevano essere identificati sulla base delle disposizioni della direttiva; e c, quando c'era un legame di causalità tra le violazioni degli obblighi dello stato ed il danno subito dagli individui. Ora, secondo essi, la corte di appello non avrebbe motivato relativamente la sua decisione alla presenza o alla mancanza di questi elementi.
21. All'argomento della corte di appello secondo che non avevano prodotto i documenti suscettibili di provare la durata e l'intensità dei corsi di specializzazione seguita, gli interessati rispondevano che, secondo la sentenza no 7630 di 2003, precitato, l'inerzia dello stato aveva impedito i medici di portare questa prova.
22. Peraltro, adducevano che, nel suo sentenza Carbonari, precitato, il CJCE aveva affermato che gli individui lesi dalla no-trasposizione delle direttive in questione avevano diritto al risarcimento dei danni, questo essere-a-argomento alle misure che li pongono, per quanto possibile, nella situazione nella quale si sarebbero trovati se il diritto comunitario non fosse stato ignorato. Indicavano che, quindi, la sola prova che potevano fornire era quella di avere seguito dei corsi di specializzazione tra 1982 e 1991. Il danno derivando per essi sarebbe stato in re ipsa. Il CJCE lei stessa, sentenza del 3 ottobre 2000, causa C-371/97, Gozza) avrebbe precisato che i medici iscritti nelle determinazioni di specializzazione prima dell'anno universitario 1991/1992 avevano seguito una formazione conforme alle disposizioni comunitarie.
23. Alla luce di questi argomenti, i richiedenti chiedevano alla Corte di cassazione di accogliere il loro ricorso. A titolo accessorio, gli chiedevano anche di porre al CJCE una questione pregiudiziale per sapere: ha, se la no-trasposizione, con lo stato italiano, delle direttive nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976 nel termine fissato a questo effetto si analizzava in una violazione grave ed esprimi del diritto comunitario, provocando l'obbligo dello stato di riparare il danno subito dalle persone lese; e b, se le condizioni previste dal decreto legislativo no 257 del 1991 rendessero l'ottenimento di questo risarcimento impossibile o eccessivamente difficile.
24. Con una sentenza del 14 novembre 2008 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 9 gennaio 2009, la Corte di cassazione, stimando che la corte di appello aveva motivato in modo logico e corretta tutti i punti controversi, respinse i richiedenti del loro ricorso.
25. Reiterava l'affermazione della corte di appello secondo la quale le direttive nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976 non avevano applicazione diretta in Italia al motivo che non fissavano l'importo della "rimunerazione adeguata." Indicava poi che il ritardo nella trasposizione di queste direttive faceva nascere, secondo la giurisprudenza del CJCE, il diritto al risarcimento dei danni subiti dagli individui. Questi danni sarebbero consistiti nella perdita di probabilità di ottenere gli utili previsti dalle direttive in questione (vedere, in particolare, Corte di cassazione, sentenze no 3283 del 12 febbraio 2008 e no 6427 del 11 marzo 2008.
26. La Corte di cassazione notava che i richiedenti non avevano chiesto al giudice di appello il risarcimento di questo danno specifico, ma che avevano sostenuto che il danno che deriva del ritardo incriminato era in re ipsa e che il decreto legislativo no 257 del 1991 aveva creato una discriminazione tra i medici che avevano seguito in vigore dei corsi di specializzazione anteriore la sua entrata e quelli che li aveva seguiti dopo questa. Stimava che la corte di appello aveva motivato relativamente la sua decisione a queste questioni. Ammetteva che la sua motivazione sarebbe stata insufficiente se si fosse trattato di un motivo di appello derivato della perdita di probabilità di ottenere gli utili in questione, ma che non era il caso del motivo di appello dei richiedenti dinnanzi alla corte di appello.
27. La sentenza della Corte di cassazione non conteneva nessuno riferimento alla questione pregiudiziale che i richiedenti avevano sollevato a titolo accessorio.
28. Il 19 gennaio 2009, la cancelleria della Corte di cassazione informò il rappresentante dei richiedenti che la motivazione della sentenza del 14 novembre 2008 era stata depositata e che poteva essere consultata.
II. IL DIRITTO INTERNO ED IL DIRITTO EUROPEO PERTINENTE
A. Le disposizioni in materia di risarcimento dei danni causati nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali
29. L'articolo 2 della legge no 117 del 13 aprile 1988 relativo al risarcimento dei danni causati nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali ed alla responsabilità civile dei magistrati, nella sua versione in vigore all'epoca dei fatti, si leggeva come segue:
"1. Ogni persona avendo subito un danno ingiustificato in ragione di un comportamento, di un atto o di una misura giudiziale preso con un magistrato essendo reso si colpevole di dolo o di mancanza grave nell'esercizio delle sue funzioni, o in ragione di un diniego di giustizia, può agire contro lo stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali che ha subito così come dei danni non patrimoniali che derivano della privazione di libertà personale.
2. Nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, l'interpretazione delle regole di diritto e la valutazione dei fatti e delle prove non può dare adito a.
3. Sono costitutivi di una mancanza grave:
ha, una violazione grave della legge che risulta da una negligenza inescusabile;
b, l'affermazione, dovuta ad una negligenza inescusabile, di un fatto di cui l'esistenza è confutata insindacabilmente dai documenti della pratica,;
c, il diniego, dovuto ad una negligenza inescusabile, di un fatto di cui l'esistenza è stabilita insindacabilmente dai documenti della pratica,;
d, l'adozione, all'infuori dei casi previsti dalla legge o senza motivazione, di una misura concernente la libertà personale. "
30. Ai termini dell'articolo 3 § 1 della legge no 117 del 1988 costituivano un diniego di giustizia:
"il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti che rilevano della sua competenza quando, dopo la scadenza del termine legale per il compimento dell'atto in causa, la parte ha fatto una domanda in vista dell'ottenimento di un tale atto e che, senza ragione valida, nessuna misura non è stata presa nei trenta giorni che hanno seguito la data del deposito di suddetta domanda alla cancelleria. "
31. I seguenti articoli della legge precisavano le condizioni e le modalità dell'impegno di un'azione in risarcimento a titolo degli articoli 2 o 3 di questa legge, così come le azioni che potevano essere intraprese, ha addirittura posteriori, al riguardo del magistrato che si era reso colpevole di un dolo o di una mancanza grave nell'esercizio delle sue funzioni, di un diniego di giustizia. In particolare, ai termini dell'articolo 4 § 2 della legge, l'azione contro lo stato doveva essere iniziata, sotto pena di inammissibilità, entro due anni a partire, entra altri, della data alla quale la decisione controversa era diventata definitiva.
32. La legge no 117 del 1988 è stato modificato dalla legge no 18 del 27 febbraio 2015 che è entrata in vigore il 19 marzo 2015. Questa riforma ha preso in conto, entra sotto altri, i principi enunciati dal CJCE nel suo sentenza Traghetti del Mediterraneo, paragrafi 33-35. Precisa, in particolare, che una "mancanza grave" è costituita dal momento che c'è violazione manifesta della legge italiana o del diritto dell'UE, e che uguale violazione si rivaluta tenendo in particolare conto della no-osservanza dell'obbligo di porre una questione pregiudiziale ai termini dell'articolo 267 § 3 del Trattato sul funzionamento dell'UE così come dell'eventuale incompatibilità della decisione di giustizia interna con l'interpretazione del diritto dell'UE col CJCE. La legge no 18 di 2015 ha portato inoltre di due a tre anni il termine contemplato 4 § 2 all'articolo della legge no 117 del 1988, paragrafo 31 sopra.
B. La giurisprudenza del CJCE
33. Nel suo sentenza Traghetti del Mediterraneo c. Italia, 13 giugno 2006, causa C-173/03, il CJCE è stato chiamato a pronunciarsi su una questione pregiudiziale che cade "sul principio e le condizioni di impegno della responsabilità contrattuale degli Stati membri per i danni causati agli individui con una violazione del diritto comunitario, quando questa violazione è imputabile ad una giurisdizione nazionale." Il CJCE ha ricordato che, nel suo sentenza Köbler c. Austria, 30 settembre 2003, causa C-224/01, aveva riaffermato che il principio secondo che un Stato membro era obbligato a riparare i danni causati agli individui con le violazioni del diritto comunitario che gli erano imputabili era valido per ogni tipo di violazione del diritto comunitario, e questo qualunque fosse l'organo di questo Stato di cui l'azione o l'omissione erano all'origine della trasgressione. Quindi, secondo il CJCE, gli individui dovevano, sotto certe condizioni, ottenere il risarcimento dei danni che erano stati causati loro con una violazione del diritto comunitario imputabile ad una decisione di una giurisdizione nazionale che delibera in ultima istanza. Il CJCE ha ammesso che la responsabilità dello stato in questo settore non era illimitata e che era impegnata solamente nel caso eccezionale dove la giurisdizione nazionale in questione aveva "ignorato in modo manifesto il diritto applicabile." Ha aggiunto che una tale "violazione manifesta" poteva essere commessa nell'esercizio, col giudice nazionale, della sua attività interpretativa, in particolare nei due seguente ipotesi:
-se il giudice dava ad una regola di dritta patrimoniale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare allo sguardo della giurisprudenza pertinente del CJCE in questa materia;
-se la sua interpretazione del diritto nazionale era come arrivava, in pratica, alla violazione del diritto comunitario applicabile.
Per il CJCE, questa incomprensione manifesta si rivalutava in particolare allo sguardo di un certo numero di criteri come il grado di chiarezza e di precisione della regola violata, il carattere scusabile o inescusabile dell'errore di diritto commesso o l'inadempienza, con la giurisdizione in causa, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale, e lei era presunta, ad ogni modo, quando la decisione riguardata interveniva in materia in incomprensione manifesta della giurisprudenza del CJCE.
34. Sviluppando i principi enunciati nel sentenza Köbler, il CJCE ha affermato poi la contrarietà al diritto comunitario di una legislazione che escluderebbe, in modo prova generale, ogni impegno della responsabilità dello stato quando la violazione imputabile ad una giurisdizione di questo Stato risultava da una valutazione dei fatti e delle prove. Difatti, secondo il CJCE, una tale valutazione poteva condurre anche, in certi casi, ad una violazione manifesta del diritto applicabile. Sempre secondo lei, se il diritto nazionale poteva precisare i criteri dinnanzi ad essere assolti affinché la responsabilità dello stato potesse essere impegnata, questi criteri non potevano imporre però delle esigenze più rigorose che queste che deriva della condizione di un'incomprensione manifesta del diritto applicabile. Il CJCE ha precisato che l'individuo aveva diritto a risarcimento dal momento che era stabilito che la regola di diritto comunitario manifestamente violato aveva per oggetto di conferirgli dei diritti e che esisteva un legame di causalità diretta tra le violazioni denunciata ed il danno subito dall'interessato. Ha aggiunto che il diritto comunitario opponeva anche ad una legislazione nazionale che- come quella dell'Italia a questa epoca, paragrafi 29-31 sopra,-limitava l'impegno della responsabilità statale ai soli casi del dolo o della mancanza grave del giudice, se una tale limitazione conducesse ad escludere l'impegno della responsabilità dello stato membro riguardato in altri casi dove un'incomprensione manifesta del diritto applicabile era stata commessa.
35. Alla luce delle considerazioni che precedono, il CJCE ha enunciato, nel suo sentenza Traghetti del Mediterraneo, i principi del seguenti diritto:
"46. (...) Il diritto comunitario oppone ad una legislazione nazionale che esclude, in modo generale, la responsabilità dello stato membro per i danni causati agli individui a causa di una violazione del diritto comunitario imputabile ad una giurisdizione che delibera in ultima istanza al motivo che la violazione in causa risulta da un'interpretazione delle regole di diritto o di una valutazione dei fatti e delle prove effettuati da questa giurisdizione. "
"Il diritto comunitario si oppone anche ad una legislazione nazionale che limita l'impegno di questa responsabilità ai soli casi del dolo o della mancanza grave del giudice, se una tale limitazione conduceva ad escludere l'impegno della responsabilità dello stato membro riguardato in altri casi dove un'incomprensione manifesta del diritto applicabile, come precisata ai punti 53 a 56 del sentenza Köbler del 30 settembre 2003 (C-224/01), è stata commessa. "
IN DIRITTO
I. QUESTIONE PRELIMINARE
36. Qui accluso alle sue osservazioni in risposta del 10 dicembre 2014, la rappresentante dei richiedenti ha prodotto due dichiarazioni con che Sigg. Pasquale Marra e Piersandro Tresca che figurano ai numeri 7 e 10 dell'elenco dei richiedenti annessi alla presente sentenza, dichiarano rinunciare alla loro richiesta.
37. La Corte ha preso nota della loro rinuncia. Considera dal momento che i settimo e decimo richiesti non intendono mantenere la loro più richiesta ai termini dell'articolo 37 § 1 ha, della Convenzione. Peraltro, stima che il rispetto dei diritti dell'uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli non esigono che insegua l'esame della richiesta in ciò che riguarda i due richiedenti in questione.
38. Segue che c'è luogo di cancellare la richiesta del ruolo in ciò che riguarda Sigg. Pasquale Marra e Piersandro Tresca.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
39. I richiedenti sostengono che il procedimento iniziato dinnanzi al tribunale di Roma non è stato equo.
Invocano a questo riguardo l'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti nello specifico, è formulato così:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. "
40. Il Governo combatte questa tesi.
A. Sull'ammissibilità
1. L'eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni
ha, L'eccezione del Governo
41. Il Governo eccepisce della no-esaurimento delle vie di ricorso interni. Indica che, se la Corte di cassazione ha applicato male chiaro la teoria dell'atto e mancato al suo obbligo di porre una questione pregiudiziale al CJCE, i richiedenti possono introdurre un'azione in risarcimento contro lo stato dinnanzi al giudice civile, come inviterebbero le sentenze del CJCE Köbler e Traghetti del Mediterraneo, precitati.
42. Il Governo stima che un'azione in risarcimento per trasgressione all'obbligo di porre una questione pregiudiziale è un ricorso autonomo buono distinto dell'azione in risarcimento per ritardo nella trasposizione di una direttiva. Ora i richiedenti avrebbero introdotto solamente questa ultima azione e non avrebbero esaurito di conseguenza le vie di ricorso che, secondo il Governo, erano loro aperte in dritto italiano.
b, La replica dei richiedenti
43. I richiedenti indicano che hanno sollevato le loro lamentele, a sapere la responsabilità dello stato per una trasposizione tardiva delle direttive europee, dinnanzi a tre gradi di giurisdizione (tribunale, corte di appello e Corte di cassazione, ed essi stimano avere fatto così un uso normale delle vie ordinarie di ricorso interno. Obiettano al Governo che non ha indicato quale tipo di procedimento giudiziale ulteriore avrebbero dovuto seguire né quale giudice nazionale era competente per esaminare la questione. Aggiungono che gli individui non hanno un accesso diretto al CJCE.
c, Valutazione della Corte
44. La Corte ricorda che, ai termini dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, non può essere investita che dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interni, la finalità di questa regola che è di predisporre agli Stati contraenti l'occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro essi prima che la Corte ne non sia investito (vedere, tra altri, Mifsud c. Francia, déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002-VIII.
45. I principi generali relativi alla regola dell'esaurimento delle vie di ricorso interni si trovano esposizioni nel sentenza Vukovi ?ed altri c. Serbia ([GC], nostri 17153/11 ed altri, §§ 69-77, 25 marzo 2014. La Corte ricorda che l'articolo 35 § 1 della Convenzione non prescrivono l'esaurimento che i ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Un ricorso è effettivo quando è tanto disponibile in teoria che in pratica all'epoca dei fatti, cioè quando è accessibile, suscettibile di offrire al richiedente la correzione dei suoi motivi di appello e che presenta delle prospettive ragionevoli di successi, Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, e Demopoulos ed altri c. Turchia, déc.) [GC], numeri 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDH 2010; vedere anche Saba c. Italia, no 36629/10, § 43, 1 luglio 2014.
46. Nello specifico, la Corte nota che, secondo il Governo che dice basarsi sulle sentenze del CJCE Köbler e Traghetti del Mediterraneo, i richiedenti avrebbero potuto introdurre un'azione in risarcimento contro lo stato dinnanzi al giudice civile. Rileva che, nelle sentenze precitate, il CJCE ha affermato che gli individui dovevano potere ottenere il risarcimento dei danni che derivano di un'incomprensione manifesta, con una giurisdizione di ultima istanza, del diritto comunitario applicabile, paragrafo 33 sopra. Il CJCE ha stimato anche incompatibile col diritto comunitario una legislazione nazionale che, siccome lo faceva quella dell'Italia all'epoca, escludeva la responsabilità statale al motivo che la violazione in causa risultava da un'interpretazione delle regole di diritto o la limitava ai soli casi del dolo o della mancanza grave. Di più, secondo il CJCE, una tale limitazione ignorava il diritto comunitario se conduceva ad escludere la responsabilità dello stato in altri casi dove un'incomprensione manifesta del diritto applicabile era stata commessa, paragrafi 34 e 35 sopra.
47. La Corte deduce ne che il CJCE non ha affermato che la legislazione italiana dell'epoca garantiva, ad un grado sufficiente di certezza, il diritto a risarcimento in caso di "incomprensione manifesta", con la giurisdizione di ultima istanza, del diritto comunitario applicabile. Ai termini della legge no 117 del 1988, come in vigore all'epoca dei fatti, paragrafi 29 e 30 sopra, l'individuo non poteva ottenere il risarcimento dei danni subiti che se l'incomprensione del diritto comunitario che adduceva rilevava del dolo o della mancanza grave del giudice o se si analizzasse in un diniego di giustizia. Ad ogni modo, ai termini dell'articolo 2 § 2 della legge no 117 del 1988, "l'interpretazione delle regole di diritto non [poteva] non dare adito a."
48. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte ha dei dubbi in quanto alle prospettive ragionevoli di successo che avrebbe incontrato un'eventuale azione in risarcimento dei richiedenti fondati sull'incomprensione manifesta del diritto comunitario con la Corte di cassazione. In particolare, gli interessati si sarebbero potuti vedere opporre che l'omissione con la Corte di cassazione di porre una questione pregiudiziale al CJCE derivava di "l'interpretazione delle regole di diritto" o che non rilevava del dolo o della mancanza grave del giudice. Inoltre, il Governo non ha prodotto nessuno esempio di causa dove una tale azione sarebbe stata intentata con un risultato positivo nelle circostanze analoghe a queste dello specifico.
49. Infine, conviene osservare che la riforma della legge no 117 del 1988 non è entrato in vigore che il 19 marzo 2015, paragrafo 32 sopra, o più di sei anni dopo il pronunziato della sentenza con la Corte di cassazione nella causa dei richiedenti. A questa data, il termine previsto dall'articolo 4 § 2 della legge no 117 del 1988 per introdurre una domanda in risarcimento contro lo stato, paragrafi 31 e 32 sopra, era scaduto. Peraltro, il Governo non ha sostenuto che i richiedenti potevano avvalersi delle nuove disposizioni introdotte dalla legge no 18 di 2015.
50. Segue che l'eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni deve essere respinta.
2. Altri motivi di inammissibilità
a) Argomenti delle parti
i. I richiedenti
51. I richiedenti adducono in primo luogo che la Corte di cassazione ha motivato il rigetto del loro ricorso in modo approssimativo e contraddittorio, basandosi secondo essi su una descrizione erronea ed una cattiva comprensione del loro motivo di appello dinnanzi al tribunale di Roma.
52. I richiedenti ricordano inoltre che, nel loro ricorso, avevano citato una sentenza, no 7630 del 16 maggio 2003 in che la terza sezione della Corte di cassazione avrebbe accolto una domanda identica alla loro, presentata da un altro medico. Stimano che, in non menzionando questa sentenza ed in non spiegando perché non lo considerava come pertinente, la Corte di cassazione si è scostata della sua giurisprudenza. Di più, secondo gli interessati, l'alta giurisdizione italiana ha citato uno dei suoi precedenti, la sentenza no 3283 del 12 febbraio 2008 che sarebbe andato nel senso raccomandato dai richiedenti. In dispetto di ciò, ha deciso di respingerli del loro ricorso.
53. I richiedenti sostengono poi che il rigetto del loro ricorso con la Corte di cassazione non era motivato in modo adeguata, e che, di più, questa giurisdizione ha dato regolarmente guadagno di causa alle persone che si trovano nelle situazioni identiche alla loro. Rinviano ai sentenze no7630 del 16 maggio 2003, no 3283 del 2008, i nostri 24088 e 24092 del 17 novembre 2011, no 24816 del 24 novembre 2011, no 4785 di 2012 e no 7961 di 2012 dove, facendo in materia applicazione della giurisprudenza del CJCE, l'alta giurisdizione italiana avrebbe accordato un risarcimento ai medici non avendo potuto partecipare ai corsi di specializzazione in ragione dell'inerzia dello stato italiano nella trasposizione in dritto interno delle direttive comunitarie nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976. I richiedenti indicano anche che, nei suoi conclusioni, il procuratore generale presso la Corte di cassazione che avrebbe espresso la necessità di garantire l'uniformità nell'applicazione del diritto, aveva chiesto di accogliere il loro ricorso. Ci sarebbe stata dunque violazione del principio della sicurezza giuridica, senza che, agli occhi dei richiedenti, il cambiamento improvviso di giurisprudenza controversa fosse giustificato da un bisogno sociale imperioso, così che il rigetto del ricorso sarebbe stato imprevedibile ed arbitrario.
54. Inoltre, i richiedenti rimproverano alla Corte di cassazione di avere violato anche il diritto dell'UE, al motivo che avrebbe detto che le direttive nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976 non avevano applicazione immediata negli Stati membri, mentre il principio inverso sarebbe stato affermato dal CJCE (vedere, in particolare, i sentenze Carbonari e Gozza, precitati).
55. I richiedenti indicano per di più che il tribunale di Roma aveva riconosciuto l'esistenza teorica del loro diritto a risarcimento. Stimano che, l'amministrazione non avendo attaccato il giudizio di prima istanza, la Corte di cassazione non avrebbe dovuto potere rimettere in causa questa valutazione che, secondo gli interessati, aveva acquisito forza di cosa giudicata.
56. Infine, i richiedenti rimproverano alla Corte di cassazione di avere ignorato la loro domanda di rinvio pregiudiziale, e questo secondo essi in violazione dei principi del processo equo.
ii. Il Governo
57. Il Governo stima che, nella misura in cui, per i richiedenti, la sentenza della Corte di cassazione del 14 novembre 2008 si basi su degli errori di fatto e di diritto, la loro richiesta rileva della quarta istanza. Ad ogni modo, è convinto che i tali errori non sono stati commessi nello specifico. Difatti, indicando che gli interessati potevano rivendicare un diritto a risarcimento per la trasposizione tardiva della direttiva, la Corte di cassazione avrebbe applicato in modo corretta il diritto interno ed europeo. Però, secondo il Governo, l'alta giurisdizione ha indicato che nello specifico i richiedenti non avrebbero chiesto un compenso per mancanza di probabilità reali, ma che si sarebbero limitati a contestare la no-retroattività del decreto legislativo no 257 del 1991. Sempre secondo il Governo, ha non c'in lo specifico nessuna incomprensione di una decisione definitiva, dal momento che il giudizio di prima istanza avrebbe respinto tutte le domande dei richiedenti, paragrafo 10 sopra.
58. In quanto alla decisione della Corte di cassazione di non porre la questione pregiudiziale sollecitata dai richiedenti al CJCE, il Governo stima che si tratta di una lamentela minorenne e secondaria. Inoltre, la Corte di cassazione non avrebbe avuto nessuno obbligo di motivare il suo rifiuto su questo punto.
b, Valutazione della Corte
59. La Corte ricorda al primo colpo che, ai termini dell'articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non gli appartiene di conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commesso da una giurisdizione interna, salvo si e nella misura in cui potuto portare attentato ai diritti e libertà salvaguardate dalla Convenzione (vedere, tra molto altri, García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I, Caravanserraglio c. Regno Unito, no 35394/97, § 34, CEDH 2000-V, e Rizos e Daskas c. Grecia, no 65545/01, § 26, 27 maggio 2004, ed egli ritornano in principio alle giurisdizioni nazionali da valutare i fatti e di interpretare ed applicare il diritto interno, Pacifico c. Italia, déc.), no 17995/08, § 62, 20 novembre 2012, e Plesic c. Italia, déc.), no 16065/09, § 33, 2 luglio 2013.
60. Nello specifico, la Corte ha esaminato i motivi di appello dei richiedenti che mettono in causa il carattere sufficiente e pertinente in dritto interno ed in diritto dell'UE degli argomenti avanzati dalla Corte di cassazione per respingere il loro ricorso, paragrafi 51-55 sopra, e lei non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei principi del processo equo e della sicurezza giuridica, come garantiti con l'articolo 6 § 1 della Convenzione. A questo riguardo, nota in particolare che l'alta giurisdizione italiana non si è esplicitamente aperta della sua giurisprudenza buona invalsa, ma che ha motivato il rigetto controverso appellandosi sulla natura della domanda introdotta dai richiedenti (vedere anche le considerazioni contenute qui di seguito ai paragrafi 79 e 80).
61. Segue che questi motivi di appello sono manifestamente male fondati e che devono essere respinti, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 hanno, e 4 della Convenzione.
62. La Corte stima in compenso che il motivo di appello derivato della mancanza di risposta della Corte di cassazione alla loro domanda di rinvio pregiudiziale non è manifestamente male fondato al senso dell'articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rilevando peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità, lo dichiara ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I richiedenti
63. I richiedenti rimproverano alla Corte di cassazione di avere ignorato completamente la loro domanda di rinvio pregiudiziale. In particolare, il CJCE avrebbe affermato che l'obbligo di rimunerare in modo adeguata i periodi di formazione dei medici specialista era incondizionato e sufficientemente precisa e che unica un'applicazione retroattiva e completa delle direttive era sufficiente per riparare il danno causato da una trasposizione tardiva delle direttive in questione. Peraltro, questa impegnerebbe la responsabilità dello stato. Il giudice nazionale sarebbe stato tenuto di seguire questa giurisprudenza che si imporsi erga omnes. Agli occhi dei richiedenti, la Corte di cassazione non aveva dunque che due opzioni: confermare l'interpretazione del CJCE ed accogliere il loro ricorso o porre una questione pregiudiziale al CJCE. Avrebbe scelto però una terza via, secondo essi contrari alla Convenzione: respingere il loro ricorso senza porre di questione pregiudiziale e senza motivare la sua decisione su questo punto. Gli interessati dicono riferirsi ai principi enunciati dalla Corte nei cause Vergauwen ed altri c. Belgio (, déc.), no 4832/04, §§ 89-90, 10 aprile 2012, e Dhahbi c. Italia (no 17120/09, 8 aprile 2014,).
b) Il Governo,
64. Secondo il Governo, nello specifico la Corte di cassazione non aveva nessuno obbligo di motivare il suo rifiuto di porre una questione pregiudiziale al CJCE. Difatti, secondo lui, la domanda dei richiedenti, come descritta sopra al paragrafo 23, usciva dal campo di applicazione dell'articolo 234 del Trattato che istituisce la Comunità europea, o il reale articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'unione (TFUE)) ed era inammissibile ai motivi che: ha, una questione pregiudiziale non avrebbe per scopo di stabilire la responsabilità di un Stato per il ritardo nella trasposizione di una direttiva, apparterrebbe in questo caso alla Commissione dell'UE di iniziare un procedimento in trasgressione ai termini dell'articolo 258 del TFUE,; e b, il CJCE non avrebbe competenza per pronunciarsi sul livello di prova esatta da una giurisdizione nazionale, anche quando questa giurisdizione-come la corte di appello nello specifico-è chiamata ad applicare il diritto dell'UE. Su questo ultimo spunta, il Governo precisa peraltro che non è per mancanza di prova che la corte di appello aveva respinto l'appello dei richiedenti.
65. Del parere del Governo, l'interpretazione data dal CJCE alle direttive comunitarie nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976 non prestava a controversia e la sentenza della Corte di cassazione non si basava su un'interpretazione differente di queste direttive.
66. Ad ogni modo, stima che nello specifico era particolarmente difficile per la Corte di cassazione di motivare il suo rifiuto dal momento che la domanda dei richiedenti sarebbe stata formulata a titolo accessorio e non sarebbe stata sopportata da nessuno argomento morale pertinente. Quindi, agli occhi del Governo, la Corte di cassazione poteva interpretare la domanda in questione come dinnanzi ad essere esaminata solamente se la causa non potesse essere decisa senza che una questione pregiudiziale fosse posta al CJCE, ciò che non sarebbe stato il caso nello specifico.
67. Il Governo aggiunge che il CJCE si era pronunciato già sul punto di sapere se le direttive controverse erano di applicazione immediata (vedere i sentenze Carbonari e Gozza) precitata), questo di cui la Corte di cassazione avrebbe preso atto indicando che la no-trasposizione di queste direttive faceva nascere, secondo la giurisprudenza del CJCE, il diritto al risarcimento dei danni subiti dagli individui, paragrafo 25 sopra.
68. Il Governo considera infine che la presente causa si distingue del causa Dhahbi, precitata nella quale la Corte avrebbe concluso alla violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della no-motivazione con la Corte di cassazione del suo rifiuto di porre una questione pregiudiziale formulata dal richiedente. Indica che, nello specifico, nella sua sentenza del 14 novembre 2008, la Corte di cassazione si è riferita esplicitamente alla giurisprudenza del CJCE sull'interpretazione delle direttive in causa. Di conseguenza, è di parere che era possibile comprendere le ragioni per che avrebbe deciso che non era necessario porre una questione pregiudiziale al CJCE.
2. Valutazione della Corte
69. La Corte ricorda che, nel decisione Vergauwen ed altri (precitata, §§ 89-90, ha espresso i seguenti principi (vedere anche § 31 Dhahbi, precitato,):
-l'articolo 6 § 1 della Convenzione mettono al carico delle giurisdizioni interni un obbligo di motivare allo sguardo del diritto applicabile le decisioni con che negano di porre una questione pregiudiziale;
-quando è investita su questo terreno di un'affermazione di violazione dell'articolo 6 § 1, il compito della Corte consiste in assicurarsi che la decisione di rifiuto criticato dinnanzi a lei è abbinata debitamente dei motivi richiesi;
-se gli ritorna da procedere assolutamente a questa verifica, non gli appartiene di conoscere degli eventuali errori che avrebbero commesso le giurisdizioni interne nell'interpretazione o l'applicazione del diritto pertinente;
-nella cornice specifica del terzo capoverso dell'articolo 234 del Trattato che istituisce la Comunità europea, o il reale articolo 267 del TFUE, ciò notifica che le giurisdizioni nazionali di cui le decisioni non sono suscettibili di un ricorso giurisdizionale di dritto interno sono tenute, quando negano di investire il CJCE a titolo pregiudiziale di una questione relativa all'interpretazione del diritto dell'UE sollevato dinnanzi ad esse, di motivare il loro rifiuto allo sguardo delle eccezioni previste dalla giurisprudenza del CJCE. Occorre loro indicare le ragioni per che considerano dunque che la questione non sia pertinente, o che la disposizione di diritto dell'UE in causa è stata già oggetto di un'interpretazione da parte del CJCE, o sebbene l'applicazione corretta del diritto dell'UE si imporsi con una tale evidenza che non lascia posto a nessuno dubbio ragionevole.
70. Nello specifico, per il caso dove il loro ricorso non sarebbe accolto, i richiedenti hanno chiesto alla Corte di cassazione di porre al CJCE la questione pregiudiziale di sapere: ha, se la no-trasposizione, con lo stato italiano, delle direttive nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976 nel termine fissato a questo effetto si analizzava in una violazione grave ed esprimi del diritto comunitario, provocando l'obbligo dello stato di riparare il danno subito dalle persone lese; e b, se le condizioni previste dal decreto legislativo no 257 del 1991 rendevano impossibili o eccessivamente difficile l'ottenimento di questo risarcimento, paragrafo 23 sopra. Le sue decisioni che non sono suscettibili del nessuno ricorso giurisdizionale in dritto interno, la Corte di cassazione aveva l'obbligo di motivare il suo rifiuto di porre la questione pregiudiziale allo sguardo delle eccezioni previste dalla giurisprudenza del CJCE (Dhahbi, precitato, § 32.
71. La Corte ha esaminato la sentenza della Corte di cassazione del 14 novembre 2008 senza trovare nessuno riferimento alla domanda di rinvio pregiudiziale formulato dai richiedenti ed alle ragioni per che è stato considerato che la questione sollevata non meritava di essere trasmessa al CJCE, paragrafo 27 sopra. È vero che, nella motivazione della sentenza, la Corte di cassazione ha indicato che il ritardo nella trasposizione delle direttive controverse faceva nascere, secondo la giurisprudenza del CJCE, il diritto al risarcimento dei danni subiti dagli individui, paragrafo 25 sopra. Il Governo sostiene, in sostanza, che questa affermazione può analizzarsi in una motivazione implicita del rigetto del primo ramo della questione pregiudiziale sollecitata dai richiedenti, paragrafo 67 sopra. Però, a supporre anche che ciò sia il caso, l'affermazione di cui si tratta non spiega le ragioni per che il secondo ramo della questione pregiudiziale-la questione di sapere se le condizioni previste dal decreto legislativo no 257 del 1991 rendevano l'ottenimento del risarcimento impossibile o eccessivamente difficile-era inammissibile.
72. La motivazione della sentenza controversa non permette di stabilire dunque se questa ultima innesta della questione è stata considerata come non pertinente o come relativa ad una disposizione chiara o come già interpretata col CJCE, o se è stata ignorata semplicemente (vedere, mutatis mutandis, Dhahbi, precitato, § 33; vedere anche, ha contrario, Vergauwen, precitato, § 91, dove la Corte ha constatato che la Corte costituzionale belga aveva motivato debitamente il suo rifiuto di porre delle questioni pregiudiziali.
73. Questa constatazione basta per concludere che ci sia stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
74. I richiedenti adducono che i fatti denunciati sotto l'angolo dell'articolo 6 della Convenzione si analizzano anche in un trattamento discriminatorio ed in un attentato al diritto al rispetto dei loro beni.
Invocano l'articolo 14 della Convenzione così come l'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Queste disposizioni si leggono così:
Articolo 14
"Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. "
Articolo 1 del Protocollo no 1
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
A. Argomenti delle parti
1. I richiedenti
75. I richiedenti indicano che, nella sua motivazione, la Corte di cassazione ha citato un precedente, la sentenza no 3283 del 12 febbraio 2008 che sarebbe andato nel senso raccomandato dai richiedenti. Si stupiscono che, in dispetto di ciò, l'alta giurisdizione italiana abbia respinto il loro ricorso, violando così, secondo essi, l'articolo 14 della Convenzione letta in combinazione con l'articolo 6 § 1.
76. Inoltre, sotto l'angolo dell'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, i richiedenti adducono che non hanno potuto ottenere i vantaggi economici che sarebbero riconosciuti dalle direttive comunitarie e di cui avrebbero beneficiato altri medici. Indicano che un progetto di legge (no 679 di 2013) proponendo che di versare ai medici iscritti in una determinazione di specializzazione tra 1983 e 1991 la somma di 13 000 EUR per ogni annualità di corso, è sottoposto attualmente all'esame del Parlamento. Sostengono che l'eventuale adozione di questo progetto non ovvierebbe alla loro situazione al motivo che le loro pretese sono state respinte oramai da una sentenza passata in forza di cosa giudicata.
2. Il Governo
77. Il Governo stima che i richiedenti non hanno fatto l'oggetto di nessuna discriminazione e che non hanno subito nessuna ingerenza nel loro diritto al rispetto dei loro beni. Sostiene a questo riguardo che una motivazione esplicita in quanto al rifiuto di porre la questione pregiudiziale al CJCE non avrebbe cambiato il fondo la decisione resa dalla Corte di cassazione. Ne deduce che i motivi di appello dei richiedenti derivati dell'articolo 14 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo no 1 dovrebbero essere dichiarati inammissibili per incompatibilità ratione personae con le disposizioni della Convenzione.
78. Poi, il Governo indica che, nel sistema morale italiano, un ricorso in cassazione può portare solamente su delle questioni di diritto. Precisa che, nello specifico, l'alta giurisdizione italiana non era chiamata a decidere la questione di sapere se i richiedenti avevano diritto a risarcimento, ma solamente a pronunciarsi sul punto di sapere se il ricorso contro la sentenza di appello era o non fondato. Il compito della Corte di cassazione non sarebbe stato quella di evitare ogni discriminazione di facto dunque. Il Governo aggiunge che, anche se il sistema italiano non è un sistema di common law fondato sul principio stare decisis, nella presente mi affaccendo la Corte di cassazione non si è scostata della sua giurisprudenza buona invalsa, ma che ha concluso al rigetto del ricorso sulla base della qualifica giuridica della domanda formulata dai richiedenti in appello.
B. Valutazione della Corte
79. La Corte osserva che i motivi di appello dei richiedenti cadono in sostanza sul rigetto della loro domanda di risarcimento. Questa è stato allontanato perché, facendo applicazione del loro diritto di valutare i fatti e di caratterizzarli in diritto, le giurisdizioni italiane hanno stimato che i richiedenti non avevano chiesto il risarcimento del danno che deriva della perdita delle probabilità di ottenere gli utili previsti dalle direttive comunitarie nostri 363 del 16 giugno 1975 e 82 del 26 gennaio 1976. In particolare, secondo la Corte di cassazione, gli interessati si erano limitati a sostenere che il danno che deriva del ritardo nella trasposizione delle direttive controverse era in re ipsa e che il decreto legislativo no 257 del 1991 aveva creato una discriminazione tra i medici che avevano seguito in vigore dei corsi di specializzazione anteriore la sua entrata e quelli che li aveva seguiti dopo questa, paragrafo 26 sopra.
80. Supponendo anche che l'articolo 14 della Convenzione trova ad applicarsi nello specifico, la Corte non scopre nell'interpretazione che l'alta giurisdizione italiana ha dato alla domanda dei richiedenti nessuna apparenza di violazione del diritto degli interessati al rispetto dei loro beni. Inoltre, i richiedenti non hanno dimostrato essere stato trattato differentemente di altre persone che avrebbero introdotto una domanda identica o analoga.
81. Segue che questi motivi di appello sono manifestamente male fondati e che devono essere respinti, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 hanno, e 4 della Convenzione.
IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
82. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
83. I richiedenti indicano che non hanno ricevuto la "rimunerazione adeguata" che sarebbe stata prevista dalle direttive europee né i punti che si aspettavano di vedersi assegnare nella cornice del diploma di specializzazione "comunitaria." Aggiungono che non hanno potuto fare valere il loro diploma di specializzazione all'infuori del territorio italiano nel loro esercizio della medicina in altri Stati dell'UE. Rilevano a questo riguardo che il decreto legislativo no 257 del 1991 di trasposizione delle direttive non era retroattivo e che non ha contemplato nessuna rimunerazione per il periodo 1982-1991. A titolo del danno patrimoniale, richiedono 13 000 EUR ciascuno per ogni annualità di corso di specializzazione compresa nel periodo 1982 1991, o l'importo che è, secondo essi, previsto col progetto di legge no 679 di 2013, paragrafo 76 sopra al quale hanno aggiunto gli interessi legali ed una somma per compensare il deprezzamento della moneta.
84. Per ciò che è della no-attribuzione dei punti e dell'impossibilità di utilizzare i diplomi di specializzazione all'estera, i richiedenti stimano che questo danno non saprebbe essere riparato che con l'introduzione di una legge ad hoc.
85. Chiedono inoltre 10 000 EUR ciascuno per danno morale.
86. Il Governo afferma che i motivi di appello derivati di una discriminazione e di un attentato al diritto al rispetto dei beni sono inammissibili, e che nessuna somma può essere concessa di questo capo. Ad ogni modo, il sono richieste sarebbero eccessive e calcolate sulla base di un progetto di legge non esaminato ancora dal Parlamento. In quanto alla violazione addotta dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, non avrebbe provocato nessuno danno. Difatti, il Governo è di parere che, anche se la Corte di cassazione aveva motivato il suo rifiuto di porre la questione pregiudiziale, la decisione sul ricorso dei richiedenti non avrebbe cambiato. La semplice constatazione di violazione costituirebbe una soddisfazione equa sufficiente dunque.
87. La Corte ricorda che ha constatato solamente una violazione della Convenzione in ciò che riguarda la mancanza di motivazione del rifiuto della Corte di cassazione di porre una questione pregiudiziale al CJCE. Non vede di legame di causalità tra le violazioni constatata ed il danno patrimoniale addotto e respingi questa domanda. In compenso, considera che c'è luogo di concedere a ciascuno dei richiedenti, eccetto Sigg. Pasquale Marra e Piersandro Tresca che non intendono mantenere la loro più richiesta, paragrafi 36-38 sopra, 3 000 EUR per danno morale, o la somma totale di 39 000 EUR.
B. Oneri e spese
88. I richiedenti chiedono anche il rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte. Indicano che, per il procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione, questi oneri sono stati fissati a 1 903,20 EUR ai quali si aggiungono gli oneri di registrazione della sentenza, 168 EUR. Del resto, i richiedenti chiedono alla Corte di fissare in equità l'è che sarebbero dovute loro di questo capo.
89. Il Governo sostiene che la domanda di rimborso degli oneri esposti dinnanzi alla Corte di cassazione manca di giustificazione e che deve essere respinta.
90. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico, nota che i richiedenti non hanno iniziato nessuno procedimento interno in risarcimento della violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione commessa dalla Corte di cassazione. C'è luogo dunque di respingere la domanda di rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne. In compenso, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole l'intimo globale di 5 000 EUR per il procedimento dinnanzi a lei e l'accordo congiuntamente ai richiedenti.
C. Interessi moratori
91. La Corte giudica appropriata di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Decide di cancellare la richiesta del ruolo per ciò che riguarda il settimo e decimo richiedente, OMISSIS,;
2. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato del rifiuto della Corte di cassazione di porre una questione pregiudiziale al CJCE, ed inammissibile per il surplus;
3. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a ragione del rifiuto non motivato della Corte di cassazione di porre una questione pregiudiziale al CJCE;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, entro tre mesi a contare del giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme:
i. 39 000 EUR, trentanovemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,
ii. 5 000 EUR, cinquemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 luglio 2015, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Francesca Elens-Passos Päivi Hirvelä
Greffière Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell'ordinamento, l'esposizione dell'opinione si separata dal giudice Wojtyczek.
P.H.
F.E.P.
ALLEGATO
1. OMISSIS
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK
1. Nella presente causa, ho votato coi miei colleghi per constatare una violazione della Convenzione, tuttavia non sono convinto dall'argomentazione sviluppata dalla maggioranza.
2. È innegabile che il diritto ad un processo equo presuppone l'obbligo di motivare di un modo adeguato le decisioni di giustizia resa. La Corte ha sviluppato una molto ricca giurisprudenza in materia di motivazione delle decisioni di giustizia. Secondo questa giurisprudenza, le garanzie implicite dell'articolo 6 § 1 comprendono l'obbligo di motivare le decisioni di giustizia (vedere H. c per esempio). Belgio, § 53. Sebbene il giudice interno dispone di un certo margine di valutazione nella scelta degli argomenti e l'ammissione delle prove, deve giustificare le sue azioni precisando le ragioni delle sue decisioni (vedere Suominen c per esempio). Finlandia, § 36. Ciò che è, l'articolo 6 non esige una risposta dettagliata ad ogni argomento, vedere per esempio Van di Hurk c. Paesi Bassi, § 61, Garcia Ruiz c. Spagna [GC], § 26, Jahnke e Lenoble c. Francia, déc.) e Perez c. Francia, [GC] § 81. Di più, la superficie dell'obbligo di motivazione può variare in funzione della natura della decisione di giustizia riguardata, e deve analizzarsi alla luce delle circostanze dello specifico (vedere di Ruiz Torija c per esempio). Spagna, § 29, e Hiro Balani c. Spagna, § 27.
Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte, il margine di valutazione lasciata alle giurisdizioni superiori è ancora più disteso. La Corte accetta che certi tipi di ricorso siano respinti senza nessuna motivazione (vedere, per esempio, Sawoniuk c. Regno Unito, Webb c. Regno Unito, o ancora Lutz John c. Germania. La Corte ha lei stessa evoluto una pratica consolidata secondo la quale non motiva le decisioni rese da un giudice unico dichiarante una richiesta inammissibile.
È anche importante di notare che la giurisprudenza della Corte arriva a lasciare agli Stati un margine di valutazione particolarmente larga in ciò che riguarda la motivazione delle decisioni di giustizia in diritto penale. Così, la Corte ha ammesso in certe decisioni che l'articolo 6 non richiede che i giurati danno le ragioni della loro decisione (vedere il decisione Saric c per esempio). Danimarca. Considera che "dinnanzi ai corsi di basi con partecipazione di una giuria popolare, bisogna adattarsi delle particolarità del procedimento dove, spesso, i giurati non sono tenuti di-o non possono-motivare la loro convinzione, paragrafi 85-89 sopra. In questo caso anche, l'articolo 6 esige di ricercare se l'imputato ha potuto beneficiare delle garanzie sufficienti di natura tale da allontanare ogni rischio di arbitrarietà ed a permettergli di comprendere le ragioni della sua condanna, paragrafo 90 qui sopra,", Taxquet c. Belgio, § 92. In più, nel decisione Judge c. Regno Unito, la Corte ha giudicato che le differenti garanzie offerte all'imputato in dritto scozzesi erano sufficienti per accettare che il verdetto reso da una giuria non sia motivato.
3. A mio avviso, il parametro principale di cui bisognerebbe tenere conto applicando l'obbligo di motivare le decisioni di giustizia è la gravità dell'ingerenza nella sfera dei diritti dell'uomo. Bene evidentemente altri fattori entrano anche in conto, come il carattere incidentale o principale del questione scavo o l'emergenza a deliberare. Tuttavia, la qualità della motivazione deve essere modulata in funzione della gravità dell'ingerenza nella sfera dei diritti dell'uomo. Più questa ingerenza è spinta, più la motivazione della decisione di giustizia deve essere dettagliata e deve essere sostenuta dagli argomenti forti. Ora, noto che la superficie della latitudine di azione lasciata sempre dalla Corte agli Stati in materia di motivazione delle decisioni di giustizia non è adattata alla gravità dell'ingerenza nella sfera dei diritti dell'uomo, soprattutto se questa ingerenza è di natura penale. In questo contesto, si può porsisi legittimamente la questione della coerenza e della forza persuasiva della giurisprudenza sviluppata dalla Corte. L'approccio adottato necessita di essere ripensato dunque e rivisto.
4. Bisogna sottolineare qui che l'obbligo di motivare le decisioni di giustizia possa derivare anche di altre disposizioni patrimoniali della Convenzione. Secondo la giurisprudenza della Corte, un'ingerenza delle autorità nazionali nelle libertà protette dal Convexion deve essere giustificata dai motivi pertinenti e sufficienti (vedere Morice c per esempio). Francia, § 144. Se l'ingerenza prende la forma di una decisione di giustizia, ne deriva che il giudice che rende questa decisione deve dare dei motivi pertinenti e sufficienti.
5. La giurisprudenza della Corte relativa al rifiuto di porre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'unione europea si è evoluta col passare del tempo. All'origine, la Corte sembra avere adottato un criterio centrato sulla questione dell'arbitrarietà, giudicando che un tale rifiuto non doveva essere arbitrario. Così, nel decisione Coëme, ha stimato che era "conforme al funzionamento [di un] meccanismo [di questione pregiudiziale] che il giudice verifica se può o deve porre una questione pregiudiziale, assicurandosi che questa deve essere deciso per permettere di decidere la controversia di cui è chiamato a conoscere." Ha aggiunto allora: "Ciò che è, non è escluso che, in certe circostanze, il rifiuto opposto da una giurisdizione nazionale, chiamata a pronunciarsi in ultima istanza, possa recare offesa al principio dell'equità del procedimento, come enunciato all'articolo 6 § 1 della Convenzione, in particolare quando un tale rifiuto appare come inficiato di arbitrarietà, Dotta c. Italia, déc.), no 38399/97, 7 settembre 1999, non pubblicato; Predil Anstalt S.p.A. c. Italia, déc.), no 31993/96, 8 giugno 1999, non pubblicato. "
In un secondo tempo, la Corte ha dedotto dell'articolo 6 della Convenzione l'obbligo di motivare i rifiuti di porre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'unione europea che proviene di una giurisdizione nazionale di cui le decisioni non sono suscettibili di ricorso, Ullens c. Belgio. Ha spiegato allora che il rifiuto si rivela arbitrario se "le norme applicabili non contemplano di eccezione al principio di rinvio pregiudiziale o di pianificazione di questo, quando il rifiuto si basi su di altre ragioni che queste che è previsto da queste norme, e quando non è debitamente motivato allo sguardo di queste" (ibidem, § 59 in fini, aggiungendo: "l'articolo 6 § 1 mettono in questo contesto al carico delle giurisdizioni interni un obbligo di motivare allo sguardo del diritto applicabile le decisioni con che negano di porre una questione pregiudiziale, di tanto più quando il diritto applicabile non ammette un tale rifiuto che a titolo di eccezione" (ibidem, § 60. Questa giurisprudenza è stata confermata poi da altre sentenze.
Ne risulta che l'argomentazione delle parti fondate sul diritto dell'unione europea ed imperniata sull'obbligo di porre la questione pregiudiziale esigo una risposta particolarmente curata da parte del giudice nazionale. Nel contesto della giurisprudenza generale della Corte relativa alla motivazione delle decisioni di giustizia, le questioni e l'argomentazione fondata sul diritto dell'unione europea beneficiano di un trattamento più favorevole dunque che altre questioni ed argomenti sollevati dalle parti, in particolare le questioni di responsabilità penale. Ora questo trattamento preferenziale non mi sembra sufficientemente giustificato sul fondamento della Convenzione. Non sono persuaso che la mancanza di motivazione del rifiuto di porre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'unione europea costituisca automaticamente una violazione dell'articolo 6 della Convenzione, anche se questo rifiuto proviene di una giurisdizione nazionale di cui le decisioni non sono suscettibili di ricorso in dritto interno.
6. La Corte ha adottato molto più un approccio prudente e sensibilmente più convincente al riguardo delle questioni pregiudiziali indirizzate dal giudice nazionale al giudice costituzionale in quanto alla costituzionalità delle leggi e. Nel causa Pronina c. Ucraina, ha detto questo (§ 24):
"Nel sistema morale ucraino, dove le persone fisiche non hanno del diritto ricorso individuale dinnanzi alla Corte costituzionale, appartiene alle giurisdizioni interne di verificare la compatibilità dei testi di legge con la Costituzione e, in caso di dubbio, di chiedere l'apertura di un procedimento costituzionale, paragrafi 14 e 15 sopra. Tuttavia, avuto riguardo alla legislazione pertinente, questo sistema non può essere compreso come imponente alle giurisdizioni ordinarie di esaminare in dettaglio o di trasmettere alla Corte costituzionale ogni questione di costituzionalità sollevata da una parte al procedimento civile. Appare che i tribunali di competenza generale esercitano un certo potere discrezionale quando trattano le questioni da costituzionalità sollevata nella cornice del procedimento civile. La questione di sapere se un tribunale ha mancato a motivare la sua decisione su questo punto non può essere decisa dunque che alla luce delle circostanze della causa, come indicato precedentemente. "
7. Nelle circostanze dello specifico, posso ammettere che la motivazione della sentenza resa dalla Corte di cassazione nella presente causa non soddisfa interamente all'esigenza generale di motivazione adeguata delle decisioni di giustizia che deriva dell'articolo 6 della Convenzione. In compenso, lo presupposto secondo che la mancanza di motivazione del rifiuto di porre la questione pregiudiziale equivale ad una violazione dell'articolo 6 della Convenzione mi sembro problematico. Personalmente, preferirei un approccio più sfumato in questa tenuta.